Il coniuge affidatario del figlio minorenne ha diritto, ai sensi dell’articolo 211 della l. 19 maggio 1975 numero 151, a percepire gli assegni familiari corrisposti per tale figlio all’altro coniuge, indipendentemente dall’ammontare del contributo per il mantenimento del figlio fissato in sede di separazione, salvo che sa diversamente stabilito in modo espresso negli accordi di separazione.
Gli assegni familiari per il coniuge invece, in mancanza di una previsione analoga al citato articolo 211, spettano al lavoratore cui sono corrisposti per consentirgli di far fronte al suo obbligo di mantenimento ex articolo 143 e 156 c.c Ad affermarlo è la Corte di Cassazione, nell’ordinanza numero 12770 del 23 maggio 2013. Il caso. La separazione di una coppia triestina approda in Cassazione per iniziativa del marito che impugna la sentenza di Appello in punto contributo al mantenimento di moglie e figli quattro, di cui tra minorenni ed uno economicamente non autosufficiente . La Corte di Appello, secondo il ricorrente, avrebbe dovuto considerare gli assegni familiari percepiti dalla moglie convivente con i figli, e derivanti dal proprio rapporto di lavoro subordinato, come parte del mantenimento dovuto dal padre ai medesimi. Il genitore obbligato, in sostanza, chiedeva di poter versare la differenza tra quanto stabilito dal giudice a suo carico e quanto percepito dalla moglie, a titolo di assegni familiari. Lo stesso ragionamento veniva fatto per quanto riguarda l’assegno di mantenimento cui il ricorrente era tenuto a favore della moglie. In questo caso però gli assegni, diciamo, INPS, venivano percepiti dal lavoratore stesso. Il caso è comune il marito di solito si trova la busta paga decurtata degli assegni familiari, pagati dall’Ente previdenziale direttamente alla moglie con cui convive la prole, e deve anche versare l’assegno di mantenimento ai figli minori. Se la coperta è corta, è facile che i piedi rimangano scoperti . Il mantenimento è dovuto per intero e non può essere decurtato degli assegni percepiti per legge dal coniuge affidatario. La Cassazione, riprendendo per la verità un principio già enunciato Cass. numero 5060/2003 numero 5135/1989 , rigetta il motivo di ricorso, osservando che l’articolo 211, L. 19 maggio 1975 numero 151, Il coniuge cui i figli sono affidati ha diritto in ogni caso a percepire gli assegni familiari per i figli, sia che ad essi abbia diritto per un suo rapporto di lavoro, sia che di essi sia titolare l'altro coniuge , attribuisce detti assegni al coniuge con cui conviva la prole, indipendentemente da quanto percepito a titolo di concorso al mantenimento da parte dell’altro genitore. Ed indipendentemente dal fatto che siano percepiti in forza del rapporto di lavoro del coniuge affidatario o collocatario ovvero in forza del rapporto di lavoro dell’altro coniuge. Di conseguenza, in mancanza di specifica pattuizione – sempre possibile – nel verbale omologato, o nella sentenza all’esito di una giudiziale, il contributo al mantenimento stabilito nelle condizioni di separazione, è dovuto per intero e non può essere decurtato degli assegni percepiti per legge dal coniuge con cui convive la prole. Invece gli assegni familiari percepiti dal lavoratore per il coniuge “a carico” continuano ad essere erogati al titolare del rapporto di lavoro, non esistendo, per il coniuge, una disposizione analoga a quella di cui all’articolo 211 citato, così da consentirgli di far fronte ai suoi obblighi di contribuzione e mantenimento ex articolo 143 e 156 c.c La Corte osserva che se nulla di specifico è stato previsto negli accordi di separazione, si deve ritenere che il giudice di merito, ai fini della determinazione del contributo al mantenimento del coniuge, abbia tenuto conto anche di questa particolare entrata. Dunque se le parti nulla prevedono in punto assegni familiari percepiti ex lege, la loro percezione appare “neutra” per il coniuge affidatario o collocatario , “sensibile” per il coniuge non affidatario nel senso che nel caso di assegno per il coniuge a carico, l’importo erogato si aggiunge alla busta paga e viene considerato per la determinazione del contributo all’altro coniuge . Condanna alle spese processuali. Il marito si doleva anche del fatto che la Corte d’Appello avesse tenuto a suo carico le spese processuali la Cassazione ricorda che solo la compensazione delle spese deve essere sorretta da idonea motivazione, non l’applicazione della regola della soccombenza. Inoltre in merito alla valutazione della soccombenza, totale o parziale, di una parte, ricorda che «in tema di liquidazione delle spese giudiziali, il criterio della soccombenza non si fraziona secondo l’esito delle varie fasi, ma va considerato unitariamente all’esito finale della lita, non rilevando che in qualche grado o fase del giudizio la parte soccombente abbia conseguito un esito per sé favorevole» sent. numero 19880/2011 .
Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza 13 marzo - 23 maggio 2013, numero 12770 Presidente Di Palma – Relatore Didone Ritenuto in fatto e in diritto 1.- Pronunciata con sentenza non definitiva la separazione personale dei coniugi E. - A. , il Tribunale di Trieste, con sentenza dell'8.7.2011, ha provveduto sulla domanda di addebito formulata da A.M. nel confronti del coniuge, sull'affidamento dei figli minori, sull'assegnazione della casa familiare e sulla domanda di attribuzione di assegno di mantenimento in favore della moglie e dei figli di cui uno maggiorenne non autosufficiente e tre ancora minori , determinato, rispettivamente, in Euro 300,00 mensili per la moglie e in Euro 150,00 mensili per ciascun figlio. La Corte di appello di Trieste, provvedendo sulle impugnazioni proposte dalle parti, ha - per quanto ancora interessa - confermato le statuizioni relative all'assegno di mantenimento e, in parziale riforma della decisione, ha posto a carico del marito “il 50% delle spese straordinarie”, preventivamente concordate. Ricorre per cassazione E.T. , il quale formula tre motivi. Resiste con controricorso l'intimata. È stata depositata relazione ai sensi dell'articolo 380 bis c.p.c Il relatore ha concluso per il rigetto del ricorso. La relazione, con il decreto di fissazione dell'adunanza, è stata notificata alle parti e comunicata al P.M 2.- Con il primo e il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione di legge e vizio di motivazione. Deduce che la sentenza impugnata è errata nella parte in cui non prevede che gli assegni di mantenimento in favore della moglie e dei figli siano comprensivi degli assegni familiari di cui al d.p.r. numero 797/1955. Gli assegni familiari, percepiti direttamente dalla A. , dovrebbero essere computati nel quantum complessivo liquidato a carico del ricorrente. Lamenta 2^ motivo l'omessa considerazione delle sue esigenze di vita. 2.1.- “Il coniuge affidatario del figlio minorenne ha diritto, ai sensi dell'articolo 211 della legge 19 maggio 1975 numero 151, a percepire gli assegni familiari corrisposti per tale figlio all'altro coniuge in funzione di un rapporto di lavoro subordinato di cui quest'ultimo sia parte, indipendentemente dall'ammontare del contributo per il mantenimento del figlio fissato in sede di separazione consensuale omologata a carico del coniuge non affidatario, salvo che sia diversamente stabilito in modo espresso negli accordi di separazione. Gli assegni familiari per il coniuge, consensualmente o giudizialmente separato invece, in mancanza di una previsione analoga al citato articolo 211, spettano al lavoratore, cui sono corrisposti per consentirgli di far fronte al suo obbligo di mantenimento ex articolo 143 e 156 cod. civ., con la conseguenza che, se nulla al riguardo è stato pattuito dalle parti in sede di separazione consensuale ovvero è stato stabilito dal giudice in quella giudiziale , deve ritenersi che nella fissazione del contributo per il mantenimento del coniuge si sia tenuto conto anche di questa particolare entrata” Sez. 1, Sentenza numero 5060 del 02/04/2003 Sez. U, Sentenza numero 5135 del 27/11/1989 . Alla luce di tale giurisprudenza della S.C., dunque, il motivo appare manifestamente infondato quanto all'assegno in favore dei figli e inammissibile nella parte in cui la censura è riferita anche all'assegno in favore della moglie, posto che dalla sentenza impugnata risulta che il ricorrente, in sede di appello, aveva lamentato soltanto che l'assegno in favore dei figli dovesse essere comprensivo degli assegni familiari e nel ricorso non risultano specificamente indicati il luogo e le modalità di devoluzione della questione relativa agli assegni familiari percepiti per la moglie. La censura, poi, è manifestamente infondata nella parte in cui denuncia che la corte di merito non abbia tenuto conto, nella determinazione dell'assegno di mantenimento, degli ulteriori oneri derivanti a carico dei ricorrente in conseguenza della nascita di figli naturali da una successiva unione, perché, invece, la corte di merito ha valutato la circostanza e l'ha considerata irrilevante - condividendo, sul punto l'analogo giudizio del tribunale - alla luce dell'apporto economico della nuova compagna dell'obbligato. Nel resto i motivi sono inammissibili nella parte in cui formulano censure in fatto 2^ motivo ovvero relative a circostanze permanenza dell'obbligo nel periodo di affidamento dei figli che - dalla motivazione della sentenza - non risultano dedotte nella fase di merito e nel ricorso non sono specificamente indicati il luogo e le modalità di devoluzione della questione relativa. 2.2.- Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione dell'articolo 91 c.p.c. e relativo vizio di motivazione in ordine alla disposta condanna alle spese in considerazione soltanto della soccombenza in relazione al capo concernente l'addebito della separazione. Il motivo è inammissibile, quanto al vizio di motivazione, perché “in tema di spese processuali, solo la compensazione dev'essere sorretta da motivazione, e non già l'applicazione della regola della soccombenza cui il giudice si sia uniformato, atteso che il vizio motivazionale ex articolo 360, primo comma, numero 5, cod. proc. civ., ove ipotizzato, sarebbe relativo a circostanze discrezionalmente valutabili e, perciò, non costituenti punti decisivi idonei a determinare una decisione diversa da quella assunta” Sez. 2, Sentenza numero 2730 del 23/02/2012 mentre è manifestamente infondato nella parte in cui denuncia violazione di legge, perché la pronuncia impugnata appare conforme all'insegnamento per il quale “in tema di liquidazione delle spese giudiziali, il criterio della soccombenza non si fraziona secondo l'esito delle varie fasi, ma va considerato unitariamente all'esito finale della lite, senza che rilevi che in qualche grado o fase del giudizio la parte poi soccombente abbia conseguito un esito per sé favorevole” Sez. 3, Sentenza numero 19880 del 29/09/2011 . Correttamente, dunque, la corte di merito ha disposto in ordine alle spese tenendo conto dell'esito complessivo del giudizio. 3.- Il ricorso, quindi, deve essere rigettato. Le spese del giudizio di legittimità - liquidate in dispositivo - seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 4.100,00 di cui Euro 100,00 per esborsi oltre accessori come per legge.