È legittimo l'accertamento induttivo, avente ad oggetto l'emissione di fatture false, se trova la sua giustificazione in anomali pagamenti d'ingenti somme in contanti. Risultano violate anche le norme in materia di antiriciclaggio.
È legittimo l'accertamento induttivo, avente ad oggetto l'emissione di fatture false, se trova la sua giustificazione in anomali pagamenti d'ingenti somme in contanti. Risultano violate anche le norme in materia di antiriciclaggio. Si è così espressa la sezione Tributaria della Corte di Cassazione, con l'ordinanza numero 15583, depositata lo scorso 14 luglio.La fattispecie. La CTR pugliese, accogliendo l'appello del Fisco, confermava la legittimità dell'avviso di accertamento emesso nei confronti di un contribuente, ritenendo che l'addebito di falsa fatturazione, posto a fondamento dell'atto impositivo, trovava giustificazione sia in anomali pagamenti d'ingenti somme in contanti per asserita forniture di olio fatte dal contribuente ad una s.r.l., sia in pretese forniture di olio fatte al contribuente da una s.a.s., pur in assenza di prodotto disponibile . Contro questa decisione la moglie del contribuente, nel frattempo deceduto, ricorreva per cassazione.Contestata al contribuente la falsa fatturazione. Secondo la ricorrente, i giudici d'appello non avrebbero dovuto valorizzare, come indicatore di falsa fatturazione, il dato neutro di pagamenti fatti con denaro contante, né avrebbero dovuto convalidare l'accertamento induttivo fatto dall'amministrazione pur in presenza di contabilità regolare e nonostante gli oneri probatori fossero per legge a carico dell'ufficio. Di diverso avviso è la Suprema Corte.Il Fisco presume pagamenti in contanti. In particolare, osservano gli Ermellini, in tema di accertamento, l'inesistenza di passività o le false indicazioni possono essere desunte anche sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, senza necessità che l'Ufficio fornisca prove certe. Pertanto, il giudice tributario di merito, investito della controversia sulla legittimità e fondatezza dell'atto impositivo, è tenuto a valutare, singolarmente e complessivamente, gli elementi presuntivi forniti dall'Amministrazione, dando atto in motivazione dei risultati del proprio giudizio e solo in un secondo momento, qualora ritenga tali elementi dotati dei caratteri di gravità, precisione e concordanza, deve dare ingresso alla valutazione della prova contraria offerta dal contribuente .Violate le norme sull'antiriciclaggio. In via generale, si può dimostrare l'assenza dell'effettivo versamento della somma in contanti attraverso il collegamento tra presunzioni concordanti, quali l'assoluta mancanza di plausibilità dell'allegazione, in quanto riferita ad un importo assoggettato per la sua ingente entità ai divieti della normativa antiriciclaggio e alla conseguente necessità di una traccia documentale dell'effettivo versamento. Tenuto conto che l'importo pagamento in contanti è di circa mezzo miliardo di vecchie lire, non può dirsi che si tratti di elemento neutro, alla luce delle pesantissime sanzioni previste per l'inosservanza di disposizioni dettate per limitare l'uso del contante, il che rende legittimo il ricorso alle presunzioni ex articolo 39, d.p.r. numero 600/1973 e al conseguente accertamento . Inoltre, aggiunge la S.C., l'emissione, da parte della s.a.s. nei confronti della ditta ricorrente, delle fatture di vendita senza avere alcuna disponibilità di prodotto costituisce per i giudici d'appello conferma che sia aderente alla realtà l'ipotesi di impossibilità d'acquisto in funzione dell'assenza di capacità produttiva dell'azienda .Legittimo l'accertamento induttivo. Infine, per i giudici di legittimità, l'inesistenza di dette vendite dalla s.a.s. al contribuente è stata accertata dai verificatori mediante conteggio per quantità - carico e scarico - della movimentazione giornaliera acquisti, vendite, rimanenze dell'olio di oliva vergine e dell'olio di oliva extravergine di oliva ed è risultato che l'emissione di fatture avveniva in assenza di disponibilità contabile di prodotto . Da qui sorge l'ovvia presunzione che il contribuente non avesse potuto comprare dalla s.a.s. quantità di prodotto che, dalla verifica dei registri di magazzino, la venditrice non aveva. Ne deriva la necessità di prova contraria a carico del contribuente.