Punibile anche l’inerzia dei consiglieri senza delega

Responsabilità penale degli amministratori rispondono di bancarotta anche i membri del C.d.A. che, pur a conoscenza delle condotte illecite dei vertici societari, nulla hanno fatto per contrastarle.

La fattispecie. Nella sentenza numero 3708/2012, la Corte di Cassazione respinge i ricorsi dei componenti del consiglio di amministrazione di una società contro la pronuncia con la quale erano stati condannati per concorso in reati fallimentari dalla Corte di Appello dell’Aquila. Il Collegio ritiene che, nel caso di specie, sia stata dimostrata in fatto la consapevolezza delle condotte tenute dai vertici societari e della grave situazione di dissesto in cui si trovava la società – un istituto bancario – a causa di tali comportamenti. L’articolo 2392, comma 2, c.c., rubricato «Responsabilità verso la società», così prevede «In ogni caso gli amministratori, fermo quanto disposto dal comma terzo dell’articolo 2381, sono solidalmente responsabili se, essendo a conoscenza di fatti pregiudizievoli, non hanno fatto quanto potevano per impedirne il compimento o eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose». Gli Ermellini si rifanno a due precedenti pronunce. In motivazione, la Suprema Corte richiama due precedenti in materia di bancarotta fraudolenta. Nella sentenza numero 21581/2009, il Giudice di legittimità aveva osservato che, per quanto la previsione di cui all’articolo 2381 c.c. riduca gli oneri e le responsabilità degli amministratori privi di delega, l’amministratore – con o senza delega – è penalmente responsabile ex articolo 40, comma 2, c.p. «per la commissione dell’evento che viene a conoscere anche al di fuori dei prestabiliti mezzi informativi e che, pur potendo, non provvede ad impedire». Questa responsabilità richiede «la dimostrazione della presenza e della percezione da parte degli imputati di segnali perspicui e peculiari in relazione all’evento illecito nonché l’accertamento del grado di anormalità di questi sintomi». Nella sentenza numero 11938/2010, la Corte di Cassazione ha statuito che l’amministratore in carica risponde penalmente dei reati commessi dall’amministratore di fatto «dal punto di vista oggettivo [] per non avere impedito l’evento che aveva l’obbligo giuridico articolo 2392 c.c. di impedire, e, dal punto di vista soggettivo, se sia raggiunta la prova che egli aveva la generica consapevolezza che l’amministratore effettivo distraeva, occultava, dissimulava, distruggeva o dissipava i beni sociali, esponeva o riconosceva passività inesistenti». Quando scatta la responsabilità dei componenti del C.d.A.? Nella pronuncia in rassegna, il Collegio osserva che, dopo la riforma del diritto societario realizzata nel 2003, gli amministratori sono penalmente responsabili ex articolo 40, comma 2, c.p. per la commissione degli «eventi che vengono a conoscere anche al di fuori dei prestabiliti mezzi informativi e che, pur potendo non provvedono ad impedire» e che la responsabilità può derivare «dalla dimostrazione della presenza di segnali significativi in relazione all’evento illecito, nonché del grado di anormalità di questi sintomi». La responsabilità degli amministratori deve essere riferita alla violazione del secondo comma dell’articolo 2392 c.c Nel caso di specie, gli amministratori erano a conoscenza delle condotte illecite del direttore e del presidente della società, come risulta dimostrato sulla base di «plurimi, univoci ed assolutamente inequivocabili elementi». Ciononostante gli amministratori «non si sono attivati per attenuarne le conseguenze dannose e per impedire che altri fatti analoghi fossero portati a compimento al contrario, hanno continuato ad avallare le condotte illecite del direttore e del presidente, così concorrendo pienamente nella commissione dei reati loro contestati».

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 30 novembre 2011 – 30 gennaio 2012, numero 3708 Presidente Marasca – Relatore Demarchi Albengo Ritenuto in fatto R.T. , B.F. , D.P.M. , Re.Da. , S.E. , C.A. , A.V. , Ca.Enumero , Sa.Ri. e M.F. sono stati condannati, insieme ad altri, con due diverse sentenze dal tribunale di Teramo per i reati di cui agli articoli 110 del codice penale e 216, 223 della legge fallimentare, nonché articolo 82, co. I, II e III d. lgs. 385/1993. Fatti commessi dal omissis . La corte di appello dell'Aquila ha confermato integralmente le sentenze del gup del tribunale di Teramo rispettivamente emesse il 22.12.2004 ed il 1 febbraio 2005. R.T. , B.F. , D.P.M. , Re.Da. , S.E. , C.A. , propongono i seguenti motivi di ricorso 1. Mancanza e/o manifesta illogicità della motivazione travisamento del fatto violazione dell'articolo 40 del codice penale violazione degli articoli 110 del codice penale, 216 e 223 della legge fallimentare, 82, co. 1, 3 e 135 del decreto legislativo 385-1993 mancata valutazione di prova decisiva violazione degli articoli 192 e 530 del codice di procedura penale. 2. violazione dell'articolo 40 capoverso del codice penale violazione dell'articolo 2392, comma secondo, del codice civile erronea applicazione della legge penale in materia di posizione di garanzia omessa motivazione, perché non si dimostra la conoscenza della condotta illecita altrui non si spiega cosa i ricorrenti avrebbero potuto fare, data la gestione personalistica del direttore, che ha sempre occultato al consiglio di amministrazione, composto da soggetti privi di idonea preparazione, i suoi comportamenti distrattivi violazione degli articoli 42 e 43 del codice penale violazione di legge in punto di elementi costitutivi del dolo dei delitti contestati le sentenze di merito si rapportano all'inerzia dei membri del consiglio di amministrazione ed all'accettazione del rischio senza dimostrare, anzi omettendo la valutazione di prove di segno contrario, che essi si siano rappresentati l'evento distrattivo non è stata provata neanche la generica consapevolezza da parte del componente del consiglio di amministrazione che il direttore, il presidente e il vicepresidente della Banca distraevano, occultavano, dissimulavano . A.V. , Ca.Enumero , Sa.Ri. e M.F. propongono i seguenti motivi di ricorso 3. per il solo A.V. inosservanza od erronea applicazione dell'articolo 43 del codice penale, nonché dei principi costituzionali di presunzione di innocenza e di colpevolezza contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione. 4. contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, sotto forma di travisamento della prova. 5. Contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, sotto forma di travisamento in quanto nel motivare in merito all'imputazione soggettiva del fatto, la corte d'appello argomenta sulla base di una fattispecie astratta diversa da quella effettivamente indicata nella sentenza di condanna. 6. Inosservanza od erronea applicazione dell'articolo 43 del codice penale perché la corte d'appello de L'Aquila, nel ritenere la sussistenza in capo agli imputati del dolo eventuale, si sarebbe limitata ad accertare la sola previsione del fatto di bancarotta, ignorando, quale oggetto di ulteriore necessario accertamento, la volizione dello stesso, sia pure nella forma della cosiddetta accettazione del rischio. Con memoria depositata il 14 novembre 2011, la difesa di A.V. , Ca.Enumero , Sa.Ri. e M.F. ha provveduto ad illustrare ulteriormente il motivo di ricorso relativo all'elemento soggettivo, ritenendo che il dolo eventuale avrebbe richiesto la consapevolezza da parte dei ricorrenti circa il probabile depauperamento del patrimonio sociale, nonché la accettazione del rischio di detto evento. Secondo la difesa, invece, mancherebbe sia la prova della rappresentazione dell'evento - che non può discendere da presunzioni ma dalla positiva verifica della rappresentazione di una ragionevole probabilità del suo avveramento - sia la prova della sua accettazione la corte avrebbe confuso la previsione del pregiudizio ai creditori con la semplice prevedibilità, desunta dal fatto che per riconoscere la criticità della situazione sarebbe stato sufficiente il più labile grado di diligenza ipotizzabile. Ciò avrebbe comportato un inammissibile scambio di ruoli fra il dolo e la colpa. Anche a voler ritenere provata la conoscenza della situazione di criticità in cui versava l'impresa, prosegue la difesa, è dovere dell'interprete chiedersi perché mai quell'agente abbia agito in quel modo ove risultasse un atteggiamento di indifferenza nei confronti dei creditori e dunque vi fosse una piena accettazione del rischio di concorrere al definitivo depauperamento del patrimonio sarebbe riscontrabile il dolo eventuale, ma se ciò dipendesse da un negligente affidamento in supposte capacità manageriali di gestione della crisi o in operazioni giudicate a rischio calcolato e comunque indotte da un disperato tentativo di salvataggio dell'impresa, si verterebbe in tema di colpa cosciente. Lamentano i ricorrenti mancanza di adeguata motivazione su questi aspetti da parte della corte d'appello, la quale si limiterebbe a ricavare acriticamente dalla consapevolezza dei ricorrenti circa la situazione in cui l'istituto di credito si trovava già nel 1996, anche la loro volontà - nel senso di accettazione del rischio - di concorrere alla distrazione del patrimonio sociale. Ha depositato memoria il 23.11.2011 l'avv. Maccarone, richiamando le difese e insistendo in particolar modo sui riflessi della riforma societaria in ambito penalistico. Considerato in diritto R.T. , B.F. , D.P.M. , Re.Da. , S.E. , C.A. , hanno proposto due motivi di ricorso. Con il primo hanno dedotto mancanza e/o manifesta illogicità della motivazione travisamento del fatto violazione dell'articolo 40 del codice penale violazione degli articoli 110 del codice penale, 216 e 223 della legge fallimentare, 82, co. 1, 3 e 135 del decreto legislativo 385-1993 mancata valutazione di prova decisiva violazione degli articoli 192 e 530 del codice di procedura penale. A dispetto della pletora di vizi genericamente denunciati nella rubrica, i ricorrenti in sostanza lamentano che il giudice di appello abbia fondato il proprio convincimento esclusivamente su relazioni ispettive alquanto opinabili senza tener conto degli elementi a difesa, tra cui la consulenza del pubblico ministero, le denunce presentate ai carabinieri e le comunicazioni al collegio sindacale dell'amministratore R. . In particolare la corte d'appello avrebbe ritenuto la consapevolezza dei comportamenti antigiuridici posti in essere dal direttore, senza tener conto delle conclusioni contrarie del consulente del pubblico ministero il ragionamento seguito dal giudice di appello sarebbe addirittura avulso dalla effettiva portata delle risultanze processuali. Il primo motivo è infondato l'articolazione in numerose censure, non adeguatamente illustrate nella parte motiva, pone il motivo ai limiti dell'inammissibilità, a causa della sua estrema genericità. Ma anche a voler esaminare a fondo lo svolgimento del motivo, non si rileva altro che una generica doglianza in ordine alla preferenza assegnata ad alcune fonti di prova rispetto ad altre, mediante una ricostruzione frammentaria dei fatti, cui si contrappone invece una valutazione giudiziale unitaria e complessiva delle prove, sostenuta da una motivazione logica e più che sufficiente. In sostanza, il motivo numero 1 contiene una generica lamentela su valutazioni di merito che la Corte d'appello ha condotto nell'ambito dei poteri a lei riservati e con il supporto di adeguato apparato argomentativo. Si deve comunque rilevare che il giudice di appello ha spiegato i motivi per i quali ha ritenuto di superare le valutazioni ultronee del consulente del pubblico ministero e ciò ha fatto con motivazione assolutamente logica e congrua ne consegue che non è sindacabile la valutazione di merito condotta dai giudici di primo e secondo grado, senza contare che il travisamento della prova, comunque, richiede che un dato di essa sia stato letto da parte del giudice di merito in modo tale da condurre all'affermazione dell'esistenza di una specifica circostanza oggettivamente esclusa dal risultato probatorio o alla negazione della sussistenza di una circostanza sicuramente risultante dalla prova. Deve trattarsi, quindi, di un errore che inquini la trama motivazionale dell'intero provvedimento stravolgendola al punto di disarticolarla, con la conseguenza di rendere ictu oculi errato il risultato decisorio raggiunto su un punto rilevante e perciò decisivo ai fini della decisione. Solo in tal caso, e sempre che dell'errore il ricorrente abbia fatto una precisa e specifica individuazione tra gli atti del processo, indicando alla Corte, con assoluto rigore, la sua precisa collocazione topografica , è possibile al giudice di legittimità esaminare quell'atto e procedere all'annullamento della sentenza, ove sia rilevata l'esattezza della deduzione del ricorrente Cassazione penale, sez. 6, 13 marzo 2009, numero 26149 . Ma, quel che più conta, il vizio di travisamento della prova può essere dedotto solo nell'ipotesi di decisione di appello difforme da quella di primo grado, in quanto nell'ipotesi di doppia pronuncia conforme il limite del devolutum non può essere superato ipotizzando recuperi in sede di legittimità, salva l'ipotesi in cui il giudice di appello, al fine di rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, richiami atti a contenuto probatorio non esaminati dal primo giudice Cassazione penale, sez. 2, 28 maggio 2008, numero 25883 conf. Cassazione penale, sez. 4, 10 febbraio 2009, numero 20395 . Con un secondo motivo, i ricorrenti hanno dedotto violazione dell'articolo 40 capoverso del codice penale violazione dell'articolo 2392, comma secondo, del codice civile erronea applicazione della legge penale in materia di posizione di garanzia omessa motivazione, perché non si dimostra la conoscenza della condotta illecita altrui non si spiega cosa i ricorrenti avrebbero potuto fare, data la gestione personalistica del direttore, che ha sempre occultato al consiglio di amministrazione, composto da soggetti privi di idonea preparazione, i suoi comportamenti distrattivi violazione degli articoli 42 e 43 del codice penale violazione di legge in punto di elementi costitutivi del dolo dei delitti contestati le sentenze di merito si rapportano, secondo la difesa, all'inerzia dei membri del consiglio di amministrazione ed all'accettazione del rischio senza dimostrare - anzi omettendo la valutazione di prove di segno contrario -che essi si siano rappresentati l'evento distrattivo non sarebbe stata provata neanche la generica consapevolezza da parte dei componenti del consiglio di amministrazione che il direttore, il presidente e il vicepresidente della Banca distraevano, occultavano, dissimulavano . Con questa diffusa rubrica si denuncia la erronea valutazione delle norme relative al dolo ed alla diligenza richiesta ai consiglieri di amministrazione delle banche cooperative. Sostengono i ricorrenti che la corte d'appello abbia scambiato l'effettiva conoscenza delle attività distrattive con la doverosa conoscibilità, così trasmutando nell'ambito del dolo ciò che invece attiene ad un momento colposo. Dopo aver svolto alcune considerazioni in relazione ai diminuiti i poteri di vigilanza del consiglio di amministrazione, vincolati alle informazioni ricevute dagli organi delegati, nonché al livello di diligenza richiesta ad amministratori non professionali come i soci-amministratori delle cooperative, i ricorrenti pongono poi il problema della efficacia causale delle condotte omissive a loro ascritte e ribadiscono che tali omissioni sono eventualmente punibili a titolo di colpa e non per dolo, non essendovi prova alcuna che gli amministratori fossero effettivamente al corrente delle irregolarità commesse dai vertici della banca. Quanto alle considerazioni in ordine alla effettiva conoscenza delle pratiche distrattive degli organi di vertice della banca ed in generale all'elemento soggettivo, si rimanda al motivo numero 6 svolto dagli ulteriori ricorrenti. Si tratta, infatti, di due motivi che possono essere trattati congiuntamente e per i quali è opportuno evitare inutili duplicazioni. In merito alla efficacia causale delle condotte omissive dei consiglieri di amministrazione, le astratte considerazioni di diritto commerciale svolte nel ricorso nulla hanno a che vedere con il caso concreto qui in esame, essendo pacificamente emerso che il consiglio di amministrazione, nell'ambito di attribuzioni proprie, ratificava continuamente l'operato illegittimo del direttore. L'efficacia causale delle condotte ascritte agli imputati è, dunque, più che evidente. A.V. , Ca.Enumero , Sa.Ri. e M.F. hanno proposto complessivamente 4 motivi di ricorso A.V. ha dedotto inosservanza od erronea applicazione dell'articolo 43 del codice penale, nonché dei principi costituzionali di presunzione di innocenza e di colpevolezza contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione. Secondo il ricorrente la sentenza di appello ritiene accertata la presenza del dolo del concorso in bancarotta sulla base della mera constatazione dell'assenza di prove circa la sua assenza, con una inversione dell'onere della prova che sconfina in una responsabilità da posizione di tipo quasi oggettivo. In particolare, il ricorrente lamenta che a causa di una grave malattia egli non aveva più potuto partecipare a diverse riunioni del consiglio di amministrazione tra il luglio 1996 e il maggio 1997. Il motivo è infondato deve rilevarsi innanzitutto come le condotte contestate coprano un periodo più lungo e quindi siano compatibili anche con una temporanea assenza dell'A. in secondo luogo si deve rilevare che l'attività consiliare si svolgeva non solo tramite le riunioni del consiglio d'amministrazione, ma anche, ad esempio, attraverso la sottoscrizione del libro fidi. Sul punto vi è una specifica motivazione della corte di appello de L'Aquila, con precisa e puntuale indicazione dei motivi per i quali ha ritenuto egualmente responsabile il ricorrente, nonostante le sue assenze per malattia cfr. pag. 20 della sentenza di appello . D'altronde, il fatto stesso che l'A. , nonostante la malattia, abbia conservato la sua carica dalla quale invece avrebbe dovuto dimettersi in caso di impossibilità totale di far fronte ai suoi impegni consiliari dimostra che egli poteva comunque partecipare all'attività sociale. Con un secondo motivo di ricorso è stata dedotta la contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, sotto forma di travisamento della prova. Secondo i ricorrenti la corte d'appello avrebbe ritenuto determinanti ai fini della responsabilità dolosa dei ricorrenti la relazione del servizio di ispettorato di vigilanza della Banca d'Italia conclusosi il 21 giugno 1996 e della federazione nazionale delle banche di credito cooperativo del dicembre 1996, attribuendogli un contenuto di prova del tutto inesistente, laddove ha ritenuto che con questi documenti ai consiglieri della banca fossero stati inviati diversi ed inequivocabili segnali d'allarme circa il realizzarsi di condotte distrattive cita poi alcuni passaggi di queste relazioni cfr. pag. 6 del ricorso . Con un terzo motivo è stata dedotta la contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, sotto forma di travisamento, in quanto nel motivare in merito all'imputazione soggettiva del fatto, la corte d'appello avrebbe argomentato sulla base di una fattispecie astratta diversa da quella effettivamente indicata nella sentenza di condanna. Lamentano i ricorrenti di essere stati imputati e poi condannati per il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione di cui al primo comma dell'articolo 223 e non invece per la causazione del fallimento con operazioni dolose di cui al secondo comma della stessa norma. Questi due motivi possono essere trattati unitariamente, in quanto inammissibili per le ragioni già indicate trattando del primo motivo degli altri ricorrenti giova qui ribadire che per giurisprudenza costante di questa corte Cassazione penale, sez. 2, 28 maggio 2008, numero 25883 conf. Cassazione penale, sez. 4, 10 febbraio 2009, numero 20395 il vizio di travisamento della prova può essere dedotto solo nell'ipotesi di decisione di appello difforme da quella di primo grado, in quanto nell'ipotesi di doppia pronuncia conforme il limite del devolutum non può essere superato ipotizzando recuperi in sede di legittimità, salva l'ipotesi in cui il giudice di appello, al fine di rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, richiami atti a contenuto probatorio non esaminati dal primo giudice. Peraltro, anche a voler superare le ragioni di inammissibilità di questi motivi, si può osservare da un lato che le dichiarazioni virgolettate riportate in sentenza non sono determinanti ai fini della decisione, la quale è basata su molteplici elementi di prova, dall'altro che nel capo di imputazione viene addebitato agli amministratori di avere procurato il fallimento della banca, con il richiamo agli articoli 223 e, quoad poenam, 216 della legge fallimentare cfr. Capo b . Con un quarto ed ultimo motivo i ricorrenti hanno dedotto inosservanza od erronea applicazione dell'articolo 43 del codice penale perché la corte d'appello dell'Aquila, nel ritenere la sussistenza in capo agli imputati del dolo eventuale, si sarebbe limitata ad accertare la sola previsione del fatto di bancarotta, ignorando, quale oggetto di ulteriore necessario accertamento, la volizione dello stesso, sia pure nella forma della cosiddetta accettazione del rischio. Con successiva memoria i ricorrenti hanno provveduto ad illustrare ulteriormente il motivo di ricorso, relativo alla sussistenza dell'elemento soggettivo, ritenendo che il dolo eventuale avrebbe richiesto la consapevolezza da parte dei ricorrenti circa il probabile depauperamento del patrimonio sociale, nonché la accettazione del rischio di detto evento. La corte - asserisce la difesa - avrebbe confuso la previsione del pregiudizio ai creditori con la semplice prevedibilità, desunta dal fatto che per riconoscere la criticità della situazione sarebbe stato sufficiente il più labile grado di diligenza ipotizzabile. Ciò avrebbe comportato un inammissibile scambio di ruoli fra il dolo e la colpa. Anche a voler ritenere provata la conoscenza della situazione di criticità in cui versava l'impresa, prosegue la difesa, è dovere dell'interprete chiedersi perché mai quell'agente abbia agito in quel modo ove risultasse un atteggiamento di indifferenza nei confronti dei creditori e dunque vi fosse una piena accettazione del rischio di concorrere al definitivo depauperamento del patrimonio sarebbe riscontrabile il dolo eventuale, ma se ciò dipendesse da un negligente affidamento in supposte capacità manageriali di gestione della crisi o in operazioni giudicate a rischio calcolato e comunque indotte da un disperato tentativo di salvataggio dell'impresa, si verterebbe in tema di colpa cosciente. Lamentano, complessivamente, i ricorrenti mancanza di adeguata motivazione su questi aspetti da parte della corte d'appello, la quale si sarebbe limitata a ricavare acriticamente dalla consapevolezza dei ricorrenti circa la situazione in cui l'istituto di credito si trovava già nel 1996, anche la loro volontà - nel senso di accettazione del rischio - di concorrere alla distrazione del patrimonio sociale. Anche l'avv. Maccarone per R.T. , B.F. , D.P.M. , Re.Da. , S.E. , C.A. ha depositato nuova memoria, richiamando le difese e insistendo in particolar modo sui riflessi della riforma societaria in ambito penalistico. Come si è detto in precedenza, i motivi 2 e 6 possono essere trattati congiuntamente in quanto si riferiscono entrambi all'elemento soggettivo da un lato viene evidenziato che la riforma societaria ha diminuito i poteri di controllo del consiglio di amministrazione e che il grado di diligenza richiesto ai consiglieri delle banche di credito cooperativo deve essere ridotto in considerazione della mancanza di specifiche competenze ai sensi dell'articolo 2392 del codice civile dall'altro lato si censura la sentenza per avere affidato il proprio giudizio sul dolo ad una generica considerazione di tipo logico e cioè che gli amministratori non potevano non sapere atteso che la consapevolezza delle pratiche distrattive dei dirigenti richiedeva un minimo grado di diligenza , senza una adeguata indagine in concreto. I motivi di ricorso indicati in premessa con i numeri 2 e 6 sono stati quelli su cui le difese hanno maggiormente insistito, ma anche questi motivi sono infondati a prescindere da alcuni passaggi della sentenza suscettibili di una lettura equivoca, non si può certo affermare che la corte di appello de L'Aquila abbia omesso di verificare in concreto se i membri del consiglio di amministrazione della banca erano consapevoli delle pratiche distrattive poste in essere dal direttore e dal presidente. E sufficiente a fugare questo dubbio la lettura di un passaggio posto a metà della pagina 21 della sentenza, laddove la corte afferma espressamente che non si tratta di sostenere che i ricorrenti non potevano non sapere, ma che essi sapevano e, ciò malgrado, nulla fecero per impedire la spoliazione della banca. La corte, dunque, non ha ritenuto responsabili i ricorrenti perché, con un grado minimo di diligenza, avrebbero potuto rendersi conto delle condotte illecite dei vertici societari, ma perché ha ritenuto che tale consapevolezza vi fosse in concreto. Evidentemente, non essendo possibile entrare nella testa degli amministratori, tale consapevolezza è stata ritenuta dalla corte sulla base di elementi istruttori di cui è stato dato ampiamente conto nel corpo della motivazione. Non potendosi in questa sede rinnovare il giudizio di merito, è sufficiente rinviare alle pagine da 14 a 18 della sentenza, laddove la corte evidenzia in modo preciso e dettagliato tutti gli elementi questa corte ne ha contati ben 12 da cui ha desunto la piena consapevolezza da parte dei ricorrenti delle condotte poste in essere dal direttore e dal presidente della banca. Ciò premesso, si deve rilevare che tale consapevolezza costituisce elemento di fatto sottratto ad ogni censura in sede di legittimità, ove correttamente motivato ebbene, come si è precisato poc'anzi, il giudice di merito ha dedicato ben cinque pagine della sentenza all'individuazione degli elementi da cui ha desunto la consapevolezza in capo agli amministratori delle condotte tenute dai vertici societari e della grave situazione di dissesto in cui si trovava la banca a causa delle stesse, ritornandovi poi in vari passi della motivazione. Questa corte non ravvisa alcun vizio di legittimità nella motivazione della sentenza, che, anzi, si palesa logica, specifica ed assolutamente congrua, nonché rispettosa dei principi che regolano la materia in proposito sia sufficiente richiamare due recenti pronunce di questa stessa sezione, secondo cui In tema di reati societari, la previsione di cui all'articolo 2381 c.c. - introdotta con il d.lg. numero 6 del 2003 che ha modificato l'articolo 2392 c.c. - riduce gli oneri e le responsabilità degli amministratori privi di delega tuttavia, l'amministratore con o senza delega è penalmente responsabile, ex articolo 40, comma 2, c.p., per la commissione dell’evento che viene a conoscere anche al di fuori dei prestabiliti mezzi informativi e che, pur potendo non provvede ad impedire. Pertanto, la responsabilità può derivare dalla dimostrazione della presenza di segnali significativi in relazione all'evento illecito nonché del grado di anormalità di questi sintomi, non in linea assoluta ma per l'amministratore privo di delega Cassazione penale sez. 5, 28 aprile 2009 numero 21581 - In tema di bancarotta fraudolenta, l'amministratore in carica risponde penalmente dei reati commessi dall'amministratore di fatto, dal punto di vista oggettivo ai sensi dell'alt. 40 comma 2 c.p., per non avere impedito l'evento che aveva l'obbligo giuridico articolo 2392 c.c. di impedire, e, dal punto di vista soggettivo, se sia raggiunta la prova che egli aveva la generica consapevolezza che l'amministratore effettivo distraeva, occultava, dissimulava, distruggeva o dissipava i beni sociali, esponeva o riconosceva passività inesistenti. Nella specie la S.C. ha ritenuto immune da censure la decisione con cui il giudice di merito ha ampiamente argomentato in ordine all'effettiva consapevolezza da parte degli amministratori di diritto delle condotte dell'imputato, desumendone la prova dagli stessi verbali del consiglio di amministrazione Cassazione penale sez. 5, 09 febbraio 2010, numero 11938 . Dunque, gli amministratori, pur dopo la riforma del 2003, sono penalmente responsabili, ex articolo 40, comma 2, c.p., per la commissione degli eventi che vengono a conoscere anche al di fuori dei prestabiliti mezzi informativi e che, pur potendo, non provvedono ad impedire e la responsabilità può derivare dalla dimostrazione della presenza di segnali significativi in relazione all'evento illecito, nonché del grado di anormalità di questi sintomi. Questi segnali sono stati puntualmente indicati nella sentenza alle già richiamate pagine da 14 a 18, per cui, proprio in virtù del principio affermato dalla seconda delle sentenze richiamate, deve ritenersi immune da censure in sede di legittimità la decisione in cui il giudice di merito abbia ampiamente argomentato in ordine all'effettiva consapevolezza da parte degli amministratori. Essendo stata ritenuta la consapevolezza delle condotte illecite praticate dal direttore e dal presidente, perde di rilevanza la questione relativa al grado di diligenza richiesto agli amministratori delle società cooperative, in quanto la responsabilità degli amministratori va riferita alla violazione del secondo comma dell'articolo 2392, piuttosto che al primo comma della stessa norma gli amministratori sapevano, in virtù dei plurimi, univoci ed assolutamente inequivocabili elementi indicati dalla corte d'appello e ciò nonostante non si sono attivati per attenuarne le conseguenze dannose e per impedire che altri fatti analoghi fossero portati a compimento al contrario, hanno continuato ad avallare le condotte illecite del direttore e del presidente, cosi concorrendo pienamente nella commissione dei reati loro contestati. Per questi motivi, tutti i ricorsi devono essere respinti. P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali.