Medico licenziato: non serve il parere del comitato dei garanti se la responsabilità è disciplinare

La responsabilità dirigenziale deve essere accertata attraverso il parere obbligatorio del comitato dei garanti, pena la nullità del licenziamento. Ma l’insubordinazione ad un ordine di servizio rientra nella responsabilità disciplinare, per cui la mancanza del parere non è rilevante.

Il caso. Un dirigente medico veniva licenziato con l’addebito di protratta insubordinazione all’ordine di servizio, con il quale veniva assegnato alla sezione femminile del Reparto di Neurochirurgia dell’Ospedale di Padova. Il Tribunale dichiarava nullo il licenziamento, per il carattere ritorsivo, ordinando la reintegrazione del sanitario nel posto di lavoro e in mansioni corrispondenti alla qualifica e all’incarico rivestiti alla data del recesso, con il relativo risarcimento. Lo prevede il CCNL di settore Ma il medico si vede costretto a ricorrere per cassazione dopo che la Corte d’appello aveva riformato la sentenza di primo grado. Il ricorrente sottolinea che dalla lettera di licenziamento sono rilevabili profili di responsabilità disciplinare e di responsabilità per mancato raggiungimento degli obiettivi che «dovrebbero comportare l’applicabilità della disciplina della responsabilità dirigenziale e l’obbligatorietà del parere del comitato dei garanti a pena di nullità del licenziamento». licenziamento nullo per mancata applicazione della procedura di accertamento della responsabilità dirigenziale? La S.C. osserva che la condotta sanzionata è da inserirsi «nell’alveo della responsabilità disciplinare» per la violazione di uno specifico ordine di servizio il cui inadempimento è risultato effetto di un consapevole rifiuto, non passibile di alcuna esimente. Licenziato e condannato al pagamento delle spese. La Corte di Cassazione, insomma, ha riconosciuto la sanzionabilità, del comportamento del dottore in questione insubordinazione ad un ordine di servizio , con il licenziamento disciplinare a prescindere dall’inclusione o meno della condotta sanzionata nel codice disciplinare Cass. numero 16291/2004 . Pertanto, oltre a non riavere il posto di lavoro, il dottore dovrà pagare più di 6mila euro di spese giudiziali.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 17 aprile – 17 luglio 2012, numero 12250 Presidente Vidiri – Relatore Mancino Svolgimento del processo 1. L'Azienda Ospedaliera di ha licenziato il dottor D.C.V. , dirigente medico, con l'addebito di protratta insubordinazione all'ordine di servizio in data 28 dicembre 1998, con il quale veniva assegnato alla sezione femminile del Reparto di Neochirurgia dell'Ospedale di . 2. Su ricorso del dottor D.C. , il Tribunale di Padova, qualificata come dirigenziale la responsabilità del dirigente medico sanzionata, ha dichiarato nullo il licenziamento intimato in data 3 febbraio 1999, per il carattere ritorsivo e in senso lato discriminatorio quale effetto del carattere vessatorio del predetto ordine di servizio e, conseguentemente, ha ordinato la reintegrazione del sanitario nel posto di lavoro e in mansioni corrispondenti alla qualifica e all'incarico rivestiti alla data del recesso, condannando l'azienda a corrispondere le retribuzioni maturate dal recesso alla reintegra, detratto l’aliunde perceptum, e al risarcimento dei danni professionali e all'immagine subiti dal dirigente medico. 2. La Corte di appello di Venezia, con sentenza del 6 aprile 2011, in accoglimento del gravame principale svolto dall'Azienda Ospedaliera, e rigettando l'appello incidentale svolto dal D.C. , ha riformato la sentenza e rigettato le domande svolte dal dirigente medico. 4. A sostegno del decisum la Corte territoriale riteneva, per quanto qui rileva - l'addebito contestato insubordinazione all'ordine di servizio in data 28 dicembre 1998, con il protratto rifiuto di prendere servizio presso il reparto femminile della divisione di Neochirurgia dell'Ospedale di come impartitogli dal primario, prof. M. è stato fatto valere dall'Ente datore di lavoro quale responsabilità disciplinare, come desunto dall'esplicito riferimento alla disposizione contrattuale collettiva che contemplava tale forma di recesso, contenuto nelle lettere di contestazione e di licenziamento, e dal tipo di condotta contestata e concretatasi in un atto di insubordinazione - l'irrilevanza della mancata acquisizione del parere del Comitato dei Garanti, attesa la natura disciplinare della responsabilità sanzionata - l'astratta pertinenza del rilievo della mancata affissione del codice disciplinare, in violazione dell'articolo 7 della legge numero 300 del 1970, in concreto non sussistente non vertendosi in ipotesi prevista dal contratto collettivo, sibbene in ipotesi concernente la violazione di doveri fondamentali del rapporto di lavoro che rende irrilevante la mancata affissione del predetto codice disciplinare - non sussistente la necessaria adeguatezza della reazione rispetto allo specifico profilo di illegittimità della condotta datoriale, vale a dire la relazione causale di adeguatezza e proporzionalità tra l'inadempimento del dirigente medico con il rifiuto di adempiere l'ordine ricevuto dal superiore gerarchico e l'inadempimento precedente del Primario con l'adibizione del D.C. a mansioni non rispondenti alla qualifica rivestita benché questi fosse stato nominato, con delibera 22 aprile 1997 numero 515, responsabile del Modulo Terapia Intensiva Post Operatoria , correlazione necessaria ai fini della giustificatezza del rifiuto, trattandosi di assegnazione a mansioni conformi a quelle svolte presso la sezione maschile del reparto e alla qualifica di dirigente sanitario di primo livello del D.C. , tale da non comportare alcun danno grave ed irreparabile non potendo ritenersi, danno grave e irreparabile, la circostanza di trovarsi sottoposto al coordinamento di colleghi di minore anzianità - l'inottemperanza del D.C. all'ordine di servizio, protratta anche dopo l'avvicendamento, al prof. M. , del primario, prof. S. , costituiva grave insubordinazione e integrava la giusta causa di licenziamento - infine, la non univocità dei riscontri probatori in merito alla condotta vessatoria del prof. M. escludeva l'asserito carattere ritorsivo del licenziamento e la fondatezza della domanda risarcitoria. 5. Avverso l'anzidetta sentenza della Corte territoriale, D.C.V. ha proposto ricorso per cassazione fondato su sette motivi, illustrato con memoria. La parte intimata ha resistito con controricorso, illustrato con memoria. Motivi della decisione 6. Con il primo motivo di ricorso il ricorrente denuncia insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, consistente nella qualifica della responsabilità disciplinare attribuita alla condotta censurata al fine dell'asserita non necessità del parere del Comitato dei garanti per l'irrogazione della sanzione espulsiva violazione dell'articolo 21, commi 2 e 3 del d.lgs. numero 29 del 1993, come sostituito dall'articolo 14 del d.lgs. 80/1998 violazione e falsa applicazione dell'articolo 36, co. 2 e 4 del CCNL dirigenza medica e veterinaria del S.S.numero 5 dicembre 1996. Si duole il ricorrente che la corte di merito abbia escluso, nella specie, la commistione tra responsabilità dirigenziale e disciplinare non tenendo conto che dalla contestazione di addebito e dalla lettera di licenziamento sarebbero rilevabili profili di responsabilità disciplinare e di responsabilità per mancato raggiungimento degli obiettivi che dovrebbero comportare l'applicabilità della disciplina della responsabilità dirigenziale e l'obbligatorietà del parere del comitato dei garanti a pena di nullità del licenziamento. 7. Con il secondo motivo di ricorso è denunciata violazione e falsa dell'articolo 10 del d.lgs. 29/1993 e dell'articolo 31, co. 6 del d.lgs. 502/1992 violazione dell'articolo 36, co.4 e dell'articolo 59 del CCNL della dirigenza medica e veterinaria del S.S.numero Assume il ricorrente che dall'intreccio tra le due responsabilità dirigenziale e disciplinare discende la nullità del licenziamento per mancata applicazione della procedura di accertamento della responsabilità dirigenziale obbligatoriamente prevista dall'articolo 59 del CCNL di settore. 8. I due motivi, esaminati unitamente per la loro connessione, non sono meritevoli di accoglimento. 9. La decisione della corte territoriale, fondata sulla natura disciplinare della responsabilità contestata, è correttamente motivata sul piano logico-giuridico ed è, pertanto, immune da censure l’iter argomentativo svolto sulla portata ontologicamente disciplinare, nel suo complesso, della condotta contestata al dottore D.C. , ritenendo l'insubordinazione all'ordine di servizio di trasferirsi nel reparto femminile, già di per sé grave, di particolare valore pregnante nella valutazione della gravità della condotta, anche in ragione di precedenti episodi posti in essere dal medesimo dirigente e riportati nell'atto di contestazione rifiuto di seguire i pazienti assegnati in corsia secondo la turnazione con altri colleghi, opponendo il personale diniego sia alla compilazione delle cartelle cliniche, sia alla redazione delle lettere di dimissione, anche di pazienti affidati allo stesso D.C. . 10. La condotta sanzionata dall'Azienda Ospedaliera è stata correttamente ricondotta, dalla Corte territoriale, nell'alveo della responsabilità disciplinare, non solo per il dato formale del riferimento esplicito, nella lettera di contestazione, alla pattuizione collettiva che contrappone il recesso per giusta causa alla diversa categoria della responsabilità dirigenziale ma, in secondo luogo e soprattutto, valorizzando la condotta censurata nel suo contenuto sostanziale, vale a dire per la violazione di uno specifico ordine di servizio il cui inadempimento è risultato effetto di un consapevole rifiuto, non passibile di alcuna esimente neppure in termini di reazione ad un'ostinata e duratura opposizione del Primario di Neurochirurgia all'assunzione e allo svolgimento, da parte del dottor D.C. , dell'incarico di direzione del neoistituito modulo di terapia intensiva post operatoria comune ai reparti di Neurochirurgia e di Neurotraumatologia, di fatto dal dottor D.C. mai ricoperto. 11. Ed ancora, pur esaminando il clima di pregressa forte conflittualità che aveva preceduto l'ordine di servizio, dal D.C. ricondotto non ad esigenze oggettive di servizio e al buon andamento del reparto, sibbene all'esclusiva volontà del Primario di infliggere l'ennesima ulteriore umiliazione, dopo l'esclusione dalle attività più qualificanti del reparto, dall'attività di sala operatoria, dopo continui richiami, contestazioni ed umiliazioni, di fronte a colleghi e pazienti, correttamente la Corte territoriale, uniformandosi alla consolidata giurisprudenza di legittimità, ha ritenuto ingiustificato il rifiuto di ottemperare all'ordine di servizio, sul presupposto che l'adibizione a mansioni ritenute dequalificanti consenta al lavoratore di richiedere giudizialmente la riconduzione della prestazione nell'ambito della qualifica di appartenenza, ma non autorizza lo stesso a rifiutarsi aprioristicamente, e senza un avallo giudiziario che il lavoratore potrebbe anche richiedere e conseguire in via d'urgenza, di eseguire la prestazione richiestagli. 12. Ed inoltre, quanto al profilo del danno irreparabile tale da giustificare il rifiuto di adempiere l'ordine di servizio, correttamente la corte territoriale ha escluso che le mansioni assegnate nel reparto femminile, pur omogenee alla mansioni assegnate nel reparto maschile, fossero tali da arrecare al dottore D.C. alcun danno irreparabile, né poteva ridondare in danno di questi la sottoposizione al coordinamento di colleghi più giovani, a fronte, per converso dell'evidenza del pregiudizio al servizio pubblico sanitario scaturite dalle reazione all'ordine di servizio, per la mancata copertura del posto assegnato e, in ispecie, per l'esposizione dei pazienti a grave disservizio a cagione del coinvolgimento, in vicende affatto esterne alla disciplina medica e sanitaria, del bene primario della salute dei pazienti. 13. Inoltre, le doglianze incentrate sull'asserita commistione, nella specie, tra responsabilità disciplinare e responsabilità per mancato raggiungimento degli obiettivi, con le dedotte implicazioni in termini di inosservanza della procedura di accertamento della responsabilità dirigenziale obbligatoriamente prevista dalla contrattazione collettiva di settore, si fondano sul contrasto dell'apprezzamento dei fatti compiuto dal giudice del gravame con il convincimento e con le tesi della parte e si risolvono in un'inammissibile richiesta di sindacato del giudice di legittimità sulle valutazioni riservate al giudice di merito. 14. Con il terzo motivo è denunciata omessa motivazione su un fatto controverso e decisivo consistente nell'assoluta carenza di potere nell'organo Direttore generale dell'Azienda ospedaliera di che ha irrogato la sanzione violazione dell'articolo 59, co. 4 del d.lgs. 29/1993 violazione e falsa applicazione dell'articolo 36 del CCNL dirigenza medica e veterinaria del S.S.numero 5/12/1996. Si duole il ricorrente che la corte di merito non abbia detto nulla sull’eccepita incompetenza del Direttore generale dell'Azienda ad emettere il provvedimento, pur essendo stata tempestivamente dedotta, fin dal ricorso introduttivo, la mancanza di potere dell'organo aziendale che aveva proceduto all'atto di recesso. Assume, inoltre, il ricorrente che il licenziamento de quo è stato sottratto all'Ufficio procedimenti disciplinari, competente a contestare l'addebito, istituire il procedimento, applicare l'eventuale sanzione, in violazione di norme di legge inderogabili sulla competenza. 15. Il motivo è inammissibile giacché la censura prospetta, semmai, un error in procedendo della Corte territoriale per aver omesso di pronunciare su tutta la domanda incompetenza del Direttore generale, procedimento disciplinare sottratto all'Ufficio procedimenti disciplinari, mancata acquisizione del parere del Comitato dei garanti. 16. Invero, l'omessa pronuncia su alcuni dei motivi di appello - così come, in genere, l'omessa pronuncia su domanda, eccezione o istanza ritualmente introdotta in giudizio - risolvendosi nella violazione della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, integra un difetto di attività del giudice di secondo grado che deve essere fatto valere dal ricorrente non con la denuncia della violazione di una norma di diritto sostanziale, ex articolo 360 numero 3 c.p.c., o del vizio di motivazione, ex articolo 360 numero 5. c.p.c., in quanto siffatte censure presuppongono che il giudice del merito abbia preso in esame la questione oggetto di doglianza e l'abbia risolta in modo giuridicamente non corretto ovvero senza giustificare o non giustificando adeguatamente la decisione al riguardo resa, ma attraverso la specifica deduzione del relativo error in procedendo - ovvero sia della violazione dell'articolo 112 c.p.c., in relazione all'articolo 360 numero 4 c.p.c. - la quale soltanto consente alla parte di chiedere e al giudice di legittimità - in tal caso giudice anche del fatto processuale - di effettuare l'esame, altrimenti precluso, degli atti del giudizio di merito e, così, anche dell'atto di appello. 17. Inoltre, in ipotesi di denuncia di un error in procedendo, l'esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità, presuppone comunque l’ammissibilità del motivo di censura, cosicché il ricorrente è tenuto, in ossequio al principio di specificità ed autosufficienza del ricorso, che deve consentire al giudice di legittimità di effettuare, senza compiere generali verifiche degli atti, il controllo demandatogli del corretto svolgersi dell'iter processuale, non solo ad enunciare le norme processuali violate, ma anche a specificare le ragioni della violazione, in coerenza a quanto prescritto dal dettato normativo, secondo l'interpretazione da lui prospettata cfr, ex plurimis, Cass. 21621/2007 . 18. Coerentemente, con riferimento all'ipotesi in cui sia stata denunciata l'omessa pronuncia da parte del giudice di secondo grado sulle doglianze mosse in appello, è stato affermato che non viene rispettato il principio di autosufficienza allorché nel ricorso per cassazione non siano esposte quelle specifiche circostanze di merito che avrebbero portato all'accoglimento del gravame, non potendo ottemperarsi a tale principio mediante il mero richiamo ad altri atti o scritti difensivi presentati nei precedenti gradi di giudizio cfr., Cass., 26693/2006 più in generale, sempre con riferimento ai casi di denunzia del vizio di omessa pronuncia ai sensi dell'articolo 112 c.p.c., è stata reiteratamente affermata la necessità, da un lato, che al giudice del merito siano state rivolte una domanda od un'eccezione autonomamente apprezzabili, ritualmente ed inequivocabilmente formulate, per le quali quella pronunzia si sia resa necessaria ed ineludibile e, dall'altro, che tali istanze siano riportate puntualmente, nei loro esatti termini e non genericamente ovvero per riassunto del loro contenuto, nel ricorso per cassazione cfr, ex plurimis, Cass. 21226/2010 Cass. 23420/2011 . 19. Analogamente, laddove, come nel caso di specie, l’error in procedendo denunciato inerisca alla falsa applicazione del principio tantum devolutum quantum appellatum, l'autosufficienza del ricorso per cassazione impone che, nel ricorso stesso, siano esattamente riportati sia i passi del ricorso introduttivo con i quali la questione controversa sia stata dedotta in giudizio, sia quelli del ricorso d'appello con cui le censure sono state riproposte innanzi al Giudice del gravame in modo chiaro, preciso e completo, sì da manifestare in forma non equivoca la volontà di chiederne il riesame, al fine di evitare la presunzione di rinuncia derivante da un comportamento omissivo, ai sensi dell'articolo 346 c.p.c 20. La mancata deduzione del vizio nei termini indicati, evidenziando il difetto di identificazione del preteso errore del giudice del merito e impedendo il riscontro ex actis dell'assunta omissione, rende, pertanto, inammissibile il motivo. 21. Con il quarto motivo è denunciata insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo consistente nell'obbligatorietà dell'affissione in luogo accessibile a tutti del codice disciplinare violazione dell'articolo 7, co. 1 L. 300/1970, nonché dell'articolo 59, co.3 del d.lgs. 29/1993 violazione e falsa applicazione dell'articolo 36 del CCNL dirigenza medica e veterinaria del S.S.numero 5/12/1996. Il ricorrente censura la sentenza impugnata per aver escluso, ritenendola in concreto irrilevante, l'affissione del codice disciplinare ed assume che il richiamo effettuato dall'articolo 36, co.2 del CCNL di settore al concetto generale di giusta causa ex articolo 2119 c.c. non significa che la fattispecie rimanga sottratta alla contrattazione collettiva, ma piuttosto che la tipologia dell'infrazione debba ritenersi definita dal contratto collettivo medesimo. Inoltre, l'articolo 7 della legge numero 300 risulterebbe violato anche per il profilo concernente l'affissione delle norme concernenti le procedure di contestazione. 22. Il motivo non è meritevole di accoglimento giacché la Corte territoriale, muovendo dall'apprezzamento del comportamento del dottor D.C. come insubordinazione ad un ordine di servizio, ne ha correttamente riconosciuto la sanzionabilità con il licenziamento disciplinare a prescindere dall'inclusione o meno della condotta sanzionata nel codice disciplinare, ed anche in difetto di affissione dello stesso, in linea con la giurisprudenza di questa Corte di legittimità v., ex multis, Cass. 16291/2004 . 23. Con il quinto motivo è denunciata insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo consistente nella giusta causa del recesso violazione dell'articolo 17 del d.P.R. numero 3 del 1957 violazione e falsa applicazione degli articolo 2087 e 1460 c.c. e dell'articolo 41 Cost Il ricorrente censura l'impostazione seguita dalla corte territoriale in tema di rifiuto di ottemperare all'ordine datoriale, pure eventualmente illegittimo, ai fini della giusta causa del recesso, assumendo che sarebbero stati trascurati aspetti salienti del rapporto di lavoro pubblico in tema di ordine illegittimo impartito dal superiore e la disciplina del testo unico per i dipendenti pubblici a mente della quale è sancito il dovere del dipendente di non eseguire l'ordine illegittimo se non sia stato rinnovato per iscritto, sempre che abbia svolto rimostranza al superiore con indicazione delle ragioni, e per i profili inerenti alla compromissione della dignità del prestatore di lavoro nel passaggio alla sezione femminile del Reparto, non avendo accertato che l'ordine fosse stato impartito nel rispetto delle misure idonee a tutelare la personalità morale del dottore D.C. . In definitiva l'insufficienza e illogicità della motivazione avrebbe dovuto condurre all'affermazione della nullità dell'ordine impartito dal Primario così divenendo superfluo ogni rilievo in ordine all'eccezione di inadempimento ex articolo 1460 c.c. la cui valutazione, operata dai giudici di merito, risultava del tutto inadeguata per erroneità dei presupposti. 24. Il motivo non è meritevole di accoglimento. 25. Della valutazione sulla gravità del comportamento del ricorrente, compiuta dal giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità se adeguatamente motivata, si è già anticipato nei paragrafi 9,10,11,12 che precedono, e qui ribadisce il Collegio che è risultato del tutto immune da censure l’iter argomentativo della corte territoriale l'ulteriore censura svolta nel motivo, incentrata sulla violazione del d.P.R. numero 3 del 1957 involge, invece, questione non dibattuta nelle precedenti fasi di merito e proposta, pertanto, inammissibilmente, per la prima volta in questa sede di legittimità. 26. Con il sesto motivo è denunciata violazione dell'articolo 18 L.300/1970 e falsa applicazione dell'articolo 2118 c.c Assume il ricorrente che al dirigente pubblico non si applica l'articolo 2118 c.c. ma la disposizione dello statuto dei lavoratori, onde in caso di illegittimità/nullità/inefficacia del licenziamento spetta la reintegrazione nel posto di lavoro, avendone ancora interesse, e fino al compimento del 40^ anno di servizio. 27. Osserva il Collegio che il motivo concerne questione assorbita dal rigetto dei motivi che investono l'illegittimità del licenziamento. 28. Infine, con il settimo motivo è denunciata insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo concernente il carattere discriminatorio del licenziamento, con la conseguente assenza di giusta causa e con ogni ulteriore conseguenza in ordine alle domande di reintegrazione e di risarcimento dei danni proposte anche con l'appello incidentale. Si duole il ricorrente che la Corte di merito abbia escluso la valenza vessatoria della condotta del prof. M. , alla base del carattere ritorsivo dell'ordine di servizio, ai fini del licenziamento e dell'ulteriore domanda risarcitoria, motivando il convincimento sulla non univocità dei riscontri probatori raccolti e valorizzando, del complesso materiale istruttorio, solo una condotta del predetto professore. 29. Il motivo è inammissibile giacché la sussistenza o meno del carattere discriminatorio del licenziamento impinge nella tipica vantazione rimessa al giudice del merito e, nella specie, la Corte territoriale, nell'escludere detto carattere, ha sviluppato una motivazione corretta sul piano logico-sistematico non assoggettabile a censure in questa sede di legittimità. 30. In definitiva, il ricorso va rigettato. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate in Euro 90,00 per esborsi, oltre Euro 6.000,00 per onorari, oltre IVA, CPA e spese generali.