Le dimissioni del lavoratore padre non necessitano di convalida presso l’ispettorato del lavoro se questi non abbia previamente fruito di congedo di paternità oppure se il datore di lavoro ignori che il lavoratore sia diventato padre.
Lo ha stabilito la sezione Lavoro della Corte di Cassazione con la sentenza numero 11676 depositata l’11 luglio scorso. A differenza delle lavoratrici madri, che, evidentemente, non necessitano di provare la maternità, atteso che la fase terminale della gravidanza e il puerperio sono gravati dal divieto di adibire la donna al lavoro e alla corresponsione del trattamento di astensione obbligatoria, nel caso del lavoratore padre, l’intervenienza della paternità, se non comunicata al datore dal lavoratore, può essere ignorata dal primo. Che legittimamente può accettare le dimissioni del prestatore di lavoro, non essendo gravato dall’onere di convalida delle medesime quando, in assenza di presunzioni, manchi del tutto la presa di contezza della paternità. L’antefatto. Il caso riguardava un lavoratore che si era licenziato durante il primo anno di vita del proprio bambino e poi aveva impugnato il licenziamento chiedendo di essere reintegrato, adducendo la mancata convalida delle stesse da parte dell’Ispettorato del lavoro. In primo grado il lavoratore era risultato soccombente, ma in appello il collegio aveva capovolto la decisione del giudice di prime cure, ordinando al datore di lavoro di riammetterlo in servizio e di corrispondergli le retribuzioni pregresse. Di qui il ricorso per cassazione da parte del datore di lavoro, che si concludeva favorevolmente per quest’ultimo. Niente convalida per le dimissioni del padre lavoratore non in congedo. I giudici di legittimità hanno cassato senza rinvio la sentenza della Corte d’appello ed hanno deciso la controversia nel merito, dando ragione la datore di lavoro. La Suprema Corte ha spiegato, infatti, che le dimissioni volontarie del lavoratore nel primo anno di vita del bambino non sono soggette a convalida, se il lavoratore non abbia mai fruito del congedo di paternità oppure se non abbia previamente informato il datore di lavoro della intervenuta paternità.
Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 9 maggio – 11 luglio 2012, numero 11676 Presidente Roselli – Relatore Arienzo Svolgimento del processo Con sentenza del 1.10.2007, la Corte di Appello di Torino, in riforma della sentenza di primo grado, dichiarava l'invalidità delle dimissioni rassegnate da M.V. il 2.11.2002, in quanto, se pure presentate entro l'anno della nascita del figlio, avvenuta il 28.10.2002, non erano state convalidate a norma dell'articolo 55, comma 4, del d.lgs. 151/2001 la Corte condannava la società a riammetterlo in servizio, nonché a corrispondergli le retribuzioni in misura di Euro 1188,05 mensili dal 22.11.2002 alla data del ripristino del rapporto, oltre accessori di legge. Rilevava la stessa Corte che il comma 4 dell'articolo 5 del d.lgs. 151/2001 prescriveva che la richiesta di dimissioni, presentata dalla lavoratrice durante il periodo di gravidanza e dalla lavoratrice o dal lavoratore durante il primo anno di vita del bambino, dovesse essere convalidata dal servizio ispettivo del Ministero del lavoro competente e che a detta convalida fosse condizionata la risoluzione del rapporto di lavoro, ma che nella specie le dimissioni presentate dal M. durante il primo anno di vita del bambino non erano state convalidate a norma di legge. Riteneva errata la tesi del Tribunale secondo cui l'articolo 55 si applicava solo al padre lavoratore che si trovasse nelle condizioni per fruire del congedo di paternità di cui all'articolo 28, e cioè in caso di morte o di grave infermità della madre ovvero di abbandono, nonché in caso di affidamento esclusivo del bambino al padre, atteso che la norma non conteneva alcun riferimento, per il padre, alla circostanza che avesse fruito del congedo di paternità, con sintomatica differenza rispetto al comma 2. Riteneva ancora che ciò non fosse frutto di una dimenticanza del legislatore, in quanto il formalismo garantista per la validità delle dimissioni fosse logicamente previsto per entrambi i genitori, considerando che entrambi potessero poi avvalersi dei congedi parentali di cui all'articolo 32 sino al compimento degli otto anni del minore. Osservava che le prove richieste in primo grado dalla società in ordine alla mancata comunicazione al datore della nascita del figlio e la richiesta di produzione della documentazione fiscale relativa ai redditi 2002-2006 non erano state riproposte in appello. Per la cassazione di tale decisione propone ricorso la società, con quattro motivi, avanzando, in subordine, questione di legittimità costituzionale della norma del testo unico esaminata. Resiste il M. , con controricorso. Motivi della decisione Con il primo motivo, la società denunzia la violazione e falsa applicazione di norme di diritto, in particolare, dell'articolo 12 delle disposizioni preliminari al codice civile, degli articolo 28, 32, 54, 55, 1, 2, 3 e 4 comma, del d.lgs. 151/2001, ai sensi dell'articolo 360 numero 3 c.p.c Osserva che il legislatore, in virtù della delega contenuta nell'articolo 15 della l. 53/2000, ha esteso al padre lavoratore le tutele di cui beneficia la lavoratrice madre, ivi comprese quelle disciplinanti il divieto di licenziamento fino al compimento del primo anno di vita del bambino e le relative indennità economiche in caso di violazione del divieto e che la ratio della norma è chiaramente ricavabile dalle disposizioni di cui all'articolo 54 comma 6 ed, in particolare 7 comma del d.lgs. 151/2001, le quali sanciscono la nullità del licenziamento del lavoratore o della lavoratrice causato dalla domanda o dalla fruizione del congedo parentale e per malattia del bambino ed, in caso di fruizione del congedo di paternità di cui all'articolo 28, il divieto di licenziamento del padre lavoratore. Lo spirito del legislatore è ribadito nell'articolo 55, commi 1 e 2, che ha previsto il diritto della lavoratrice a percepire l'indennità prevista per il caso di licenziamento nell'ipotesi di dimissioni volontarie nel periodo in cui opera il divieto di licenziamento, stabilendo che tale diritto è esteso al padre lavoratore che ha fruito del congedo di paternità. Evidenzia che proprio la portata delle norme richiamate rende palese che la disposizione di cui all'articolo 55 comma 4 non può che essere letta in coordinamento con le disposizioni precedenti ed, in particolare, con il comma 7 dell'articolo 54, quale norma di chiusura delle stesse, considerando che anche il successivo articolo 56, disciplinante il diritto al rientro ed alla conservazione del posto di lavoro, fa riferimento al lavoratore che abbia fruito del congedo di paternità. Non esiste, pertanto, secondo la ricorrente, un autonomo diritto di convalida delle dimissioni da parte del padre lavoratore finalizzato a tutelare il padre in quanto tale, rispetto al quale non vi sarebbe alcuna necessità di verificare la volontà dimissionaria al fine di prevenire pregiudizi a suo carico, posto che nessun datore avrebbe interesse a favorire le dimissioni del lavoratore quando diventa padre, se questi non chieda di usufruire dei congedi o dei permessi previsti dagli articolo 28 e 32 del citato testo unico. In ipotesi di mancata richiesta di congedo non esiste alcuna esigenza di tutela, né di una tutela ancora più incisiva di quella prevista in caso di licenziamento. All'esito della parte argomentativa, la ricorrente formula quesito, con il quale domanda se l'articolo 55, comma 4, del d.lgs. numero 15172002 vada interpretato nel senso che il regime di convalida si applichi esclusivamente al lavoratore che abbia fruito di congedo di paternità o al lavoratore in quanto tale. Con il secondo motivo, la società ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione di norme di diritto, con riferimento all’articolo 12 delle disposizioni preliminari al codice civile, agli articolo 28, 32, 54 e 55, primi quattro commi, del d.lgs. 151/2001, agli articolo 1175, 1375 e 2697 c.c., all'articolo 3 Cost., ai sensi dell'articolo 360 numero 3 c.p.c., rilevando che il lavoratore non è obbligato a effettuare alcuna comunicazione della gravidanza della moglie o della compagna, né a comunicare al datore ed agli enti previdenziali e di assistenza la notizia dell'avvenuto parto, sicché, aderendo all'impostazione avallata in sentenza, il datore dovrebbe cautelativamente, in modo paradossale, richiedere sempre la convalida delle dimissioni volontarie rassegnate dal lavoratore, per mettersi al riparo dal rischio di successiva impugnazione strumentale delle dimissioni, con affermazione della relativa invalidità per nascita di in un figlio, magari sconosciuta all'azienda. Sarebbe, pertanto, onere del lavoratore almeno quello di rendere nota la nascita di un figlio. Il motivo si conclude con quesito, con il quale si domanda se, alla luce di una interpretazione costituzionalmente orientata della norma e per l'esigenza di certezza dei rapporti giuridici, le dimissioni devono essere convalidate solo laddove il datore o gli enti pubblici competenti siano a conoscenza della circostanza che il lavoratore è divenuto padre e se l'onere di provare che il datore sia stato preventivamente informato gravi sullo stesso lavoratore. Con il terzo motivo, la società si duole della omessa pronuncia, con conseguente nullità della sentenza, ex articolo 360 numero 4 c.p.c., in relazione agli articolo 161,112 e 277 c.p.c. e/o dell'omessa insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia, ex articolo 360, numero 5, c.p.c., evidenziando come appaia lesivo dell'autonomia negoziale dei privati subordinare l'efficacia o validità di un negozio giuridico alla convalida di una amministrazione terza, senza porre contestualmente a carico del soggetto tutelato da tale regime il minimo onere di informazione, se non del datore di lavoro, almeno dell'organo pubblico deputato all'accertamento cui è subordinata l'efficacia e validità del negozio. Con il quarto motivo, ascrive alla decisione impugnata la violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto - articolo 343, 421 e 434 c.p.c. - nonché l’omessa e/o insufficiente motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia, ai sensi dell'articolo 360, nnumero 3 e 5, c.p.c., assumendo che la Corte territoriale non avrebbe considerato che le difese erano state ritualmente riproposte e che le istanze istruttorie non erano state reiterate perché mai dedotto dall'intimato di avere ritualmente informato il datore o gli enti competenti della sua paternità. In ogni caso, doveva ritenersi che sussistesse l'obbligo, ex 421 c.p.c., di esercizio da parte del giudice dei poteri ufficiosi e non anche l'onere di riproposizione da parte dell'appellata di domande ed eccezioni non accolte in primo grado rimaste assorbite. Formula specifico quesito con il quale chiede se, in caso di pluralità di domande o di eccezioni proposte non in via cumulativa ma alternativa e subordinata, si presuppone la soccombenza con riguardo ad alcune di esse ai fini dell'onere di riproposizione di quelle rimaste assorbite, sollevate dalla parte che nella specie è rimasta vittoriosa totalmente in primo grado. Infine, la società chiede che, in caso di mancato accoglimento della interpretazione della norma proposta, si sospenda il giudizio con rimessione alla Corte Costituzionale della questione della legittimità costituzionale della norma sotto il profilo della violazione dell'articolo 3 della Costituzione, sostenendo al riguardo che si verrebbero irragionevolmente a parificare situazioni diverse, non essendo conoscibile da parte del datore l'evento nascita in difetto di una sua comunicazione, sotto il profilo dell'eccesso di delega articolo 77 Cost. , in ragione del difetto di coordinamento dell'articolo 55, 4 comma, con il comma 7 del precedente articolo 54 del d.lgs. 151/2001, essendosi proceduto non ad una semplice ricognizione di una disciplina già esistente, ma ad un ampliamento dei contenuti della stessa in termini incoerenti con il principio di ragionevolezza, logicità, organicità e sistematicità e sotto il profilo della violazione del principio di certezza dei rapporti giuridici articolo 24, 101, 102 e 104 Cost. . Il ricorso è fondato. I primi due motivi di impugnazione, che si fondano, da un lato, sulla affermazione di una diversa interpretazione della norma articolo 55 comma 4 del d.lgs. 151/20019 e, dall'altro, sulla considerazione che la norma, così come interpretata dal giudice del gravame, presupponga il verificarsi di una determinata situazione di conoscibilità dell'evento nascita da parte del datore di lavoro destinatario delle dimissioni del padre lavoratore, vanno trattati congiuntamente, involgendo l'esame di profili comuni. Nello specifico, a ben considerare, non si è al cospetto di una norma equivoca, quanto piuttosto di una norma da leggersi in stretta connessione con le disposizioni dei precedenti commi del medesimo articolo, ed in particolare, con quello comma 2 dell'articolo 55 d.lgs. 151/2001 che prevede che la disposizione di cui al precedente comma che sancisce che in caso di dimissioni volontarie presentate durante il periodo per cui è previsto, a norma dell'articolo 54, il divieto di licenziamento, la lavoratrice ha diritto alle indennità previste da disposizioni di legge e contrattuali per il caso di licenziamento si applica al padre lavoratore che ha fruito del congedo di paternità. Deve, ai fini della comprensione del quadro normativo delineatosi con la emanazione del testo unico di cui al d.lgs. 151/2001, considerarsi che l'articolo 11 del regolamento di esecuzione d.P.R. numero 1026 del 1976 della legge numero 1204 del 1971 sulla tutela della lavoratrice madre - norma che, durante il periodo in cui è previsto dall'articolo 2 della legge il divieto di licenziamento della lavoratrice madre, condiziona l'efficacia delle dimissioni di quest'ultima alla successiva convalida delle stesse ad opera dell'ispettorato del lavoro - è stato ritenuto, da orientamento giurisprudenziale espresso da questa Corte prima dell'entrata in vigore del citato d.lgs. 151/2001, illegittimo e da disapplicare dal giudice ordinario perché, nell'introdurre tale condizione di efficacia delle dimissioni, detta una disciplina diversa e confliggente rispetto a quella prevista dall'articolo 12 della legge, che non subordina ad alcuna condizione o verifica esterna l'idoneità di tale dichiarazione unilaterale di recesso a risolvere immediatamente il rapporto di lavoro cfr. Cass. 14.12.1996 numero 11181 ed, in senso conforme, Cass. 17.4.2000 numero 4942 . La norma introdotta dall'articolo 18 della legge 53/2000 ha, successivamente, previsto, al 2 comma, che La richiesta di dimissioni presentata dalla lavoratrice o dal lavoratore durante il primo anno di vita del bambino o nel primo anno di accoglienza del minore adottato o in affidamento deve essere convalidata dal Servizio ispezione della direzione provinciale del lavoro . Tale norma è stata trasfusa nel testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell'articolo 15 della stessa legge 8 Marzo 2000 numero 53, che ha previsto, tra l'altro, che nel testo unico dovesse provvedersi al coordinamento formale del testo delle disposizioni vigenti, apportando, nei limiti di detto coordinamento, le modifiche necessarie per garantire la coerenza logica e sistematica della normativa, anche al fine di adeguare e semplificare il linguaggio normativo . L'evoluzione normativa suindicata deve essere considerata ai fini della corretta soluzione della questione, evidenziandosi che l'estensione delle tutele previste per il caso di licenziamento in periodo di fruizione del congedo e fino al compimento di un anno di età del bambino anche al padre lavoratore, per il caso di dimissioni volontarie presentate durante il periodo di divieto di licenziamento, è condizionata alla fruizione, appunto, del congedo di paternità e che risulterebbe priva di coordinamento con le norme che hanno previsto il divieto di licenziamento e disciplinato le dimissioni volontarie del lavoratore padre articolo 54 comma 7 ed articolo 55 commi 1 e 2 la previsione della necessità di convalida delle dimissioni del lavoratore a prescindere dalla fruizione del congedo da parte del predetto, prevista dalle precedenti disposizioni dello stesso testo unico, o a prescindere dalla conoscenza, da parte dei datore, della nascita del figlio del proprio dipendente. Ed invero, la disposizione, ove letta nel suo stretto tenore letterale, senza completarne la portata precettiva attraverso il criterio ermeneutico del significato alla stessa attribuibile in base all'intenzione del legislatore, sarebbe anche in contrasto con il principio della certezza dei rapporti giuridici, precludendo al datore di lavoro di accettare le dimissioni del lavoratore senza cautelativamente disporne la convalida dinanzi al Servizio ispettivo del Ministero del lavoro, non potendo in alcun modo conoscere la situazione familiare del primo. Né potrebbe considerarsi parificabile la situazione a quella della lavoratrice, per la quale la conoscibilità dello stato di gravidanza è necessaria ai fini della fruizione del periodo di astensione obbligatoria dal lavoro. Di qui la necessità di interpretare la norma in questione in stretta correlazione con le previsioni di cui alle precedenti disposizioni normative o, quanto meno, in modo costituzionalmente orientato, in funzione della evidenziata esigenza probatoria, il cui onere, evidentemente, non può che ricadere sul lavoratore che intenda far valere le invalidità delle dimissioni non convalidate nei modi di legge. Peraltro, la possibilità per il lavoratore di avvalersi degli ulteriori congedi parentali previsti dall'articolo 32 del decreto citato fino al compimento di otto anni del minore non rileva nei sensi sostenuti dal lavoratore ai fini della interpretazione della norma di cui all'articolo 55 comma 4 dello stesso decreto che, diversamente dalla prima, non prevede in modo testuale, in caso di dimissioni, alcun collegamento con la nascita del figlio. Ogni altro rilievo avanzato nel terzo e quarto motivo di ricorso risulta assorbito dalle considerazioni che precedono, nelle quali rifluiscono quelle sollecitate dalle ulteriori questioni, anche di costituzionalità, prospettate in relazione agli oneri probatori ravvisagli in capo alle parti ed alla relativa ripartizione. Né può ritenersi fondato il rilievo del controricorrente di una non condivisibile apodittica presunzione di immunità del padre da ogni suggestione e/o coercizione, ove non si colleghi in qualche modo la invalidità delle dimissioni non assistite dalla procedura garantistica della convalida alla conoscenza da parte del datore della situazione familiare del predetto, questa sola potendo giustificare una atteggiamento del datore che faciliti in qualche modo l'intento dimissionario del lavoratore in un periodo di particolare debolezza, meritevole di maggiore tutela giuridica. Un'interpretazione che sia aderente al principio di uguaglianza e alle esigenze di solidarietà sociale invocate dal M. , impone, pertanto, che si tenga conto della preventiva conoscenza dello stato che giustifica la tutela apprestata in favore anche del lavoratore padre. Essendo pacifico nel caso esaminato che la nascita del figlio del M. non sia stata resa nota al datore di lavoro all'epoca delle dimissioni rassegnate dal predetto, e che quest'ultimo non abbia neanche presentato istanza di fruizione del congedo per paternità, deve ritenersi sussistente la denunziata erroneità dell'interpretazione della norma di diritto, onde la sentenza va cassata in relazione all'accoglimento dei motivi indicati, senza rinvio ai sensi dell'articolo 384 c.p.c., comma 1, ultimo periodo , in quanto la causa può essere decisa nel merito, sulla base dell'enunciata interpretazione della norma censurata - senza che siano necessari all'uopo accertamenti di fatto - e, per l'effetto, va rigettata la domanda del M. intesa alla declaratoria della invalidità delle dimissioni non convalidate. La peculiarità della questione esaminata e la mancanza di precedenti giurisprudenziali di legittimità giustificano la compensazione integrale tra la parti delle spese dell'intero processo. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda del M. . Compensa tra le parti le spese dell'intero processo.