Attualmente in Cassa Forense la pensione viene calcolata con il sistema retributivo. Mediamente il livello di finanziamento, attraverso la contribuzione obbligatoria, della pensione retributiva forense è pari al 50% La previdenza forense, numero 1/2010 . Ne consegue che il restante 50% viene semplicemente “regalato” a tutti gli iscritti.
Siamo, quindi, di fronte ad un sistema molto generoso la solidarietà è altra cosa! che ha prodotto un debito previdenziale latente piuttosto consistente, pari a circa 25 miliardi di euro, a fronte di un patrimonio di Cassa Forense di circa 5 miliardi di euro. Nel sistema a ripartizione con calcolo retributivo di Cassa Forense, infatti, non è stato introdotto il concetto della aliquota di equilibrio ossia l’aliquota che evita il formarsi di debito previdenziale. Se, infatti, una legge per noi le leggi del 1980 e 1992 promette maggiori benefici rispetto ai contributi senza disporne l’immediata copertura tramite maggiore contribuzione, crea uno squilibrio che non è immediatamente visibile nell’indebitamento netto. E’ opportuno allora il riporto degli impegni futuri a dati correnti mediante l’uso di metodi attuariali B. D’Italia, Gabriele Semeraro, opera cliccabile pag. 2286 e ss. . In base all’articolo 3, della legge 8.08.1995, numero 335, numero 12, Cassa Forense «Nel rispetto dei principi di autonomia affermati dal decreto legislativo 30.06.1994, numero 509, e dal decreto legislativo 10.02.1996, numero 103, e con esclusione delle forme di previdenza sostitutive dell’assicurazione generale obbligatoria, allo scopo di assicurare l’equilibrio di bilancio in attuazione di quanto previsto dall’articolo 2, comma 2, del suddetto decreto legislativo numero 509 del 1994, la stabilità delle gestioni previdenziali di cui ai predetti decreti legislativi è da ricondursi a un arco temporale non inferiore ai 30 anni. Il bilancio tecnico di cui al predetto articolo 2, comma 2, è redatto secondo criteri determinati con decreto del Ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze, sentite le associazioni e le fondazioni interessate, sulla base delle indicazioni elaborate dal Consiglio Nazionale degli Attuari nonché dalla Commissione di Vigilanza dei Fondi Pensione COVIP . In esito alle risultante e in attuazione di quanto disposto dal suddetto articolo 2, comma 2, sono adottati dagli Enti medesimi, i provvedimenti necessari per la salvaguardia dell’equilibrio finanziario di lungo termine, avendo presente il principio del pro rata in relazione alle anzianità già maturate rispetto all’introduzione delle modifiche derivanti dai provvedimenti suddetti e comunque tenuto conto dei criteri di gradualità e di equità fra generazioni. Qualora le esigenze di riequilibrio non vengano affrontate, dopo aver sentito l’Ente interessato e la valutazione della Commissione di Vigilanza sui Fondi Pensione COVIP , possono essere adottate le misure di cui all’articolo 2, comma 4, del d.lgs. 30.06.1994, numero 509. Nei regimi pensionistici gestiti dai predetti Enti, il periodo di riferimento per la determinazione della base pensionabile è definito, ove inferiore, secondo i criteri fissati dall’articolo 1, comma 17, per gli Enti che gestiscono forme di previdenza sostitutive e al medesimo articolo 1, comma 18, per gli altri Enti. Ai fini dell’accesso ai pensionamenti anticipati di anzianità, trovano applicazione le disposizioni di cui all’articolo 1, commi 25 e 26, per gli Enti che gestiscono forme di previdenza sostitutive e, al medesimo articolo 1, comma 28, per gli altri Enti. Gli Enti possono optare per l’adozione del sistema contributivo definito ai sensi della presente legge». Cassa Forense, nell’ambito della propria autonomia normativa, non ha inteso esercitare l’opzione per il sistema di calcolo contributivo della pensione, opzione possibile sin dal 1995. Per la verità chi scrive, allora Presidente di Cassa Forense, il 14.02.2008 mise in votazione nell’ambito del Comitato dei Delegati di Cassa Forense la proposta di esercitare l’opzione al sistema di calcolo contributivo. La proposta venne bocciata con 66 voti contrari e 14 voti favorevoli, tra i quali quello del sottoscritto e dell’attuale Vice Presidente Vicario di Cassa Forense. E veniamo alla riforma del Governo Monti approvata sia alla Camera che al Senato della Repubblica. La norma in questione è individuata nell’articolo 24, comma 24, del decreto legge 201/2011 che così recita «In considerazione dell'esigenza di assicurare l'equilibrio finanziario delle rispettive gestioni in conformità alle disposizioni di cui al decreto legislativo 30 giugno 1994, numero 509, e al decreto legislativo 10 febbraio 1996, numero 103, gli enti e le forme gestorie di cui ai predetti decreti adottano, nell'esercizio della loro autonomia gestionale, entro e non oltre il 30 giugno 2012, misure volte ad assicurare l'equilibrio tra entrate contributive e spesa per prestazioni pensionistiche secondo bilanci tecnici riferiti ad un arco temporale di cinquanta anni. Le delibere in materia sono sottoposte all'approvazione dei Ministeri vigilanti secondo le disposizioni di cui ai predetti decreti essi si esprimono in modo definitivo entro trenta giorni dalla ricezione di tali delibere. Decorso il termine del 30 giugno 2012 senza l'adozione dei previsti provvedimenti, ovvero nel caso di parere negativo dei Ministeri vigilanti, si applicano, con decorrenza dal 1° gennaio 2012 a le disposizioni di cui al comma 2 del presente articolo sull'applicazione del pro-rata agli iscritti alle relative gestioni b un contributo di solidarietà, per gli anni 2012 e 2013, a carico dei pensionati nella misura dell'1 per cento». Ne consegue che Cassa Forense, al pari di tutte le altre Casse, entro il 30.06.2012 dovrà provare, attraverso bilanci attuariali proiettati sui 50 anni, l’esistenza del saldo previdenziale attivo. Per saldo previdenziale si intende il rapporto fra contribuzioni in entrata e prestazioni in uscita. Questo significa che per 50 anni l’Ente deve dimostrare di incassare, sotto la voce contribuzione, più di quanto eroga sotto la voce prestazioni. La situazione è critica perché oggi il saldo previdenziale in Cassa Forense è positivo sino al 2036, diventando successivamente negativo. Prima di rispondere alla domanda “che fare” in questa situazione è bene chiarire alcuni passaggi. Accanto al debito pubblico, palese, costituito dalla base monetaria e dai titoli, debito che oggi in Italia ha superato quota 1.900 miliardi di Euro, gli economisti, e tra questi il prof. Onorato Castellino, ci ammoniscono sull’esistenza di un’altra forma di debito pubblico, più sommersa ed occulta, perché non si incorpora in documenti o titoli cartacei circolanti e negoziabili e perché spesso non ne esiste nemmeno una valutazione ufficiale. Al riguardo ho già detto e scritto che il primo rapporto curato dall’Adepp sulla previdenza privata in Italia di tutto ha detto tranne che del debito previdenziale delle venti Casse di previdenza private dei professionisti sul debito previdenziale rinvio allo studio di Banca d’Italia allegato . Questo debito, che si può definire debito previdenziale, è rappresentato dal valore attuale delle future prestazioni previdenziali il diritto alle quali è già maturato a favore, voglio dire, sia dei pensionati ma anche per la quota proporzionale alle anzianità pregresse dagli avvocati tutt’ora in attività dedotto l’importo della contribuzione attesa. Lo studio del prof. Onorato Castellino guarda alla formazione del debito previdenziale e alla sua dinamica tendenziale, mettendo in evidenza i problemi di politica economica che si pongono in conseguenza della sua dimensione attuale, in Italia e del suo prevedibile aumento. Lo studioso ha considerato dapprima le modalità con cui sorge il debito previdenziale, quando il Legislatore promulga norme che istituiscono diritti pensionistici o migliorano quelli preesistenti. Si nota poi come il debito previdenziale si rinnova gradualmente. Ogni anno, infatti, il pagamento delle pensione rappresenta una rata di estinzione del debito preesistente, mentre a fronte dei contributi, che via via maturano, si ha un’emissione di nuove promesse e quindi di nuovo debito. Come ho detto più sopra, raramente si dispone di valutazioni ufficiali del debito previdenziale. Il prof. Onorato Castellino ha esaminato anche i rischi e le possibili conseguenze di questa situazione. Fra i primi vi è la possibilità che i lavoratori attivi manifestino una crescente riluttanza a rispettare le regole del gioco, ossia a continuare a pagare i contributi. Fatta questa premessa, a mio giudizio indispensabile per procedere oltre nella disamina, partiamo da un dato obiettivo e cioè dal fatto che anche in Cassa Forense si è incrementato un debito previdenziale che può essere stimato in circa 25 miliardi di Euro a fronte di un patrimonio di Cassa Forense di 5 miliardi di Euro. È evidente che se la contribuzione versata dagli avvocati avesse finanziato la pensione retributiva al 100%, il debito maturato sarebbe pari a 5 miliardi garantito dal patrimonio, ma purtroppo così non è andata perché le promesse pensionistiche, insite nel sistema della legge del 1980 incrementata dalla successiva legge 141/1992, hanno generato questo debito previdenziale. A questo punto per far quadrare i conti si impone, ad avviso di chi scrive, l’esercizio dell’opzione per il passaggio al sistema di calcolo contributivo della pensione con il sistema del pro rata temporis a far data dal 01.01.2012. A far quadrare su di un orizzonte temporale di 50 anni il saldo previdenziale attivo ci si può arrivare però anche rimanendo nel sistema retributivo della pensione ma a patto di ridurre drasticamente le prestazioni pensionistiche o aumentare di almeno una decina di punti la contribuzione obbligatoria. Non a caso la riforma del Governo Monti ha aumentato, sia pure con uno scalino al 2018, la contribuzione del lavoro autonomo INPS per portarla al 24% su base annua. A mio modo di vedere, tenuto anche conto delle contingenze finanziarie temporali, l’Avvocatura non ha le risorse economiche per arrivare al pareggio nell’ambito del sistema di calcolo retributivo. Questo problema in Cassa Forense ce lo siamo posti ancora nel lontano 1999 quando siamo andati ad incontrare a Torino il prof. Onorato Castellino il quale così ci disse pubblicato su La previdenza forense numero 4/1999, pag. 55 «alla richiesta se il sistema attuale della previdenza forense possa essere modificato fino ad avvicinarlo agli effetti che si otterrebbero passando ad un sistema contributivo, il prof. Castellino ha dato risposta affermativa con riserva. Bisognerebbe cioè prendere come base per il calcolo della pensione la media dei redditi calcolati su tutta l’anzianità di iscrizione e bisognerebbe inoltre ridurre il coefficiente di calcolo allora 1,75 avvicinandolo ad una misura sostanzialmente corrispondente al tasso di rendimento dei contributi versati, previsto per il sistema contributivo nella legge 335/1995, che fa riferimento agli incrementi del PIL». In questi anni Cassa Forense ha introdotto la media dei redditi calcolata sull’intera attività lavorativa escludendo i peggiori cinque e ha abbassato un po’ l’aliquota di calcolo. Ora si dovrebbe abbassarla ulteriormente in misura sostanzialmente corrispondente al tasso di rendimento dei contributi versati per poi tener conto delle aspettative di vita. L’aggancio delle pensioni all’aspettativa di vita attesa è uno snodo essenziale per il percorso di riforma del Welfare System. Da un lato, esso completerebbe la neutralizzazione dei flussi redistributivi ancora passanti per il sistema pensionistico, per permettere di convogliare risorse sugli istituti in grado di perseguire finalità di redistribuzione e di assicurazione contro eventi in corso della vita attiva, in condizione di maggiore efficienza ed efficacia non a caso, istituti assenti o gravemente sottosviluppati in Italia famiglia, minori, povertà grave, non autosufficienza, accesso alla prima casa, disoccupazione, formazione e riqualificazione . Dall’altro lato, quell’aggancio rafforzerebbe la sostenibilità del sistema pensionistico di fronte al processo di invecchiamento della popolazione, che necessita che anche la vita attiva si allunghi in proporzione Studio CERM sopra indicato . Per mantenere l’attuale livello di pensione retributiva occorrerebbe invece aumentare la contribuzione obbligatoria di almeno una decina di punti. Ovviamente Cassa Forense farà fare attenti studi ma questa strada mi sembra davvero in salita e tale da richiedere ad alcune generazioni di avvocati uno sforzo insostenibile. Si impone così l’affermazione del metodo contributivo come criterio di calcolo delle pensioni, in un’ottica di equità finanziaria, intragenerazionale e intergenerazionale. Dal punto di vista dell’impatto in aggregato come è dato leggere nella redazione accompagnatoria governativa alla riforma dd. 5.12.2011 la scelta del criterio contributivo non solo sottende un trattamento equo infra e tra generazioni, ma costituisce altresì un metodo di calcolo che migliora equità e sostenibilità finanziaria del sistema. Libera altresì risorse, anche nel lungo termine, utilizzabili per operare sul piano delle politiche di solidarietà sociale. Il metodo di calcolo contributivo della pensione è un metodo semplice da capirsi, quindi molto comprensibile, trasparente ed equo perché non può restituirti sotto forma di pensione più di quanto hai versato sul tuo montante contributivo, rivalutato secondo la media quinquennale del PIL nazionale. La stessa attuaria di Cassa Forense, dott.ssa Giovanna Biancofiore, nel suo intervento «Retributivo o contributivo» sempre pubblicato sulla rivista La previdenza forense 4/1999, dovendo scegliere fra i due criteri, privilegia quello contributivo «al quale viene associata una maggiore trasparenza nella scelta dei parametri che incidono sulla misura della prestazione e, per questo, tale criterio gode di una maggiore semplicità di applicazione ai fini della ricerca del massimo livello di equità tra contribuzione versata e prestazione percepita». Il metodo di calcolo contributivo è stato introdotto nell’arco di tempo che va dal 2002 al 2004 dalla Cassa di Previdenza dei Ragionieri e dalla Cassa di Previdenza dei Commercialisti. L’esercizio dell’opzione al sistema di calcolo contributivo è stata voluta proprio per superare i dissesti economici creati dall’eccessiva generosità del sistema di calcolo retributivo della pensione. La stessa cosa si legge nelle recentissima relazione della Corte dei Conti che ha esaminato il bilancio 2010 dell’INPS sollecitando un’accelerazione all’entrata in vigore a regime del sistema contributivo al fine di scongiurare il dissesto conseguente all’aumento del debito previdenziale latente. Una volta introdotto nel sistema previdenziale forense, il sistema di calcolo contributivo consentirà di accogliere quei 60 mila avvocati che sono sì iscritti all’Albo ma non sono ancora iscritti a Cassa Forense e che quindi esercitano la professione forense privi di copertura previdenziale e assistenziale. Ma il criterio di calcolo contributivo della pensione è preferibile anche per la sua flessibilità, oltre che per la trasparenza e la neutralità finanziario–attuariale. Consente maggiore flessibilità nell’uscita dal percorso lavorativo e una maggiore flessibilità nel montante contributivo da versare così come hanno fatto le due Casse private dei Ragionieri e dei Commercialisti sovra indicate che hanno utilizzato una buona flessibilità nel prevedere la possibilità del versamento tra un minimo e un massimo di contribuzione. Non vi è chi non veda che a carriere più lunghe o più corte corrisponderebbero assegni di importo maggiore o minore. Sarebbe anche possibile, una volta inseriti degli incentivi endogeni al proseguimento delle carriere e stabilita una finestra anagrafica coerente con la lunghezza media della vita, fare anche a meno di requisiti di contribuzione minima. Oggi la pensione retributiva non consente questa flessibilità proprio perché nella determinazione della pensione con calcolo retributivo manca un collegamento alla vita attesa, collegamento che si potrebbe peraltro introdurre se si ritenesse di rimanere all’interno del sistema di calcolo retributivo. Ma ci sono anche alcuni vantaggi minori del contributivo che sono stati ben illustrati nel quaderno 2/2005 del CERM – Competitività Regolazione Mercati di F. Pammolli e N. C. Salerno al quale lavoro faccio riferimento. La ricongiunzione e la totalizzazione sono due istituti del sistema pensionistico finalizzati alla ricostruzione della continuità della storia contributiva essi intervengono nei casi in cui i requisiti di anzianità, maturati presso ciascuna gestione previdenziale cui il professionista è stato iscritto, non siano sufficienti per ottenere, in nessuna delle predette gestioni, il diritto alla pensione di vecchiaia e di inabilità. Il criterio di calcolo contributivo permette di separare perfettamente il processo di acquisizione del diritto alla liquidazione della pensione da quello di quantificazione dei benefici pensionistici di cui fruire. Inoltre, questi ultimi, non sono alterati dalle modalità con cui si svolge la carriera, dipendendo soltanto dal profilo contributivo valore dei contributi e scadenze del versamento . Entrambe queste proprietà non sono possedute dal criterio di calcolo retributivo. Anche quando la ricongiunzione o la totalizzazione sono utilizzate per l’accesso alla pensione di inabilità quando, quindi, la logica diventa quella più strettamente assicurativa , il criterio contributivo continua ad adattarsi meglio a situazioni di mobilità lavorativa e cambiamento di gestione previdenziale di iscrizione. Gli oppositori all’esercizio dell’opzione al sistema di calcolo contributivo sostengono che verrebbe meno l’impianto solidaristico che permea l’ordinamento previdenziale forense e che oltre a comportare un drastico taglio della prestazione previdenziale obbligherebbe gli iscritti a versare una doppia contribuzione e cioè una per costituirsi la futura pensione e una per continuare a pagare le pensioni retributive e i ratei pro rata retributivi. Trattasi di osservazioni critiche facilmente superabili. Oggi anche il criterio di calcolo contributivo consente ampie aperture solidaristiche. È vero che come sistema, il calcolo contributivo rispetto a quello retributivo, dimezza mediamente del 50% il quantum pensionistico. Ma per superare questo gap esistente fra pensione retributiva e pensione contributiva basta lavorare di più e tutti gli ordinamenti previdenziali stanno andando in questa direzione aumentando magari, quando si è in bonis, i versamenti contributivi se flessibili al fine di rimpinguare il montante. E veniamo alla doppia contribuzione. La soluzione del problema ce la offrono, ancora una volta, sia la Cassa dei Ragionieri che la Cassa dei Commercialisti che da tempo hanno optato al sistema di calcolo contributivo. Come hanno operato queste due Casse battipista nell’opzione al sistema di calcolo contributivo? La Cassa Nazionale di Previdenza e di Assistenza a favore dei Ragionieri e Periti Commerciali, ad esempio, nel proprio regolamento di esecuzione, qui leggibile nell’allegato, ha costituito due fondi dotati di autonomia contabile e finanziaria il fondo A per la previdenza, ripartito nella sezione A e nella sezione B e il fondo per le prestazioni di solidarietà e per l’assistenza. Il regolamento ha previsto le forme di finanziamento dei tre fondi con la previsione di un contributo straordinario di solidarietà per finanziare, insieme ad altra specifica contribuzione, il pregresso. Entrambe le Casse hanno quindi risolto sia il problema della solidarietà che il problema del debito previdenziale pregresso. Il contributo di solidarietà, secondo il pensiero ripetutamente affermato dalla Corte Costituzionale, non potendo essere configurato come un contributo previdenziale in senso stretto Corte Costituzionale numero 421/1995 va inquadrato nel genus della prestazioni patrimoniali imposte per legge, avente la finalità di contribuire agli oneri finanziari del regime previdenziale dei lavoratori. Con ordinanza 30.01.2003, numero 22 la Corte Costituzionale si è occupata funditus della materia affermando, sia pure per altro contributo di solidarietà, che l’articolo 37 della legge numero 448/1999 la quale da gennaio 2000 per un periodo di tre anni aveva previsto sugli importi dei trattamenti pensionistici corrisposti da enti gestori di forme di previdenza obbligatorie complessivamente superiore ad un determinato massimale un contributo di solidarietà nella misura del 2% che la norma era diretta a realizzare un circuito di solidarietà interna al sistema previdenziale, evitando una generica fiscalizzazione del prelievo contributivo effettuato. In buona sostanza il contributo di solidarietà non ha la natura tecnica del contribuito previdenziale ma non è nemmeno una imposizione di tipo tributario ma semplicemente un contributo che si chiede proporzionalmente agli iscritti al fine di concorrere al finanziamento dello stesso sistema previdenziale. Secondo noi, sotto questo angolo di visuale, il contribuito di solidarietà previsto dalla Cassa di Previdenza dei Commercialisti è perfettamente legittimo perché è stato introdotto per sostenere l’equità del sistema previdenziale nel momento del passaggio dal sistema di calcolo retributivo al sistema di calcolo contributivo imponendo a tutti, ma proporzionalmente al quantum pensionistico, il contributo di solidarietà al solo fine di non scaricare esclusivamente sulle giovani generazioni il debito pensionistico costituito dalle generose pensioni liquidate con la formula di calcolo retributivo della pensione stessa. Occorre, dunque, mettersi intorno ad un tavolo, analizzare i problemi e poi senza demagogia o soluzione preconcette, arrivare alla quadratura del cerchio nell’interesse di tutti gli iscritti, dai pensionati a chi si iscrive oggi per la prima volta. Il problema da affrontare e risolvere non è tanto la scelta del metodo di calcolo della pensione, retributivo o contributivo, quanto quello di cristallizzare alla data del 31.12.2011 il debito previdenziale maturato garantendo il saldo previdenziale attivo per il periodo richiesto di 50 anni. Senza aggredire il debito previdenziale maturato non ci riusciremo mai! Impegnativo ma non impossibile. Nella riunione del 16 dicembre scorso il Comitato dei Delegati di Cassa Forense ha replicato alla manovra “Salva Italia” così «Il Comitato dei Delegati della Cassa Forense esprime netta contrarietà alle misure imposte dal Governo in materia di Enti Previdenziali dei liberi professionisti, perché misure tecnicamente errate e tendenti a scardinare un impianto che, attraverso recenti riforme adottate, assicura la sostenibilità a lungo termine. Cassa Forense non garantisce privilegi, ha un tetto massimo pensionistico di 45.000,00 euro, fonda il suo impianto sulla solidarietà, ha portato l'età pensionabile a 70 anni, ha un patrimonio solido ed in grado di assicurare i diritti di tutti gli iscritti a fruire delle prestazioni previdenziali ed anche di interventi assistenziali, senza alcuna contribuzione dello Stato. In luogo di favorire la tutela delle fasce più giovani e più deboli, come si tende a far credere, l'imposizione di questi vincoli comporterà per esse un inevitabile aggravio contributivo cui non corrisponderà l'adeguatezza dei trattamenti. E' l'ultimo di una serie di interventi penalizzanti per le professioni e segnatamente per la professione forense, che mortificano una funzione garantita dalla Costituzione e gravano su una categoria che subisce il peso dell'elevatissimo numero dei nuovi ingressi e delle conseguenze della pesante crisi economica in corso. Il Comitato dei Delegati si oppone al disegno di privare Cassa Forense della propria autonomia e metterà in campo tutte le iniziative idonee a contrastare ogni forma di attacco all'indipendenza dell'avvocatura». Senza spirito polemico mi sia consentito di dire che la soluzione proposta dal Governo è tecnicamente corretta, è in linea con l’andamento previdenziale del Paese e risponde a criteri di equità attuariale infra e intergenerazionale. Cassa Forense non garantisce privilegi settoriali , è verissimo , ma il sistema retributivo di calcolo della pensione è troppo generoso mediamente 50% a favore di tutti gli iscritti. Tav. 1 LIVELLO DI FINANZIAMENTO DELLA PENSIONE Nell’ambito delle regole di determinazione dei contributi e delle pensioni di Cassa forense sono rilevabili forti elementi di generosità non assimilabili alla solidarietà infracategoriale A livello individuale l’iscritto alla Cassa riesce a finanziare, con la propria contribuzione soggettiva e integrativa, solo una parte dell’intero trattamento erogato a lui e all’eventuale nucleo familiare superstite Si è stimato che, in media, il montante dei contributi versati durante l’intera vita lavorativa copre circa il 50% del valore capitale del trattamento pensionistico Tav. 2 LIVELLO DI FINANZIAMENTO DELLA PENSIONE Ipotesi Anno pensionamento 2008 Età al pensionamento 65 anni Anzianità al pensionamento 35 anni Tavole di sopravvivenza Istat 2004 Tasso medio annuo di rendimento reale 2% Tipologia iscritto Reddito medio Pensione annua Montante contributi Valore capitale pensione Grado di copertura Reddito minimo Euro 12.900 Euro 10.160 Euro 89.934 Euro 182.882 49,2% Reddito metà tetto Euro 42.625 Euro 25.500 Euro 237.760 Euro 459.011 51,8% Reddito al tetto Euro 85.250 Euro 45.398 Euro 449.379 Euro 817.175 55,0% Reddito = euro 150.000 Euro 150.000 Euro 45.398 Euro 590.589 Euro 817.175 72,3% Reddito = euro 250.000 Euro 250.000 Euro 45.398 Euro 808.672 Euro 817.175 99,0% Per quanto detto più sopra il sistema di calcolo contributivo è compatibile con lo spirito solidaristico che permea il nostro ordinamento previdenziale ma la solidarietà è un concetto diverso dal beneficio a pioggia del quale oggi tutti noi beneficiamo perché, mediamente, portiamo tutti a casa con la pensione una quota che non è stata finanziata dalla contribuzione obbligatoria versata. Non giriamoci intorno,il problema dei problemi è questo. Ognuno guardi per favore la colonna del “grado di copertura” sopra riprodotta, analizzi i redditi dichiarati alla cassa lungo il percorso previdenziale e faccia due conti. Il retributivo o contributivo alla fine è un falso problema pur se quello contributivo rimane il mio preferito.
SP_PROF_rosa