Malattia conclusa, ma il dipendente resta a casa: sanzione disciplinare prima e licenziamento poi

Sconfitta per il lavoratore. Fatale la scelta di non tornare in azienda, una volta concluso il periodo di malattia. Irrilevante l’invio a posteriori di un ulteriore certificato di malattia. Condotta grave, sanzionata a livello disciplinare dall’azienda, ed essendo questo il terzo episodio in un anno, il dipendente torna a casa definitivamente.

Periodo di malattia concluso, eppure il lavoratore non torna in azienda Comportamento grave, nonostante la comunicazione informale delle proprie precarie condizioni fisiche, prima, e l’invio del certificato medico, poi. A rendere ancora più negativa la valutazione di tale episodio, peraltro, ci sono anche due precedenti sanzioni disciplinari. Conseguenziale, e legittima, la decisione dell’azienda di mettere alla porta il dipendente Cassazione, sentenza numero 2023, sez. Lavoro, depositata oggi . Assenza. ‘Reazione a catena’ drammatica per il lavoratore. A dare il ‘la’ è la sua «assenza ingiustificata» in azienda, una volta concluso il suo legittimo «periodo di malattia». Passaggio successivo è la «sanzione disciplinare» adottata dall’azienda – una «associazione assistenziale» –, che ufficializza la «sospensione dal lavoro e dalla retribuzione, per quattro giorni», perché, come detto, il dipendente «alla scadenza del periodo di malattia, non aveva comunicato che non sarebbe tornato al lavoro». Ma a mettere in crisi l’uomo è l’ultima azione messa in pratica dall’azienda, ossia il «licenziamento per recidiva nella sanzione disciplinare, irrogata tre volte» nel corso del 2002. Per i giudici di merito, nonostante le proteste del lavoratore, la linea seguita dall’azienda è assolutamente corretta. Indiscutibile, difatti, innanzitutto la «assenza ingiustificata» contestata al dipendente. Acclarate, poi, anche le precedenti due «sanzioni disciplinari», la prima «per smarrimento della chiavi di un armadio, affidate alla sua custodia» e la seconda «per non veritiera denunzia di un infortunio». Licenziamento. Nodo gordiano, è evidente, è la «assenza» priva di giustificazione attribuita al lavoratore. Quest’ultimo contesta, ovviamente, la visione dell’azienda, e la decisione dei giudici di merito, spiegando, col ricorso in Cassazione, di avere provveduto, all’epoca, all’«invio del certificato medico», sanando così, a suo dire, «ogni omissione circa la tempestiva comunicazione dello stato di malattia». Chiaro l’obiettivo dell’uomo vedere delegittimata la «sanzione disciplinare» relativa alla «assenza» post malattia, e, di conseguenza, crollato il ‘castello’ che lo ha condotto al «licenziamento». Ma è tutto inutile Perché i giudici del ‘Palazzaccio’, mostrando di condividere la linea di pensiero tracciata tra primo e secondo grado, ricordano, contratto alla mano, che «le assenze debbono essere segnalate, prima dell’inizio del turno di lavoro, alle persone o all’ufficio a tanto preposto dalla struttura sanitaria, giustificate immediatamente e, comunque, non oltre le ventiquattro ore, salvo legittimo e giustificato impedimento», e, comunque, «eguale comunicazione deve essere effettuata, prima dell’inizio del turno di servizio, anche nel caso di eventuale prosecuzione della malattia stessa». E tale visione è legata, evidenziano i giudici, anche alla «particolarità della funzione professionale degli assistenti» difatti, «la tempestività della comunicazione è strettamente correlata alla necessità di trovare valide alternative di servizio, nel caso di improvvisa assenza degli addetti ai turni di assistenza». Evidente, quindi, la gravità della condotta tenuta dal lavoratore. A sostegno di questa valutazione, poi, anche la sottolineatura che «ove il contratto collettivo preveda che il lavoratore, che si assenta dal servizio per malattia, abbia l’obbligo di comunicare al datore di lavoro l’inizio della malattia, la omessa comunicazione vale ad integrare una infrazione suscettibile di sanzione disciplinare», essendo «irrilevante», concludono i giudici, il fatto che «il lavoratore abbia comunque inviato il certificato medico giustificativo dell’assenza». Sanzione disciplinare non discutibile, quindi, e, allo stesso tempo, decisiva essendo la terza in un anno, difatti, è legittimo, e definitivo, il «licenziamento» deciso dall’azienda.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 25 novembre 2014 – 4 febbraio 2015, numero 2023 Presidente Stile – Relatore Mammone Svolgimento del processo 1.- Con ricorso al Giudice del lavoro di Catania, l'Associazione assistenziale Villa Sandra conveniva in giudizio il suo dipendente I.N. perché fosse accertata la legittimità della sanzione disciplinare della sospensione dal lavoro e dalla retribuzione per quattro giorni, allo stesso comminata il 19.03.02 perché, alla scadenza di un periodo di malattia, non aveva comunicato che non sarebbe tornato al lavoro. Costituitosi in giudizio, il dipendente contestava la domanda e, dedotto di essere stato licenziato nelle more per recidiva nella sanzione disciplinare irrogata tre volte , in via riconvenzionale chiedeva che il licenziamento fosse dichiarato illegittimo e fosse ordinata la sua reintegrazione e che il datore fosse condannato al risarcimento del danno. 2.- Avendo il Tribunale ritenuto legittima la sanzione disciplinare e rigettato la domanda riconvenzionale, il dipendente proponeva appello contestando entrambe le pronunzie, assumendo di aver dato giustificazione dell'assenza e contestando, altresì, l'esistenza della recidiva, dato che le sanzioni irrogate erano state impugnate dinanzi al collegio di conciliazione ed arbitrato ex articolo 7 stat. lav. ed erano divenute inefficaci per la mancata nomina dell'arbitro da parte del datore. La Corte d'appello di Catania con sentenza del 6.08.13 rigettava l'impugnazione, rilevando che non era stato provato che il lavoratore a quanto alla sanzione conservativa irrogata in data 19.03.02 per l'assenza ingiustificata, avesse comunicato in via informale di essere ammalato b quanto al licenziamento, avesse depositato la richiesta di costituzione del collegio di conciliazione ed arbitrato per accertare la legittimità delle due sanzioni ulteriori comminate nei giorni 22.07.02 e 11.06.02 ed avesse invitato il datore a nominare il proprio rappresentante. Constatata l'efficacia delle sanzioni, la Corte riteneva infondate anche le contestazioni di merito formulate al riguardo. 3.- Avverso questa sentenza Italiano propone ricorso per cassazione, cui risponde il datore con controricorso e memoria. Motivi della decisione. 4.- Il ricorrente deduce violazione del contratto collettivo di categoria, ai sensi dell'articolo 360, numero 3, c.p.comma sotto due diversi profili 4.1. a proposito della ritenuta legittimità della sanzione irrogata in data 19.03.02 per aver il lavoratore comunicato con ritardo lo stato di malattia, sostiene che il giudice avrebbe ritenuto ingiustificata la sua assenza sulla base di dichiarazioni scritte di altri dipendenti, illegittimamente confermate in appello con prova testimoniale, mentre non aveva tenuto conto che egli aveva trasmesso tempestivamente un nuovo certificato medico 4.2.- a proposito della legittimità delle tre sanzioni disciplinari irrogate in date 19.03.02, 11.06.02 e 22.07.02, in quanto il giudice non avrebbe tenuto conto che le sanzioni erano state irrogate in forza di insussistenti circostanze e che, in ogni caso le stesse erano divenute inefficaci in forza dell'impugnazione dinanzi al collegio di conciliazione ed arbitrato. 5.- L'articolo 33 del CCNL 1998-2001 del personale dipendente delle strutture sanitarie associate AIOP, ARTS e Fondazione don Carlo Gnocchi, pacificamente applicabile al caso di specie, prevede che sempreché si configuri un notevole inadempimento e con il rispetto delle normative vigenti, è consentito il licenziamento per giusta causa o giustificato motivo [nei casi di] a b c recidiva in qualunque mancanza quando siano stati comminati due provvedimenti di sospensione disciplinare nell'arco di un anno dall'applicazione della prima sanzione . La sospensione ivi menzionata è da ritenere riferita alla sanzione conservativa della sospensione dal lavoro e dalla retribuzione per un periodo non superiore a dieci giorni , prevista in altra sede dallo stesso articolo 33. Analoga disposizione è contenuta nell'articolo 41 del successivo contratto 2002-2005. 6.- Nel caso di specie il lavoratore fu sottoposto a tre sanzioni disciplinari irrogate rispettivamente in date a 19.03.02 per mancata comunicazione del prosieguo dello stato di malattia b 11.06.02 per smarrimento delle chiavi di un armadio affidate alla sua custodia c 22.07.02 per non veritiera denunzia di un infortunio . Il licenziamento fu irrogato in data 6.08.02, dopo che era stato contestato un ulteriore illecito disciplinare. 7.- Il giudice di merito ha ritenuto legittima l'irrogazione di tutte le tre sanzioni sopra menzionate la prima per una considerazione di merito ritenendo che il lavoratore avesse violato l'obbligo di dare comunicazione dell'inizio della malattia , la seconda e la terza perché divenute definitive, non avendo il lavoratore dato prova della sua tesi difensiva, secondo cui le due sanzioni sarebbero rimaste sospese e quindi non operative ai sensi dell'articolo 7 dello statuto dei lavoratori, non avendo il datore proceduto alla nomina del proprio rappresentante nel collegio di conciliazione ed arbitrato. 8.- Quanto al primo motivo, con cui si sostiene che l'invio del certificato medico avrebbe sanato ogni omissione circa la tempestiva comunicazione dello stato di malattia, deve rilevarsi che l'articolo 31 del CCNL 1998-2001 statuisce che le assenze debbono essere segnalate prima dell'inizio del turno di lavoro alle persone o all'Ufficio a tanto preposto dalla Struttura sanitaria, giustificate immediatamente e comunque non oltre le ventiquattro ore, salvo legittimo e giustificato impedimento In caso di malattia, eguale comunicazione deve essere effettuata, prima dell'inizio del turno di servizio, anche nel caso di eventuale prosecuzione della malattia stessa . La norma ha una sua logica interna, in quanto, in considerazione della particolarità della funzione professionale degli assistenti educatori, la tempestività della comunicazione è strettamente correlata alla necessità di trovare valide alternative di servizio nel caso di improvvisa assenza degli addetti ai turni di assistenza. Essa, nel momento in cui impone la segnalazione dell'assenza prima dell'inizio del turno intende, dunque, tutelare la corretta esecuzione del servizio, che è interesse del datore ed in pari misura degli utenti , ulteriore e diverso da quello della verifica della effettività dello stato di malattia. Questo è il senso dell'affermazione contenuta nella sentenza 10.02.00 numero 1481 di questa Corte, secondo cui ove il contratto collettivo preveda che il lavoratore che si assenta dal servizio per malattia abbia l'obbligo di comunicare al datore di lavoro l'inizio della malattia, la omessa comunicazione vale ad integrare un'infrazione suscettibile di sanzione disciplinare, restando irrilevante che il lavoratore abbia comunque inviato il certificato medico giustificativo dell'assenza. Tale sentenza, citata dal giudice di merito, pur attinente a diversa fattispecie, con la puntualizzazione di scopo appena effettuata è sicuramente pertinente al caso di specie. Il primo motivo è, dunque, infondato. 9.- Il secondo motivo è, invece, inidoneo a colpire il decisum della sentenza impugnata. La Corte d'appello, all'esito di una compiuta indagine istruttoria, basata sull'esame di documentazione prodotta in atti e di informazioni richieste all'UPLMO competente, ha infatti accertato che il ricorrente non ha provato di aver presentato la domanda di costituzione del collegio di conciliazione ed arbitrato e, meno che, mai di aver invitato il datore a nominare il suo rappresentante nell'ambito del collegio. Con il motivo in esame il ricorrente contesta tale affermazione ribadendo di aver fornito la prova richiesta mediante la detta produzione documentale, omettendo di dare seguito alcuno a tale affermazione in particolare egli non illustra quale fosse il contenuto della documentazione prodotta e se essa contenesse effettivamente la richiesta di costituzione del collegio, in modo da smentire il contrario avviso del giudice di appello, ma si dilunga in una improduttiva ed inconferente censura delle circostanze di fatto oggetto delle contestazioni sfociate nelle sanzioni disciplinari. In mancanza di tale puntuale contestazione, il motivo è affetto da insanabile genericità e deve essere rigettato. 10.- Infondati i motivi di impugnazione, il ricorso deve essere rigettato, con condanna del ricorrente alle spese del giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo. 11.- Pur essendo il ricorso notificato dopo l'entrata in vigore dell'articolo 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30.05.02 numero 115, che apporta innovazioni al regime delle spese di giustizia per il caso di rigetto dell'impugnazione, il ricorrente, risultando ammesso al gratuito patrocinio, non deve essere onerato delle conseguenze amministrative ivi previste Cass. 2.09.14 numero 18253 . P.Q.M. La Corte così decide a rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 100 cento per esborsi ed in € 3.000 tremila per compensi oltre Iva, Cpa e spese forfettarie nella misura del 15% b ai sensi dell'articolo 13 comma 1 quater, del d.P.R. 30.05.02 numero 115, dà atto che non sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso,.a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.