La querela depositata nel termine di tre mesi dalla formale richiesta di restituzione della cosa non può ritenersi tardiva in quanto solo a seguito di detta richiesta la P.O. ha avuto notizia della volontà della persona di non restituire il bene e, quindi, della condotta criminosa.
Secondo costante e condivisibile giurisprudenza, il reato di appropriazione indebita articolo 646 c.p. si consuma nel momento dell’interversione del titolo del possesso, momento che non coincide necessariamente con quello della scadenza del termine stabilito per la restituzione. Per la consumazione del reato di appropriazione indebita occorrono due elementi. Da un lato, il rifiuto ingiustificato della restituzione e, dall’altro, l’elemento soggettivo del dolo specifico, caratterizzato dalla coscienza e volontà di conseguire la disponibilità esclusiva e definitiva del bene altrui allo scopo di trarne un profitto. Orbene, la formale richiesta fatta dalla parte offesa in un tempo successivo alla scadenza del termine convenzionalmente pattuito per la restituzione, rende certa – sotto il profilo probatorio – la volontà di invertire il titolo del possesso e, pertanto, da tale termine deve decorrere il dies a quo per la proposizione della querela. Il caso. Il P.M. aveva frettolosamente richiesto l’archiviazione di un procedimento penale per supposta tardività della querela precisando che, trattandosi di appropriazione indebita, il termine per la proposizione decorre dalla data in cui l’indagato avrebbe dovuto restituire l’oggetto, a nulla valendo la formale richiesta successiva. Posizione non condivisa dal Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Bergamo che ha accolto l’opposizione formulata dalla P.O. in quanto, diversamente da quanto sostenuto dal P.M., il dies a quo della querela è da individuarsi nel momento in cui il possessore ha ricevuto la formale richiesta di restituzione.