L’effettiva convivenza non rileva ai fini del rinnovo del permesso di soggiorno

Nell'ipotesi del coniuge del cittadino italiano o UE tra i criteri di riconoscimento iniziale e conservazione dei titoli di soggiorno previsti dal d.lgs numero 30 del 2007 non rientra la convivenza effettiva, ma rimane il divieto di abuso del diritto e di frode, realizzabile mediante matrimoni fittizi.

Ad affermarlo è la Corte di Cassazione, nella sentenza numero 12745 del 23 maggio 2013. Il caso . La fattispecie al centro della controversia esaminata dalla Cassazione si impernia su un provvedimento del questore che ha rigettato l’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno per motivi i famiglia, proposta da una cittadina straniera. Il diniego alla domanda di rinnovo era motivato dalla sopravvenuta cessazione della convivenza tra la cittadina straniera e il coniuge italiano. Di conseguenza, non era più integrata la condizione richiesta dalla legge articolo 19 e 30 d.lgs. numero 286/1998 . Mentre il giudice di primo grado aveva confermato il provvedimento amministrativo, la Corte di appello aveva ribaltato la decisione del Tribunale sostenendo che la cessazione di fatto della convivenza, dopo almeno sette anni di matrimonio e di convivenza effettiva attestata dai due precedenti permessi di soggiorno per motivi familiari, non costituisce circostanza idonea a far venire meno le condizioni per il rinnovo dello stesso permesso, in quanto il vincolo coniugale non può essere considerato fittizio. Inoltre, la convivenza attestata per più di cinque anni determina il diritto ad acquisire il diritto di soggiorno permanente in forza dell’articolo 14 d.lgs. numero 30/2007, a meno che si verifichino le condizioni di decesso, partenza del cittadino UE, divorzio o annullamento del matrimonio. Sul requisito necessario della convivenza effettiva . Il Ministero dell’Interno e la questura hanno quindi proposto ricorso per Cassazione sostenendo che sia la disciplina del d.lgs. numero 286/1998 che quella più favorevole rappresentata dal d.lgs. numero 30/2007 richiedono la convivenza effettiva come elemento imprescindibile del rapporto di coniugio. La sua mancanza, non occasionale ma stabile come quella accertata nella fattispecie oggetto del ricorso comporta il venir meno delle condizioni per il rilascio del permesso di soggiorno per motivi familiari. Infatti, l’articolo 19, d.lgs. numero 286/1998 esige esplicitamente la convivenza con il coniuge di nazionalità italiana, come l’articolo 30 della stessa normativa prevede che il permesso di soggiorno debba essere revocato nel caso in cui sia accertato che al matrimonio non sia seguita l’effettiva convivenza. Il mero rapporto di coniugio non sana l’irregolarità dello straniero perché la disciplina richiede che oltre al matrimonio ci sia l’ulteriore requisito della convivenza effettiva. Di conseguenza, la condizione d’inespellibilità è connessa alla persistenza del suddetto requisito, qualora non sussista l’ulteriore requisito rappresentato dal soggiorno regolare. Il quadro normativo . Prima di esaminare in maniera puntuale la questione oggetto del ricorso, risulta opportuno ricordare il quadro normativo applicabile alla fattispecie. La disciplina del permesso di soggiorno per motivi familiari richiesto dal cittadino straniero coniuge del cittadino italiano è individuabile nel T.U. numero 286/1998 e il D.lgs. numero 30/2007 che ha recepito in Italia la Direttiva 2004/38/CE in materia di diritto dei cittadini comunitari e dei loro familiari di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri. La questione di diritto intertemporale . La cittadina straniera, in quanto coniugata con un cittadino italiano, ha domandato il rinnovo del permesso di soggiorno per motivi familiari prima dell’entrata in vigore del d.lgs. numero 30/2007, ma il provvedimento di diniego è stato emanato nell’agosto 2009, in pieno vigore della nuova disciplina di derivazione comunitaria. In proposito, infatti, l’articolo 10 stabilisce che fino alla data di entrata in vigore del predetto decreto, è rilasciato il titolo di soggiorno previsto dalla normativa vigente alla data di entrata in vigore del decreto. Il riferimento al rilascio del titolo di soggiorno e non alla richiesta induce a pensare che bisogna riferirsi al momento finale del procedimento amministrativo, al fine di verificare se può essere applicabile il d.lgs. numero 30/2007. La concessione del diritto al ricongiungimento familiare è frutto di un procedimento complesso, a formazione progressiva, nel quale le valutazioni della Questura o dello Sportello Unico vengono seguite dagli accertamenti della Rappresentanza diplomatica. Non importa che sia stato rilasciato il nulla osta dall'autorità amministrativa se dopo sia stato negato il visto d'ingresso . In proposito, più in particolare, la Suprema Corte ha avuto modo di pronunciarsi, osservando che il procedimento di riconoscimento del diritto al ricongiungimento del familiare dello straniero regolarmente soggiornante nel territorio dello Stato, ha natura complessa ed è a formazione progressiva coinvolgendo l'attività valutativa dell'autorità amministrativa, di natura non discrezionale, quella dell'autorità diplomatica e l'eventuale ricorso, di natura non impugnatoria, al giudice ordinario, secondo quanto previsto dall'articolo 30, comma 6, d.lgs. numero 286/1998. Di conseguenza, vi sarà l'immediata applicabilità dello jus superveniens intervenuto nel corso della procedura, dovendo l'accertamento dei requisiti essere valutato alla stregua dei parametri normativi vigenti all'esito dell'iter procedimentale. Pertanto, nel caso di rilascio del visto d'ingresso al genitore dello straniero soggiornante nel territorio dello Stato, non rileva che sia stato rilasciato il nulla osta dall'autorità amministrativa, alla stregua dei parametri vigenti al momento dell'adozione dell'atto, se successivamente, in corso di procedura, a causa dell'insorgenza di un regime giuridico meno permissivo sia stato negato il visto d'ingresso, essendo, anzi, necessario in sede di giudizio davanti al tribunale che sia allegato dal richiedente il possesso dei più rigorosi requisiti richiesti da sopravvenuto d.lgs. 3 ottobre 2008 numero 160, articolo 1 lett. a, sub D, ossia assenza di altri figli nel paese d'origine o sussistenza di gravi e documentate ragioni di salute idonea ad escluderne l'autosufficienza economica. Quale regime si applica in caso di clandestinità? La Cassazione si concentra, poi, sulla questione dell’applicabilità della nuova disciplina alle fattispecie in cui vi è ingresso o soggiorno irregolare nel territorio italiano. Recentemente un’altra decisione della Suprema Corte ha affermato che il familiare coniuge del cittadino di uno Stato membro dell'Unione europea, dopo aver trascorso nel territorio dello Stato i primi tre mesi di soggiorno informale, è tenuto a richiedere la carta di soggiorno e, sino al momento in cui non ottenga detto titolo la sua condizione di soggiornante regolare rimane disciplinata dalla legislazione nazionale, in forza della quale, ai fini della concessione del permesso di soggiorno per coesione familiare, nonché ai fini della concessione e del mantenimento del titolo di soggiorno per coniugio, è imposta la sussistenza del requisito della convivenza effettiva il cui accertamento compete all'Amministrazione ed è soggetto al controllo del giudice così Cass. numero 17346/2010 . Tuttavia, in quella fattispecie il coniuge di cittadino italiano aveva richiesto il diritto di soggiorno informale fino a tre mesi e non il permesso per motivi familiari da rinnovare senza soluzione di continuità. Il diritto al rispetto della vita familiare stabilito nell'articolo 8 CEDU. Occorre, dunque, considerare come gli Stati membri, ai sensi dell’articolo 35 della Dir. 2004/38/CE possono rifiutare un diritto in caso di abuso di diritto o frode, come, ad esempio un matrimonio fittizio, valutando la tempistica tra l’ingresso nel territorio nazionale, la richiesta della carta di soggiorno e l’assenza di convivenza tra i coniugi. In proposito, tuttavia, la stessa Cassazione ha osservato che al cittadino di paese terzo coniuge di cittadino dell'Unione europea, può essere rilasciato un titolo di soggiorno per motivi familiari anche quando non sia regolarmente soggiornante nel territorio dello Stato, in quanto non è compatibile con la suddetta Direttiva, una normativa interna che imponga la condizione del previo soggiorno regolare in uno Stato membro prima dell'arrivo nello Stato ospitante, al coniuge del cittadino dell'Unione. Ricorso rigettato . Quindi si esclude il rilievo della regolarità od irregolarità della situazione nel nostro territorio dello straniero, qualificabile come familiare ai sensi degli articolo 2 e 3, d.lgs. numero 30/2007, ai fini del riconoscimento del titolo di soggiorno per motivi di coesione familiare. Tra i criteri di riconoscimento iniziale e conservazione dei titoli di soggiorno previsti da tale normativa, non si può includere la convivenza effettiva. Tuttavia, il provvedimento del questore impugnato non si giustifica alla luce del divieto dell'abuso del diritto o a causa del verificarsi di una frode ma solo in virtù dell'accertamento della cessazione sopravvenuta, dopo sei anni di matrimonio, della convivenza tra i coniugi, ritenuta oggettivamente ostativa al rinnovo del permesso di soggiorno. Non è compiuta infatti alcuna valutazione relativa alla natura fittizia o reale del vincolo coniugale.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, sentenza 9 gennaio - 23 maggio 2013, numero 12745 Presidente Di Palma – Relatore Acierno Svolgimento del processo e motivi della decisione Nel provvedimento impugnato la Corte d'Appello di Venezia ha accolto il reclamo proposto dalla cittadina straniera avverso il provvedimento del Tribunale di Verona con il quale era stato confermato il provvedimento del 13/8/2009 del Questore di rigetto dell'istanza di rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di famiglia dalla medesima avanzata. Tale diniego era stato motivato dalla sopravvenuta cessazione della convivenza tra la richiedente ed il coniuge italiano S S. con conseguente venir meno della condizione richiesta dall'articolo 19, secondo comma lettera e del d.lgs numero 286 del 1998 e dall'articolo 30, comma 1 bis del d.lgs numero 286 del 1998. Il giudice di secondo grado ha riformato la decisione del Tribunale sulla base delle seguenti argomentazioni a l'attività di prostituta svolta dalla richiedente non integra il requisito della pericolosità richiesto dalla legge b la cessazione di fatto della convivenza, dopo almeno sette anni di matrimonio e di convivenza effettiva attestata dai due precedenti permessi di soggiorno per motivi familiari rilasciati alla cittadina straniera, alla luce degli articolo 1, 7, 10 e 14 del d.lgs n 30 del 2007 è inidonea a far venire meno le condizioni per il rinnovo del predetto permesso, non potendo il vincolo coniugale in oggetto essere ritenuto fittizio c l'attestata convivenza per oltre cinque anni determina il diritto ai sensi dell'articolo 14 del d.lgs numero 30 del 2007 all'acquisizione del diritto di soggiorno permanente articolo 14 d.lgs numero 30 del 2007 , salvo che si verifichino le condizioni indicate nell'articolo 11 decesso o partenza del cittadino UE o il divorzio o l'annullamento del matrimonio articolo 12 . Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per cassazione il Ministero dell'Interno e la Questura di Verona, premettendo, in fatto - che la cittadina straniera era stata espulsa il 24/9/1998 con provvedimento divenuto definitivo all'esito del rigetto dell'opposizione proposta avverso di esso, che aveva richiesto permesso di soggiorno in sanatoria secondo il D.P.C.M. 16/10/98, respinto, così come l'istanza di regolarizzazione presentata il 26/1/99. - che il T.A.R. Veneto con ordinanza numero 1163 del 2000 aveva respinto l'istanza di sospensione cautelare del provvedimento del Questore di Verona - che il 6/7/2001 veniva richiesto permesso di soggiorno per motivi di famiglia, a seguito del matrimonio contratto il giorno precedente con S S. - che tale permesso veniva rinnovato fino al 2/5/2007 ed, infine, revocato con il provvedimento impugnato, disposto il 13/8/2009 dopo aver verificato all'esito di svariati sopralluoghi presso il domicilio coniugale e l'attuale abitazione del marito che era cessata la convivenza tra i predetti coniugi. Alla luce della premessa sopra illustrata, è stato prospettato un unico complesso motivo nel quale si censura la violazione dell'articolo 19, secondo comma, lettera c e 30 lettera b del d.lgs numero 286 del 1998 nonché l'articolo 35 della Direttiva 2004/38/CE. Si ritiene errata l'affermazione secondo la quale nel provvedimento di primo grado sarebbe stato erroneamente applicata la disciplina del d.lgs numero 286 del 1998 invece che quella più favorevole del d.lgs numero 30 del 2007, in quanto entrambe richiedono l'effettiva convivenza come elemento imprescindibile del rapporto di coniugio. La sua mancanza, non temporanea od occasionale ma stabile come quella accertata in capo alla richiedente determina il venir meno delle condizioni per il rilascio del permesso di soggiorno per motivi familiari. L'articolo 19, secondo comma, lettera c richiede espressamente la convivenza con il coniuge di nazionalità italiana. Ugualmente, l'articolo 30, primo comma, così come modificato ex l. numero 189 del 2002 stabilisce che il permesso di soggiorno debba essere revocato qualora sia accertato che al matrimonio non sia seguita l'effettiva convivenza. Infine l'articolo 35 della citata Direttiva afferma che gli Stati membri possono adottare le misure necessarie per rifiutare, estinguere e revocare un diritto conferito dalla presente direttiva, in caso di abuso di diritto o di frode, come ad esempio un matrimonio fittizio. Secondo la prospettazione di parte ricorrente il solo rapporto di coniugio non sana la posizione del cittadino straniero che versi in condizione di irregolarità prima della celebrazione del matrimonio essendo specificamente richiesto l'ulteriore requisito della convivenza effettiva. Ne consegue che la condizione d'inespellibilità è rigidamente ancorata alla persistenza del predetto requisito in mancanza dell'ulteriore requisito costituito dal soggiorno regolare articolo 30 . Una volta accertato che il cittadino straniero non convive con il coniuge italiano viene meno la clausola che ha permesso di congelare la posizione di irregolarità dello straniero medesimo il quale torna nella situazione preesistente al matrimonio non legittimante la permanenza nel nostro territorio. L'applicazione del d.lgs numero 30 del 2007 non modifica, secondo la parte ricorrente, la conclusione indicata dal momento che il titolo di soggiorno non può essere ottenuto con la sola esibizione del certificato di matrimonio ma è necessario, oltre al vincolo di parentela, anche l'effettivo consortium vitae. Nessun articolo del d.lgs numero 30 del 2007 prevede sanatorie o legalizzazioni indirette per i cittadini stranieri coniugati con cittadini italiani che si trovino in condizioni d'irregolarità. Tale nuova normativa richiede l'ingresso regolare nel territorio nazionale e l'accertamento di una reale vita coniugale. In particolare l'articolo 5 del predetto decreto legislativo richiede l'assoggettamento al visto d'ingresso per i familiari non aventi la cittadinanza in uno Stato membro dell'UE. Anche il sistema normativo Europeo impone ed autorizza accertamenti e controlli al fine d'impedire che il matrimonio con un cittadino di uno Stato UE diventi uno strumento per sanare una situazione d'irregolare soggiorno. L'esame dell'unico motivo di ricorso richiede la preventiva soluzione di un duplice ordine di questioni, concernenti la individuazione del sistema normativo applicabile. Sul regime giuridico del permesso di soggiorno per motivi familiari richiesto dal cittadino straniero coniuge del cittadino italiano, interferiscono sia il T.U. numero 286 del 1998 articolo 19, secondo comma, lettera C e articolo 30 comma 1 bis sia il D.lgs numero 30 del 2007 con il quale è stata recepita in Italia la Direttiva 2004/38/CE, relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri articolo 2, 12, secondo comma . In primo luogo si pone, con riferimento alla concreta fattispecie dedotta in giudizio, in ordine logico, un quesito di diritto intertemporale. La cittadina straniera, in quanto coniugata con cittadino italiano, ha richiesto il rinnovo del permesso di soggiorno per motivi familiari già concessole in precedenza altre due volte il 27/2/2007, prima dell'entrata in vigore del d.lgs numero 30/2007, avvenuta in data 11 aprile 2007 ma il provvedimento di diniego è stato emanato il 13/8/2009, e la validità del permesso medesimo scadeva in data successiva all'entrata in vigore del d.lgs numero 30 del 2007 , in piena vigenza della nuova disciplina normativa di derivazione comunitaria. L'articolo 10, primo comma, del d.lgs numero 30 del 2007, peraltro, afferma fino alla data di entrata in vigore del predetto decreto il decreto ministeriale da emanarsi entro sei mesi dall'entrata in vigore della nuova disciplina legislativa , è rilasciato il titolo di soggiorno previsto dalla normativa vigente alla data di entrata in vigore del presente decreto . Risulta, pertanto, necessario, anche alla luce della disposizione di diritto transitorio sopra indicata, individuare a quale dei due sistemi normativi ricondurre l'ipotesi di richiesta del permesso, formulata nell'esclusiva vigenza del T.U. numero 286 del 1998 e di rilascio, intervenuto nel pieno vigore del successivo d.lgs numero 30 del 2007. Lo specifico richiamo al rilascio del titolo di soggiorno, e non alla richiesta, contenuta nel citato articolo 10, conduce inequivocamente a ritenere che è al momento finale del procedimento amministrativo cui bisogna riferirsi per stabilire se può essere applicabile, qualora ne ricorrano le altre condizioni, il d.lgs. numero 30 del 2007, non potendosi trascurare che, in concreto, il decreto destinato alla predisposizione dei modelli conformi di Carta di soggiorno, non risulta essere stato mai emanato. La norma va, conseguentemente, interpretata in modo sistematico, non potendosi ritenere, in quanto soluzione aberrante, che il nuovo regime giuridico, in mancanza del decreto attuativo, non sia ancora applicabile. Alla predetta conclusione può, tuttavia, giungersi anche alla luce dei più recenti orientamenti della giurisprudenza di questa Corte che si sono sviluppati in fattispecie contigue a quella dedotta nel presente giudizio, in quanto relative alla richiesta del visto d'ingresso per ricongiungimento familiare degli ascendenti stranieri di cittadini stranieri [articolo 29, primo comma, lettera d del T.U. numero 286 del 1998, così come sostituito dall'articolo 1, comma 1, lettera a del d.lgs numero 160 del 2008] e al permesso di soggiorno per coesione familiare per i parenti diversi dal coniuge ed i figli [articolo 19, secondo comma lettera c che limita l'inespellibilità ai parenti fino al secondo grado, dopo la modifica restrittiva introdotta dall'articolo 1, comma 22, lettera p della l. numero 94 del 2009]. In entrambe queste fattispecie, la Corte ha definitivamente affermato che il rilascio del visto di ingresso allo straniero richiedente il ricongiungimento familiare Ord. numero 17544 del 2010, 7218 del 2011 e il rinnovo del permesso di soggiorno per motivi familiari si configurano come l'atto conclusivo di un procedimento amministrativo a formazione complessa nel quale, per il principio tempus regit actum , l'autorità amministrativa, cui spetta di applicare la legge vigente all'atto dell'adozione del provvedimento, è tenuta ad applicare la nuova legge sopravvenuta durante lo svolgimento del procedimento e fino alla sua definitiva conclusione. La necessità di una sequenza procedimentale di una certa complessità, nella specie, è desumibile proprio dall'intervallo temporale biennale, intercorso tra la richiesta di rinnovo e il provvedimento di diniego, emesso all'esito di una lunga istruttoria endoprocedimentale relativa all'accertamento del requisito della convivenza effettiva. Una volta accertata l'astratta applicabilità del d.lgs numero 30 del 2007 anche all'ipotesi in cui la richiesta di permesso preceda l'entrata in vigore del nuovo regime giuridico ma il rilascio sia ad esso successivo, occorre procedere ad una successiva verifica di applicabilità della nuova disciplina normativa di derivazione comunitaria alla fattispecie dedotta nel presente giudizio. Il permesso di soggiorno per motivi familiari o per coesione familiare rientra nelle misure volte a riconoscere, in via generale, il diritto all'unità familiare, coperto da garanzia costituzionale interna articolo 29 Cost. Europea articolo 7 e 9 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea e costituzionale - convenzionale articolo 8 e 12 CEDU . Si tratta, dunque, di un diritto che, pur non in forma incondizionata, è riconosciuto ai cittadini stranieri in qualità di diritto della persona, come espressamente riconosciuto dal T.U. numero 286 del 1998 nel Titolo IV articolo 28-33 . Gli strumenti individuati dal legislatore del T.U. sono il visto d'ingresso per ricongiungimento familiare articolo 29 ed il permesso di soggiorno per motivi familiari articolo 30 oltre che il richiamato divieto di espulsione formulato all'articolo 19 secondo comma lettera c del medesimo T.U. L'applicabilità di quest'ultimo divieto determina in capo ai cittadini stranieri, ancorché in posizione d'ingresso o soggiorno irregolare nel nostro paese, il diritto ad ottenere un titolo di soggiorno rinnovabile, a situazione immutata, periodicamente. Queste misure riguardano in via generale i cittadini stranieri, non appartenenti all'Unione Europea e i loro familiari. Il T.U., tuttavia, all'articolo 28, secondo comma, contiene una previsione che riguarda i familiari stranieri dei cittadini italiani e dell'Unione Europea, ai quali viene non solo riconosciuto ma anche facilitato il diritto all'unità familiare. Il comma sopracitato prevede, infatti, che Ai familiari stranieri di cittadini italiani o di uno Stato membro dell'Unione Europea continuano ad applicarsi le disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 30 dicembre 1965, numero 1656, fatte salve quelle più favorevoli della presente legge o del regolamento di attuazione . Com'è agevole desumere già dall'esame testuale della norma, la categoria dei familiari dei cittadini italiani riceve una tutela ampliata dal legislatore del T.U., in quanto impone una valutazione comparativa della legge speciale e di quella generale dell'epoca, al fine d'individuare, in concreto, il regime giuridico adottabile alle singole richieste di applicazione del diritto all'unità familiare. Il d.p.r. numero 1656 del 1965 è stato abrogato e sostituito dal d.p.r. numero 54 del 2002 T.U. delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di circolazione e soggiorno dei cittadini degli Stati membri UE .Quest'ultimo testo normativo è stato abrogato con l'articolo 25, secondo comma, del d.lgs numero 30 del 2007 Alla data di entrata in vigore del presente decreto sono o restano abrogati il decreto del Presidente della Repubblica 30 dicembre 1965, numero 1656, il decreto legislativo 18 gennaio 2002, numero 52, il decreto del Presidente della Repubblica 18 gennaio 2002, numero 53, il decreto del Presidente della Repubblica 18 gennaio 2002, numero 54 . Tale norma di coordinamento tra la nuova disciplina normativa e il sistema ante vigente contiene un primo, rilevante indice della volontà del legislatore delegato di non limitare l'applicazione del d.lgs. 30 del 2007 al diritto di circolazione e conseguente soggiorno dei cittadini UE e dei loro familiari, come previsto dalla Direttiva 2004/38/CE ma di estenderne il regime giuridico anche alla diversa ipotesi del diritto al soggiorno dei familiari di cittadini italiani che non invocano l'unità familiare come conseguenza della circolazione in area UE ma siano stanziali nel loro Stato di cittadinanza. Tale estensione, non prevista ma certamente non esclusa dalla Direttiva 2004/38/CE, è stata espressamente stabilita nell'articolo 23 del d.lgs numero 30 del 2007, recante il titolo applicabilità1 ai soggetti non aventi la cittadinanza italiana che siano familiari di cittadini italiani secondo il quale Le disposizioni del presente decreto legislativo, se più' favorevoli, si applicano ai familiari di cittadini italiani non aventi la cittadinanza italiana . Dalla lettura coordinata degli articolo 23 del d.lgs. numero 30 del 2007 e 28, secondo comma, d.lgs. numero 286 del 1998 sopradescritti, deriva la diretta ricomprensione, nell'ambito di applicazione del d.lgs. numero 30 del 2007, dell'esercizio del diritto all'unità familiare, nelle forme ed alle condizioni previste da tale legge, da parte dei familiari stranieri non appartenenti all'Unione Europea, di cittadini italiani. La lacuna astrattamente introdotta dall'abrogazione della precedente disciplina normativa speciale ad opera dell'articolo 28, secondo comma, d.lgs. numero 286 del 1998 è stata, conseguentemente, colmata con l'articolo 23 d.lgs. numero 30 del 2007 che ha disposto l'assoggettamento di tale specifica categoria di familiari al decreto legislativo numero 30 del 2007, conservando però la clausola di salvaguardia dell'obbligo di comparazione con il T.U. sull'immigrazione al fine di verificare in concreto il regime giuridico più favorevole in funzione della salvaguardia del diritto all'unità familiare. Ai fini della concreta inclusione della disciplina normativa del d.lgs. numero 30 del 2007 nella valutazione comparativa delle fonti, così come previsto dal citato articolo 23, occorre, tuttavia, affrontare l'ulteriore quesito relativo all'applicabilità del nuovo regime giuridico alle ipotesi d'ingresso o soggiorno irregolare nel territorio italiano, pur dovendosi sottolineare che nella specie, la cittadina straniera ha richiesto il rinnovo del permesso di soggiorno tempestivamente senza determinare alcuna soluzione di continuità nella regolarità del suo soggiorno fino al diniego successivo derivato dall'accertamento sopravvenuto della mancanza della convivenza effettiva. L'interrogativo rimane comunque rilevante, essendo stato recentemente affermato da questa Corte che Il familiare coniuge del cittadino italiano o di altro Stato membro dell'Unione Europea , dopo aver trascorso nel territorio dello Stato i primi tre mesi di soggiorno informale , è tenuto a richiedere la carta di soggiorno ai sensi dell'articolo 10 del d.lgs. numero 30 del 2007 e, sino al momento in cui non ottenga detto titolo . , la sua condizione di soggiornante regolare rimane disciplinata dalla legislazione nazionale, in forza della quale, ai fini della concessione del permesso di soggiorno per coesione familiare articolo 19, comma 2, lett. C , del d.lgs. numero 286 del 1998 e 28 del d.P.R. numero 394 del 1999 , nonché ai fini della concessione e del mantenimento del titolo di soggiorno per coniugio, è imposta la sussistenza del requisito della convivenza effettiva il cui accertamento compete all’Amministrazione ed è soggetto al controllo del giudice. Cass. 17346 del 2010 . L'apparente inapplicabilità della disciplina normativa del d.lgs. numero 30 del 2007, nell'intervallo temporale che segue alla proposizione della richiesta e precede il rilascio o il n diniego del titolo di soggiorno è agevolmente superabile alla luce di un esame puntuale della diversa fattispecie su cui si fonda la decisione sopra illustrata, in quanto relativa alla situazione del coniuge di cittadino italiano che richieda la carta di soggiorno per motivi familiari versando nella condizione di cui all'articolo 6, secondo comma, del d.lgs. numero 30 del 2007 cosiddetto diritto di soggiorno informale fruibile senza condizioni fino a tre mesi e non, invece, come nella fattispecie dedotta nel presente giudizio, di un titolo di soggiorno valido ed efficace, permesso per motivi familiari da rinnovare in prossimità della sua scadenza, la terza , senza soluzione di continuità. Le differenze fattuali e giuridiche riscontrate inducono a ritenere che con il rigoroso orientamento soprarichiamato si sia voluto richiamare il limite di applicazione delle misure di tutela dell'unità familiare, costituito dall'abuso del diritto, espressamente sancito nell'articolo 35 della Direttiva 2004/38/CE Gli Stati membri possono adottare le misure necessarie per rifiutare, estinguere o revocare un diritto conferito dalla presente direttiva, in caso di abuso di diritto o frode, quale ad esempio un matrimonio fittizio. Qualsiasi misura di questo tipo è proporzionata ed è soggetta alle garanzie procedurali previste agli articoli 30 e 31 , e nel nostro diritto positivo all'articolo 30 comma 1 bis del d.lgs. numero 286 del 1998, attesa la peculiare sequenza temporale in concreto intervenuta tra l'ingresso nel nostro territorio, la richiesta della Carta di soggiorno e l'insussistenza della convivenza tra i coniugi. Al riguardo, occorre tuttavia sottolineare che alla luce della sentenza della Corte di Giustizia C-27 del 25 luglio 2008 caso Metock , negli orientamenti successivi la Corte di Cassazione, aderendo ai principi indicati dalla Corte di Giustizia, ha ritenuto che Al cittadino di paese terzo coniuge di cittadino dell'Unione Europea, può essere rilasciato un titolo di soggiorno per motivi familiari anche quando non sia regolarmente soggiornante nel territorio dello Stato, in quanto alla luce dell'interpretazione vincolante fornita dalla sentenza della Corte di Giustizia numero C-27 del 25 luglio 2008, la Direttiva 2004/38/CE consente a qualsiasi cittadino di paese terzo, familiare di un cittadino dell'Unione, ai sensi dell'articolo 2, punto 2 della predetta Direttiva che accompagni o raggiunga il predetto cittadino dell'Unione in uno Stato membro diverso da quello di cui ha la cittadinanza, di ottenere un titolo d'ingresso o soggiorno nello Stato membro ospitante a prescindere dall'aver già soggiornato regolarmente in un altro Stato membro, non essendo compatibile con la Direttiva, una normativa interna che imponga la condizione del previo soggiorno regolare in uno Stato membro prima dell'arrivo nello Stato ospitante, al coniuge del cittadino dell'Unione, in considerazione del diritto al rispetto della vita familiare stabilito nell'articolo 8 della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo. Principio affermato ai sensi dell'articolo 360 bis, numero 1, cod. proc. civ. . Cass. numero 13112 del 2011 3210 del 2011 . Dovrebbe, in conclusione, definitivamente escludersi il rilievo della regolarità od irregolarità della situazione nel nostro territorio dello straniero, qualificabile come familiare ai sensi degli articolo 2 e 3 del d.lgs. numero 30 del 2007, ai fini del riconoscimento del titolo di soggiorno per motivi di coesione familiare. Premessa la piena applicabilità alla fattispecie dedotta nel presente giudizio della disciplina normativa contenuta nel d.lgs. numero 30 del 2007, deve escludersi che tra i criteri di riconoscimento iniziale e conservazione dei titoli di soggiorno previsti da tale normativa, possa farsi rientrare, nell'ipotesi del coniuge del cittadino italiano o UE, la convivenza effettiva. Al riguardo deve osservarsi preliminarmente che in sede di rinnovo del permesso per motivi di coesione familiare, rilasciato inizialmente nell'esclusiva vigenza del regime giuridico del T.U. numero 286 del 1998, occorre verificare da parte dell'Autorità amministrativa, se le condizioni legittimanti il titolo di soggiorno posseduto, determinino il diritto a fruire delle misure di tutela dell'unità familiare prevista dal nuovo testo normativo. D.lgs. numero 30 del 2007 . Il diritto di soggiorno del familiare del cittadino italiano è regolato dall'articolo 7, primo comma lettera d e dall'articolo 10 del d.lgs. numero 30 del 2007. Le due disposizioni normative che riguardano specificamente il cittadino dell'Unione e i suoi familiari, in quanto sono inserite in un contesto legislativo che mira a garantire la circolazione in ambito UE, devono venire interpretate alla luce dell'applicazione estensiva del nuovo regime anche ai familiari dei cittadini italiani non circolanti. In particolare, con riferimento alla fattispecie dedotta in giudizio, il diniego del permesso di soggiorno è stato determinato esclusivamente dal difetto sopravvenuto del requisito della convivenza. Ne consegue che l'accertamento giurisdizionale è strettamente vincolato dalla motivazione del provvedimento amministrativo e deve limitarsi al riscontro, alla luce della nuova disciplina normativa delle condizioni riconducibili all'unione coniugale. Le norme applicabili ai familiari di cittadini italiani, al riguardo, sono gli articolo 12 e 13. La prima disciplina le ipotesi in cui il divorzio o l'annullamento del matrimonio contratto con il cittadino italiano conducono alla perdita del diritto al soggiorno, escludendone pertanto la privazione automatica. In particolare, il familiare che non abbia già ottenuto la carta di soggiorno permanente, ipotesi coincidente al caso di specie perde il diritto al soggiorno in assenza di figli minori se il matrimonio è durato complessivamente meno di tre anni di cui meno di uno sul territorio nazionale. L'articolo 13, primo comma, richiede l'ulteriore condizione che il titolare del diritto al soggiorno non costituisca un pericolo per l'ordine e la sicurezza pubblica. Come risulta evidente dall'esame delle disposizioni sopraindicate. il requisito dell'effettiva convivenza, come sottolineato peraltro anche nella motivazione della pronuncia numero 17346 del 2010, è del tutto estranea alla disciplina normativa del d.lgs. numero 30 del 2007, mentre permane vigente, anche perché espressamente previsto dal citato articolo 35 della Direttiva 2004/38/CE il divieto di abuso del diritto e di frode, realizzabile mediante matrimoni fittizi contratti all'esclusivo fine di aggirare la normativa pubblicistica in tema d'immigrazione. Il provvedimento del questore impugnato, tuttavia, non si giustifica alla luce del divieto dell'abuso del diritto o a causa del verificarsi di una frode ma esclusivamente in virtù dell'accertamento della cessazione sopravvenuta, dopo sei anni di matrimonio, della convivenza incontestatamente preesistente tra i coniugi, ritenuta oggettivamente ostativa al rinnovo del permesso di soggiorno. Non vi è alcuna valutazione relativa alla natura fittizia o reale del vincolo coniugale, passato indenne allo scrutinio delle due precedenti istruzioni procedimentali riguardanti i titoli di soggiorno pregressi. Il ricorso, in conclusione deve essere rigettato. P.Q.M. La Corte, rigetta il ricorso.