Sottotetto condominiale: l’amministratore è legittimato ad agire per il ripristino dei luoghi

Posto che dalle planimetrie in atti e dal regolamento condominiale non si ricavano elementi che comprovino la supposta natura non condominiale del sottotetto, l’amministratore può indubbiamente agire al fine realizzare la tutela dei diritti sulle parti comuni dell’edificio.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con la sentenza numero 7327/13, depositata il 22 marzo. Il caso. Un condominio cita in giudizio i proprietari di un’unità immobiliare sita all’ultimo piano, sostenendo che i due avevano realizzato delle strutture murarie nel sottotetto di proprietà condominiale sovrastante il loro appartamento, separandolo così dalla restante area comune. I convenuti si difendono sostenendo che il sottotetto in questione costituiva in realtà una pertinenza del loro appartamento e, in ogni caso, essendo stato posseduto in via esclusiva dal 1979, era ormai intervenuto l’usucapione. Le domande dell’attore vengono accolte in entrambi i gradi di merito e i soccombenti decidono pertanto di ricorrere per cassazione. Il sottotetto ha natura condominiale. Con un primo motivo di ricorso, i due proprietari lamentano che dal primo atto di vendita degli appartamenti e dal regolamento di condominio risulterebbe che il sottotetto non sia di natura condominiale a giudizio degli Ermellini, tuttavia, tale argomento è stato già esaminato in sede di merito e si è affermato che dalle planimetrie in atti e dal regolamento condominiale non possono desumersi elementi che comprovino la supposta natura non condominiale del sottotetto. La legittimazione del condominio. La seconda censura ha per oggetto la legittimazione attiva del condominio i ricorrenti sostengono che l’azione proposta fosse di reintegra, ma non vi sia stato accertamento dell’esercizio di fatto del possesso da parte dei convenuti né dell’esecuzione di opere impeditive dell’uso comune. L’amministratore può agire a tutela delle parti comuni. La S.C. rileva però che in realtà la domanda era diretta alla tutela dello stato di fatto del bene condominiale mediante il ripristino dell’originario stato dei luoghi a tal proposito, consolidata giurisprudenza ha affermato che il potere rappresentativo dell’amministratore comprende tutte le azioni volte a realizzare la tutela dei diritti sulle parti comuni dell’edificio, con la sola esclusione di quelle che incidono sulla condizione giuridica dei beni cui si riferiscono, esorbitando cioè dall’ambito degli atti conservativi. Nel caso di specie, al contrario, i giudici di legittimità rilevano che l’amministratore ha agito con un’azione volta al ripristino dei luoghi, al fine di mantenere l’integrità materiale dell’area condominiale non c’è dubbio che una simile azione rientri nell’ambito degli atti conservativi ex articolo 1130 c.c Le opere da demolire sono individuabili. Rilevata l’inammissibilità delle ulteriori doglianze con le quali i ricorrenti lamentano che non si potrebbe attribuire valore confessorio alle dichiarazioni di uno di loro, gli Ermellini esaminano il terzo motivo di ricorso neppure tale censura, tuttavia, merita accoglimento, dal momento che, al contrario di quanto sostenuto dai due proprietari, dal complessivo contesto della sentenza si può dedurre che le opere da demolire sono proprio le strutture realizzate dai convenuti. Per questi motivi la Cassazione rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 16 gennaio – 22 marzo 2013, numero 7327 Presidente Triola – Relatore Matera Svolgimento del processo Con atto di citazione notificato il 17-3-2001 il Condominio di via omissis conveniva dinanzi al Tribunale di Milano P.V. e M.L., proprietari di un'unità immobiliare sita all'ultimo piano dello stabile, esponendo che gli stessi avevano indebitamente realizzato delle strutture murarie nel sottotetto di proprietà condominiale sovrastante il loro appartamento, così da separare tale porzione di sottotetto dalla residua area comune e da determinare l'impossibilità di accesso e di passaggio. L'attore chiedeva, pertanto, la condanna dei convenuti a ripristinare l'accesso alla proprietà comune, con demolizione delle strutture murarie erette. Nel costituirsi, i convenuti chiedevano il rigetto della domanda, eccependo la carenza di legittimazione attiva dell'amministratore e sostenendo che il sottotetto non era di proprietà condominiale, ma costituiva una pertinenza del loro appartamento, ed era stato comunque da essi posseduto in via esclusiva sin dal 1979, di modo che in loro favore era maturata l'usucapione. In corso di causa intervenivano volontariamente i condomini G.D. , C.I. e Ca.Se. , aderendo alla domanda attrice. Con sentenza numero 2837 del 2004 il Tribunale accoglieva la domanda, condannando i convenuti al pagamento delle spese processuali. Con sentenza depositata il 28-5-2005 la Corte di Appello di Milano rigettava il gravame proposto avverso la predetta decisione dal M. e dalla P. . Questi ultimi hanno proposto ricorso per cassazione avverso tale sentenza, sulla base di tre motivi. Il Condominio di via OMISSIS , G.D. e C.I. hanno resistito con un comune controricorso. Con ordinanza emessa all'udienza del 5-7-2012 la Corte ha assegnato ai ricorrenti termine per il deposito dell'autorizzazione a stare in giudizio rilasciata dall'assemblea condominiale all'amministratore. I ricorrenti hanno provveduto alla produzione di tale atto ed hanno depositato una memoria ex articolo 378 c.p.c Motivi della decisione 1 Con il primo motivo i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione degli articolo 1158, 1159, 2607 e 2699 c.c Sostengono che dal primo atto di vendita frazionata degli appartamenti dell'edificio di via omissis e dal regolamento di condominio risulta che il sottotetto, non tinteggiato di grigio, non è di natura condominiale. Rilevano, inoltre, che la deduzione di prova testimoniale era legittima, contenendo gli elementi fattuali costitutivi dell'istituto dell'usucapione. Il motivo difetta del requisito di specificità richiesto dall'articolo 366 numero 3 c.p.c Le deduzioni svolte, nella prima parte, si risolvono nella mera riproposizione di assunti in fatto già esaminati e disattesi dal giudice di appello, il quale, all'esito di un'approfondita disamina delle risultanze processuali, ha negato, con argomentazioni congruenti, che dalle planimetrie in atti e dal regolamento condominiale possano desumersi elementi a sostegno della tesi della natura non condominale del sottotetto per cui è causa. Il motivo in esame è privo di qualsiasi riferimento alla statuizione adottata dal giudice di merito e alle ragioni che la sostengono né spiega in alcun modo in cosa consistano le dedotte violazioni di legge cfr. 25-9-2009 numero 20652 Cass. 6-7-2007 numero 15263 Cass. 18-3-2002 numero 3941 . Anche le censure mosse nella seconda parte del motivo non soddisfano le esigenze di specificità imposte dalla menzionata disposizione di legge, non indicando nemmeno il contenuto dei capitoli di prova testimoniale articolati in corso di causa e non ammessi dal giudice di merito. Le critiche rivolte alla sentenza impugnata, pertanto, per la loro genericità, non valgono a superare i rilievi svolti dalla Corte di Appello, la quale ha ritenuto inammissibile il mezzo istruttorio invocato dai convenuti per la indeterminatezza, anche sotto il profilo temporale, dei capitoli dedotti ai fini dell'accertamento dell'usucapione, nonché per la loro inidoneità a provare un possesso esclusivo qualificato del bene comune, ai sensi dell'articolo 1102 comma 2 c.c 2 Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano l'erronea e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia. Sostengono che la Corte di Appello, pur avendo ritenuto la legittimazione attiva del Condominio sul rilievo che l'azione proposta era di reintegra, non ha proceduto all'accertamento dell'esercizio di fatto del possesso del sottotetto da parte dei condomini e dell'esecuzione, da parte dei convenuti, di opere impeditive dell'uso comune. Deducono che, non risultando il possesso comune del sottotetto da parte dei condomini, non può nemmeno raffigurarsi l'ipotesi di uno spoglio. Rilevano, inoltre, che non può attribuirsi alcun valore confessorio alle dichiarazioni del M. , il quale non ha ammesso alcun abuso come fatto materiale, ma si è ripromesso di effettuare alcune modifiche . Il motivo deve essere disatteso. Le censure mosse non si confrontano con le ragioni della decisione, atteso che la Corte di Appello, nel disattendere l'eccezione di carenza di legittimazione attiva dell'amministratore sollevata dagli appellanti, non ha affatto qualificato la domanda proposta dall'attore come possessoria, bensì come diretta alla tutela dello stato di fatto del bene condominiale, mediante il ripristino dell'originario stato dei luoghi, mutato attraverso l'esecuzione di opere in muratura, con conseguente acquisizione dello spazio intercluso nell'ambito esclusivo dei convenuti. Nel ritenere l'amministratore legittimato a proporre l'azione di ripristino dello stato dei luoghi, la Corte di merito si è conformata alla consolidata giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale il potere rappresentativo che compete all'amministratore del condominio ex articolo 1130 e 1131 c.c. e che, sul piano processuale, si riflette nella facoltà di agire in giudizio per la tutela dei diritti sulle parti comuni dell'edificio, comprende tutte le azioni volte a realizzare tale tutela, con esclusione soltanto di quelle azioni che incidono sulla condizione giuridica dei beni cui si riferiscono, esulando, pertanto, dall'ambito degli atti conservativi tra le tante v. Cass. 25-7-2011 numero 16230 Cass. 30-10-2009 numero 23065 Cass. 24-11-2005 numero 24764 . Resta esclusa, di conseguenza, la possibilità di esperimento di azioni reali, contro i singoli condomini o contro terzi, dirette ad ottenere statuizioni relative alla titolarità o al contenuto di diritti su cose e parti dell'edificio Cass. 6-2-2009 numero 3044 Cass. 24-11-2005 numero 24764 . Al contrario, nell'ipotesi, ricorrente nel caso di specie, di abusiva occupazione di una porzione di area condominiale, mediante la costruzione di un manufatto di proprietà esclusiva, sussiste la legittimazione dell'amministratore di condominio ad agire giudizialmente, con azione volta al ripristino dei luoghi , nei confronti dell'autore dell'opera denunciata Cass. 25-7-2011 numero 16230 . Una simile azione, infatti, essendo diretta al mantenimento dell'integrità materiale dell'area condominiale, stravolta dalla nuova costruzione, rientra nel novero degli atti conservativi di cui al menzionato articolo 1130 c.c Le ulteriori deduzioni svolte con il motivo in esame per escludere valore confessorio alle dichiarazioni del M. sono inammissibili. La Corte di Appello ha dato atto che i convenuti nelle loro difese non hanno contestato i fatti rappresentati dall'attore costruzione di opere murarie all'interno dello spazio del sottotetto, tale da escludere l'area così chiusa dalla rimanente area condominale ed ha rilevato che tale mancata contestazione assume un indubbio valore probatorio circa la presenza della condotta addebitata dal Condominio. In ogni caso, essa ha evidenziato che nella specie è stata acquisita prova positiva del fatto attraverso l'acquisizione del verbale dell'assemblea del 7-6-1003, dal quale risulta che il M. , a fronte delle contestazioni dell'amministratore e della richiesta di sgombero e ripristino, si è dichiarato disponibile all'abbattimento del muro di chiusura con ripristino della porticina di collegamento tra le due entrata ed uscita , in tal modo riconoscendo la condotta addebitatagli. I ricorrenti non hanno prospettato specifiche violazioni di legge o vizi di motivazione riguardo alla prima parte della motivazione, di per sé idonea a sorreggere la decisione. Come è stato precisato da questa Corte, infatti, l'onere di specifica contestazione, introdotto, per i giudizi instaurati dopo l'entrata in vigore della legge numero 353 del 1990, dall'articolo 167, primo comma, c.p.c., imponendo al convenuto di prendere posizione sui fatti posti dall'attore a fondamento della domanda, comporta che i suddetti fatti, qualora non siano contestati dal convenuto, debbono essere considerati incontroversi e non richiedenti una specifica dimostrazione Cass. 20-11-2008 numero 2596 Cass. 25-5-2007 numero 12231 . Ciò posto, si richiama il principio affermato dalla giurisprudenza, secondo cui, nel caso in cui venga impugnata con ricorso per cassazione una sentenza o un capo di questa che si fondi su più ragioni, tutte autonomamente idonee a sorreggerla, è necessario, per giungere alla cassazione della pronuncia, non solo che ciascuna di esse abbia formato oggetto di specifica censura, ma anche che il ricorso abbia esito positivo nella sua interezza con l'accoglimento di tutte le censure, affinché si realizzi lo scopo proprio di tale mezzo di impugnazione, il quale deve mirare alla cassazione della sentenza, in toto o nel suo singolo capo, per tutte le ragioni che autonomamente l'una o l'altro sorreggano. Ne consegue che è sufficiente che anche una sola delle dette ragioni non abbia formato oggetto di censura, ovvero, pur essendo stata impugnata, sia respinta, perché il ricorso o il motivo di impugnazione avverso il singolo capo di essa, debba essere respinto nella sua interezza, divenendo inammissibili, per difetto di interesse, le censure avverso le altre ragioni poste a base della sentenza o del capo impugnato v. per tutte Cass. S.U. 8-8-2005 numero 16602 . Nella specie, di conseguenza, non avendo i ricorrenti specificamente impugnato il primo ordine di argomentazioni addotte dalla Corte territoriale, si rivelano inammissibili le doglianze inerenti al valore attribuito in sentenza alle dichiarazioni rese nel corso dell'assemblea condominale dal M. doglianze che, peraltro, si sostanziano nella inammissibile pretesa di ottenere, al riguardo, una valutazione diversa rispetto a quella compiuta dal giudice di merito, che, in quanto sorretta da una motivazione immune da vizi logici, si sottrae al sindacato di legittimità. 3 Con il terzo motivo viene dedotta la violazione dell'articolo 132 numero 5 c.p.c., non essendo identificate né identificabili le opere di demolizione da eseguire. Il motivo è infondato, desumendosi dal complessivo contesto della sentenza impugnata che le opere di cui è stata ordinata la demolizione erano rappresentate dalla strutture realizzate dai convenuti, che precludevano l'uso comune del sottotetto, e rimanendo comunque devoluta al giudice dell'esecuzione la soluzione di eventuali problemi tecnici che insorgano in sede di concreta attuazione del comando Cass. Sez. Unumero 15-1-1987 numero 245 . 4 Per le ragioni esposte il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese sostenute dal resistente nel presente grado di giudizio, liquidate come da dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 2.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.