Funzionamento della Camera di commercio e modifiche statutarie: per sfiduciare il Presidente viene in aiuto l'inciso giusto

Lo statuto camerale ben può prevedere le modalità per sfiduciare il Presidente e provvedere ad una nuova nomina. Ciò in quanto l'inciso «tra l'altro» previsto dall'articolo 3 l. numero 580/1993, nell'elencare le materie oggetto dello statuto, è solo esemplificativo.

Lo ha stabilito il Consiglio di Stato, sez. V, con la sentenza numero 698 depositata il 10 febbraio 2015, che ha ribaltato la decisione del giudice di primo grado il quale aveva ritenuto che le cause di decadenza dalla carica dovessero essere soltanto quelle previste dalla fonte primaria, ritenendo con ciò illegittimo il provvedimento adottato dalla Giunta. Il caso. Con la sentenza appellata Tar Lazio sez. III ter numero 3335/2014 i primi Giudici avevano accolto i separati ricorsi proposti dal Presidente in carica insieme a una pluralità di altri soggetti, avverso la delibera camerale con la quale veniva introdotto nello Statuto della Camera di commercio l’articolo 27 bis dal titolo «Mozione di sfiducia al Presidente e alla Giunta», in una con l’atto di convocazione del consiglio camerale per la votazione sulla mozione di sfiducia ed elezione del nuovo Presidente e gli atti ulteriormente conseguenti. Il Collegio di prima istanza aveva posto a fondamento del decisum di accoglimento i seguenti ordini di considerazioni l’articolo 3 l. numero 580/1993, volta al riordino delle Camere di commercio, non prevede tra le materie affidate alla competenza statutaria la disciplina della decadenza delle cariche camerali la medesima norma stabilisce altresì che il potere statutario deve essere esercitato in conformità ai principi della legge, tra i quali rientra quello, evincibile dal combinato disposto degli articolo 13, 14 e 16, che riserva alla legge la disciplina dei requisiti soggettivi e delle cause di cessazione dalle cariche camerali la materia del cattivo funzionamento del consiglio, ivi compresa evidentemente l’ipotesi di contrasto tra organi, è disciplinata dall’articolo 5, comma 2, lett. a , che prevede lo scioglimento del Consiglio stesso ed, infine, la normativa primaria esclude la sussistenza dei vincolo di mandato nel rapporto tra Consiglio e cariche di Presidente e componente di Giunta al fine di assicurare la stabilità degli organi di vertice dell’ente e la regolarità di gestione, così sottraendo l’organo esecutivo alle influenze derivanti da modificazioni dell’assetto politico-istituzionale e alle possibili contrapposizioni tra forze sociali e imprenditoriali. Elenco esemplificativo. Di diverso avviso il Consiglio di Stato che non è stato convinto dalla sentenza nella parte in cui si è fatto leva sull’estraneità della disciplina della cessazione dalle cariche camerali alle competenze statutarie fissate dall’articolo 3 l. numero 580/1993. Infatti, il «tra l’altro», presente nel secondo periodo del comma 1, evidenzia, in armonia con la qualifica delle Camere di Commercio, come gli stessi siano enti pubblici dotati di autonomia funzionale da esercitarsi sulla base del principio di sussidiarietà, il carattere meramente esemplificativo dell’elenco, consentendo alla fonte statutaria l’integrazione delle materie direttamente riservatele dalla legge. Non è risultato persuasivo, peraltro, neanche il passaggio motivazionale che ha sottolineato l’incompatibilità della previsione statutaria di una mozione di sfiducia nei confronti del Presidente e dei componenti della Giunta con il principio legislativo che riserverebbe alla legge la regolazione dei casi di cessazione dalle cariche. Si deve osservare, infatti, che gli articolo 14 e 16 della legge di regolazione degli enti in esame si limitano a fissare le cause fisiologiche di cessazione legate al decorso del tempo ma non escludono, né sul piano letterale né sul versante teleologico, l’eterointegrazione statutaria di dette ipotesi con riguardo a evenienze relative al venir meno del vincolo fiduciario tra Consiglio e Giunta e, più in generale, a inefficienze gestionali che frustrino irrimediabilmente il perseguimento delle finalità istituzionali. Va anzi rimarcato, rileva il Collegio, che proprio il parallelismo legale tra la durata della Giunta e quella del Consiglio che l’ha eletta si spiega con la sussistenza di un rapporto fiduciario la cui cessazione deve poter consentire, all’esito di un procedimento caratterizzato dalle necessarie garanzie, una sfiducia anticipata sulla base di un’opzione già abbracciata da numerose Camere di Commercio. Una diversa regola porterebbe, infatti, a un’intangibilità radicale di Presidente e Giunta, in un nome di una stabilità che, lungi dall’essere un valore assoluto e paralizzante, deve essere coniugata con la fiducia espressa dall’organo di controllo al momento dell’elezione e con l’esigenza di assicurare l’efficiente perseguimento delle finalità istituzionali. In sostanza, la mozione di sfiducia è il modulo procedimentale attraverso il quale dare contenuto alle cause di sfiducia in coerenza con l’articolo 21 quinquies l. numero 241/1990, che attribuisce all’organo che ha adottato il provvedimento il potere di revocarlo, senza stabilire particolari maggioranze per gli organi collegiali.

Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 18 novembre 2014 – 10 febbraio 2015, numero 698 Presidente Pajno – Estensore Caringella Fatto e diritto 1. Con la sentenza appellata i Primi Giudici hanno accolto i separati ricorsi proposti da Giancarlo Cremonesi, in proprio e quale Presidente della Giunta della Camera di Commercio di Roma, e da Maurizio Tarquini insieme a una pluralità di altri soggetti in epigrafe specificati, avverso la delibera camerale con la quale è stato introdotto nello Statuto della Camera di Commercio l’articolo 27 bis dal titolo “ Mozione di sfiducia al Presidente e alla Giunta”, in una con l’atto di convocazione del consiglio camerale per la votazione sulla mozione di sfiducia ed elezione del nuovo Presidente e gli atti ulteriormente conseguenti. Il Collegio di prima istanza ha posto a fondamento del decisum di accoglimento i seguenti ordini di considerazioni a l’articolo 3 della legge numero 29 dicembre 1993, numero 580, volta al riordino delle camere di commercio, non prevede tra le materie affidate alla competenza statutaria la disciplina della decadenza delle cariche camerali b la medesima norma stabilisce altresì che il potere statutario deve essere esercitato in conformità ai principi della legge, tra i quali rientra quello, evincibile dal combinato disposto degli articoli 13, 14 e 16, che riserva alla legge la disciplina dei requisiti soggettivi e delle cause di cessazione dalle cariche camerali c la materia del cattivo funzionamento del consiglio, ivi compresa evidentemente l’ipotesi di contrasto tra organi, è disciplinata dall’articolo 5, comma 2, lett. a , che prevede lo scioglimento del Consiglio stesso d la normativa primaria esclude la sussistenza dei vincolo di mandato nel rapporto tra Consiglio e cariche di Presidente e componente di Giunta al fine di assicurare la stabilità degli organi di vertice dell’ente e la regolarità di gestione, così sottraendo l’organo esecutivo alle influenze derivanti da modificazioni dell’assetto politico-istituzionale e alle possibili contrapposizioni tra forze sociali e imprenditoriali, 2. La Camera di commercio di Roma propone separati appelli contestando gli argomenti posti a fondamento del decisum. Resistono i ricorrenti originari. Si sono costituite le parti in epigrafe specificate. Hanno proposto separati appelli incidentali la Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della Piccola e Media impresa di Roma, Mannocchi Mauro, Adoc di Roma e del Lazio, Confcommercio-Imprese per l’Italia Roma capitale, Confesercenti provinciale Roma, Confservizi Lazio, Federlazio –Associazione delle Piccole e Medie Imprese, Lega Regionale delle Cooperative e Mutue del Lazio, Alas Confetra Lazio, Coldiretti Lazio, Associazione Compagnia delle Opere di Roma e del Lazio, Keszi Zsolt. Le parti hanno affidato al deposito di apposite memorie l’ulteriore illustrazione delle rispettive tesi difensive. 3. L’identità della sentenza appellata impone la riunione dei ricorsi in epigrafe. 4. La fondatezza nel merito degli appelli principali e incidentali consente al Collegio di non scrutinare le questioni di rito riproposte in appello. 5. Gli argomenti posti dalla sentenza appellata a fondamento del decisum di accoglimento non resistono, infatti, alle censure svolte con gli atti d’appello. Non convince, in primo luogo, l’argomento che fa leva sull’estraneità della disciplina della cessazione dalle cariche camerali alle competenze statutarie fissate dall’articolo 3 della legge numero 580/1993, in quanto l’inciso “tra l’altro”, presente nel secondo periodo del comma 1, evidenza, in armonia con la qualifica delle Camere di Commercio come enti pubblici dotati di autonomia funzionale da esercitarsi sulla base del principio di sussidiarietà, il carattere meramente esemplificativo dell’elenco, consentendo alla fonte statutaria l’integrazione delle materie direttamente riservatele dalla legge. Non persuade neanche il passaggio motivazionale che sottolinea l’incompatibilità della previsione statutaria di una mozione di sfiducia nei confronti del Presidente e dei componenti della Giunta con il principio legislativo che riserverebbe alla legge la regolazione dei casi di cessazione dalle cariche. Si deve osservare, infatti, che gli articoli 14 e 16 della legge di regolazione degli enti in esame si limitano a fissare le cause fisiologiche di cessazione legate al decorso del tempo ma non escludono, né sul piano letterale né sul versante teleologico, l’eterointegrazione statutaria di dette ipotesi con riguardo a evenienze relative al venir meno del vincolo fiduciario tra Consiglio e Giunta e, più in generale, a inefficienze gestionali che frustrino irrimediabilmente il perseguimento delle finalità istituzionali. Va anzi rimarcato che proprio il parallelismo legale tra la durata della Giunta e quella del Consiglio che l’ha eletta si spiega con la sussistenza di un rapporto fiduciario la cui cessazione deve poter consentire, all’esito di un procedimento caratterizzato dalle necessarie garanzie, una sfiducia anticipata sulla base di un’opzione già abbracciata da numerose Camere di Commercio. Un diversa regola porterebbe, infatti, a un’intangibilità radicale di Presidente e Giunta, in un nome di una stabilità che, lungi dall’essere un valore assoluto e paralizzante, deve essere coniugata con la fiducia espressa dall’organo di controllo al momento dell’elezione e con l’esigenza di assicurare l’efficiente perseguimento delle finalità istituzionali. Venendo agli argomenti sub c e d , è sufficiente rimarcare che dalla disciplina dei casi di cattivo funzionamento del Consiglio non possono essere tratti argomenti per affrontare il diverso tema della sfiducia ai danni della Giunta e che la questione dell’assenza di un vincolo di mandato tra singolo consigliere e associazione designante non va sovrapposta al diverso tema del rapporto fiduciario tra Consiglio e Giunta. Si deve aggiungere che la mozione di sfiducia è il modulo procedimentale attraverso il quale dare contenuto alle cause di sfiducia in coerenza con l’articolo 21 quinquies della legge 7 agosto 1990, numero 241, che attribuisce all’organo che ha adottato il provvedimento il potere di revocarlo, senza stabilire particolari maggioranze per gli organi collegiali. 6. Sono altresì infondati, alla stregua dei seguenti rilievi, le censure originarie dichiarate assorbite dal Giudice di primo grado e ritualmente riproposte in appello a la previsione statutaria della mozione di sfiducia non è volta a sanzionare condotte dei singoli in un’ottica punitiva ma ad assicurare la permanenza del rapporto fiduciario tra gli organi in ragione dei fini istituzionali perseguiti e dei risultati gestionali conseguiti b gli atti impugnati, in coerenza con la disciplina statutaria e regolamentare, hanno seguito un procedimento ispirato alla logica del contraddittorio e sono supportati da puntuale istruttoria e da congrua motivazione c la previsione statutaria non si pone in contrasto con il codice etico della Camera di Commercio ma dà attuazione alla previsione dell’articolo 6 del medesimo codice, che devolve al Consiglio il compito di vigilare sull’osservanza del codice irrogando sanzioni che arrivano a comprendere la destituzione d la previsione del sistema di voto palese, coerente con il carattere fiduciario della determinazione, è in linea con a previsione di eguale sistema per le votazioni della Giunta articolo 24 e per l’elezione del Presidente articolo 16 7. In conclusione l’appello principale e i ricorsi incidentali vanno accolti. Ne consegue la riforma della sentenza appellata, con integrale reiezione dei ricorsi di primo grado Le spese seguono la regola della soccombenza nei termini in dispositivi specificati. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta definitivamente pronunciando sugli appelli, come in epigrafe proposti, li riunisce, accoglie gli appelli principali e incidentali e, per l’effetto, riforma la sentenza appellata e respinge integralmente i ricorsi di primo grado. Condanna in solido le parti ricorrenti in primo grado al pagamento delle spese dei due gradi di giudizio nella misura complessiva di euro 20.000//00 ventimila//00 . Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.