Ancora una volta, per diversa via, giunge all’attenzione dei giudici di merito la problematica relativa alla trascrivibilità, o no, di un accordo intervenuto tra il proprietario risultante dai pubblici registri di un fondo e il soggetto che vanta di aver acquistato la proprietà di quel fondo per intervenuta usucapione.
Il negozio di accertamento di intervenuta usucapione. Accordo con il quale i due soggetti riconoscono che il soggetto usucapiente ha posseduto quel fondo per il tempo previsto dalla norma e, quindi, ne è divenuto proprietario a titolo originario accordo che, per brevità, possiamo chiamare «negozio di accertamento di intervenuta usucapione» . Rispetto a quest’accordo sono necessarie due precisazioni preliminari. La prima, ovvia, è che ove le parti non raggiungano un accordo amichevole l’usucapiente dovrà proporre domanda di accertamento nei confronti del proprietario formale. La seconda considerazione, meno scontata, è che, in una lite del genere, quel «negozio di accertamento di intervenuta usucapione» rappresenta una delle possibili modalità di conclusione della negoziazione tra le parti ben potrebbe capitare, infatti, che esse raggiungano un accordo più complesso o avente natura transattiva che, avendo ad oggetto beni immobili andrebbe trascritto ex articolo 2643, numero 13 indipendentemente dalla questione se sia dichiarativa o costitutiva . Ho precisato, poi, che la stessa questione è giunta ‘per diversa via’ ai giudici di merito poiché nel caso deciso dalla quinta sezione civile del Tribunale di Roma con la sentenza dell’8 febbraio 2012 veniva in considerazione un accordo confluito in un verbale di conciliazione giudiziale, mentre nel caso deciso dalla prima sezione civile Tribunale di Catania il 24 febbraio 2012 veniva in considerazione un verbale di accordo amichevole raggiunto in sede di mediazione prevista dal d.lgs. numero 28/2010. Va subito osservato che la soluzione prescelta dai provvedimenti in esame e, cioè, la soluzione che non consente la trascrizione è in linea con la giurisprudenza assolutamente prevalente sia sul tema del valore del negozio di accertamento che di interpretazione tassativa delle norme in materia di trascrizione. Giurisprudenza che, però, a mio avviso, è fondata su un equivoco di fondo che ha origini lontane e che si è sempre dato per scontato. Il rischio di minare la certezza dei rapporti giuridici. La prima affermazione sulla quale vorrei soffermarmi è quella per la quale riconoscere la trascrivibilità del negozio di accertamento «minerebbe la certezza dei rapporti giuridici poiché consentirebbe alle parti di utilizzare l’istituto della mediazione non già per la composizione di una lite effettiva, bensì per dissimulare operazioni negoziali ai danni di terzi, con seri pregiudizi alla circolazione dei beni». Ma la possibilità di trascrivere un negozio di accertamento di intervenuta usucapione veramente minerebbe la certezza dei rapporti giuridici? Orbene, a mio avviso, questa affermazione sembra presuppone che sempre le parti che si accordino nel senso dell’intervenuta usucapione abbiano di mira effetti diversi da quelli di un riconoscimento effettivo della realtà. Ed infatti, non v’è dubbio che vi possano essere parti che utilizzino schemi leciti per finalità non commendevoli la figura dell’abuso del diritto, del resto, lo testimonia. Ma non perché c’è abuso del diritto possiamo eliminare gli istituti di diritto sostanziale, non perché le donazioni dissimulano spesso compravendite, o viceversa, possiamo eliminare le donazioni o le compravendite. Peraltro, il nostro ordinamento nel disciplinare la simulazione conferma che la simulazione in sé e per sé considerata non è vietata l’importante è che vengano tutelati i terzi. Se allora ammettiamo che con il negozio di accertamento almeno! qualche volta le parti vogliono semplificarsi la vita adeguando l’apparenza e, cioè, le risultanze dei registri immobiliari alla realtà e, cioè, all’intervenuta usucapione con un accordo anziché con una sentenza, quel negozio di accertamento di intervenuta usucapione non sarà un negozio che mina la certezza giuridica anzi all’opposto la facilita. Ed infatti, per fare un esempio, la permanenza di una situazione apparente consentirà di fatto al proprietario formale di vendere o accendere ipoteche sul fondo e, cioè – se me lo si consente – di creare propri aventi causa. Aventi causa che, però, se quell’usucapione si è già maturata saranno destinati senz’altro a soccombere rispetto agli aventi causa del soggetto usucapiente che avrà ottenuto una sentenza di accertamento senz’altro trascrivibile ex articolo 2651 c.c. così Cass. 8792/2000, per la quale l'usucapione priva di qualsiasi efficacia gli atti dispositivi del proprietario, in danno del quale si è poi compiuta, e la trascrizione degli stessi . Aventi causa ai quali, se avranno acquistato lite pendente rectius se avranno trascritto il loro acquisto dopo la trascrizione della domanda giudiziale sarà senz’altro opponibile la sentenza ex articolo 2653, numero 1 c.c. Per gli aventi causa ante litem , invece, la sentenza non sarà opponibile come non sarà opponibile un accordo tra usucapito e usucapiente. Perché è necessaria la sentenza? Ed allora, non sarebbe meglio consentire per via legislativa o di interpretazione estensiva dell’articolo 2651 c.c. anche la trascrizione dell’accordo amichevole? La risposta sul punto è sempre stata negativa anche perché, si è sempre detto e lo hanno ripetuto sia il Tribunale di Roma che quello di Catania, che soltanto «la pronuncia giudiziale di accertamento dell’usucapione contiene un accertamento valevole erga omnes nel senso che la valutazione giuridica del rapporto operata dal giudice che ha pronunciato la sentenza, pur non esplicando tra la parte ed il terzo rimasto estraneo al giudizio la forza di giudicato nell’aspetto tipico considerato dall’articolo 2909 c.c. fa parte tuttavia di quell’affermazione obiettiva di verità i cui effetti anche i terzi sono tenuti a subire». Senonché la sentenza con cui l’usucapiente ottiene tutela rappresenta titolo idoneo alla trascrizione la cui efficacia però – come correttamente riconosciuto dai giudici – è soltanto di pubblicità notizia serve, cioè, ad aggiornare il registro immobiliare consentendo la trascrizione e iscrizione di atti contro il proprietario che aveva agito in accertamento della proprietà. Ma i terzi non sono pregiudicati né dall’accordo né dalla sentenza. Ed infatti, dopo aver escluso i terzi acquirenti lite pendente o ante litem , delle due l’una o sono indifferenti e, quindi, non sono interessati o sono, magari i veri proprietari del bene perché lo hanno usucapito. Ebbene, non v’è dubbio che quei terzi potranno agire senza che la sentenza trascritta possa essere loro opposta. Quella sentenza sarà loro opponibile soltanto per quanto riguarda l’individuazione del soggetto contro cui proporre ed eventualmente trascrivere la domanda di accertamento della proprietà. Contenuto «possibile» del negozio di accertamento. Resta, infine, da esaminare un ulteriore passaggio contenuto espressamente nel provvedimento capitolino dove si legge che «la conciliazione in materia di usucapione debba essere circoscritta solo al superamento della lite riguardo all’esistenza dei presupposti di fatto» e, cioè, del possesso ad usucapionem e «non anche dell’effetto maturatosi in forza di esso accertamento del diritto ». Effetto che sfuggirebbe alla disponibilità delle parti e che renderebbe, pertanto, la controversia in materia di proprietà «non disponibile per coinvolgere interessi di carattere generale, primo fra tutti l’interesse alla sicura e pacifica circolazione dei beni, che verrebbe ad essere compromessa ove di consentisse alle parti un accertamento di tal tipo». Accordo così limitato che peraltro – seguendo questa volta la tesi del tribunale di Catania - «valore probatorio nel senso che valgono a provare tra le parti l’esistenza della situazione giuridica accertata, salva la possibilità per ciascuna parte di offrire prova contraria». Senonché, non si è mai dubitato che la controversia in materia di proprietà – al di là della sua causa petendi – è controversia pienamente disponibile alle parti con la conseguenza che il giudice dovrà decidere la causa sulla base dei fatti pacifici e/o non contestati se le parti sono d’accordo, in altri termini, non dovrà compiere quell’accertamento istruttorio d’ufficio che – forse – è quello la cui esistenza legittima – nel ragionamento classico – l’attribuzione di un’efficacia erga omnes della sentenza di intervenuta usucapione. Prova ne siano, da un lato, la circostanza che nella materia in esame è possibile un arbitrato il cui lodo che dovesse accertare la proprietà in capo a Tizio perché ha usucapito il bene sarebbe trascrivibile. D’altro lato, poi, la giurisprudenza come quella del Tribunale Catanzaro, 20 gennaio 2011 giusta la quale «il possesso pubblico, pacifico, ultraventennale esercitato dagli attori può dirsi dimostrato proprio sulla scorta della non contestazione compiuta dalle parti convenute che, anzi espressamente ne hanno riconosciuto l'esistenza». Conclusioni. Da quanto precede mi sembra oggi i tempi possano dirsi maturi per superare in senso positivo e senza riserve il tema del negozio di accertamento ed addirittura ammettere per via legislativa o per interpretazione estensiva la sua trascrivibilità ex articolo 2651 c.c. come la sentenza e il lodo dal contenuto corrispondente. Ed infine, mi sembra che il problema della tutela dei terzi ove si pone possa essere risolto con i consueti mezzi che l’ordinamento accorda a quei terzi che per qualsiasi ragione di diritto sostanziale siano pregiudicati da una sentenza o da un contratto. Con l’avvertenza finale che la sentenza in materia di diritti disponibili non ha mai una forza privilegiata rispetto al corrispondente contratto intervenuta direttamente tra le parti prova ne sia soltanto l’esistenza del rimedio dell’opposizione di terzo revocatoria. Nelle more, però, il permanere dell’orientamento giurisprudenziale qui preso in esame non deve portare all’equazione inutilità della mediazione e, quindi, sua illegittimità come pure qualcuno ha tentato di sostenere. Ed infatti, il Tribunale di Catania un qualche effetto all’accordo raggiunto lo riconosce e quindi, a tacere di altre possibilità come il conciliare, con l’occasione, anche su altri rapporti , l’eventuale accordo raggiunto in mediazione lo avrebbe certamente nel senso di semplificare rectius rendere superfluo l’accertamento istruttorio e, quindi, procedere immediatamente, magari, con il rito sommario di cognizione. Nulla vieta, infine, alle parti, nell’occasione e valutato ciò che c’è da valutare anche dal punto di vista economico e di tempi, l’eventuale stipulazione di un patto compromissorio.
Tribunale di Catania, sez. I Civile, decreto 24 febbraio Presidente Morgia – Relatore Vitale L’accordo amichevole raggiunto nel procedimento di mediazione avente ad oggetto l’accertamento dell’intervenuta usucapione, stante la sua natura di negozio di mero accertamento, non costituisce –nel vigente sistema di diritto privato titolo idoneo alla trascrizione. Osserva Parte ricorrente chiede, in seno al ricorso introduttivo, che il Tribunale adito, accertata l’illegittimità della riserva apposta alla trascrizione del verbale di accordo amichevole, ordini al Conservatore dei Registri Immobiliari di Catania di eliminare detta riserva ad ogni effetto di legge. Espone in fatto che in seno al procedimento di mediazione ai sensi del D.L.vo n.28/10 l’avv.S.Attardi, nella qualità suddetta, aveva riconosciuto la maturata usucapione dell’immobile sopra indicato in capo a Laudani Carmelo il relativo verbale di accordo amcichevole del 4.07.11 era stato omologato dal Presidente del Tribunale di Catania, ai sensi dell’art.12 del D.Lvo n.28/10, con decreto del 29.07.11 le sottoscrizioni apposte sul verbale medesimo erano state autenticate, come previsto dall’art.11 comma 3 del citato decreto ai fini della trascrizione, dal notaio Cannizzo di Catania alla richiesta rivolta dalla La Spina al Conservatore di procedere alla trascrizione del verbale in questione, il Conservatore aveva, tuttavia, dapprima opposto un rifiuto, indi proceduto a trascrizione con riserva. Sostiene in diritto la trascrivibilità del verbale di accordo amichevole in oggetto in ragione, anzitutto, del carattere obbligatorio, ex art.5 del D.L.vo n.28/10, del procedimento di mediazione il cui previo esperimento è, com’è noto, previsto da tale norma quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale in talune materie tra cui quella afferente ai “diritti reali” , da cui discenderebbe la necessaria attribuzione a detto verbale degli stessi effetti della sentenza, pena la vanificazione della finalità deflattiva perseguita dal legislatore con l’introduzione dell’istituto della mediazione. A sostegno della propria tesi, adduce che lo stesso legislatore ha peraltro previsto che il verbale di accordo amichevole raggiunto in seno al procedimento di mediazione costituisce titolo trascrivibile, ciò attraverso la disposizione contenuta nell’art.11 comma 3 del più volte citato D.L.vo laddove è prevista l’autentica notarile della sottoscrizione del processo verbale di accordo amichevole al fine di procedere a trascrizione “se con l’accordo le parti concludono uno dei contratti o compiono uno degli atti previsti dall’art.2643 c.c.”. La trascrivibilità del verbale di accordo amichevole in oggetto si fonderebbe, in particolare, sull’art.2651 c.c. che prevede la trascrivibilità delle sentenze di accertamento dell’usucapione, cui il verbale di accordo amichevole avente ad oggetto l’accertamento di analoga vicenda dovrebbe, sul piano degli effetti, essere equiparato. Costituitosi all’udienza del 27.10.11, il Conservatore dei Registri Immobiliari di Catania chiede il rigetto del reclamo con argomentazioni giuridiche così riassumibili il verbale di accordo amichevole, avente ad oggetto il riconoscimento della maturata usucapione, non è trascrivibile non potendosi ricondurre ad alcuno degli atti previsti dall’art.2643 c.c., espressamente richiamato dall’art.11 comma 3 del D.L.vo n.28/10, in quanto esso non realizza alcun effetto costitutivo, traslativo o modificativo ma assume il valore di negozio di mero accertamento l’art.2651 c.c. prevede la trascrizione solo della sentenza da cui risulta acquistato per usucapione uno dei diritti indicati dai nn.1, 2 e 4 dell’art.2643 c.c., con ciò escludendo la trascrivibilità degli atti negoziali sia pure produttivi dello stesso effetto della sentenza di accertamento dell’usucapione la trascrizione del verbale di accordo amichevole, avente ad oggetto il riconoscimento dell’acquisto della proprietà a titolo di usucapione, minerebbe la certezza dei rapporti giuridici poiché consentirebbe alle parti di utilizzare l’istituto della mediazione non già per la composizione di una lite effettiva, bensì per “dissimulare operazioni negoziali ai danni di terzi, con seri pregiudizi alla circolazione dei beni”. Con note di controdeduzione depositate all’udienza del 17.11.11, parte ricorrente contrasta le argomentazioni avversarie, in particolare sostenendo che il verbale di accordo amichevole in oggetto rientra nel novero degli atti previsti dall’art.2643 c.c. in quanto all’accordo amichevole di accertamento della maturata usucapione conseguirebbe un effetto modificativo di preesistenti situazioni giuridiche soggettive, perché l’accordo amichevole in questione comunque rientrerebbe nella previsione dell’art.2643 n.13 c.c. possedendo tutti i requisiti richiesti dall’art.1965 c.c. ai fini della sua qualificazione come transazione, perchè esso rientrerebbe in ogni caso nell’alveo dell’art.2645 c.c. quale norma implicitamente richiamata dall’art.11 comma 3 del D.L.vo n.28/10. In via subordinata, sollevava eccezione di illegittimità costituzionale dell’art.11 comma 3 del D.L.vo n.28/10 nella parte in cui tale norma non prevede la trascrizione del verbale di accordo amichevole di accertamento dell’usucapione, per contrasto con gli artt.3, 24 e 111 della Costituzione. Il ricorso è infondato e non merita accoglimento Va osservato, anzitutto, che il verbale di conciliazione contenente l’accertamento della intervenuta usucapione è -contrariamente a quanto sostenuto dal reclamante inidoneo alla trascrizione poiché, in base all’art.11 comma 3 del D.L.vo n.28/10, possono essere trascritti solo gli atti e i contratti previsti dall’art.2643 c.c. laddove il verbale di conciliazione accertativo dell’usucapione, non realizzando alcun effetto costitutivo, traslativo o modificativo ma assumendo il valore di negozio di mero accertamento, non è in alcun modo riconducibile all’ambito applicativo dell’art.2643 c.c. Prive di pregio sono poi le argomentazioni difensive che pretendono di ricondurre l’accordo amichevole in oggetto all’ambito di previsione dell’art.2643 c.c. ipotizzandone la natura transattiva e quindi riconducendolo alla categoria indicata nell’art.2643 n.13 c.c. ovvero assimilandolo agli atti previsti dall’art.2645 c.c., dovendosi di certo escludere la natura transattiva dell’accordo in questione pe difetto dei necessari requisiti “reciproche concessioni” delle parti ed essendo, per altro verso, non risolutivo il richiamo all’art.2645 c.c. che, com’è noto, prevede la trascrivibilità di “ogni altro atto o provvedimento che produce in relazione a beni immobili o a diritti immobiliari taluni degli effetti dei contratti menzionati nell’art.2643 c.c.”. La trascrivibilità del verbale di accordo amichevole contenente l’accertamento dell’intervenuta usucapione non può nemmeno ammettersi per il tramite dell’art.2651 c.c., dal momento che tale norma prevede la trascrizione solo della sentenza accertativa dell’usucapione. Al riguardo, è opportuno ricordare che il contratto di accertamento, definibile come il contratto mediante il quale le parti riconoscono l’esistenza o il contenuto di un loro rapporto giuridico preesistente, può avere ad oggetto –come generalmente ammesso sia in dottrina che in giurisprudenza anche la proprietà e gli altri diritti reali. I negozi di accertamento della proprietà e degli altri diritti reali non hanno però efficacia costitutiva e non rientrano tra i modi di acquisto dei diritti reali, ma hanno piuttosto valore probatorio nel senso che valgono a provare tra le parti l’esistenza della situazione giuridica accertata, salva la possibilità per ciascuna parte di offrire prova contraria ossia di provare che la situazione reale è diversa da quella accertata . Ed infatti, secondo il sistema del diritto privato, l’atto ricognitivo di diritti reali non può essere ricompreso tra i mezzi legali di acquisto della proprietà, configurandosi invece come semplice atto dichiarativo che, in quanto tale, presuppone che il diritto stesso effettivamente esista secondo un titolo, onde –in difetto di tale titolo esso non può crearlo e neppure rappresentarlo se non a quest’ultimo effetto, attraverso l’esplicito richiamo e la menzione del titolo stesso vedi Cass.n.20198/04, Cass.n.8365/00 . Così, nel caso di specie, il negozio di accertamento dell’usucapione intercorso tra le parti ha avuto ad oggetto il riconoscimento da parte dell’usucapito in favore dell’usucapiente dell’esistenza dei presupposti di fatto possesso e tempo al cui verificarsi l’acquisto del diritto di proprietà in capo al secondo opera, invero, “ex lege” stante la natura originaria ed il carattere automatico dell’acquisto per usucapione . Cò premesso, si comprende la ragione per la quale l’art.2651 c.c. prevede la trascrivibilità della sola sentenza accertativa dell’usucapione, e non del negozio di accertamento avente ad oggetto la medesima vicenda. Né la trascrivibilità del negozio di accertamento dell’usucapione può desumersi in via interpretativa dal citato art.2651 c.c. ove si consideri che l’effetto accertativo di tale negozio rileva, come detto, su di un piano meramente probatorio tra le parti rimuovendo l’incertezza tra le stesse circa i fatti a fondamento dell’acquisto a titolo originario, dispensando la parte a favore della quale il riconoscimento è stato compiuto dall’onere di provare il rapporto come accertato e ponendo a carico della parte che ha compiuto il riconoscimento l’onere della prova contraria , mentre la pronuncia giudiziale di accertamento dell’usucapione contiene un accertamento valevole “erga omnes” nel senso che la valutazione giuridica del rapporto operata dal giudice che ha pronunciato la sentenza, pur non esplicando tra la parte ed il terzo rimasto estraneo al giudizio la forza di giudicato nell’aspetto tipico considerato dall’art.2909 c.c., fa parte tuttavia di quell’affermazione obiettiva di verità i cui effetti anche i terzi sono tenuti a subire così Cass.n.10435/03, Cass.n.7557/03 . Della sentenza accertativa dell’usucapione è perciò prevista la trascrizione sebbene si tratti in questo caso di mera pubblicità-notizia, atteso che l’acquisto a titolo originario per usucapione si compie ed è efficace al maturare del periodo e dei requisiti richiesti dalla legge per usucapire il diritto ed esso è di per sé opponibile a qualsisasi terzo che accampi pretese sul bene, a prescindere dalla trascrizione della sentenza . Chiarito, dunque, che nel vigente sistema la trascrizione del negozio di accertamento dell’usucapione non è prevista, va presa in considerazione la questione di legittimità costituzionale sollevata da parte ricorrente, incentrata sull’assunto che l’accordo amichevole stipulato in sede di mediazione, tanto più nei casi come quello in esame in cui il previo esperimento del tentativo di conciliazione è previsto come obbligatorio, debba avere gli stessi effetti della sentenza pronunciata all’esito del giudizio che il positivo esperimento del procedimento di mediazione ha consentito di evitare e debba quindi, qualora abbia ad oggetto l’accertamento dell’intervenuta usucapione, essere trascrivibile al pari della sentenza accertativa della medesima vicenda, dovendosi in caso contratio l’art.11 comma 3 del D.L.vo n.28/10 considerare illegittimo –per contrasto con gli artt.3, 24 e 111 Cost. nella parte in cui non prevede la trascrizione del negozio di accertamento dell’usucapione. In proposito, va osservato che la questione proposta, sebbene non manifestamente infondata alla stregua dei principi costituzionali sopra richiamati e per le ragioni esposte dal ricorrente nelle note di controdeduzione, è tuttavia priva di rilevanza nel presente procedimento in relazione al petitum , avente ad oggetto l’eliminazione della riserva apposta dal Conservatore alla trascrizione del verbale di accordo amichevole intercorso tra le parti. Alla luce delle superiori considerazioni, la questione di legittimità costituzionale sollevata da parte ricorrente va respinta. Le spese processuali, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza e vanno poste a carico del reclamante. P.T.M. Visti gli artt.2674 bis c.c. e 113 ter c.c. Rigetta il reclamo proposto da La Spina Giuseppa quale rappresentante di Laudani Carmelo. Condanna La Spina Giuseppa alla rifusione delle spese processuali in favore del Conservatore dei Registri Immobiliari di Catania che liquida in complessivi euro 1.200,00, di cui euro 400,00 per diritti di procuratore, il resto per onorario.
Tribunale ordinario di Roma, sez. V Civile, decreto 8 febbraio 2012 Presidente Norelli - Relatore Dedato Fatto Celeste Bernabei, a seguito dei dubbi manifestati dalla Conservatoria dei Registri Immobiliari sulla trascrivibilità del verbale di conciliazione giudiziaria del 21.3.2011, in forza del quale si accertava l’intervenuto acquisto per usucapione in favore dell’esponente del diritto di proprietà sul cespite immobiliare sito in Roma, via Largo Falvaterra numero 3, scala A, int.15, per non poter essere equiparato il verbale de quo alle sentenze di accertamento degli acquisti per usucapione di cui all’articolo 2651 c.c., ha presentato istanza per la trascrizione con riserva ex articolo 2674 bis c.c., a seguito della quale la Conservatoria ha eseguito la detta formalità. Celeste Bernabei, nel proporre il presente reclamo, osserva che alla conciliazione si era giunti in difetto di ogni contestazione da parte dei convenuti sull’intervenuta usucapione, quindi “ nel concorde e reciproco rilievo circa l’inutilità della prosecuzione del giudizio.” La dedotta intrascrivibilità del verbale di conciliazione avrebbe dunque vanificato ogni utilità del medesimo. Diritto Il verbale di conciliazione giudiziale avente ad oggetto l’accertamento dell’intervenuta usucapione del diritto di proprietà non si risolve in uno degli accordi di cui all’articolo 2643 c.c., perché non realizza un effetto modificativo, estintivo o costitutivo, ma assume al contrario il valore di un mero negozio di accertamento, con efficacia dichiarativa e retroattiva, finalizzato a rimuovere l’incertezza, mediante la fissazione del contenuto della situazione giuridica preesistente. Negozio di accertamento in relazione al quale nessuna forma di pubblicità legale è prevista. Pertanto, il verbale di conciliazione in esame, non essendo riconducibile ad una delle ipotesi di cui alla disposizione normativa di cui all’articolo 2643 c.c. non può in forza di detta norma essere trascritto. Oltretutto, l’accertamento di cui si discute può avere ad oggetto solo il possesso ad usucapionem con effetti limitati alle parti, non potendo essere demandato all’autonomia negoziale l’accertamento del diritto di proprietà per intervenuta usucapione con valenza erga omnes, in quanto simile accertamento sfugge alla disponibilità delle parti, essendo riservato al giudice. Trattasi di controversia non disponibile per coinvolgere interessi di carattere generale, primo fra tutti l’interesse alla sicura e pacifica circolazione dei beni, che verrebbe ad essere compromessa ove si consentisse alle parti un accertamento di tal tipo. Ed invero, consentire l’accertamento con effetto erga omnes dell’intervenuto acquisto del diritto per usucapione, andrebbe a minare la funzione di certezza dei rapporti giuridici, ben potendo le parti utilizzare tale istituto non per la composizione di una lite effettiva ma per dissimulare operazioni negoziali illecite, con seri pregiudizi alla circolazione dei beni e alla tutela dell’affidamento dei terzi. L’assenza di ogni « garanzia di veridicità » in relazione a detto accertamento rende, quindi, il medesimo in grado di compromettere le esigenze di sicurezza nel traffico giuridico sopra richiamate. Pertanto, si può ritenere che la conciliazione in materia di usucapione debba essere circoscritta solo al superamento della lite riguardo all’esistenza dei presupposti di fatto. Oggetto della conciliazione potrà essere l’accertamento del possesso ad usucapionem e non anche dell’effetto maturatosi in forza di esso accertamento del diritto . La conciliazione, dunque, in siffatta materia consente l’utilizzo del negozio di accertamento per risolvere il contrasto fra le parti, eliminando la situazione d’incertezza grazie all’espresso riconoscimento da parte dell’usucapito del possesso ad usucapionem. Così delimitata l’operatività della conciliazione in materia di usucapione si deve ritenere che nella fattispecie in esame, caratterizzata dalla mancanza di una controversia tra le parti sui presupposti fattuali dell’istituto non essendoci stata in merito alcuna contestazione da parte dell’usucapito, non vi era spazio per la conciliazione. In tali ipotesi, infatti, la finalità della conciliazione, che si identifica nella prevenzione/risoluzione della lite, giammai potrebbe realizzarsi, perché, non essendovi per l’appunto contestazione sui presupposti fattuali dell’usucapione, non esiste la lite e non c’è alcuna controversia da dirimere. Pertanto, si potrà ricorrere alla via conciliativa solo quando sussiste una controversia in fatto. Per concludere, se il fatto è pacifico tra le parti, come nel caso in esame, e se quindi l’usucapiente persegue solo l’interesse, diverso e ulteriore rispetto alla risoluzione della controversia con l’usucapito, di ottenere un accertamento del diritto acquistato per usucapione con valenza erga omnes, non altrimenti ottenibile se non in sede giudiziaria, non potrà utilmente seguire la via conciliativa. E’ evidente che quanto fin qui detto non può essere rimeditato a seguito del D. lgs. numero 28/10 che, nel prevedere tra le controversie soggette alla conciliazione obbligatoria le controversie in materia di diritti reali articolo 5 , ha fatto inevitabilmente rientrare tra dette controversie l’istituto dell’usucapione, atteggiandosi quale modo di acquisto del diritto di proprietà e dei diritti reali di godimento. Ed invero, considerato che in forza dell’articolo 2 D. lgs. numero 28/10 l’accesso alla mediazione per la conciliazione è limitato alle controversie vertenti su diritti disponibili, si deve ritenere che solo l’accertamento del possesso ad usucapionem con effetti limitati alle parti può essere demandato all’autonomia negoziale e non anche l’accertamento del diritto di proprietà per intervenuta usucapione con valenza erga omnes, in quanto simile accertamento rientra, come su detto, nel novero degli atti riservati al giudice. Quindi, dal raffronto degli articolo 2 e 5 del D. Lgs numero 28/10 si può ritenere che la mediazione in materia di usucapione debba essere circoscritta solo al superamento della lite riguardo all’esistenza dei presupposti di fatto. Pertanto, si potrà, anzi meglio si dovrà, attesa l’obbligatorietà della mediazione, ricorrere alla via conciliativa solo quando sussiste una controversia in fatto, con la conseguenza che se il fatto è pacifico tra le parti l’usucapiente potrà direttamente instaurare il processo innanzi all’autorità giudiziaria, la quale, preso atto della mancanza della lite da conciliare, non potrà rilevare l’improcedibilità della domanda. Se, invece, la controversia sussiste, l’usucapiente sarà obbligato a seguire la via conciliativa, ma, ove raggiunga l’accordo conciliativo, questo non sarà ostativo per l’instaurazione o la prosecuzione del successivo giudizio innanzi all’autorità giudiziaria al fine di ottenere l’accertamento erga omnes, quindi, di soddisfare il diverso e ulteriore interesse rispetto a quello soddisfatto dalla conciliazione, posto che con l’accordo conciliativo la controversia in fatto fra le parti unica per l’appunto mediabile è venuta meno. Quanto detto non va a minare la bontà del sistema conciliativo, in quanto il legislatore, nel prevedere strumenti di conciliazione, non ha mai perseguito lo scopo di rendere equivalente il procedimento di conciliazione al processo, quindi, di assicurare alle parti con la conciliazione un risultato equiparabile alle sentenze, sul presupposto che l’intento deflattivo potesse anche in tal modo realizzarsi, ben potendo le parti « accontentarsi » di un risultato minore, che, nella specie, si identificherebbe nell’interesse dell’usucapiente di risolvere la controversia in fatto con colui che formalmente risulta essere proprietario del bene, per non essere dal medesimo pregiudicato nell’esercizio del possesso, interesse, sicuramente meritevole di tutela, tant’è che su tale presupposto è pacificamente ammessa l’eccezione riconvenzionale di usucapione proposta dall’usucapiente al fine esclusivo di paralizzare l’azione reale proposta nei suoi confronti. L’accordo conciliativo in materia di usucapione, dunque, produce effetti solo tra le parti ex articolo 1372 c.c. e proprio per questa ragione si colloca su un piano nettamente differente rispetto alle sentenze di usucapione, le quali, oltre ad eliminare l’incertezza in modo incontrovertibile tra le parti, i loro eredi o aventi causa, producono, altresì, la cosiddetta efficacia riflessa nei confronti dei terzi, tant’è che ne è prescritta la trascrizione, sia pure con il limitato effetto della pubblicità notizia, evidentemente esclusa per il negozio di accertamento, che per la limitata portata dei suoi effetti non può certo paragonarsi alla sentenza. In conclusione, la sentenza e il negozio di accertamento hanno in comune solo l'effetto di fissare la situazione preesistente, ma l'accostamento non può andare oltre, rimanendo ferma la differenza, soprattutto sotto il profilo degli effetti, posto che il negozio di accertamento rimane tamquam non esset rispetto ai terzi. Né tantomeno si può ritenere che ove il negozio di accertamento sia contenuto nel verbale di conciliazione giudiziale venga ad essere snaturato dalla sua valenza negoziale e sia, quindi, equiparabile alle sentenze di accertamento da cui risulta acquistato per usucapione uno dei diritti indicati dai numeri 1, 2 e 4 dell’articolo 2643 c.c Ed invero, l’intervento del giudice, a prescindere dalla circostanza che abbia attivamente partecipato alla composizione, ovvero si sia limitato a registrare l’accordo intervenuto direttamente fra le parti, non altera la natura consensuale dell’atto di composizione che le parti volontariamente concludono. Il giudice si spoglia della sua funzione di accertare chi ha ragione e chi ha torto, offrendo la soluzione, in termini giuridici, del caso concreto, e svolge la funzione di favorire l’incontro tra le volontà delle parti, senza entrare nel merito dei termini dell’accordo, limitandosi ad attribuire all’atto di conciliazione garanzie prettamente formali, dovendo solo controllare, oltre alla sua regolarità da un punto di vista formale, la sua conformità all’ordine pubblico e alle norme imperative il che nulla ha a che vedere con la decisione di causa contenziosa. In conclusione, gli effetti sostanziali della convenzione sono stabiliti dalla concorde volontà delle parti, volontà che è quella predominante, sia pure favorita ed agevolata dall’opera del giudice per raggiungere l’accordo. Le considerazioni appena esposte inducono, quindi, a ritenere non idoneo alle formalità pubblicitarie di cui all’articolo 2651 c.c. il verbale di conciliazione giudiziale avente ad oggetto l’accertamento dell’acquisto del diritto di proprietà o di altro diritto reale di godimento per intervenuta usucapione. Per comprendere il particolare rigore che spinge a delimitare gli effetti del negozio di accertamento in materia di usucapione e ad escluderne la trascrivibilità basta soffermarsi sulla particolare efficacia che il legislatore ha riservato all’istituto dell’usucapione, quale mezzo migliore per dare certezza ai rapporti giuridici e conferire sicurezza alle contrattazioni, rimediando alle inevitabili lacune del nostro sistema di pubblicità legale. L’usucapione è caratterizzata, infatti, dalla retroattività l’acquisto non deriva dal precedente proprietario ma è a titolo originario, risale al momento in cui inizia il possesso ad usucapionem e travolge tutti gli atti dispositivi posti in essere dal precedente proprietario anche se debitamente trascritti. Da ciò ne consegue che l’interessato, nella ricerca a ritroso nei registri immobiliari, non è tenuto ad andare oltre ove dovesse scoprire la trascrizione di una sentenza di accertamento per intervenuta usucapione, la quale determinerebbe la fine della catena precedente, che faceva capo al proprietario usucapito, e nel contempo darebbe vita ad una nuova catena di acquisti a titolo derivativo. Ed è proprio questa particolare forza dell’usucapione che giustifica il rigore che va utilizzato nello stabilire la configurabilità di atti equipollenti alla sentenza di accertamento dell’usucapione e soprattutto la loro idoneità ad essere trascritti, in quanto un’interpretazione liberale tesa a consentire la trascrivibilità determinerebbe l’ingresso nei registri immobiliari di atti che, per non fornire risultanze probatorie privilegiate, sarebbero in grado di pregiudicare la sicurezza nella circolazione dei beni. P.Q.M. Il Tribunale, in composizione collegiale, sul ricorso avverso la trascrizione con riserva proposto da Celeste Bernabei, così provvede. Rigetta il reclamo.