La nozione di inabilità, rilevante ai fini del riconoscimento del diritto alla pensione di reversibilità, deve essere intesa come assoluta e permanente impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa a causa di infermità o difetto fisico o mentale, il cui accertamento rende superflua la verifica di una residua possibilità d’impiego compatibile con la condizione dell’interessato.
Lo ha chiarito la Corte di Cassazione con l’ordinanza numero 9500/15 depositata l’11 maggio. Il caso. La Corte d’appello di Firenze accoglieva il gravame proposto dall’INPS avverso la sentenza del Tribunale di Lucca che aveva accolto la domanda dell’attrice diretta all’accertamento del diritto a percepire la pensione di reversibilità della propria madre, in quanto figlia maggiorenne ed inabile al lavoro. La sentenza di seconde cure viene impugnata con ricorso in Cassazione. La nozione di inabilità evoluzione normativa. La ricorrente si duole del fatto che la Corte territoriale abbia utilizzato un concetto di «totale inabilità» diverso da quello normativamente richiesto ai fini del diritto alla pensione di reversibilità, rilevando non la totale inabilità, ma la concreta impossibilità di dedicarsi ad un’attività lavorativa che consenta di soddisfare le esigenze primarie di vita. La Corte di Cassazione prende le mosse dall’analisi del dato normativo rilevante nel caso di specie e cioè la l. numero 222/1984, la quale ha introdotto una nozione unitaria di inabilità ai fini del riconoscimento del diritto alla pensione di inabilità, di reversibilità e ad altre prestazioni assistenziali, oltre che ai fini del diritto agli assegni familiari. L’articolo 8 della l. citata afferma che «si considerano inabili le persone che, a causa di infermità o difetto fisico o mentale, si trovino nell’assoluta e permanente impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa», requisito più stringente rispetto a quanto previsto dalla disciplina previgente che considerava inabili le persone che si trovassero nell’assoluta e permanente impossibilità di svolgere «un proficuo lavoro», condizione rilevante in termini concreti, anche in considerazione alle condizioni del mercato del lavoro, e diretta ad accertare il possesso di una generica capacità lavorativa. Oggi rileva l’assoluta e permanente infermità o il difetto fisico o mentale. Con la modifica normativa intervenuta nel 1984, ciò che assume rilevanza è l’assoluta e permanente incapacità di svolgere una qualsiasi attività lavorativa, nel senso che «questa deve essere determinata esclusivamente dalla infermità ovvero dal difetto fisico o mentale», senza che debba verificarsi un’eventuale possibilità di impiego delle residue energie lavorative in un’attività compatibile con tali condizioni soggettive. Nel caso di specie, la negazione del diritto alla reversibilità della pensione della madre della ricorrente si fonda sul mancato accertamento di una situazione di assoluta incapacità lavorativa, come risulta dalla CTU disposta dal giudice d’appello anche in riferimento alla condizione psichiatrica della ricorrente, la quale risultava in una condizione di apatia e depressione che, tuttavia, non era mai sfociata in un ricovero psichiatrico né in un trattamento di psicoterapia. Per questi motivi, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso.
Corte di Cassazione, sez. VI Civile – L, ordinanza 9 aprile – 11 maggio 2015, numero 9500 Presidente Curzio – Relatore Marotta Fatto e diritto 1 - Considerato che è stata depositata relazione del seguente contenuto “Con ricorso al Tribunale di Lucca B.F. agiva nei confronti dell'I.N.P.S. per ottenere l'accertamento del diritto a percepire la pensione di reversibilità della madre, P.I. , in quanto figlia maggiorenne a carico ed inabile. Il Tribunale, all'esito della disposta consulenza tecnica d'ufficio, accoglieva la domanda. A seguito di impugnazione da parte dell'I.N.P.S., la Corte di appello di Firenze, disposto il rinnovo delle operazioni peritali, faceva proprie le conclusioni del consulente tecnico e, ritenendo che la B. , all'epoca del decesso della propria madre, non si trovasse nell'assoluta e permanente impossibilità a svolgere qualsiasi attività lavorativa, in riforma della sentenza impugnata, rigettava la domanda. Avverso tale sentenza della Corte territoriale, B.F. propone ricorso per cassazione fondato su tre motivi. L'I.N.P.S. resiste con controricorso. Con i due motivi la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell'articolo 8 della legge numero 222/1984 nonché omessa e/o insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo della controversia e omessa motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio. Si duole del fatto che la Corte territoriale abbia utilizzato un concetto di totale inabilità diverso da quello richiesto ai fini del riconoscimento del diritto alla pensione di reversibilità. Rileva che l'impossibilità assoluta e permanente di svolgere qualsiasi attività lavorativa, prevista dall'articolo 2 della legge 12 giugno 1984 numero 222 ai fini del riconoscimento della pensione d'inabilità, deve essere intesa come impossibilità di svolgere qualsiasi lavoro proficuo, idoneo ad assicurare -in relazione al parametro di cui all'articolo 36 Cost. - una remunerazione sufficiente a garantire un'esistenza libera e dignitosa. Dunque quello che rileva non è la totale inabilità ma la concreta impossibilità, tenuto conto delle condizioni del mercato del lavoro, di dedicarsi ad un'attività lavorativa utile ed idonea a soddisfare in modo normale e non usurante le primarie esigenze di vita. Evidenzia che, alla data del decesso della madre, la B. era stata dichiara non collocabile al lavoro dalla commissione ex legge numero 68/1999 composta anche da uno psichiatra . Lamenta l'omessa verifica della compatibilità dell'utilizzo delle residue capacità lavorative della B. con le sue complessive condizioni sanitarie oltre che con un proficuo lavoro dolendosi anche del mancato approfondimento da parte di uno specialista delle condizioni psichiatriche. I motivi da trattarsi congiuntamente in ragione della intrinseca connessione sono manifestamente infondati. La L. numero 222 del 1984, articolo 8 Definizione di inabilità ai fini delle prestazioni previdenziali ha introdotto un'unica ed unitaria nozione di inabilità ai fini del riconoscimento del diritto alla pensione di inabilità articolo 2 , alla pensione di riversibilità L. 21 luglio 1965, numero 903, articolo 21 e 22 ed alle altre prestazioni previste dal medesimo articolo 8, e cioè quelle di cui alla L. 9 agosto 1954, numero 657, che riguarda i provvedimenti relativi ai lavoratori tubercolotici e ai loro familiari, e quelle di cui alla L. 4 agosto 1955, numero 692, che riguarda l'estensione dell'assistenza di malattia ai pensionati di invalidità e vecchiaia ed ai loro familiari. La stessa nozione vale anche ai fini del diritto agli assegni familiari, ai sensi del comma 2 dello stesso articolo 8, che ha sostituito il T.U. 30 maggio 1955, numero 797, articolo 4, u.c Secondo l'articolo 8 sopra menzionato, si considerano inabili le persone che, a causa di infermità o difetto fisico o mentale, si trovino nell'assoluta e permanente impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa. Tale requisito è più restrittivo di quello richiesto in precedenza dal d.P.R. 26 aprile 1957, numero 818, articolo 39 che considerava inabili le persone che per gravi infermità fisiche o mentali si trovassero nella assoluta e permanente impossibilità di dedicarsi ad un proficuo lavoro . Più precisamente, non era richiesta la totale inabilità, ma la concreta impossibilità, tenuto conto delle condizioni del mercato del lavoro, delle condizioni soggettive della persona colpita dall'infermità o dal difetto fisico o mentale e dei fattori ambientali, di dedicarsi ad un'attività lavorativa utile a soddisfare in modo normale e non usurante le primarie esigenze di vita. In definitiva si trattava di stabilire non solo se il soggetto avesse una generica capacità lavorativa, ma se potesse utilizzare proficuamente la residua efficienza psico-fisica, e quindi se conservasse una pur minima capacità di guadagno. Ne conseguiva che il giudizio sull'inabilità non poteva esaurirsi con l'accertamento medico, ma doveva risultare da una valutazione più complessa, mediante la quale il dato sanitario si collocava nel quadro delle circostanze socio-economiche e personali. La L. numero 222 del 1984, articolo 8 viceversa attribuisce rilevanza, ai fini del riconoscimento della prestazione, al criterio oggettivo della assoluta e permanente impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa , nel senso che questa deve essere determinata esclusivamente dalla infermità ovvero dal difetto fisico o mentale, senza che debba verificarsi, in caso di mancato raggiungimento di una totale inabilità, il possibile impiego delle eventuali energie lavorative residue in rela2ione al tipo di infermità e alle generali attitudini del soggetto in tal senso, pur dopo qualche oscillazione giurisprudenziale, è ormai attestata questa Corte si vedano Cass. numero 9946 dell'8 maggio 2014 Cass. numero 9970 del 29 aprile 2009 Cass. numero 16955 del 26 agosto 2004 . Nella specie la Corte territoriale ha affermato che al momento del decesso della madre, la ricorrente non si trovava nell'assoluta e permanente impossibilità di lavorare, secondo la formulazione della L. numero 222 del 1984, articolo 8, non versando in una situazione di assoluta inabilità lavorativa. La sentenza impugnata, che ha rigettato la domanda proposta dalla ricorrente, non è incorsa in alcuna violazione di legge. Né invero si riscontrano i lamentati vizi motivazionali. La Corte territoriale, recependo le conclusioni svolte dal perito d'ufficio nominato nel giudizio di appello, ha congruamente motivato la decisione assunta muovendo proprio dall'esame dei verbali della commissione medica ex legge numero 68/1999. Ha, al riguardo, sottolineato che il giudizio espresso dalla commissione circa la minima capacità di stare in piedi, minima capacità di locomozione era risultato smentito dallo stesso esame obiettivo della commissione che non aveva evidenziato compromissioni dell'apparato locomotorio. Inoltre i giudici di appello hanno sottoposto a giudizio critico l'affermazione della commissione circa l'assoluta e permanente impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa ritenendola incongruente rispetto alla riconosciuta integrità delle capacità logiche e cognitive oltre che della capacità di deambulare e di mantenere la stazione eretta. Anche l'aspetto psichiatrico è stato adeguatamente considerato dal consulente officiato in sede di appello il quale ha sottolineato che la B. presentava una condizione di apatia e stato depressivo che non implicano una inabilità lavorativa senza tuttavia essere mai stata ricoverata in ambito psichiatrico né mai sottoposta a psicoterapia. Anche il certificato psichiatrico del 14/1/2008 peraltro successivo al decesso della madre della B. , avvenuto il 31/10/2007 è stato debitamente esaminato dalla Corte fiorentina che ha evidenziato come dallo stesso non si evincesse nulla circa l'effetto della terapia farmacologica , il decorso della malattia ed una sua evoluzione. Per il resto i rilievi della ricorrente mirano a sollecitare soltanto una nuova lettura delle risultanze istruttorie e, in particolare, delle consulenze tecniche espletate in ciascun grado di giudizio, operazione preclusa in sede di legittimità. Infatti, per costante giurisprudenza in materia di prestazioni previdenziali derivanti da patologie relative allo stato di salute dell'assicurato, il difetto di motivazione della sentenza che abbia prestato adesione alle conclusioni del consulente tecnico d'ufficio è ravvisabile solo in caso di palese deviazione dalle nozioni correnti della scienza medica, la cui fonte va indicata, o nell'omissione degli accertamenti strumentali dai quali, secondo le predette nozioni, non si può prescindere per la formulazione di una corretta diagnosi. Al di fuori di tale ambito le censure anzidette costituiscono mero dissenso diagnostico non attinente a vizi del processo logico-formale, e si traducono, quindi, in una inammissibile critica del convincimento del giudice giurisprudenza consolidata v. da ultimo Cass. 22 febbraio 2013, numero 4570 id. 15 gennaio 2013, numero 767 del 2013 23 novembre 2012, numero 20773 12 dicembre 2011, numero 26558 Cass. 29 aprile 2009, numero 9988 3 aprile 2008, numero 8654 . Inoltre, come pure è stato precisato, rientra nei poteri discrezionali del giudice di merito la valutazione dell'opportunità di disporre indagini tecniche suppletive o integrative di quelle già espletate, di sentire a chiarimenti il consulente tecnico di ufficio ovvero di disporre la rinnovazione delle indagini, con la nomina di altri consulenti, e l'esercizio di un tale potere così come il mancato esercizio non è censurabile in sede di legittimità cfr., fra le altre, Cass. 6 aprile 2001, numero 5142 id. 17 febbraio 2004, numero 3004 2 marzo 2006, numero 4660 , neppure sotto il profilo della carenza di motivazione quando dal complesso delle ragioni svolte in sentenza risulti comunque l'irrilevanza o la superfluità dell'indagine richiesta v., ex multis, Cass. 10 marzo 2006, numero 5277 id. 10 novembre 2011, numero 23413 . Per tutto quanto sopra considerato, si propone il rigetto del ricorso, con ordinanza, ai sensi dell'articolo 375, numero 5, cod. proc. civ.”. 3 - Questa Corte ritiene che le osservazioni in fatto e le considerazioni e conclusioni in diritto svolte dal relatore siano del tutto condivisibili, siccome coerenti con la prevalente giurisprudenza di legittimità in materia e che sussista con ogni evidenza il presupposto dell'articolo 375, numero 5, cod. proc. civ. per la definizione camerale del processo. 4 - In conclusione il ricorso è destituito di fondamento e va rigettato. 5 - Nulla, infine, è dovuto per le spese di giudizio, avendo la B. presentato dichiarazione per l'esenzione dalle spese processuali ai sensi dell'articolo 152disp. att. cod. proc. civ., nel testo introdotto dal D.L. 30 settembre 2003, numero 269, articolo 42, comma 11, convertito con modificazioni, nella L. 24 novembre 2003, numero 326. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso nulla per le spese.