Il blitz, compiuto da due uomini, si conclude in malo modo l’acquisto tentato col bancomat rubato poco prima non viene portato a termine. Perché la carta è stata subito bloccata dal legittimo proprietario. Nessun vantaggio, quindi, però la condanna è da confermare perché la norma va applicata a prescindere dal raggiungimento concreto del profitto ipotizzato.
Lo si può considerare un buco nell’acqua, certo non un colpo all’Arsenio Lupin, ma il conto, salato, da saldare con la giustizia resta assolutamente intatto. Così, la dicitura ‘Transazione non eseguita’, che appare sul display del Pos il ‘Point of sale’ elettronico e blocca l’operazione di acquisto tentata con un bancomat rubato, non azzera l’addebito perché la sanzione penale è prevista a prescindere dal fatto che gli usurpatori della carta di credito ne abbiano o meno tratto profitto Cassazione, sentenza numero 45901/2012, Sezione Seconda Penale, depositata oggi . Carta straccia. Assolutamente tranchant la visione adottata sia dai giudici di primo grado che da quelli di secondo grado le due persone sotto accusa debbono essere condannate a 8 mesi di reclusione, con relativa multa. Nessun dubbio sull’addebito, ossia l’indebito utilizzo di un bancomat, precedentemente rubato. E questa valutazione non può essere modificata, ad avviso dei giudici, dal fatto che il bancomat fosse già stato bloccato dal legittimo proprietario, e quindi inutilizzabile. Ciò che conta davvero è l’azione messa in campo Teoria e pratica. Ma su questo punto si soffermano i due uomini, condannati in Appello perché ritenuti colpevoli prima del furto e poi dell’utilizzo indebito di un bancomat, sottolineando la impossibilità del reato si trattava, difatti, di «una carta bancomat bloccata, con la quale era impossibile qualsiasi transazione». E, in subordine, era più giusto, a loro avviso, ipotizzare «il delitto tentato, stante il mancato buon esito della transazione». Ma questa prospettiva – fondata su un dato concreto, ossia che l’operazione di acquisto tentata col bancomat non era andata a buon fine grazie alla rapidità del legittimo proprietario, che aveva subito provveduto a bloccare la carta – non è accoglibile, ad avviso dei giudici di Cassazione. Per questi ultimi, difatti, non bisogna dimenticare che «l’indebita utilizzazione a fini di profitto della carta di credito, da parte di chi non ne sia titolare» integra il reato «indipendentemente dal conseguimento di un profitto o dal verificarsi di un danno», non essendo richiesto dalla norma che «la transazione giunga a buon fine». E ciò vale anche per l’ipotesi del reato tentato, perché è «irrilevante, ai fini della consumazione del reato, la circostanza che l’agente non abbia poi effettivamente conseguito il vantaggio preso di mira» ossia il «profitto» progettato in teoria e non raggiunto in pratica. Condivisa, quindi, in toto la linea di pensiero adottata in Appello, e condivisa anche la pronunzia di condanna nei confronti dei due uomini.
Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 15 – 26 novembre 2012, numero 45901 Presidente Cosentino – Relatore Carrelli Palombi Ritenuto in fatto 1. Con sentenza in data 12/4/2011, la Corte di appello di Roma confermava la sentenza del Tribunale di Roma del 12/12/2006, che, all’esito del giudizio abbreviato, aveva condannato T.A. e P.C. alla pena di mesi otto di reclusione ed € 220,00 di multa ciascuno per i reati di cui agli articolo 110 cod. penumero 12 d.l. 143/1991. 1.1. La Corte territoriale respingeva le censure mosse con l’atto d’appello dal T. in punto di insussistenza del fatto ed in subordine di riduzione della pena inflitta previa qualificazione del fatto come reato tentato, concessione delle attenuanti generiche e dell’attenuante di cui all’articolo 62 numero 4 cod. penumero respingeva altresì le censure mosse con l’atto di appello proposto da P.C. in tema di derubricazione del fatto in tentativo e concessione delle attenuanti generiche. 2. Avverso tale sentenza propongono separato ricorso gli imputati sollevando i seguenti motivi di gravame T.A. 2.1. mancanza di motivazione, ai sensi dell’articolo 606, comma 1, lett. e cod. proc. penumero rileva al riguardo che ricorreva l’ipotesi del reato impossibile ex articolo 49 comma 2 cod. penumero , in quanto si trattava di una carta bancomat bloccata con la quale era impossibile qualsiasi transazione rileva in subordine che comunque il fatto doveva essere qualificato come delitto tentato, stante il mancato buon esito della transazione. P.comma 2.2. mancanza di motivazione, ai sensi dell’articolo 606 comma 1 lett. e cod. proc. penumero , in relazione all’articolo 129 cod. proc. penumero per mancanza di una compiuta analisi del fatto contestato. Considerato in diritto 3. Il ricorso proposto da T.A. deve essere rigettato per infondatezza dei motivi quello proposto da P.A. è inammissibile, perché privo della specificità, prescritta dall’articolo 581, lett. c , in relazione all’articolo 591 lett. c c.p.p.- 3.1. Segnatamente con riferimento al primo ricorso, rileva il Collegio che la Corte territoriale, nell’escludere la sussistenza di un’ipotesi di reato impossibile, ha fatto buon uso dei principi costantemente affermati da questa Corte regolatrice in tema di integrazione del reato di indebito utilizzo di carte di credito o di pagamento previsto dall’articolo 12 d.l. 143/1991 convertito nella legge 197/1991, oggi trasfuso nell’articolo 55 comma 9 d.lgs. 231/2007. In tal senso si è affermato che l’indebita utilizzazione a fini di profitto della carta di credito da parte di chi non ne sia titolare integra il reato di cui all’articolo 12 legge 143/1991, indipendentemente dal conseguimento di un profitto o dal verificarsi di un danno, non essendo richiesto dalla norma che la transazione giunga a buon fine sez. 1 numero 42888 del 26/10/004, Rv. 230117 sez. 5 numero 16572 del 20/4/2006, Rv. 234460 . Non risulta, pertanto, censurabile la decisione impugnata laddove si è ritenuto integrato il reato in argomento, essendo emerso che il ricorrente, unitamente al suo complice, aveva fatto uso di una tessera bancomat, rubata poco prima, per effettuare degli acquisti in un negozio, acquisti non portati a termine, in quanto la carta era risultata bloccata. Ben diversa è, invece, la fattispecie alla quale faceva riferimento la decisione citata nel ricorso sez. 2 numero 37758 del 11/10/2005, Rv. 232265 , la quale ha escluso l’integrazione del reato in argomento nel caso del possesso di una carta di credito denunciata come smarrita, la quale al momento dell’accertamento della detenzione risultava scaduta e non era stato accertato il possesso della stessa prima della data di scadenza, difatti in questa fattispecie, non assimilabile a quella oggetto del ricorso in esame, si è ritenuto che il documento fosse totalmente privo delle sue originarie caratteristiche di strumento finanziario e, come tale, non più idoneo ad assolvere alcuna funzione di credito o di prelievo di contante, stante la sua palese irricevibilità ed inefficacia. Viceversa nel caso di specie la carta era appena stata rubata, risultava apparentemente valida a tutti gli effetti e la transazione non era andata a buon fine soltanto perché il titolare aveva provveduto tempestivamente a richiedere il blocco della carta stessa quest’ultima circostanza appare al Collegio irrilevante al fini dell’integrazione del reato, costruito dal legislatore come reato di pericolo presunto, per la cui integrazione è sufficiente il possesso dello strumento creditizio, già di per sé sufficiente a ledere il bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice, che è la facoltà del titolare della carta di poterne disporre in modo esclusivo. In conseguenza di quanto ora detto, neppure può essere censurata la motivazione della sentenza impugnata, laddove ha escluso che il fatto potesse essere qualificato come reato tentato, essendo irrilevante, ai fini della consumazione del reato, sulla base dell’indirizzo giurisprudenziale sopra riportato al quale il Collegio ritiene di dovere aderire, la circostanza che l’agente non abbia poi effettivamente conseguito il vantaggio preso di mira. E’ pur vero che altra decisione sez. 5 numero 23429 del 31/1/2001, Rv. 218976 , peraltro, isolata di questa Corte, pure citata dal ricorrente, ha ritenuto integrata l’ipotesi tentata nella condotta di colui che introduca una carta bancomat di provenienza illecita nello sportello automatico, allo scopo di prelevare denaro contante altrui, senza riuscire nell’intento per l’intervento della Polizia Giudiziaria. Ma detta affermazione si riferiva ad una fattispecie concreta ben diversa da quella oggetto del presente ricorso e cioè a quella del prelievo di denaro contante per mezzo della carta bancomat da uno sportello automatico viceversa la sentenza impugnata si riferisce ad un acquisto di beni attraverso la carta bancomat analogamente a quanto avviene con qualsiasi altra carta di credito o di pagamento in tale fattispecie concreta, sulla base dell’indirizzo prevalente di questa Corte alla quale il Collegio ritiene di dovere aderire sez. 1 numero 2409 del 28/4/1998, Rv. 210674 sez. 1 numero 29179 del 15/5/2003, Rv. 225036 , il reato deve considerarsi consumato, in quanto, in forza della formulazione della norma incriminatrice, la consumazione avviene attraverso la realizzazione della condotta tipica che è quella dell’indebito utilizzo, indipendente dal conseguimento del profitto. 4.3. Quanto al ricorso proposto da P.C., lo stesso è chiaramente inammissibile, per essere privo della specificità, prescritta dall’articolo 581, lett. c , in relazione all’articolo 591 lett. c c.p.p. al riguardo questa Corte ha stabilito che «La mancanza nell’atto di impugnazione dei requisiti prescritti dall’articolo 581 cod. proc. penumero - compreso quello della specificità dei motivi - rende l’atto medesima inidoneo ad introdurre il nuovo grado di giudizio ed a produrre, quindi, quegli effetti cui si ricollega la possibilità di emettere una pronuncia diversa dalla dichiarazione di inammissibilità» sez. 1 numero 5044 del 22/4/1997, Pace, Rv. 207648 . P.Q.M. Rigetta il ricorso del T. e dichiara inammissibile il ricorso del P. Condanna entrambi i ricorrenti al pagamento delle spese processuali ed il P. altresì della somma di € 1.000,00 alla Cassa delle ammende.