La scala rimane condominiale anche quando serve al godimento esclusivo di una sola parte dell'edificio in condominio. E' assolutamente irrilevante, sotto questo profilo, che le scale servano a raggiungere solo le unità immobiliari di ultimo piano e che dette scale non vengano normalmente usate dai proprietari delle unità di immobiliari dei piani inferiori. La presunzione di condominialità contenuta nell'articolo 1117 c.c. può essere superata solo con un titolo idoneo. Ma quando un titolo può essere considerato “idoneo”?
Il nodo gordiano è stato sciolto dalla Seconda sezione Civile della Corte di Cassazione, con la sentenza numero 4419 del 21 febbraio 2013. Scale comuni o proprietà privata? In condominio i motivi di litigio non mancano di certo. Questa volta si discute sulla possibilità che la scala di accesso al piano superiore possa essere di natura condominiale ovvero, al contrario, possa essere una proprietà esclusiva di uno soltanto dei condomini. A venire in gioco, in questo caso, è l'articolo 1117 c.c. in materi di beni comuni. Il caso nasce quanto il proprietario dell'unico appartamento di primo ed ultimo piano rivendica la proprietà esclusiva delle scale di accesso alla propria unità immobiliare impedendone l'uso ed il godimento ai proprietari delle unità immobiliari sottostanti. Le tesi sono essenzialmente due secondo una prima angolazione, peraltro sostenuta dal giudice di primo grado, le scale sarebbero necessariamente condominiali in quanto rientrerebbero nel novero dei beni comuni ex articolo 1117 c.c Di contro, sostiene la Corte di Appello, le scale potrebbero essere di proprietà esclusiva del singolo condomino nella misura in cui si riesca a dimostrare che esse sono state poste ad uso esclusivo di un solo condomino e che quest'ultimo abbia un titolo idoneo che legittimi tale interpretazione. Condominiali i beni ex articolo 1117 c.c A rigore, l'articolo 1117 c.c. contiene una presunzione di condominialità tra una serie di beni indicati nello stesso articolo. Tale presunzione, peraltro, potrebbe essere superata da un titolo idoneo . La riforma del condominio . Le norme in materia di condominio risalgono al codice civile del 1942. Di recente, la legge 11 dicembre 2012, numero 220, recante «Modifiche alla disciplina del condominio negli edifici», ha modificato, con effetti a partire da giugno 2013, la disciplina del condominio. La norma è destinata a finire sotto i riflettori in quanto contiene la riforma di uno degli istituti più antichi in assoluto e mai modificato nel corso dei decenni. Occorre tener bene a mente che il Legislatore della riforma è intervenuto pesantemente sulla disciplina delle parti comuni dell'edificio condominiale. In particolare, l'articolo 1117 c.c., viene interamente ridisegnato ed integrato con gli articolo 1117-bis ambito di applicabilità e 1117-ter modificazioni delle destinazioni d'uso e sostituzioni delle parti comuni . In questa sede non possiamo dilungarci sugli effetti della riforma, ma, in prima approssimazione, possiamo certamente sottolineare una maggiore attenzione del Legislatore verso i beni comuni la cui elencazione viene notevolmente arricchita. La riforma, infatti, amplia a dismisura l'elenco dei beni condominiali la cui elencazione appare più puntuale e dettagliata rispetto al passato. Tra le new entry notiamo le facciate, i sottotetti, le aree a parcheggio, i sistemi centralizzati per la ricezione dei programmi radiotelevisivi e le reti infrastrutturali. Da non dimenticare che il Legislatore della riforma, cura anche alcuni aspetti in materia di sicurezza degli edifici e, in tale contesto, qualifica come bene condominiale , gli elementi strutturali dell'edificio quali facciate, pilastri e travi. Elencazione tassativa o esemplificativa? La giurisprudenza prevalente, interpretando l'articolo 1117 c.c. del vecchio codice, era concorde nel ritenere che l'elencazione dei beni comuni in esso contenuta dovesse essere interpretata in maniera esemplificativa e non tassativa Cass., sez. II, 2 agosto 2011, numero 16914 Cass., sez. II, 2 agosto 2010, numero 17993 Cass., sez. III, 13 marzo 2009, numero 6175 . Quali gli effetti della riforma? Non c'è alcun motivo di ritenere che il Legislatore abbia voluto abbandonare l'impostazione tradizionale per cui si ritiene che l'elencazione dei beni comuni contenuta nell'articolo 1117 c.c. debba continuare ad essere sottoposta ad una interpretazione estensiva. La presunzione di condominialità . A finire sotto la lente, nel caso in esame, è la presunzione contenuta nell'articolo 1117 c.c Per essere più precisi, la giurisprudenza afferma che i beni indicati nell’articolo 1117 c.c., si intendono comuni per presunzione derivante sia dall’attitudine oggettiva che dalla concreta destinazione degli stessi al servizio comune Cass. 13 marzo 2009, numero 6175 . Anche recentemente la Cassazione Sez. II civ., 26 luglio 2012, numero 13262 si è attestata su questo principio affermando che l'articolo 1117 c.c. vecchia formulazione pone una presunzione di condominialità per i beni ivi indicati, la cui elencazione non è tassativa. In parole povere, i beni indicati nell'articolo 1117 c.c. si presumono comuni sino a prova contraria. Sotto questo profilo il singolo proprietario può rivendicare la proprietà esclusiva nell'ipotesi in cui dimostri, sulla base di un titolo idoneo, che il bene si appartenga in uso esclusivo sottraendolo, quindi, al normale regime della condominialità. Ma qual è il titolo legittimante? Qual è il titolo che legittima la proprietà esclusiva? In questo filone si innesta la sentenza in commento che chiarisce a chiare lettere che il bene possa essere privato e, quindi, sottratto al regime della comunione, solo in due ipotesi ovvero quando il bene sia stato qualificato come privato dall'originario costruttore ovvero nell'ipotesi in cui i condomini abbiano sottoscritto una valida convenzione in questo senso. Nel caso in esame gli Ermellini hanno rigettato l'eccezione di revendica della proprietà esclusiva sulla scala che conduceva all'unica proprietà di primo piano perché fondata sa una donazione. Il titolo idoneo . Il titolo idoneo ad escludere la presunzione di condominialità ex articolo 1117 c.c. può essere costituito solo dall'originario proprietario della costruzione ovvero dal costruttore ovvero può essere rappresentata esclusivamente da un negozio intercorso tra tutti i condomini capace di vincolare ciascun partecipante al condominio. L'uso esclusivo non giustifica la deroga dalla disciplina condominiale . La circostanza che i condomini dei piani inferiori non potessero utilizzare la scala non ha alcun pregio per escludere la proprietà condominiale della struttura. La scala di accesso alla proprietà esclusiva, secondo la Cassazione, non può essere considerata come un accessorio dell'appartamento di primo piano che trae vantaggio esclusivo dall'utilizzo della struttura. La scala non è un accessorio al bene principale . La cassazione sottolinea che la scala non è un accessorio del bene principale nel nostro caso dell'unico appartamento di primo piano . Gli accessori sono esclusivamente quei beni, aree o locali a servizio della res principale ovvero ripostigli, bagni, ingressi, corridoi, cantine, soffitti, terrazze e balconi. E' escluso che le scale possano costituire o essere considerate come un accessorio dell'appartamento.
Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 7 novembre 2012 - 21 febbraio 2013, numero 4419 Presidente Triola – Relatore Scalisi Svolgimento del processo Ro Pi. con atto di citazione in riassunzione del 20 giugno 1998 conveniva davanti al Pretore di Roma sezione distaccata di Subiaco, P.A. e G. per sentirli condannare alla rimozione immediata delle opere da questi avevano realizzato nelle parti comuni dell'edificio che comprendeva appartamenti di entrambi. L’attore specificava di essere proprietario di un appartamento nel comune di omissis primo piano che nello stesso stabile al piano superiore altro appartamento era di proprietà degli eredi di Pi.Ag. e allo stesso primo piano, altro appartamento di proprietà di P.V. che per accedere ai piani dello stabile i comproprietari si servivano di una scala ad uso comune in condominio tra di loro. Sennonché, nel mese di settembre-ottobre del 1996, era stata collocata all'inizio della rampa di scale che dal pianerottolo del primo piano adduce al secondo piano, una porta in legno e una struttura in muratura, con ciò impedendo a chicchessia di accedere sulla stessa rampa, che in tal modo gli eredi di Pi.Ag. si erano appropriati della rampa di scala in via esclusiva impedendo il pacifico uso e il possesso della stessa agli altri comproprietari, per altro le dette opere poste a fianco dell'ingresso del proprio appartamento impedivano la circolazione di aria e di luce nel ballatoio rendendolo buio ed angusto. Si costituivano i convenuti deducendo che il secondo piano dell'edificio di cui si dice era di loro esclusiva proprietà per essere loro pervenuta da Ag Pi. , mentre Pi.Ro. era proprietario del solo primo piano, pervenutogli per successone dal suo genitore Gi. . Deducevano ancora che la rampa in questione dava esclusivo accesso all'appartamento di loro proprietà e che nessun pregiudizio soffriva l'attore per il mancato utilizzo di detta porzione di scale e, inoltre, che la porta per cui è causa costituiva porta principale del detto appartamento in quanto altre porte sul pianerottolo superiore non vi erano né vi erano mai state. Osservano ancora che non era vero che l’accesso alla rampa di cui si dice era libero, insistendo, invece, in loco da circa un trentennio un cancello in metallo che l’attore aveva deliberatamente distrutto obbligandogli, quindi, a collocare in luogo di esso la porta in legno. Concludevano per il rigetto della domanda e proponevano domanda riconvenzionale di risarcimento danni. Il Tribunale di Roma sezione staccata di Tivoli al quale in virtù di accorpamenti di uffici giudiziali era transitata la causa, con sentenza numero 202 del 2001, accoglieva la domanda attrice e ordinava ai convenuti di rimuovere la porta e la struttura muraria posti a chiusura della rampa di scale condominiali e li condannava al risarcimento dei danni in favore dell'attore e al pagamento delle spese del giudizio. Avverso tale decisione proponeva appello P.A. e G. , chiedendo la riforma della sentenza impugnata e il rigetto della domande proposte da Pi.Ro. e che questi fosse condannato alla restituzione della soma di cui all'atto di precetto oltre ad interessi e al risarcimento del danno. Si costituiva l'appellato contestando l'appello e chiedendone il rigetto. La Corte di appello di Roma accoglieva l'appello e in riforma della sentenza impugnata rigettava ogni domanda avanzata in primo grado da Pi.Ro. , condannava lo stesso al pagamento della somma di Euro 5741,71 per i titoli di cui in motivazione oltre interessi legali dal maggio 2002 al pagamento delle spese del doppio grado del giudizio. Secondo la Corte romana, nel caso in esame la presunzione di comunione ex articolo 1117 cod. civ. relativa alla rampa di scala oggetto del giudizio sarebbe stata dall'indicazione contenuta nell'atto di donazione con il quale sono stati attribuiti ai condividenti le porzioni dei piani dell'edificio di cui si dice. D'altra parte, secondo la Corte romana la scala di cui si dice serve soltanto i cinque vani del secondo piano del fabbricato oggetto di causa e non serve nessun altra porzione di bene o opera sia essa balcone, ballatoio terrazza tetti e altri possibili ambiti che possa dirsi di proprietà comune. Posto, pertanto, che la scala deve ritenersi di proprietà esclusiva di Pi.Ag. e S. , risultava del tutto legittima l'apposizione della porta da parte degli stessi. La cassazione di questa sentenza è stata chiesta dagli eredi di Ro Pi. P.M.G. e P.R. con ricorso affidato a quattro motivi. P.A. e P.G. hanno resistito con controricorso. Motivi della decisione 1.- Con il primo motivo di ricorso gli eredi di Pi.Ro. lamentano la violazione dell'articolo 346 cpc. Secondo i ricorrenti nell'atto di appello non risulterebbe riproposto il rigetto dell'eccezione di proprietà esclusiva della rampa in contestazione, contenuto nella sentenza di primo grado. In altri termini, secondo i ricorrenti, P.A. e G. nel giudizio di appello avrebbero lungamente lamentato che il Giudice di primo grado non avesse considerato che il cancello di ferro rimosso dall’attore e poi la porta di legno ricollocata dai convenuti sarebbe in realtà la porta di ingresso della loro abitazione, ma in nessuna parte di tale appello si solleverebbe l'eccezione di proprietà della rampa di scala in questione. Sicché, specificano i ricorrenti, la Corte avrebbe violato il principio di diritto portato dall'articolo 346 cpc secondo il quale le domande e le eccezioni non accolte nella sentenza di primo grado che non sono espressamente riproposte in appello si intendono rinunciate 1.1.- Il motivo è infondato. Va qui, anzitutto, precisato che l'appello va ritenuto un gravame ad effetto devolutivo limitato dalle specifiche censure avanzate dalle parti nell'atto di appello o in via di riproposizione ex articolo 346 cpc. La giurisprudenza e la dottrina maggioritaria, richiamandosi al principio tantum devolutum quantum appellatum, ritengono che, ai sensi dell'articolo 346 cpc, sia preclusa la possibilità di riaprire la discussione su punti che, oggetto della decisione di primo grado, non siano espressamente sottoposti a riesame con l'atto di appello. 1.1.a .- Nel caso in esame questi principi sono stati rispettati P.A. e G. in primo grado avevano eccepito di essere proprietari dell'intero secondo piano del fabbricato di cui si dice e che di tale secondo piano—faceva parte integrante la rampa di scale di cui si controverte, in quanto la stessa doveva essere intesa come accesso al loro appartamento e la porta collocata all’inizio della stessa doveva essere considerata come quella di ingresso alla citata proprietà. In altri termini. P.A. e G. avevano contestato che la rampa di scala doveva ritenersi comune rivendicandone, indirettamente, la proprietà esclusiva. Tale eccezione non è stata accolta dal Giudice di primo grado, affermando che dal titolo non risultava che la rampa di scala di cui si dice fosse esplicitamente esclusa dal novero delle cose comuni, escludeva in altri termini, e sia pure indirettamente, la proprietà esclusiva a vantaggio di P.A. e G. proprietari del secondo piano. Ora, con l'atto di appello P.A. e G. lamentavano che il giudice di primo grado nel ritenere la condominialità della rampa in questione non aveva tenuto presente - come riferiscono anche gli stessi ricorrenti, che la porta da rimuovere era quella di ingresso all'abitazione e che tale situazione si protraeva da oltre trent'anni. Non vi è dubbio, pertanto, che formalmente e sostanzialmente gli attuali resistenti, nonché originari appellanti, avevano riproposto la stessa linea difensiva svolta in primo grado e sostanzialmente e formalmente rivendicavano la proprietà della rampa di scala di cui si dice cosi come avevano fatto in primo grado, specificando che la porta da rimuovere era quella di ingresso dall'abitazione, cioè alla porzione del fabbricato di esclusiva proprietà e la rampa di scalo restava al di dentro del cancello, cioè, nella porzione di fabbricato di esclusiva proprietà. 1.1.b .- La Corte romana, dunque, ha correttamente interpretato l'atto di appello e correttamente ha ritenuto riproposta la questione del regime giuridico della rampa di scala in questione, ponendosi il problema di stabilire se quella rampa di scala fosse comune ai tre proprietari o rientrasse nella proprietà esclusiva degli appellanti identificando la proprietà esclusiva degli appellanti a partire dal cancello che le parti hanno indicato esistente. 2.- Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano la violazione dell'articolo 1117 cod. civ. Secondo i ricorrenti la Corte romana non avrebbe applicato correttamente l'articolo 1117 cc. considerato che ha ritenuto che la presunzione di condominialità di alcune parti di un identifico edificio potesse esser superata da semplici presunzioni e non dalla espressa ed univoca esclusione esposta nel titolo di provenienza. 2.1.- Il motivo è fondato. Va osservato che è del tutto inconferente il richiamo alla giurisprudenza secondo la quale la cc.dd. presunzione legale di proprietà come sancita dall'articolo 1117 cod. civ. viene meno, oltre che per effetto di un titolo contrario, allorquando si tratti di cose che servano al godimento esclusivo di una parte dell’edificio in condominio formante oggetto di un autonomo diritto di proprietà. Tale principio, infatti, astrattamente valido nell'ipotesi, che la cosa presenti caratteristiche strutturali, oltre che funzionali, escludenti l'uso e il godimento comune, non può esseree invocato con riferimento a quelle strutture essenziali, specificamente elencate al numero 1 del citato articolo, che condizionano l'esistenza stessa dell'edificio alla cui conservazione, quindi, tutti i condomini sono interessati indipendentemente dalla concreta utilizzazione che ciascuno ne possa fare. Così dicasi delle scale e, tanto più, dell'unica scala dell'edificio diviso per piani, poiché, come è evidente, il fatto che le parti di essa destinate a raggiungere i piani superiori non siano normalmente usate dai condomini dei piani inferiori non può assumere alcun significato per escludere la proprietà comune dell'intera unitaria struttura in capo a questi ultimi, il che rende priva di qualsiasi rilevanza anche l'asserita circostanza che nel caso di specie mancasse un varco di accesso al tetto dal ballatoio del secondo piano. La presunzione dell'articolo 1117 cod. civ. può essere vinta solo dalla prova del titolo. 3.- Con il terzo motivo i ricorrenti lamentano l'omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Secondo i ricorrenti la Corte romana sarebbe incorsa in una evidente contraddizione, considerato che nella motivazione della sentenza dai un verso la corte romana evidenzia che Ag Pi. a far data del possesso conseguito del vano di proprietà della P.S. ha acquistato oltre alla proprietà dei vani anche quella della scala che non poteva che costituire “gli accessori” descritti nella proprietà spettava sia alla P.S. che ad Pi.Ag. , quindi inizialmente agli tessi andava attribuita in comproprietà tale scala, per altro la stessa Corte romana non sì da cura di rilevare che nell'atto con il quale Ag Pi. acquistava il vano originariamente attribuito a S P. non è contenuto alcun riferimento espressisi verbis alla alienazione della comproprietà della scala. 3.1.- Tale motivo è infondato. È giusto il caso di osservare che quanto alla pretesa esistenza di un titolo contrario atto ad escludere, ex articolo 1117 cod. civ., la proprietà comune della porzione di scala adducente all'appartamento del F. , occorre ricordare che un titolo siffatto può essere rappresentato soltanto dal negozio posto in essere da colui o coloro che hanno costituito il condominio, oppure da un successivo atto negoziale intercorso tra tutti i condomini e, perciò, vincolante per ognuno di essi. In verità, la Corte romana ha affermato che un'ipotesi del genere ricorresse nel caso di specie, analizzando l'atto di alienazione del vano da P.S. agli odierni controricorrenti. L'errore di partenza sindacabile in questa sede attenendo non all'interpretazione di atti e quindi di volontà delle parti, ma all'identificazione di una nozione tecnica ovvero di un significato che può essere attribuito ad un determinato termine tecnico, nell'ipotesi al termine accessori . La Corte afferma infatti che la vendita agli odierni ricorrenti della rampa di scala era provata dal fatto che il vano della vicina fu venduto loro unitamente agli accessori termine con il quale si doveva identificare detta rampa di scala. Epperò i locali accessori sono quelle aree o locali a servizio dei locali o aree o vani principali, in modo diretto e tra questi si ricomprendono i ripostigli interni all'abitazione, i bagni, gli ingressi, i corridoi, o in modo indiretto vale a dire le cantine, le soffitte i terrazzi e i balconi. Anche dal punto di vista catastale i locali accessori di un'abitazione sono appunto i servizi, i disimpegni, i magazzini. È escluso che tra gli accessori possono essere ricompresi le scale esterne che collegano due piani appartenenti a due diversi proprietari. 4.- Con il quarto motivo i ricorrenti lamentano l'omessa, in sufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Avrebbe errato la Corte romana, secondo i ricorrenti, nell'aver accolto la domanda riconvenzionale svolta in primo grado dai convenuti P.A. e G. ritenendo sufficientemente provato che Pi.Ro. si era fatto lecito di rimuovere forzosamente il cancello posto a chiusura della rampa di scale e di averlo scardinato del tutto danneggiandolo gravemente e rendendolo inservibile, perché avrebbe travisato il senso della raccomandata del 27 febbraio 1996 inviata da Pi.Ro. ad P.A. e non avrebbe dato credito alla deposizione del teste C.F. . In particolare, sostengono i ricorrenti, se è vero che nella lettera in questione si afferma che il cancello è stato rimosso da Pi.Ro. al posto di P.A. che si era impegnato a farlo, non è vero che si afferma che tale atto sia stato compiuto invito domino e comunque senza autorizzazione ed addirittura con l'intento di danneggiare il bene rimosso. 4.1.- Questo motivo rimane assorbito dai precedenti. In definitiva, va rigettato il primo motivo, accolti il secondo e il terzo motivo per quanto in motivazione, dichiarato assorbito il quarto. La sentenza impugnata va cassata e la causa rinviata ad altra sezione della Corte di Appello di Roma anche per il regolamento delle spese del presente giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte rigetta il primo motivo, accoglie il secondo e terzo motivo, dichiara assorbito il quarto. Cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa ad altra sezione della Corte di Appello di Roma anche per il regolamento delle spese del presente giudizio di cassazione.