Un rientro ritardato dopo la maternità non costituisce colpa grave il licenziamento è illegittimo, se viene inflitto nel primo anno di età del figlio.
Il divieto di licenziamento della lavoratrice madre nel primo anno di vita del figlio può essere superato soltanto in presenza di una colpa grave, che non sussiste nel caso di qualche giorno di assenza. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza numero 19912 del 29 settembre scorso.La fattispecie. Una lavoratrice veniva licenziata per un'assenza ingiustificata di alcuni giorni dopo il periodo di astensione obbligatoria per maternità. La neo-mamma impugnava il licenziamento e i giudici di merito lo dichiaravano nullo, in quanto comminato nel primo anno di età del figlio e senza una giusta causa, la quale costituisce l'unica ipotesi giustificativa del licenziamento. La società datrice di lavoro proponeva, quindi, ricorso per cassazione.Il divieto di licenziamento delle lavoratrici madri. La normativa in materia articolo 54, commi 1 e 3, d. lgs. numero 151/2011 prevede un divieto di licenziamento per le lavoratrici, dall'inizio del periodo di gravidanza fino al compimento di un anno di età del bambino. Soltanto nel caso di colpa grave della lavoratrice, costituente giusta causa di licenziamento, non trova applicazione tale divieto.La colpa grave non basta un semplice inadempimento del lavoratore. E proprio sui tratti caratteristici della colpa grave è incentrato il ricorso dell'azienda datrice di lavoro. Secondo pacifica giurisprudenza, la colpa grave consiste in un quid pluris rispetto alla semplice ipotesi di colpa in senso lato, che deve connotare qualsiasi inadempimento del lavoratore. In questo senso, non basta una giusta causa o un giustificato motivo di licenziamento soggettivo, ma è richiesta la sussistenza di un requisito ulteriore, consistente, appunto, nella colpa grave.Qualche giorno di assenza non costituisce colpa grave licenziamento nullo. Nel caso di specie, il licenziamento è stato motivato dall'assenza ingiustificata della lavoratrice, che per tre giorni non è rientrata in servizio al termine del periodo di astensione per maternità. La Corte territoriale ha ritenuto che un periodo di assenza così limitato, pochi giorni, non fosse idoneo ad integrare l'ipotesi di colpa grave.Le censure della ricorrente si risolvono in un'inammissibile richiesta di revisione dei fatti, e il ricorso deve essere rigettato.