Occasionalità della condotta e particolare tenuità del fatto: un’ipotesi di deflazione processuale?

La I Commissione permanente della Camera dei Deputati, ha esaminato il testo della proposta di legge comma 2094 Tenaglia recante «Definizione del processo penale nei casi di particolare tenuità del fatto», esprimendo parere favorevole all’adozione della stessa a condizione che le disposizioni contenute nella legge vengano coordinate e ci mancherebbe altro con le fattispecie penali nelle quali la speciale tenuità del fatto si manifesta in forma di attenuante e con la richiesta di specificazione, da parte della Commissione di merito, di quali siano concretamente gli effetti dipendenti dalla possibilità, prevista per la persona offesa, di formulare opposizione alla richiesta di archiviazione presentata dal Pubblico Ministero in seguito alla ritenuta tenuità del fatto.

La norma, almeno nella formulazione con la quale è stata proposta, non costituisce di certo una novità assoluta nel sistema. È infatti ben nota l’esistenza dell’articolo 34, D.Lvo numero 274/2000 istitutivo delle competenze penale in capo ai Giudici di Pace e delle disposizioni dettate dal D.P.R. numero 448/1998 in tema di processo minorile. Si tratta, in entrambi i casi, di collegare la necessità esigenza di punire con sanzione penale, solo quelle condotte che siano caratterizzate da una qualche concreta, effettiva ed apprezzabile offensività rispetto al bene protetto. A ben vedere si tratta, o meglio si tratterebbe, nell’un caso come nell’altro, di dare concreta attuazione a quel principio di meritevolezza della sanzione penale che, almeno da Beccaria in poi, dovrebbe contribuire a rendere la pena ‘dolce’, ovvero comprensibile, accettabile ed effettivamente commisurata alla responsabilità del reo e, conseguentemente, a far sì che la stessa, percepita come giusta, possa esplicare i propri effetti special preventivi. Il legislatore vuol forse perseguire finalità di carattere ‘economico’? In realtà però questa nobile aspirazione, che a me sembra davvero meritevole di approfondimento e conseguente concreta attuazione, non è fatta propria dal Legislatore che, sin dal momento in cui si propone di introdurre la riforma, mira assai più semplicemente, e forse utilitaristicamente, a ‘deflazionare’ il ricorso al processo penale. Ancora una volta l’intervento legislativo non è finalizzato a dare risposte di carattere generale, per così dire strutturale rispetto al sistema penale e processuale, ma ad introdurre correttivi che pare vogliano perseguire più finalità di carattere ‘economico’ che di attuazione dei precetti costituzionali. Sin dall’introduzione del codice di rito i più attenti commentatori segnalarono l’impossibilità di darvi attuazione, sotto i profili più strettamente connessi ai tempi ed ai costi di celebrazione dei processi, senza che vi fosse un massiccio ricorso ai riti alternativi pensati proprio in un’ottica deflattiva rispetto al procedimento ordinario. Nei sistemi accusatori, o tendenzialmente accusatori, il rito dibattimentale può celebrarsi solo allorchè esso rappresenti una minima parte del complessivo numero di procedimenti penali in essere e, pertanto, i riti alternativi hanno ed assumono grande rilevanza premiale e la scelta in ordine ai medesimi ed alle conseguenze che essi importano, è sottratta al sindacato del Giudice. Si pensi ad esempio al patteggiamento nel rito accusatorio puro nord americano play bargaining il titolo di reato e la pena sono oggetto di ‘contrattazione’ tra accusa e difesa il cui esito è insindacabile da parte del Giudice. Si consideri invece quanto avviene nel corrispondente rito nostrano. Il Giudice mantiene e sulla qualificazione giuridica del fatto e sulla pena irrogata potere enorme. Analoghe considerazioni si potrebbero svolgere anche in relazione al rito abbreviato ed alla possibilità del Giudice di ordinare integrazioni probatorie che spesso finiscono per influenzare e stravolgere la libera scelta della parte difesa che finisce con il vedersi portare nuove prove ordinate proprio da quel Giudice che è chiamato a decidere con i conseguenti, ovvi ed evidenti effetti in tema di terzietà del giudicante. Le denunciate discrasie, assieme ad altre che non è il caso di ricordare qui, hanno portato ad un collasso pressoché generalizzato dalla macchina processuale penale italiana per rimediare al quale si debbono cercare strumenti di deflazione. In quest’ottica, e non in quella assai più nobile ed alta del recupero della funzione della pena, si muove la proposta di legge comma 2094. Occorre verificare se le proposte contenute nella norma, pur se non orientate nella direzione invero auspicabile, possano almeno avere un qualche diretto effetto deflattivo. Credo che sia corretto far riferimento, per condurre l’analisi de quo, alle figure «di tenuità del fatto» già presenti nel nostro sistema. Le due figure, quella relativa al procedimento davanti al Giudice di Pace e quella inerente il rito minorile, hanno avuto, ed hanno effetti ed applicazioni assai diverse. Dovute alla differente ratio che governa i riti. È noto speriamo anche al Legislatore che il procedimento minorile sia caratterizzato ed improntato alla necessità di ridurre al minimo il contatto tra il minore e la giustizia penale, in forza di questa struttura la pena è considerata dal legislatore quale estrema ratio e le proposte di definizione alternativa ed anticipata del procedimento e del processo penale frequenti, molteplici e privilegiate. In un rito così caratterizzato, che vede addirittura la presenza di Giudici specializzati, la «occasionalità della condotta e la tenuità del fatto» hanno costituito e costituiscono non uno strumenti deflattivo ma uno straordinario mezzo di recupero e riabilitazione del minore che, già attraverso il procedimento, od il processo penale, ‘subisce’ una pena. Il processo, diceva Calamandrei, è di per sé una pena. Dunque dichiarare occasionalità della condotta e tenuità del fatto per il Giudice dei minori ha funzione riabilitativa o di recupero e non deflattiva. La differenza è evidentemente non da poco. Essa è ben identificata nelle sentenze rese dai Tribunale per i minorenni che incentrano la propria attenzione sull’oggetto-soggetto del procedimento e non sulla durata o sul costo dello stesso. Vi è poi un’altra variabile fondamentale che ha consentito di rendere lo strumento giuridico in commento validissimo dispositivo nel rito minorile l’assenza della parte civile. Parte civile che, proprio per le ragioni sopra descritte, non ha alcuna capacità o margine di intervento nel rito minorile. Dunque non può lagnarsi delle decisioni del Giudice o del Pubblico Ministero, rimanendo, come è logico che sia, ai margini del processo che, non bisognerebbe mai dimenticarlo, è funzionale all’esercizio della potestà punitiva dello stato e non alla tutela degli interessi della vittima o della persona offesa. Interessi che spesso, anzi sempre, hanno natura economica. Viceversa nel rito avanti al Giudice di Pace la norma contenuta nell’articolo 34, D.Lvo numero 274/2000 per vero di tenore pressoché identico a quella dettata per il rito dei minori ha avuto scarsissima applicazione. Raramente si sono viste archiviazione richieste dal Pubblico Ministero in virtù del disposto dell’articolo 34. Vuoi perché pare che la valutazione circa la occasionalità della condotta e la tenuità del fatto necessiti del vaglio dibattimentale, vuoi per la scarsa attenzione che i rappresentanti della Pubblica accusa riservano, con ogni giusta ragione, al rito. Ancor più raramente si sono ottenute sentenze dichiarative dell’occasionalità della condotta o della tenuità del fatto da parte del Giudice. Il che lascia davvero perplessi stante la natura dei reati oggetto della competenza del Giudice penale e la tipologia di imputati in detto procedimento. Casalinghe, automobilisti, anziani, spesso impegnati, per la prima volta nel corso della propria esistenza, a difendersi o ad accusare il vicino di casa od il conducente dell’autoveicolo che intrappolato dal traffico cittadino ha effettuato una spericolata manovra o, al più, coinvolti in discussioni con questo o tal altro dipendente, pubblico o privato, circa le più disperate, ed inutili, questioni, vengono costantemente processati senza che nei loro confronti si consideri occasionale la condotta assunta o tenue l’ingiuria proferita in relazione ad una circostante realtà che ha fatto, ahinoi!, da anni dell’inutile turpiloquio manifesto programmatico. Per i pochi casi in cui il Giudice si sentirebbe di dichiarare la ricorrenza dei due presupposti in commento, la sola presenza della parte civile, quasi sempre partecipe del procedimento avanti al Giudice di Pace, costituisce insormontabile ed invalicabile confine e limite all’apprezzabile anelito. La proposta di legge in commento non pare finalizzata, e lo abbiamo già detto, ad un intervento sul versante della «funzione della pena», ma semmai ad una mera ricerca di strumenti atti a sfoltire la celebrazione del procedimento penale, verrebbe ad essere applicata con modalità simili a quelle previste per il procedimento avanti al Giudice di Pace. Innanzitutto la richiesta di archiviazione che il Pubblico Ministero potrebbe ? formulare sui presupposti citati sarebbe assoggettata alla possibilità per la parte civile ex articolo 408 c.p.p. di opposizione. Opposizione sulla scorta della quale il Giudice delle Indagini preliminari sarebbe chiamato a pronunciarsi. Ovvero o ad affermare, con ogni conseguenza del caso, che un fatto è di particolare tenuità generato da condotta occasionale ha generato un danno alla parte civile che si sente tanto profondamente toccata dal fatto dal ritenere proprio preciso dovere lamentarne la persecuzione in sede penale. Filosoficamente il contrasto tra quanto sostenuto dalla Pubblica Accusa e quanto lamentato da chi ha subito la condotta pare difficilmente sanabile. Ancora ove il Giudice delle indagini preliminari ritenesse il fatto, in via autonoma e senza necessità di intervento della parte civile, non di particolare tenuità o non generato da occasionale condotta gli effetti della sua pronuncia sarebbero difficilmente emendabili dal corpo del procedimento con esiti davvero evidenti per la successiva possibilità di applicazione della norma da parte del Giudice del dibattimento. Non pare poi di scarso rilievo ed importanza la circostanza relativa alla collocazione della “norma” che la proposta di legge tende ad inserire nel corpo codici stico. La norma da inserirsi recherebbe quale numerazione 530- bis c.p.p. Essa verrebbe inserita dopo la norma, articolo 530 c.p.p., che sancisce la fine del procedimento penale. Ovvero il Giudice dovrebbe dichiarare la tenuità del fatto e l’occasionalità della condotta non prima del procedimento penale ma all’esito dello stesso. Con inesistenti effetti in tema di deflazione del dibattimento. A nulla valgono le osservazioni che si potrebbero muovere partendo dal presupposto che la proposta di legge modificherebbe anche il contenuto degli articolo 129 e 425 c.p.p., posto che è ben nota a tutti i processualisti l’incidenza che dette norme hanno in concreto sul procedimento. Non resta che concludere queste riflessioni richiamando alcuni presupposti più di buon senso che giuridici - un rito accusatorio, o di stampo tendenzialmente accusatorio, deve lasciare alle parti la libertà di determinarsi circa le scelte processuali, la disponibilità della prova e la determinazione della pena, - il Giudice deve essere terzo ed estraneo rispetto a queste scelte, - la sanzione penale deve tornare ad essere l’estrema ratio punitiva dello stato e non il necessario complemento di ogni violazione di legge.