Rapporti di lavoro parasubordinato dei professionisti: è nulla la clausola compromissoria

È possibile deferire agli arbitri la risoluzione delle controversie esclusivamente in caso di previsione esplicita da parte del contratto collettivo nazionale e senza pregiudicare la facoltà di adire l'autorità giudiziaria.

La vicenda. La fattispecie al centro della controversia vede un lodo arbitrale, previsto da una convenzione stipulata tra una ASL e un medico, dichiarare ingiustificato il recesso unilaterale dell’azienda e la risoluzione del contratto di fornitura da parte del professionista di un servizio medico per inadempimento della stessa ASL, con condanna al risarcimento del danno. La successiva impugnazione era respinta dal giudice di appello, il quale affermava trattarsi di contratto di prestazione di opera professionale caratterizzato dalla parasubordinazione, e quindi devoluto alla giurisdizione ordinaria, in quanto le prestazioni dovevano essere eseguite personalmente dal medico, senza configurare una concessione di pubblico servizio. La Corte di appello, inoltre, riteneva palese l’inadempimento della ASL giacché aveva rievocato l’incarico senza alcun motivo valido. Nel successivo ricorso per cassazione, la ASL osserva come il contratto con il medico prevedeva un obbligo, in capo a quest’ultimo, di avvalersi di sostituti, nonché di dotare l’ambulatorio delle strutture necessarie per l’esecuzione delle prestazioni e quindi gli apporti organizzativi posti a suo carico in termini di uomini e mezzi. Inoltre, la natura del servizio sanitario doveva necessariamente prevedere un regime di concessione. Di conseguenza, a detta della ASL, il contratto ha conferito una concessione di servizio sanitario e non un incarico professionale. Per la Cassazione il medico poteva utilizzare collaboratori solo per alcune prestazioni. La Suprema Corte, accoglie il ricorso ma non per i motivi prospettati dalla ASL ricorrente. La Cassazione, infatti, sostiene che il contratto tra la ASL e il medico specializzato prevedeva una serie di prestazioni diagnostiche che dovevano essere eseguite personalmente dal professionista, il quale, esclusivamente per alcune di esse e per periodi determinati, poteva avvalersi di sostituti e ausiliari sotto la propria responsabilità. Trasformazione di un incarico provvisorio? Il suddetto contratto deve essere dunque ricondotto alle convenzioni previste dall’articolo 48 l. numero 833/1978. Del resto, in proposito la Cassazione si è pronunciata a Sezioni Unite Cass. numero 2045/2006 risolvendo un contrasto sorto sull'interpretazione dell'articolo 9, comma 7, d.p.r. numero 316/1990 che ha recepito l'accordo collettivo nazionale per la regolamentazione dei rapporti con i medici specialisti ambulatoriali, ai sensi del suddetto della legge numero 833/1978 , e ha affermato che la suddetta disposizione non può essere applicata alle convenzioni stipulate dal Ministero della difesa con i medici civili. I giudici di legittimità hanno in tal modo condiviso l'indirizzo maggioritario secondo cui non è consentita la trasformazione di un incarico provvisorio per prestazioni specialistiche in incarico a tempo indeterminato come conseguenza del suo protrarsi oltre il termine di 3 mesi di cui al citato articolo 9, comma 7, d.p.r. numero 316/1990 Cass., SSUU, numero 12712 /1998 . La giurisprudenza ha inoltre sottolineato come l'articolo 9, comma 7, non preveda una conversione del rapporto a termine in rapporto a tempo indeterminato ma è funzionale a disciplinare, nell'ambito del procedimento di un primo incarico specialistico a tempo indeterminato, la distinta fattispecie del periodo di prova protrattosi dopo i 3 mesi Cass. numero 7474 /1996 . Il rapporto del medico convenzionato rimane parasubordinato e a termine. Quindi nel caso in cui siano state stipulate convenzioni, ai sensi dell'articolo 1, comma 2, l. numero 304/1986, con i medici civili, generici o specialisti, il prolungamento, rispetto alla prevista sua durata massima di 3 mesi, di un incarico provvisorio attribuito a norma dell'articolo 11, commi 8 e 9, dell'accordo collettivo nazionale per i medici specialisti ambulatoriali del servizio sanitario nazionale, in attesa della copertura del posto con incarico a tempo indeterminato, non determina la trasformazione del rapporto del medico convenzionato da rapporto a termine a rapporto a tempo indeterminato, né si configura un diritto alla continuazione, in ogni caso, del rapporto lavorativo dopo il recesso dell'amministrazione, in attuazione del dettato dell'articolo 9, numero 7, del suddetto d.p.r. numero 316/1990. I rapporti tra i medici convenzionati esterni e le unità sanitarie locali, dunque, pur se costituiti in vista dello scopo di soddisfare le finalità istituzionali del servizio sanitario nazionale, corrispondono a rapporti libero-professionali che si svolgono di norma su un piano di parità, non esercitando l'ente pubblico nei confronti del medico convenzionato alcun potere autoritativo, al di fuori di quello di sorveglianza, né potendo incidere unilateralmente, limitandole o degradandole ad interessi legittimi, sulle posizioni di diritto soggettivo nascenti, per il professionista, dal rapporto di lavoro autonomo. La giurisdizione è quindi del giudice ordinario. Se il rapporto del medico è riportato allo schema dei rapporti di collaborazione di diritto privato di prestazione d’opera continuata e coordinata prevalentemente personale, le controversie relative, anche se riguardano la risoluzione della convenzione disposta dalla ASL, saranno devolute alla giurisdizione del giudice ordinario. Allorché la convenzione ha richiesto al professionista, come nel caso in specie, un’attività di collaborazione professionale concretantesi in una prestazione d’opera non occasionale, cioè limitata ad uno o più affari determinati, ma continuativa ovvero estesa a tutti gli affari di una certa specie del preponente, in un determinato periodo di tempo, anche se non di lunga durata. L’attività è inoltre caratterizzata dal requisito del coordinamento fra la prestazione d’opera continuativa e prevalentemente personale del medico e l’ASL preponente, nel senso che la stessa attività avrebbe dovuto svolgersi in collegamento con l’ASL medesima. Trattandosi di una prestazione coordinata, continuativa e prevalentemente personale, ai sensi dell’articolo 409, numero 3, c.p.c., si applicherà l’articolo 808, comma 2, c.p.c. nel testo applicabile ratione temporis , per cui tali controversie possono essere decise da arbitri solo se ciò sia previsto nei contratti e accordi collettivi di lavoro purché ciò avvenga, a pena di nullità, senza impedire alle parti di adire l’autorità giudiziaria. In conclusione è nulla la clausola compromissoria che impedisce di adire il giudice. Per le controversie di lavoro subordinato o di lavoro autonomo si ammette, dunque, la possibilità di inserire la clausola compromissoria con alcune limitazioni, solo nei contratti e negli accordi collettivi. Peraltro, anche nell'articolo 412- ter , introdotto dal d.lgs. numero 387/1998, ha ribadito che anche qualora il tentativo di conciliazione non abbia un esito positivo, le parti possono deferire ad arbitri la risoluzione delle controversie, anche attraverso il sindacato, ma unicamente se i contratti o gli accordi collettivi nazionali prevedono questa facoltà, qualificando tale arbitrato come irrituale. Nella fattispecie in esame, tale clausola è contenuta unicamente nella convenzione del 1997, per cui la Cassazione, accogliendo il ricorso, la considera invalida per aver deferito ad un giudizio arbitrale una controversia su rapporti di lavoro, precludendo inoltre alle parti di ricorrere al giudice ordinario.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 17 luglio – 25 ottobre 2012, numero 18319 Presidente Luccioli – Relatore Salvago Svolgimento del processo Con lodo del 7 novembre 2001, reso esecutivo, il Collegio arbitrale previsto dalla convenzione stipulata il omissis tra la ASL di Locri ed il dott. S.A. dichiarò ingiustificato il recesso unilaterale dell'Azienda, nonché risolta la convenzione per la fornitura, da parte del professionista, di un servizio specialistico angiologico per inadempimento della stessa che condannò al risarcimento del danno nei confronti del S. liquidandolo nella complessiva misura di £.172.985.000. L'impugnazione della ASL è stata respinta dalla Corte di appello di Reggio Calabria con sentenza del 3 settembre 2009, che ha osservato a tra le parti era intercorso un contratto di prestazione di opera professionale con i connotati della parasubordinazione, perciò devoluto alla giurisdizione ordinaria, anche perché le prestazioni dovevano essere eseguite personalmente dal professionista, e non era perciò configurabile la concessione di un pubblico servizio b le parti nella convenzione avevano previsto per la risoluzione di eventuali controversie un arbitrato rituale, non emergendo dagli atti alcun elemento tale da indurre il conferimento di un mandato per l'espletamento di un'attività negoziale peculiare dell'arbitrato irrituale c risultava palese l'inadempimento della ASL perché con delibera 20 gennaio 1998 aveva revocato l'incarico senza alcun valido motivo, essendo documentalmente smentito che avesse provveduto ad acquistare i macchinari necessari allo svolgimento diretto del servizio. Per la cassazione della sentenza la ASL ha proposto ricorso per 4 motivi cui resiste il S. con controricorso. Questa Corte con ordinanza 17 maggio 2012 numero 7768 ha concesso alle parti un termine per integrare le proprie difese in ordine alla ritenuta compromettibilità ad arbitri, da parte della sentenza impugnata, delle controversie aventi ad oggetto un rapporto di lavoro autonomo. Entrambe hanno depositato memoria. Motivi della decisione Con il primo motivo del ricorso l’ASL, deducendo violazione dell'articolo 5 legge 1034/1971 e carenza assoluta di motivazione/censura la sentenza impugnata per aver ritenuto che l'articolo 9 della convenzione aveva conferito al S. un incarico professionale piuttosto che la concessione del servizio sanitario di angiologia, senza considerare a l'obbligo posto a carico di quest'ultimo di avvalersi di sostituti, nonché di dotare l'ambulatorio delle strutture necessarie per l'esecuzione delle prestazioni, e quindi gli apporti organizzativi posti a suo carico in termini di uomini e mezzi, nonché il corrispettivo determinato in misura percentuale ai ricavi ottenuti b la stessa natura del servizio sanitario che non poteva che espletarsi in regime di concessione e richiedeva una preventiva convenzione, nonché una serie di macchinari complessi fra cui l'ecocolor doppler , numerosi collaboratori e una vera e propria struttura imprenditoriale, peraltro interamente a spese dello stesso professionista sia per i costi, che per la gestione c la giurisprudenza di legittimità assolutamente consolidata in tali sensi con particolare riguardo ai laboratori di analisi, che ravvisava in tali fattispecie un rapporto concessorio devoluto alla giurisdizione amministrativa e non compromettibile in arbitri. Il motivo è fondato, pur se per ragioni diverse da quelle prospettate dalla ricorrente. La sentenza impugnata ha accertato, senza contestazioni delle parti al riguardo, che con la convenzione del 9 settembre 1997. La ASL richiese al dott. S. , in possesso del titolo di specializzazione in angiologia una serie di li prestazioni diagnostiche e strumentali mediante ecocolor doppler, nonché visite specialistiche in angiologia e relative consulenze per i degenti dell'ospedale e gli altri assistiti dalla stessa Unità sanitaria che le suddette prestazioni fossero eseguite personalmente dal professionista, il quale soltanto per alcune di esse, e per periodi individuati, poteva avvalersi sotto la propria responsabilità di sostituti o ausiliari e che si svolgessero in un ambulatorio posto a disposizione dalla ASL, mentre il S. era obbligato a fornire i relativi macchinari a proprie spese, nonché dopo ciascun esame a redigere e consegnare gli opportuni referti. Ha pertanto correttamente ricondotto la convenzione, sulla scia della giurisprudenza del tutto consolidata delle Sezioni Unite di questa Corte, nell'ambito di quelle già previste dall'articolo 48 legge 833 del 1978 tra medici specialisti liberi professionisti e Unità sanitarie locali, per assicurare agli utenti del Servizio sanitario nazionale e far fronte alle esigenze sanitarie della popolazione l'assistenza e le prestazioni medico-specialistiche indicate nell'articolo 25 della legge, ed inquadrate dalla giurisprudenza di legittimità nonché amministrativa nello schema dei rapporti di collaborazione di diritto privato, concretantesi in una prestazione d'opera continuata e coordinata prevalentemente personale, incentrata sulla figura e sull'attività professionale del S. , quale specialista sanitario cosiddetta parasubordinazione ex articolo 409, numero 3, cod. prov. civ. con la conseguente devoluzione delle relative controversie, pur se attengano alla risoluzione della convenzione disposta dalla U.S.L., alla giurisdizione del giudice ordinario. A differenza di quanto accade allorché la ASL attribuisca, lo svolgimento e la gestione dell'intero servizio pubblico a strutture private, come centri di diagnostica strumentale, laboratori e gabinetti di analisi di cui agli articolo 43 e 44 della legge pur se a stipulare la convenzione sia un sanitario titolare della relativa struttura ed in questa impegnato , in cui non vengono in rilievo le prestazioni prevalentemente personali del professionista, né la connessione funzionale tra l'opera prestata dallo stesso e l'organizzazione del preponente, alla quale tale opera mette capo, integrandola sia pure dall'esterno così come si verifica nell'appalto di servizi che presuppone nell'appaltatore un'organizzazione e gestione autonoma ad impresa Cass. 15693/2009 , allorché prevale in particolar modo l'elemento organizzativo e strutturale del concessionario, il quale si assume i rischi della gestione del servizio, rifacendosi sostanzialmente sull'utente mediante la riscossione di un qualsiasi tipo di canone, tariffa o diritto, allora si ha concessione Cass.sez.unumero 8212/2004/256/2003 . Ipotesi quest'ultima che non ricorre affatto nella fattispecie, in cui la stessa ASL ha escluso di avere trasferito al S. i propri poteri e le proprie competenze in ordine al servizio di angiologia, attribuendone l'esercizio al concessionario in nome e per conto proprio ed ha anzi ricordato di avere espressamente mantenuto attraverso l'articolo 8 della convenzione la facoltà di gestirlo direttamente - e quindi di revocare l'incarico al professionista - non appena si fosse dotata degli opportuni mezzi e dei necessari macchinari come in effetti è avvenuto appena qualche mese dopo la convenzione con la deliberazione 20 gennaio 1998 di revoca della stessa per essersi l'ASL dotata delle attrezzature previste dall'articolo 1 della stessa pag. 29 ric . La convenzione, invece, ha richiesto al professionista, come accertato dalla sentenza impugnata e ribadito da quest'ultimo, che ha ricordato anche la giurisprudenza di legittimità al riguardo Cass. fin da 3198 e 5258/1983, -360 e 5811/1984 , una attività di collaborazione professionale concretantesi in una prestazione d'opera non occasionale - ossia limitata ad uno o più affari determinati - ma continuativa, che si estendeva cioè a tutti gli affari di una certa specie del preponente, in un determinato periodo di tempo, anche se non di lunga durata e caratterizzata altresì dal requisito del coordinamento fra la prestazione d'opera continuativa e prevalentemente personale del medico e l'ASL preponente, nel senso che la medesima attività doveva svolgersi in connessione o collegamento con l'Azienda stessa, onde contribuire alle finalità sanitarie cui essa mira Cass. 8457/2011 8598/2004 7785/1997 . E tuttavia, proprio perché trattavasi di una prestazione coordinata, continuativa e prevalentemente personale, riconducibile alla previsione dell'articolo 409, numero 3, cod. proc. civ., nel caso trova applicazione l’articolo 808, 2 comma cod.proc.civ. nel testo vigente per effetto dell'articolo 3 legge 25 del 1994, secondo cui Le controversie di cui all'articolo 409 possono essere decise da arbitri solo se ciò sia previsto nei contratti e accordi collettivi di lavoro purché ciò avvenga, a pena di nullità, senza pregiudizio della facoltà delle parti di adire l'autorità giudiziaria . Per tali controversie, comprendenti sia quelle di lavoro subordinato numero 1. , sia quelle di lavoro autonomo, che alle prime sono espressamente equiparate dalla previsione del numero 3 quanto alla tutela processuale, la disposizione di cui all'articolo 808, secondo comma, cod.proc.civ. ammette la possibilità di inserire la clausola compromissoria, con determinate limitazioni, solo nei contratti e negli accordi collettivi. E siffatta limitazione è sostanzialmente mantenuta anche nell'articolo 412 ter , introdotto dall'articolo 19 d.lgs. 387 del 1998 successivo alla convenzione , che pur nell'ipotesi in cui il tentativo di conciliazione non riesce ha attribuito alle parti la facoltà di concordare di deferire ad arbitri la risoluzione della controversia, anche tramite l'organizzazione sindacale alla quale aderiscono o abbiano conferito mandato, soltanto se i contratti o accordi collettivi nazionali di lavoro prevedono tale facoltà , qualificando l'arbitrato suddetto irrituale e stabilendo le ulteriori condizioni cui il relativo esperimento resta subordinato. Nel caso, la ricorrenza di queste condizioni non è stata neppure prospettata dalle parti e, d'altra parte, la clausola è contenuta solo nella convenzione 9 settembre 1997 per cui la stessa deve considerarsi invalida, per aver deferito ad un giudizio arbitrale una controversia avente ad oggetto rapporti di lavoro, ed avere precluso alle parti la facoltà di adire il giudice ordinario, cui l'articolo 808 cod.proc.civ. attribuiva invece la relativa cognizione Cass. 16620/2011 12309/2003 6206/1992 . Assorbiti i restanti motivi del ricorso, la sentenza impugnata va cassata e non essendo necessaria l'acquisizione di ulteriori elementi, il Collegio deve decidere nel merito ai sensi dell'articolo 384 cod. proc.civ. dichiarando la nullità del lodo che ha esaminato e deciso la controversia in violazione della menzionata normativa. La ritenuta invalidità della clausola arbitrale per ragioni diverse da quelle prospettate dalla ASL induce la Corte a compensare tra le parti le spese dell'intero procedimento. P.Q.M. La Corte, pronunciando sul ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito ai sensi dell'articolo 384 cod. proc.civ., accoglie l'impugnazione della AUSL e dichiara la nullità del lodo, nonché interamente compensate tra le parti le spese dell'intero procedimento.