Ai fini dell’integrazione del reato di cui all’articolo 726 c.p., non è sufficiente che l’agente indossi un abbigliamento trasgressivo e spinto per arrecare offesa alla pubblica decenza invero, occorre che lo stesso, oltre all’uso di tali forme di vestiario, ponga in essere comportamenti idonei ad offendere concretamente il bene giuridico tutelato, in modo da suscitare nell’uomo medio del tempo presente e in relazione al contesto spazio temporale della condotta un senso di riprovazione, disgusto o disagio.
Lo ha riaffermato la Corte di Cassazione con la sentenza numero 42680/15, depositata il 23 ottobre. Il caso. Il Tribunale condannava una donna alla pena ritenuta di giustizia per il reato di cui all’articolo 726 c.p. Atti contrari alla pubblica decenza. Turpiloquio , così diversamente qualificato il delitto di cui all’articolo 527 c.p. Atti osceni originariamente contestato. Avverso tale pronuncia, ricorre per cassazione la donna, che non contesta la sussistenza della condotta ma ne rivendica la liceità. Ella, inoltre, eccepisce la nullità della sentenza perché la derubricazione del reato senza preventivo contraddittorio sul punto le ha impedito di accedere all’oblazione. Precluso il diritto all’oblazione se il giudice riqualifica d’ufficio. In primis, secondo il Supremo Collegio non può trovare accoglimento l’eccezione di nullità della sentenza sul punto, infatti, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che nel caso in cui è contestato un reato per il quale non è consentita né l’oblazione ordinaria di cui all’articolo 162 c.p. né quella speciale prevista dall’articolo 162 bis c.p., l’imputato, qualora ritenga che il fatto possa essere diversamente qualificato in un reato che ammetta l’oblazione, ha l’onere di sollecitare il giudice alla riqualificazione del fatto e, contestualmente, a formulare istanza di oblazione ne deriva che, in mancanza di tale espressa richiesta, il diritto a fruire dell’oblazione stessa resta precluso ove il giudice provveda di ufficio ex articolo 521 c.p.p. ad assegnare al fatto la diversa qualificazione che consentirebbe l’applicazione del beneficio. Nel caso di specie, è stata l’imputata stessa a riconoscere di non aver mai chiesto - previa derubricazione del reato - l’oblazione, né in sede di opposizione al decreto penale di condanna, né in sede di discussione. Non basta l’abbigliamento trasgressivo per il reato di atti contrati alla pubblica decenza. Inoltre, i Giudici di Piazza Cavour hanno precisato che secondo l’orientamento della Suprema Corte, ai fini dell’integrazione del reato di cui all’articolo 726 c.p., non è sufficiente che l’agente indossi un abbigliamento trasgressivo e spinto per arrecare offesa alla pubblica decenza invero, occorre che lo stesso, oltre all’uso di tali forme di vestiario, ponga in essere comportamenti idonei ad offendere concretamente il bene giuridico tutelato, «in modo da suscitare nell’uomo medio del tempo presente e in relazione al contesto spazio temporale della condotta un senso di riprovazione, disgusto o disagio». Nel caso di specie, il Tribunale stesso ha riscontrato che la donna era una prostituta che esercitava il meretricio in strade secondarie e con modalità tali da non suscitare fastidio o riprovazione. Alla luce di tutte le considerazioni sopra esposte, la Corte ha annullato la sentenza impugnata senza rinvio perché il fatto non sussiste.
Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 7 maggio – 23 ottobre 2015, numero 42680 Presidente Fiale – Relatore Aceto Ritenuto in fatto 1. La sig.ra M.S.A. ricorre per l'annullamento della sentenza del 20/11/2013 del Tribunale di Bari che l'ha condannata alla pena, condizionalmente sospesa, di Euro 100,00 di ammenda per il reato di cui all'articolo 726, cod. penumero , così diversamente qualificato il delitto di cui all'articolo 527, cod. penumero originariamente contestato. Secondo la ricostruzione del Giudice l'imputata, al fine di adescare i clienti lungo strade secondarie ove esercitava il meretricio, indossava una ridottissima minigonna che lasciava intravedere i glutei e la biancheria intima. La ricorrente, che aveva erroneamente interposto appello, non contesta la sussistenza della condotta della quale rivendica la liceità. Sotto altro profilo eccepisce la nullità della sentenza perché la derubricazione del reato senza preventivo contraddittorio sul punto non le ha consentito di accedere all'oblazione. Considerato in diritto 2. Il ricorso è fondato. 3. Va preliminarmente disattesa l'eccezione di nullità della sentenza essendo stato definitivamente chiarito da questa Suprema Corte che nel caso in cui è contestato un reato per il quale non è consentita l'oblazione ordinaria di cui all'articolo 162, cod. penumero né quella speciale prevista dall'articolo 162-bis cod. penumero , l'imputato, qualora ritenga che il fatto possa essere diversamente qualificato in un reato che ammetta l'oblazione, ha l'onere di sollecitare il giudice alla riqualificazione del fatto e, contestualmente, a formulare istanza di oblazione, con la conseguenza che, in mancanza di tale espressa richiesta, il diritto a fruire dell'oblazione stessa resta precluso ove il giudice provveda di ufficio ex articolo 521 cod. proc. penumero , con la sentenza che definisce il giudizio, ad assegnare al fatto la diversa qualificazione che consentirebbe l'applicazione del beneficio Sez. U, numero 32351 del 26/06/2014, Tamborrino, Rv. 259925 . 3.1.Nel caso di specie è la stessa imputata a riconoscere di non aver mai chiesto l'oblazione previa derubricazione del reato , né in sede di opposizione all'originario decreto penale di condanna, né in sede di discussione. 4.Quanto al merito della contestazione, il Collegio condivide il principio già espresso in analoga fattispecie da questa Suprema Corte, secondo il quale ai fini della integrazione del reato di cui all'articolo 726 cod. penumero non è sufficiente che l'agente indossi un abbigliamento trasgressivo e spinto per arrecare offesa alla pubblica decenza, occorrendo invece che lo stesso accompagni all'uso di tali forme di vestiario comportamenti idonei ad offendere concretamente il bene giuridico tutelato, in modo da suscitare nell'uomo medio del tempo presente e in relazione al contesto spazio-temporale della condotta, un senso di riprovazione, disgusto o disagio Sez. 3, numero 39860 del 23/04/2014, Rv. 262490 . 4.1. Nel caso di specie, per stessa affermazione del Giudice, si trattava di prostituta che esercitava il meretricio in strade secondarie e con modalità tali da non suscitare fastidio e riprovazione. 4.2. Ne consegue che la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.