Le royalties sono fittizie se è plateale la loro incongruità rispetto al corrispettivo di cessione dei marchi

La Cassazione ritorna sul dibattuto tema dell’abuso del diritto, evidenziando come i costi inerenti un’operazione totalmente antieconomica, e come tale elusiva, siano da considerarsi indeducibili.

Il caso. L’Amministrazione finanziaria notificava avvisi di accertamento a due società a responsabilità limitata, rettificando Ires e Irap concernenti i periodi d’imposta 2005 e 2006. La ripresa a tassazione era effettuata mediante il metodo analitico - induttivo ex articolo 39, comma 1, lett. d , d.p.r. 29 settembre 1973 e poggiava sulla contestazione di costi fittizi. Nel 2004, le due società, interamente possedute dai componenti della medesima famiglia, avevano posto in essere prima una operazione di cessione di marchi per un corrispettivo di 200.000 euro e poi avevano preso in licenza i medesimi marchi a fronte del pagamento di royalties pari a 900.000 per il 2005 e circa 400.000 per il 2006. L’ufficio procedente disconosceva i costi per lo sfruttamento dei marchi facendo leva su una pluralità di elementi indizianti - le royalties erano notevolmente superiori rispetto al prezzo pattuito soltanto un anno prima in occasione della loro cessione - la cessione dei marchi era stata effettuata a favore di una società svizzera, costituita da un mese e amministrata da un consulente delle società contribuenti - i diritti di sfruttamento dei marchi erano stati immediatamente ceduti dalla società svizzera ad altra società irlandese, della quale era rappresentante legale una persona appena maggiorenne. I ricorsi delle società contribuenti erano accolti dalla Commissione Tributaria Provinciale adita, con sentenza confermata in appello. Il Giudice del gravame riteneva che non era stata provata la fittizietà dei costi e che il loro disconoscimento non poteva essere fondato sulla asserita elusività delle operazioni. L’intervento della Suprema Corte. Nella sentenza numero 12282 del 20 maggio 2013, la Sesta Sezione della Corte di Cassazione cassa con rinvio la pronuncia impugnata perché motivata in modo “insufficiente e incongruo” e “priva di una adeguata e approfondita verifica della realtà processuale”. Dopo aver riprodotto alcune massime tratte dalla giurisprudenza di legittimità in materia, il Collegio osserva che era manifesta l’antieconomicità delle scelte operative poste in essere da parte delle società contribuenti in particolare, la Suprema Corte pone l’accento sulla vicinanza temporale tra le operazioni di cessione dei marchi e l’accordo sul loro sfruttamento e sulla plateale incongruità tra il corrispettivo di cessione e le royalties . Secondo la Sesta Sezione, la Commissione Tributaria Regionale, anziché accogliere acriticamente le argomentazioni proposte dalle società contribuenti, avrebbe dovuto realizzare una valutazione complessiva di tali elementi – risultanti dagli atti processuali – e specificare le ragioni che l’avevano indotta a escludere che essi fossero sintomo di evasione. L’uso del metodo analitico–induttivo. A quanto è dato comprendere dalla narrativa dei fatti, la sentenza in rassegna c orrettamente nega la deducibilità delle royalties legate allo sfruttamento dei marchi da parte delle società contribuenti. Nell’atto impositivo era cristallizzato un accertamento ex articolo 39, comma 1, lett. d , d.p.r. numero 600/1973, vale a dire una rettifica condotta sulla base di un metodo contabile giacché la contabilità esiste e non è sconfessata nel suo complesso , analitico poiché consta di rettifiche di singoli componenti del reddito imponibile e induttivo in quanto la dichiarazione è rettificata mediante ricostruzione presuntiva di specifiche poste, delle quali risulti provata aliunde la mancanza o l’inesattezza . È diffusa la convinzione che questo meccanismo presuntivo debba soddisfare uno standard di plausibilità particolarmente rigoroso in realtà, due sono i piani dell’attività di rettifica, vale a dire la dimostrazione dell’esistenza di attività non dichiarate o dell’inesistenza di passività dichiarate e la quantificazione delle poste. La littera legis richiede il soddisfacimento dei requisiti di gravità, precisione e concordanza soltanto con riferimento alla prima operazione. Comprovata l’inattendibilità delle poste contabili, l’Amministrazione finanziaria deve individuare l’ammontare del singolo valore con il massimo grado di ragionevole verosimiglianza ottenibile in relazione al contesto concreto e a condizione che essa sia superiore a quella della posta dichiarata dal contribuente. Si tratta di due dimostrazioni ben distinte, sebbene talora possano coincidere, allorché la medesima argomentazione probatoria sia sufficientemente attendibile per accertare entrambi i profili. L’antieconomicità è “questione di numeri”. Nella sentenza in commento, la Sesta Sezione della Corte di Cassazione conferma questa impostazione nel caso di specie, l’inattendibilità della posta contabile era comprovata dall’obiettiva antieconomicità del comportamento delle società contribuenti. Secondo il Collegio, il giudice di merito avrebbe dovuto operare una valutazione complessiva di tutti gli elementi indiziari pacificamente acquisiti in giudizio, rivelatori del reale intento della complessa operazione. Nella pronuncia in commento il Giudice di legittimità fa buon governo dei principi in materia al contrario, in altre occasione la Suprema Corte ha impropriamente utilizzato l’antieconomicità al fine di negare la deducibilità di costi per difetto di inerenza cfr. sentenza numero 4901/2013 . In realtà antieconomicità e inerenza si muovo su piani diversi la prima rappresenta uno strumento indiziario che consente di smascherare costi fittizi, perché in tutto o in parte inesistenti, mentre la seconda soddisfa l’esigenza di impedire la deduzione di costi effettivamente sostenuti ma estranei all’attività di impresa. Un altro equivoco sembra risiedere nella scelta di considerare l’antieconomicità come una conseguenza logica necessaria della mancanza di congruità tra i valori posti a confronto, potendo quest’ultima essere giustificata, ad esempio, da strategie commerciali o da un investimento erroneo. Nel caso sub iudice , le società contribuenti avevano sostenuto che il corrispettivo per la cessione dei marchi era stato notevolmente ridotto per le ripercussioni della contraffazione di cui erano state oggetto, ma la Corte di Cassazione ritiene prive di pregio tali giustificazioni. L’abuso dell’abuso. La pronuncia lascia perplessi sotto un diverso profilo. In motivazione si richiamano i principi in materia di divieto di abuso del diritto, attraverso la mera riproposizione delle massime tralatizie riguardanti il principio generale antielusivo di elaborazione pretoria cfr. sentenze nnumero 30055, 30056 e 30057 del 2008 come in altre recenti pronunce di legittimità cfr. sentenze nnumero 2908 e 4901 del 2013 , assistiamo anche in questo caso al tentativo di rafforzare le argomentazioni “pro Fisco” attraverso l’utilizzo dello strumento generale antielusivo. Si tratta di una commistione inappropriata – per non dire nefasta per il contribuente – che la Suprema Corte ha già reiteratamente attuato anche in passato ad esempio, l’onnivoro principio generale antielusivo è stato utilizzato per negare la sussistenza dell’asservimento pertinenziale ai fini ICI sentenza numero 25127 del 2009, richiamata anche in materia di IMU nella circolare numero 3 del 2012 oppure per disconoscere l’applicazione dell’aliquota Iva del 4% prevista per l’acquisto della “prima casa” sentenza numero 10807/2012 . A ciò si aggiunga che, in questa occasione, lo strumento di matrice pretoria è utilizzato con riferimento ad una fattispecie anteriore alla sua consacrazione da parte delle Sezioni Unite sentenze nnumero 30055, 30056 e 30057 del 2008 , quando cioè la sua esistenza non era neppure prevedibile da parte degli operatori economici.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - T, sentenza 21 marzo - 20 maggio 2013, numero 12282 Presidente Iacobellis – Relatore Di Blasi Svolgimento del processo In esito ad accessi ed attività istruttoria, l'Agenzia Entrate notificava alla società F. srl, numero due avvisi di accertamento, relativi ad IRES ed IRAP per gli anni 2005 e 2006, con i quali recuperava ad imposizione l'indebita deduzione di costi ritenuti fittizi. Altri due avvisi, sempre relativi ai medesimi periodi, alle stesse imposte e per analoghe causali, venivano notificate alla P. srl. Le predette società, interamente possedute da componenti la medesima famiglia, con separati ricorsi, impugnavano gli atti impositivi in sede giurisdizionale. La CTP adita, previa riunione, accoglieva i ricorsi, ritenendo che la fattispecie non fosse riconducibile né al disposto dell'articolo 37 bis del dpr numero 600/1973 e neppure ai principi in tema di abuso del diritto, e tale decisione, appellata dall'Agenzia Entrate, veniva confermata dalla CTR. Il ricorso di che trattasi è affidato a quattro mezzi. Le intimate società, giusto controricorso, hanno chiesto che l'impugnazione venga dichiarata inammissibile e, comunque, rigettata contestualmente, in via incidentale e condizionata, hanno riproposto la questione relativa all'applicazione delle sanzioni, rimasta assorbita nel grado di merito. A seguito di nota numero 99595 del 10.09.2012, con cui l'Agenzia Entrate, in relazione all'accertamento dell'anno 2006 contro la F., comunicava l'intervenuta definizione della lite, ai sensi dell'articolo 39 comma 12° del d.l. numero 98/2011 srl, con decreto Presidenziale numero 20049/2012 depositato il 15.11.2012, il processo iscritto al numero 16615/2012 R.G., veniva dichiarato estinto. Con istanza 12.12.2012, l'Agenzia Entrate ha evidenziato che, erroneamente, era stata disposta l'estinzione del giudizio, tenuto conto che la comunicazione di definizione della lite era limitata solo ad uno dei quattro accertamenti impugnati relativo all'anno 2006 ed alla società F. srl, e quindi ha chiesto la revoca del precitato decreto Presidenziale e la fissazione dell'udienza di discussione. Motivi della decisione Il giudizio non può proseguire, essendo venuto meno l'interesse alla coltivazione del giudizio, limitatamente all'accertamento numero 873030300816-2009 per l'anno 2006, relativo alla società F. srl, la quale ha presentato domanda di condono, ai sensi dell'articolo 39 comma 12° del D.L. numero 98/2011, positivamente esitata dall'Agenzia Entrate di Perugia. Ciò si desume dalla nota in atti della predetta Agenzia in data 10.09.2012, prot. 99595, con la quale si comunica la verifica di regolarità della domanda di condono presentata dalla predetta società, l'integrale pagamento della somma, per l'effetto, dovuta e, quindi, la cessazione della materia del contendere, nonché, sia dalla istanza 06.10.2012 con cui l'Avvocatura dello Stato, alla stregua del contenuto di detta nota, ha chiesto dichiararsi l'estinzione del giudizio, sia pure, dalla successiva istanza in data 12.12.2012, con cui la medesima Avvocatura, ha chiesto la revoca del decreto di estinzione del giudizio numero 20049/12, depositato il 15.11.2012, erroneamente emesso nei confronti di entrambe le società e per tutti gli anni d'imposta, e la fissazione dell'udienza di discussione della causa. Ciò posto il Collegio, avuto riguardo all'articolo 16 comma 8° della Legge numero 289/2002, nel testo vigente ed applicabile in esito alle successive modifiche, il quale dà sostanziale rilievo alla comunicazione con cui gli uffici attestino la regolare definizione della domanda di condono, è dell'avviso che il giudizio debba essere dichiarato estinto nei confronti della società F. srl, limitatamente alla pretesa fiscale relativa all'anno 2006, essendo cessata la materia del contendere, per intervenuto condono. In relazione al residuo accertamento per l'anno 2005 nei confronti della medesima società F. srl ed ai due accertamenti, per gli anni 2005 e 2006, contro la società P. srl in Liquidazione, la CTR ha rigettato l'appello dell'Agenzia, ritenendo e dichiarando l'infondatezza delle relative pretese fiscali, opinando, per un verso, che non fosse stata data la prova della fittizietà dei costi esposti e, sotto altro profilo, che, il disconoscimento dei detti costi non poteva, nel caso, derivare dall'elusività delle operazioni e dall'applicazione dei principi in tema di abuso del diritto, sia in quanto la questione era stata proposta tardivamente, sia pure perché la fattispecie non era riconducibile alla previsione dell'articolo 37 bis del dpr numero 600/1973 e non giustificava, comunque, l'applicazione di principi desumibili dall'articolo 53 della Costituzione. L'Agenzia Entrate, con i primi due mezzi censura l'impugnata decisione per violazione e falsa applicazione degli articolo 109 TUIR, 39 e 41 del dpr numero 600/1973 nonché per insufficiente e contraddittoria motivazione su fatto controverso e decisivo. Deduce la irragionevolezza della contestata operazione, relativa alla cessioni di due marchi, effettuata nell'anno 2004 verso un corrispettivo di Euro 200.000, ed ai costi, di gran lunga maggiori, immediatamente dopo sopportati per il relativo utilizzo e sfruttamento. In buona sostanza l'Agenzia, rilevato che i due marchi posseduti erano stati ceduti nel 2004 per il prezzo di complessivi Euro 200.000 e, d'altronde, che il costo delle royalties, poi pattuite ed esposte in contabilità, per il relativo sfruttamento, nei soli due anni successivi, ammontava a complessivi Euro 1.336.402 di cui Euro 900.986 nel 2005 ed Euro 435.416 nel 2006, né inferisce l'antieconomicità, oltre che la fittizietà dell' operazione. Con il terzo ed il quarto motivo, la decisione viene censurata per violazione e falsa applicazione degli articolo 57 del D.Lgs numero 546/1992, 53 della Costituzione e dei principi in tema di abuso del diritto, nonché degli articolo 53 della Costituzione, 37 bis del dpr. numero 600/1973 e dei citati principi. Si deduce che la questione relativa all'abuso del diritto è rilevabile d'ufficio, anche in Cassazione, ostandovi solo la formazione del giudicato, ed altresì, che, per i tributi non armonizzati, esiste un generale principio antielusivo, che trova il proprio fondamento nell'articolo 53 della Costituzione. Stante la delineata realtà processuale, il Collegio ritiene che la decisione impugnata non risulti in linea con i principi espressione di un ormai consolidato e condiviso orientamento giurisprudenziale. a - E' stato affermato che In tema di accertamento delle imposte sui redditi, l'ufficio finanziario ha il potere di accertare la sussistenza della eventuale simulazione di un contratto in grado di pregiudicare il diritto dell'amministrazione alla percezione dell'esatto tributo, senza la necessità di un preventivo giudizio di simulazione, spettando poi al giudice tributario, in caso di contestazione, il potere di controllare incidenter tantum , attraverso l'interpretazione del negozio ritenuto simulato, l'esattezza di tale accertamento, al fine di verificare la legittimità della pretesa tributaria Cass. numero 11676/2002 . b - Si è, pure, ritenuto che In tema di imposte sui redditi, in presenza di un comportamento assolutamente contrario ai canoni dell'economia, che il contribuente non spieghi in alcun modo, è legittimo l'accertamento ai sensi dell'articolo 39, comma primo lett. d del d.P.R. numero 600 del 1973 ad un tale riguardo il giudice di merito, per poter annullare l'accertamento, deve specificare, con argomenti validi, le ragioni per le quali ritiene che l'antieconomicità del comportamento del contribuente non sia sintomatico di possibili violazioni di disposizioni tributarie Cass. numero 10802/2002, numero 7680/2002, numero 1821/2001, numero 7871/2012 . e, d'altronde, che, per consolidato orientamento giurisprudenziale in presenza di un legittimo accertamento induttivo e, quindi, della connessa prova presuntiva, incombe sulla parte contribuente l'onere di dedurre e provare i fatti impeditivi, modificativi o estintivi della pretesa fiscale Cass. numero 19174/2003 numero 17016/2002 numero 14505/2001 . c - Costituisce, d'altronde, ius receptum che è configurabile l'omessa motivazione della sentenza, quando il giudice di merito omette di indicare nella sentenza gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero indica tali elementi senza una approfondita disamina logico-giuridica, rendendo in tal modo impossibile ogni controllo sull'esattezza e sulla logicità del ragionamento Cass.numero 890/2006, numero 1756/2006, numero 2067/1998, numero 12664/2012, numero 3370/2012 . d - Le Sezioni Unite di questa Corte Sentenza numero 30055/2008 , hanno, poi, fissato il principio secondo cui Nel processo tributario, pur essendo l'oggetto del giudizio delimitato dalle ragioni poste a fondamento dell'atto di accertamento, il tema relativo all'esistenza, alla validità ed all’opponibilità all'Amministrazione finanziaria del negozio da cui si assume che originino determinate minusvalenze deve ritenersi acquisito al giudizio per effetto dell'allegazione da parte del contribuente, il quale è gravato dell'onere di provare i presupposti di fatto per l'applicazione della norma da cui discende l'invocata diminuzione del reddito d'impresa imponibile ne consegue, anche in ragione dell'indisponibilità della pretesa tributaria, la rilevabilità d'ufficio delle eventuali cause di invalidità o di inopponibilità del negozio stesso, sempre che ciò non sia precluso, nella fase di impugnazione, dal giudicato interno eventualmente già formatosi sul punto o nel giudizio di legittimità dalla necessità di indagini di fatto CONF. Cass. numero 30056/2008, numero 30057/2008, numero 20398/2005 . e - la medesima Corte nella circostanza ha, anche, precisato che In materia tributaria, il divieto di abuso del diritto si traduce in un principio generale antielusivo, il quale preclude al contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l'uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un'agevolazione o un risparmio d'imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l'operazione, diverse dalla mera aspettativa di quei benefici tale principio trova fondamento, in tema di tributi non armonizzati nella specie, imposte sui redditi , nei principi costituzionali di capacità contributiva e di progressivitàdell'imposizione, e non contrasta con il principio della riserva di legge, non traducendosi nell'imposizione di obblighi patrimoniali non derivanti dalla legge, bensì nel disconoscimento degli effetti abusivi di negozi posti in essere al solo scopo di eludere l'applicazione di norme fiscali. Esso comporta l'inopponibilità del negozio all'Amministrazione finanziaria, per ogni profilo di indebito vantaggio tributario che il contribuente pretenda di far discendere dall'operazione elusiva, anche diverso da quelli tipici eventualmente presi in considerazione da specifiche norme antielusive entrate in vigore in epoca successiva al compimento dell'operazione Cass. numero 30055/2008, numero 30057/2008, numero 7343/2011, numero 12622/2012 . Ritiene la Corte che il primo ed il secondo mezzo vadano accolti, in applicazione dei principi sopra trascritti sub a , b e c , avuto riguardo al fatto che l'illogicità e manifesta antieconomicità delle operazioni effettuate dalle contribuenti, con la cessione dei marchi e l'immediato successivo riacquisto degli stessi, sulla base di prezzo esageratamente più elevato, offrivano concreti elementi per indurre a ritenere legittimo il ricorso al particolare metodo di accertamento utilizzato nel caso e che, quindi, per poter annullare l'accertamento, i Giudici di merito avrebbero dovuto specificare, sulla base di una complessiva valutazione degli elementi in atti e di valide argomentazioni, le ragioni per le quali l'evidente antieconomicità delle operazioni, poste in essere dalle contribuenti, non costituiva sintomo di violazioni di disposizioni tributarie. Nel caso, la CTR, non solo ha omesso di esaminare alcuni elementi in atti, idonei a giustificare un diverso percorso decisionale, ma oltretutto non ha svolto una approfondita disamina logico-giuridica dei dati utilizzati, avendoli valorizzati isolatamente, sulla base di affermazioni apodittiche, generiche ed incongrue. La CTR, infatti, per giustificare l'economicità delle operazioni, si è limitata a condividere acriticamente la deduzione delle contribuenti, secondo cui nel 2004 vi sarebbe stata una contraffazione dei marchi, che ne aveva ridotto il valore in modo tale da giustificarne la vendita per il prezzo esposto in contabilità. Non ha considerato la medesima CTR che l'argomentazione utilizzata - secondo la quale il prezzo ridotto ricavato dalla cessione dei marchi era stato causato dalla relativa contraffazione,- si rivelava palesemente incongrua, giacché sul piano della coerenza logica, si poneva in insanabile contrasto con la pacifica circostanza, che già nell'anno successivo 2005 a quello della cessione dei marchi 2004 , le contribuenti, per il mero utilizzo degli stessi, nel solo ambito territoriale di Italia, San Marino e Vaticano, hanno dichiarato di avere affrontato costi pari quasi a cinque volte Euro 900.986 , il prezzo realizzato dalla vendita Euro 200.000 , appena un anno prima che la cessione dei marchi era stata effettuata a favore di una società Svizzera, costituita appena da un mese, del cui consiglio di amministrazione faceva parte un commercialista, consulente delle contribuenti che detta società Svizzera, aveva subito dopo trasferito i diritti di sfruttamento dei marchi ad altra società di diritto Irlandese, della quale era rappresentante legale una persona di età giovanissima 18 anni , la quale ne aveva, quindi, disposto in favore delle contribuenti, nei limiti e per il corrispettivo anzi indicati. Circostante tutte, sostanzialmente, ignorate dalla CTR e, però, idonei, a far ritenere legittimo l'accertamento induttivo dell'Agenzia e, conseguentemente, a determinare la traslazione dell'onere probatorio, in punto economicità delle operazioni, sulle contribuenti. Il Collegio è, altresì, dell'avviso che la decisione abbia, pure, fatto malgoverno dei principi sopra riportati sub d ed e . Anzitutto, per non avere considerato che la questione relativa all'esistenza, alla validità ed all’opponibilità all'Amministrazione finanziaria del negozio e delle operazioni da cui sarebbero derivati i costi doveva ritenersi acquisita al giudizio per effetto dell'allegazione da parte delle contribuenti. Di poi, per non avere tenuto conto che, in ogni caso, trattavasi di questione indisponibile e quindi rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio, salvo il giudicato, nel caso insussistente. Altresì, per non avere rilevato che gravava sulle contribuenti l'onere di provare i presupposti di fatto per l'applicazione dell'invocata diminuzione del reddito d'impresa imponibile. Infine, per non avere considerato che il divieto di abuso del diritto si traduce in un principio generale antielusivo, in virtù del quale restava precluso alle contribuenti il conseguimento di vantaggi fiscali, ove ottenuti, come nel caso, mediante l'uso distorto, di strumenti giuridici, - quali la cessione a terzi di marchi a prezzo ridotto e l'immediato successivo acquisto, verso un corrispettivo annuale di gran lunga maggiore, del mero diritto di sfruttamento parziale, - idonei ad ottenere un'agevolazione o un risparmio d'imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l'operazione, diverse dalla mera aspettativa di quei benefici fiscali. Conclusivamente, deve ritenersi che la CTR abbia disatteso e fatto malgoverno dei richiamati e condivisi principi, omettendo una adeguata ed approfondita verifica della realtà processuale, argomentando, peraltro, in modo del tutto insufficiente ed incongruo. Il ricorso va, dunque, accolto e, per l'effetto, cassata l'impugnata decisione. Il Giudice del rinvio, che si designa in altra sezione della CTR dell'Umbria procederà al riesame e quindi deciderà nel merito ed anche sulle spese del presente giudizio di legittimità,offrendo adeguata motivazione. P.Q.M. Dichiara cessata la materia del contendere tra l'Agenzia Entrate e la F. Srl in relazione all'accertamento dell'anno di imposta 2005 ed in tali limiti estinto il giudizio. Accoglie il ricorso dell'Agenzia Entrate, per gli accertamenti relativi agli altri anni di imposta per entrambe le contribuenti, cassa l'impugnata decisione e rinvia ad altra sezione della CTR dell'Umbria.