Confermata la sanzione per il medico e per la paziente non legittima la proroga della diagnosi. Scienza, coscienza, esperienza e affidamento sulle parole della persona in cura non possono essere sufficienti a rendere scevro da responsabilità il medico.
Prima la visita a domicilio, poi, a distanza di quattro giorni, la proroga della prognosi, alla luce delle indicazioni fornite telefonicamente dalla paziente. Tutto fatto secondo esperienza, scienza e coscienza. Ma ciò – come da Cassazione, sentenza numero 18687, Quinta sezione Penale, depositata oggi – non basta a salvare il medico dall’accusa di ‘falsa certificazione’ Prognosi orale. Episodio ‘incriminato’ è quello relativo al rilascio di un certificato medico di proroga della diagnosi per arrivare a tale decisione, però, il medico si limita a una visita ‘telefonica’, basandosi sulle indicazioni fornite dalla paziente in merito ai sintomi della sua malattia. Certificazione da considerare falsa? Non è così scontata la valutazione Non a caso, in primo grado il medico si salva, grazie all’assoluzione decisa dai giudici, ma, in secondo grado, la situazione cambia condanna non solo per il professionista, ma anche per la paziente. Una visita non basta A contestare il pronunciamento è, innanzitutto, il medico – a cui si lega indissolubilmente anche la posizione della paziente – il ricorso in Cassazione, difatti, è finalizzato a rivendicare la legittimità dell’operato. Elemento centrale, secondo il legale, è quello psicologico il medico «avrebbe concesso la proroga sulla base di quanto accertato nella visita effettuata quattro giorni prima» e i sintomi «comunicatigli telefonicamente dalla paziente» sarebbero stati compatibili con la malattia «accertata pochi giorni prima» ciò alla luce di un’«esperienza pluridecennale». Peraltro, «l’intera durata della prognosi», sostiene ancora il legale, «era già contenuta nel primo certificato medico». Quindi, il medico non aveva «consapevolezza» di «certificare fatti non veri», e, alla peggio, potrebbe essere contestato solo «l’elemento colposo». Tale visione, però, non viene assolutamente condivisa dai giudici della Cassazione. Per questi ultimi, difatti, va tenuto presente che «la falsa attestazione attribuita al medico» è fondata sul certificato emesso «senza effettuare una visita e senza alcuna verifica» sulle condizioni di salute del paziente, essendo irrilevante, come in questo caso, la «sussistenza della malattia» verificata a priori. Di conseguenza, è assolutamente illogico ipotizzare che il medico possa essere «non consapevole» della certificazione di una patologia senza provvedere alla visita. Assolutamente fondato, per i giudici, quindi, l’addebito mosso al medico, e, a catena, fondata anche la sanzione rivolta alla paziente.
Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 2 febbraio – 15 maggio 2012, numero 18687 Presidente Bruno – Relatore Demarchi Albengo Ritenuto in fatto 1. B.D. è stato ritenuto responsabile dalla corte di appello di Milano del reato di cui all’articolo 480 del codice penale, in qualità di medico di base convenzionato con il servizio sanitario nazionale e quindi pubblico ufficiale, rilasciava un certificato medico di proroga del prognosi a favore di G.V. senza averla previamente visitata. 2. G.V., a sua volta, veniva ritenuta responsabile del reato di cui all’articolo 489 del codice penale, per aver fatto uso della certificazione di cui sopra, pur conoscendone la falsità. 3. La corte d’appello di Milano sovvertiva la pronuncia di primo grado, che aveva assolto entrambi gli imputati rispettivamente per difetto dell’elemento soggettivo e per insufficienza della prova di colpevolezza. 4. Cori due distinti atti propongono ricorso entrambi gli imputati B.D. con un unico motivo denuncia omessa valutazione dell’elemento psicologico del reato ed in particolare sostiene che il medico avrebbe concesso la proroga sulla base di quanto accertato nella visita effettuata quattro giorni prima, per cui non sarebbe corretto ritenere che egli ha effettuato una valutazione di persistenza della malattia senza visitare la paziente. I sintomi comunicatigli telefonicamente dalla paziente sarebbero stati compatibili con la malattia accertata pochi giorni prima e pertanto il medico legittimamente avrebbe effettuate la modifica della prognosi sulla base di quanto dichiarato per telefono dalla signora G. Infine, si afferma che l’intera durata della prognosi era già contenuta nel primo certificato medico e comunque che il medico non era nella consapevolezza e soprattutto non voleva certificare fatti non corrispondenti al vero, essendo semmai stato tratto in errore dalle dichiarazioni della paziente comunque, la condotta può essere al limite sorretta dall’elemento colposo e dunque non configura alcun reato, posto che il nostro sistema giuridico ignora del tutto la figura del falso documentale colposa. 5. G.V., sulla considerazione di inesistenza del reato contestato al sanitario, e cioè del falso certificato, ne deduce la consequenziale inesistenza del reato a lei contestato di uso della falsa certificazione. In particolare, non sussisterebbe il reato contestato al medico in quanto costui, sulla scorta del proprio sapere medico maturato un’esperienza pluridecennale e sulla base della visita medica effettuata pochi giorni prima in occasione della prima certificazione, poteva legittimamente ritenere, in scienza e coscienza e sulla base di quanto riferito dalla paziente, ancora sussistente la malattia. In sostanza, secondo la ricorrente non sarebbe necessaria l’effettuazione di un’ulteriore visita qualora il sanitario ritenga di essere in possesso aliunde di adeguati strumenti diagnostici. Il reato contestato alla G., dunque, sarebbe ipotizzabile solo se si ritenesse non veritiera la persistenza della malattia, ma tale aspetto non è emersa prova sufficiente. Considerato in diritto 1. Il ricorso proposto da B.D. è infondato. Si deve prima di tutto precisare che la falsa attestazione attribuita al medico non attiene tanto alle condizioni di salute della paziente, quanto piuttosto al fatto che egli ha emesso il certificato senza effettuare una previa visita e senza alcuna verifica oggettiva delle sue condizioni di salute, non essendo consentito al sanitario effettuare valutazioni o prescrizioni semplicemente sulla base di dichiarazioni effettuate per telefono dai suoi assistiti. Ciò rende irrilevanti le considerazioni sulla effettiva sussistenza della malattia o sulla induzione in errore da parte della paziente. Quanto, poi, alla asserita natura colposa della condotta, ci si chiede come il medico potesse non essere consapevole del fatto che egli stava certificando una patologia medica senza averla previamente verificata, nell’immediatezza, attraverso l’esame della paziente. Su tutti gli aspetti censurati dal ricorrente vi è, comunque, idonea e logica motivazione in atti, per cui non è consentito a questa Corte sostituirsi al giudice del merito nelle valutazioni discrezionali a lui riservate si vedano, ad esempio, le pagine 4 e 5 della sentenza di appello ed in particolar modo la sentenze di questa stessa sezione citate alla pagina quattro, in merito alla implicita attestazione dell’accertamento diagnostico . 2. Anche il ricorso proposto da G.V. è infondato. Il motivo di censura si basa esclusivamente sulla ritenuta insussistenza della falsità del documento e dunque sulla inesistenza del reato contestato al medico. Sul punto, quindi, è sufficiente richiamare le considerazioni espresse al capoverso precedente una volta ritenuta la falsità della certificazione medica, ne discende necessariamente la responsabilità della ricorrente per aver fatto uso dell’atto falso. 3. In virtù di quanto sopra, entrambi i ricorsi devono essere rigettati. P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali.