Le liberalità nei confronti dei dipendenti, come ad esempio pagare il conto della cena aziendale, conferma che l’imputato è amministratore di fatto della srl dichiarata fallita.
Secondo la Corte di Cassazione sentenza numero 10963, depositata l’8 marzo 2013 , a svelare il ruolo di dominus dell’azienda è anche la prodigalità del soggetto verso i dipendenti. La fattispecie. Un uomo, quale amministratore di fatto di una srl, veniva condannato, in primo e secondo grado, per il reato di bancarotta fraudolenta documentale. Offre la cena aziendale Secondo i giudici, il condannato doveva ritenersi amministratore di fatto della società in quanto, oltre a dare direttive, ritirare gli incassi, disporre trasferimenti dei dipendenti, compiva altresì anche atti di liberalità verso i dipendenti. Ad esempio? La cena sociale offerta a tutti gli impiegati. e paga il conto anche con la giustizia. Chiamata a pronunciarsi sulla questione è anche la Suprema Corte di Cassazione. Tuttavia, l’esito del giudizio non cambia. Il ricorso, infatti, perché interamente articolato in fatto e tendente a una diversa lettura dei dati processuali, viene dichiarato inammissibile dalla Cassazione.
Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 11 gennaio – 8 marzo 2013, numero 10963 Presidente Ferrua – Relatore Fumo Ritenuto in fatto 1. La CdA di Roma, con la sentenza in epigrafe, ha confermato la pronunzia di primo grado, con la quale A.M. , giudicato con rito abbreviato, fu riconosciuto colpevole di bancarotta fraudolenta documentale e condannato alla relativa pena di giustizia principale e accessoria , quale amministratore di fatto della srl LARIANA, dichiarata fallita con sentenza del 22.6.2001. 2. Con il ricorso, il difensore deduce mancanza, contraddittorietà, manifesta illogicità di motivazione, atteso che il ruolo di amministratore di fatto dell'A. non è risultato minimamente provato sulla base delle emergenze processuali. La sentenza si limita a riportare interi brani delle dichiarazioni di dipendenti e fornitori della srl, interpretandone, per altro, in maniera distorta le parole. Ciò deve dirsi certamente con riferimento alle dichiarazioni di tali T. , V. e C. . Quest'ultimo era l'amministrazione di diritto e di fatto della società né è esatto sostenere, come si fa in sentenza, che la documentazione offerta dalla Difesa corroborerebbe la ipotesi accusatoria. Invero detta documentazione trattasi di corrispondenza sta a provare che la documentazione contabile e societaria era depositata presso un professionista, ma era nella piena disponibilità del C. , che avrebbe potuto ottenerla ad nutum e che non ha inteso fare ciò. 3. In data 21.12.2012 è stata depositata memoria a forma dell'avv. V. Comi, con la quale si lamenta che il giudice di appello non ha fornito risposta a quanto sostenuto con l'atto di appello e che lo stesso ha travisato il risultato delle prove, in quanto la corrispondenza prodotta dalla difesa sta a dimostrare che la documentazione contabile non era nella disponibilità di A. . Inoltre i dipendenti ascoltati dalla GdF in particolare Valeri Roberta ebbero a dichiarare che il ricorrente si recava saltuariamente nella sede del supermercato, mentre il C. era sempre in loco. Considerto in diritto 1. Il ricorso è inammissibile perché interamente articolato in fatto e tendente a una diversa lettura dei dati processuali, rispetto a quella - congruente e logica - operata dai giudici del merito in due gradi di giudizio. 2. Effettivamente la sentenza di appello riporta interi brani delle dichiarazioni di dipendenti e fornitori della LARIANA srl, ma ciò fa allo scopo di far emergere la concordanza del nucleo centrale di tali dichiarazioni, concordanza che, d'altra parte, la CdA afferma esplicitamente ed esemplifica. Sulla base di tali emergenze probatorie, i giudici di merito hanno ritenuto, certo non illogicamente, che il reale dominus della srl fosse l'A. , il quale, non solo dava direttive, ritirava gli incassi, disponeva trasferimenti di dipendenti, ma compiva anche atti di liberalità verso i predetti la cena sociale offerta a tutti gli impiegati . A. era anche il detentore della quota più rilevante della srl. 2.1. A fronte di tali convergenti dichiarazioni, la Corte territoriale, pur riportando le parole di V. e T. , fornisce comunque una ricostruzione del fatto e una sua interpretazione, assolutamente priva dei denunziati vizi logici. 2.2. Il fatto che il C. , pur sollecitato, non ebbe a ritirare la documentazione giacente presso il commercialista fatto, invero, introdotto solo dal ricorrente non può, di per sé, ritenersi significativo, atteso che, se effettivo dominus era l'A. come le dichiarazioni, specie dei fornitori - secondo la Corte di merito - stanno a dimostrare , il C. non poteva, evidentemente, avere autonomia decisionale su di una questione di tal rilievo. 2.3. Certamente la motivazione della sentenza di appello deve dare conto delle censure poste con l'atto di gravame e deve ad esse fornire replica, ma deve trattarsi di censure in grado di aggredire la trama motivazionale con validi argomenti di diritto e/o con significative prospettazioni in fatto. Ebbene lo stesso difensore nella memoria depositata il 21.12.2012 definisce semplici “spunti” di riflessione quelli offerti dalla Difesa nell’atto di appello. A tali “spunti”, per le ragioni sopra specificate, la complessiva trama argomentativa della sentenza di appello deve ritenersi aver “risposto”. 3. Alla dichiarazione di inammissibilità consegue condanna alle spese e al versamento di somma a favore della Cassa ammende. Si stima equo determinare detta somma in Euro 1.000. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e al versamento della somma di Euro mille alla Cassa delle ammende.