In tema di condominio negli edifici, spetta alla parte che si oppone alla richiesta di accertamento dell’usucapione dimostrare che l’asserito possesso sul quale è fondata la domanda non era tale in quanto tollerato e quindi inutilizzabile ai fini dell’acquisto del possesso utile a vantare l’acquisto della proprietà o di altro diritto reale.
Questa, in massima sintesi, la sentenza con la quale la Corte di Cassazione, con la sentenza numero 13608, depositata in cancelleria lo scorso 30 maggio 2013, ha cassato l’impugnata pronuncia della Corte d’appello di Genova e rimesso le parti davanti ad altra sezione della stessa Corte. Il caso . Una condomina agisce citando davanti al Tribunale del capoluogo ligure il condominio nel quale possiede un’unità immobiliare. Scopo ottenere l’accertamento dell’usucapione di un vano un tempo destinato a locale portineria. Tanto il giudice di primo grado, quanto quello del gravame, però, le danno torto. Secondo i magistrati genovesi non v’era prova dell’avvenuta usucapione, tutt’altro. Nella sentenza impugnata si affermava che un verbale assembleare e comunque la situazione di fatto emersa dall’istruttoria non potevano portare a considerare fondata la richiesta di accertamento dell’avvenuto acquisto per usucapione della proprietà di quel vano dell’edificio. La condomina non ha condiviso queste tesi e si è rivolta ai giudici di piazza Cavour questi, sia pur solamente cassando la pronuncia di seconde cure, le hanno dato ragione. I beni condominiali, oltre ad essere utilizzati in modo più intenso, possono anche essere usucapiti . Quando si parla di uso delle cose comuni in condominio, sia pur riferendosi all’articolo 1102 c.c., si è abituati a commentare pronunce che riguardano il diritto d’uso da parte di un condomino ed i suoi limiti in relazione ai diritti degli altri comproprietari. Eppure quella norma si compone di due commi il secondo specifica che «il partecipante non può estendere il suo diritto sulla cosa comune in danno degli altri partecipanti, se non compie atti idonei a mutare il titolo del suo possesso». Insomma una cosa è utilizzare, sia pur in modo esclusivo, una parte dell’edificio condominiale, altra utilizzarla comportandosi non da comproprietari ma da proprietari esclusivi. Chiaramente è necessario provare, anche attraverso elementi indiretti, l’ animus possidendi. Vale la pena fare un esempio per chiarire questa distinzione che pur essendo teoricamente chiara nell’applicazione pratica può esserlo meno. Non si comporta come possessore in via esclusiva chi usa un vano comune anche occupandolo tutto, ma di fatto permettendo a chiunque volesse di utilizzarlo. Si comporta da possessore esclusivo e non da condomino, invece, chi utilizza una parte comune chiudendola con una serratura le cui chiavi sono nel suo esclusivo possesso. In tali casi, tuttavia, non basta ciò per considerare partito il countdown per l’usucapione. Serve anche comprendere il comportamento degli alti condomini. Insomma questa prepotenza, per dirla fuori dal linguaggio tecnico-giuridico, è stata tollerata o s’è dimostrata acquiescenza? La tolleranza del comportamento di chi reclama l’usucapione dev’essere provata da chi la invoca . Vale la pena ricordare che secondo l’orientamento più recente e consolidato espresso dalla Corte regolatrice, «gli atti di tolleranza, che secondo l'articolo 1144 c.c., non possono servire di fondamento all'acquisto del possesso, sono quelli che implicando un elemento di transitorietà e saltuarietà comportano un godimento di modesta portata, incidente molto debolmente sull'esercizio del diritto da parte dell'effettivo titolare o possessore, e soprattutto traggono la loro origine da rapporti di amicizia o familiarità - come nella specie - o da rapporti di buon vicinato sanzionati dalla consuetudine , i quali mentre a priori ingenerano e giustificano la permissio , conducono per converso ad escludere nella valutazione a posteriori la presenza di una pretesa possessoria sottostante al godimento derivatone» Cass. numero 4327/2008 . L’esistenza di tali elementi utili ad escludere il possesso ad usucapionem , ergo la prova dev’essere fornita da chi li invoca. E’ questo è uno dei motivi per i quali la Cassazione, con la sentenza in esame, ha rimandato le parti davanti alla Corte d’appello. I magistrati di secondo grado, dicono da piazza Cavour, avevano liquidato troppo sbrigativamente la vicenda. Nell’emettere quella sentenza era stata commessa una violazione di legge articolo 2697 c.c. in quanto, han detto e ribadito gli ermellini , «spetta a chi contesta il fatto del possesso, e lo abbia subito, l’onere di dimostrare che lo stesso è stato dovuto a tolleranza». E ciò non era avvenuto. L’esito del giudizio di rinvio ci dirà se il condominio aveva effettivamente tollerato oppure no. Certo è che una domanda sorge spontanea trattandosi di una causa avente ad oggetto l’usucapione e quindi di una controversia riguardante la titolarità dei diritti reali su di un bene, non dovrebbe essere necessario il litisconsorzio tra tutti i condomini? Del perché non sia stato così nella sentenza non c’è traccia.
Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 19 febbraio - 30 maggio 2013, numero 13608 Presidente Triola – Relatore D’Ascola Svolgimento del processo 1 È controversa la avvenuta usucapione di un vano sito nell'ingresso condominiale del condominio sito in via omissis , definito in sentenza casotto ex portinaio . Il tribunale di Genova nel 2005 e la Corte d'appello ligure il 4 luglio 2009 hanno respinto la domanda spiegata dalla signora P.I M. . Hanno escluso che sia stato dimostrato un valido possesso ad usucapionem , perché il manufatto, inizialmente adibito a portineria, era rimasto nella utilizzazione della M. per tolleranza degli altri condomini. L'attrice ha proposto ricorso per cassazione, notificato il 1 ottobre 2010, svolgendo tre censure, tornando a sostenere che la guardiola era stata sempre e solo utilizzata dalla propria famiglia di origine come ripostiglio. Il Condominio ha resistito con controricorso. Con ordinanza 26790/11 è stata disposta acquisizione dell'autorizzazione dell'assemblea condominiale a resistere in giudizio. Il difensore nominato dall'amministratore autorizzato vi ha provveduto. Motivi della decisione 2 La Corte territoriale ha rigettato l'appello della I. sulla base di queste argomentazioni a Il manufatto era adibito in origine a portineria, circostanza desunta dal verbale di assemblea 18 luglio 1993 b ciò rende verosimile la circostanza che, una volta dismesso il servizio, i condomini abbiano tollerato l'uso fattone dalla attrice, trattandosi di porzione di area condominiale modesta 2 mq e marginale c la situazione descritta uso della guardiola per deposito di oggetti vari dai testimoni indotti da parte I. era compatibile con la tolleranza, non avendo la ricorrente esercitato il possesso contrastante e incompatibile con il possesso altrui d altro teste aveva scarsa conoscenza dei fatti e l'opera era stata realizzata per usi di portineria, restando irrilevante che l'avesse costruita il padre dell'attrice. 3 Il ricorso, che sfugge al disposto dell'articolo 366 bis cpc, abrogato in relazione all'impugnazione di ricorsi avverso sentenze pronunciate a partire dal 4 luglio 2009, data di entrata in vigore della legge 69/09, verte su tre motivi 4 Con il primo sono denunciati violazione e falsa applicazione articolo 2697, 2702, 2719 e/o 112, 115, 116 cpc vizi di motivazione. La censura coglie nel segno laddove evidenzia che la tesi sub a è stata argomentata dalla Corte d'appello affermando che l'uso del manufatto come portineria non era stato oggetto di specifica impugnazione cosi la sentenza a pag 3 in fine . Il ricorso fa rilevare che l'atto di appello aveva invece puntualmente contestato ciò, come si ricava esplicitamente dalla pag. 4, nella quale si contesta espressamente l'idoneità dei documenti avversari a provare che la guardiola fosse adibita a portineria, circostanza contraddetta anche nelle pagine precedenti con il richiamo delle contrarie risultanze testimoniali. Ne risulta un' evidente insufficienza della motivazione, che, privata di uno dei suoi fondamenti resta affidata, sul punto, al dato, in sé privo di univocità, della indicazione di tale uso nel verbale di assemblea, atto proveniente dalla parte appellata il Condominio . Inoltre la sentenza non offre risposta alla contestazione di conformità all'originale dei verbali assembleari, ripetuta sempre a pag. 4 dell'atto di appello a rafforzamento della tesi circa il permanente uso esclusivo del manufatto da parte della famiglia I. , ditalché la premessa da cui muove è, sul punto, priva di consistenza quanto all'obbligo di adeguata motivazione. 5 Il secondo motivo lamenta violazione e/o falsa applicazione degli articolo 1102, 1140, 1141, 1144, 1158, 1164, 1168 e 2697 c.c. in relazione all'articolo 360 numero 3, 4 e 5 c.p.c La censura concerne la tolleranza dei condomini riguardo all'uso della guardiola da parte della I. . Fondatamente il ricorso critica la Corte d'appello per aver addebitato alla attrice la mancata dimostrazione di un possesso apertamente contrastante con il possesso altrui, partendo dal presupposto che l'uso quale deposito era compatibile con la tolleranza dei condomini. Parte ricorrente con opportuni richiami giurisprudenziali ricorda che a fronte della prova dell'uso prolungato nel tempo di un bene, che non è normalmente compatibile con la mera tolleranza configurabile, di regola, nei casi di transitorietà ed occasionalità -, spetta a chi contesta il fatto del possesso, e lo abbia subito, l'onere di dimostrare che lo stesso è stato dovuto a mera tolleranza Cass. 17339/09 3404/09 . Anche in questo caso la Corte di appello ha quindi fatto malgoverno delle risultanze processuali, piegandole a un' interpretazione errata della normativa in tema di onere della prova del possesso ad usucapionem. 6 Fondato è anche il terzo motivo di ricorso, che denuncia violazione dell'articolo 232 cpc e omessa motivazione e/o omessa pronuncia con riguardo alla mancata risposta alla censura di cui al punto dell'atto di appello. In particolare il ricorso lamenta che il giudice di appello avrebbe dovuto considerare che il tribunale non aveva tenuto conto della omessa risposta dell'amministratore all'interrogatorio formale deferitogli sulle circostanze dedotte a prova testimoniale. Invoca quindi l'omessa pronuncia su questa doglianza e censura la motivazione viziata dal non aver tenuto conto, come sarebbe stato possibile ex articolo 232 c.p.c. che i fatti dedotti potevano essere considerati come ammessi dall'interrogato. La censura, che trova riscontro negli atti, cogli nel segno sia sotto l'aspetto processuale che sotto quello motivazionale, quest'ultimo dipendente dall'omesso esame della doglianza esposta al giudice di appello e da questi ignorata, che costituiva risultanza meritevole di vaglio. 7 Discende da quanto esposto l'accoglimento del ricorso. La sentenza impugnata va cassata e la cognizione rimessa ad altra sezione della Corte di appello di Genova per il riesame dell'appello e la liquidazione delle spese di questo giudizio. La Corte dovrà pronunciarsi sulla questione posta dal terzo motivo, dovrà nuovamente motivare sull'esistenza dei presupposti della domanda in relazione alle censure accolte e dovrà attenersi al principio di diritto in tema di onere della prova, enunciato mediante richiamo ai citati precedenti del 2009. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia ad altra sezione della Corte di appello di Genova, che provvederà anche sulla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.