Appunti per l’assistente alla poltrona, che lavora sui pazienti: dentista condannato

Quadro chiarissimo, quello tracciato dai carabinieri del ‘Nas’, i quali hanno effettuato un blitz nello studio. Evidente l’abuso compiuto dalla dipendente, e incentivato dal medico.

Blitz fatale dei carabinieri del ‘Nucleo antisofisticazioni e sanità’, che porta alla luce le irregolarità compiute nello studio dentistico. Lì, difatti, il titolare consente alla dipendente, semplice assistente di poltrona, di metter mano – letteralmente – alla bocca dei pazienti, peraltro lasciandole anche un ‘vademecum’ operativo ad hoc. Evidente l’esercizio abusivo della professione medica, compiuto dalla dipendente. Altrettanto lapalissiana la responsabilità del titolare dello studio dentistico Cass., sentenza numero 916/15, Sesta Sezione Penale, depositata oggi . Tenuta da battaglia Chiarissimo il quadro accusatorio tracciato la dipendente, «sprovvista dei titoli» per la «professione sanitaria» e semplice «assistente alla poltrona», poneva in essere, «nella bocca dei pazienti», atti «di natura odontoiatrica, effettuando, tra l’altro, la pulizia dei denti» a un paziente. Tutto ciò sotto la supervisione ‘virtuale’ del medico titolare dello studio, il quale le consigliava «interventi medico-dentistici da effettuare» fornendole «appunti annotati sull’agenda degli appuntamenti» e mettendole «a disposizione studio e strumentazioni mediche». Nessun dubbio, quindi, per i giudici di merito, i quali sanciscono la condanna sia per il professionista medico che per l’«assistente alla poltrona». E ora, a chiusura della vicenda, arriva anche il ‘sigillo’ della Cassazione, laddove viene respinto il ricorso proposto dal titolare dello studio dentistico, il quale è evidentemente responsabile per avere «consentito o agevolato l’attività» illegittima della sua dipendente. Basti tener presente che, all’atto del blitz dei carabinieri, la dipendente, pronta a operare, indossava «camice e mascherina» mentre il paziente era «accomodato su una poltrona». Confermata, in via definitiva, quindi, la condanna per il titolare dello studio dentistico per avere agevolato l’esercizio abusivo della professione medica.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 11 dicembre 2014 – 12 gennaio 2015, numero 916 Presidente Garribba – Relatore Citterio Considerato in diritto 1. La Corte d'appello di Milano con sentenza del 25-30.10.2013 ha confermato la condanna alla pena di giustizia, deliberata in danno di A.Z. e di T.L. dal Tribunale di Sondrio - Morbegno il 7.5.2010, per il reato di concorso in esercizio abusivo della professione medica Z. come titolare di studio dentistico, L., pur sprovvista dei titoli che l'abilitassero alla professione sanitaria e solo assistente alla poltrona, ponendo in essere nella bocca dei pazienti atti di natura odontoiatrica, effettuando tra l'altro la pulizia dei denti al paziente M., lo Z. consigliandole interventi medico-dentistici da effettuare nella bocca dei pazienti, tramite appunti annotati sull'agenda degli appuntamenti, mettendole a disposizione studio e strumentazioni mediche . La consumazione del reato è indicata nell'imputazione al 20 giugno 2007. 2. Solo Z. ha proposto ricorso, a mezzo del difensore, enunciando tre motivi - violazione dell'articolo 604.1 in relazione agli articolo 521 e 522 c.p.p., perché la condanna sarebbe avvenuta già in primo grado per condotta per L. la diagnosi al M. di procedere alla pulizia della protesi mobile fuori dalla bocca, per Z. l'aver consentito o agevolato tale attività estranea al capo di imputazione - mancanza di motivazione sul rispetto del diritto di difesa il ricorrente non avrebbe avuto mai modo di difendersi rispetto alla concreta prospettazione della condotta per cui è stato condannato - contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione la Corte d'appello avrebbe travisato le foto prodotte dalla difesa ad attestare che all'atto dell'intervento della polizia giudiziaria lo studio non era in realtà operativo, collegandole al momento del dissequestro 29.6.2007 e non a quello dell'accesso in data 20.6.2007 come confermato in dibattimento dal teste Miani, appartenente ai Nas - p. 8 verb. stenumero Ud. 5.2.2010 . La poltrona non sarebbe stata attrezzata per alcun intervento, dunque, e il travisamento avrebbe inciso in maniera determinante sia sul punto del ritenere possibile e in atto l'attività ascritta, sia nel giudizio di attendibilità del teste M. la cui deposizione pure sarebbe stata travisata . Ragioni della decisione 3. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1000, equa al caso, in favore della Cassa delle ammende. Per come in concreto formulato, il primo motivo è innanzitutto manifestamente infondato. Il ricorrente riporta parzialmente il capo di imputazione inserendo dei puntini che vanno, in realtà, ad elidere proprio il significativo inciso 'tra l'altro', che attesta invece come l'attività di pulizia fosse stata indicata nell'imputazione solo in termini esemplificativi. E' poi generico, perché già la Corte d'appello aveva risposto in questi termini p. 2 e il ricorrente evita il confronto sul punto, invece determinante. L'inammissibilità del primo motivo concorre a determinare quella del secondo, l'apprezzamento del primo Giudice essendosi basato sulle risultanze istruttorie acquisite nel contraddittorio ed oggetto di specifica motivazione in entrambe le sentenze di merito Corte d'appello p. 3 Tribunale pagina prima della parte motiva . Il terzo motivo è inammissibile perché diverso da quelli consentiti, risolvendosi in precluse censure di merito. La sentenza di primo grado attesta che i carabinieri del Nas all'atto del loro intervento rinvennero la L. indossante camice e mascherina e la Corte d'appello si è confrontata con motivazione specifica sul punto, ignorata dal ricorrente e il M. accomodato su una poltrona e munito di bavaglino. In tale contesto, la censura sull'interpretazione delle foto è formulata in termini generici, perché non permette, per come prospettata, di elidere il `fatto' quale constatato secondo le sentenze di merito e non contrastato nei motivi d'appello, quanto a posizione e apprestamento dei due , per sé idoneo a fornire la base per le articolate successive argomentazioni dei due Giudici del merito. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1000 in favore della Cassa delle ammende.