‘Patto di prova’ generico, richiamo caotico alle mansioni della dipendente: sanzionata l’azienda

Illegittima la condotta tenuta nei confronti della lavoratrice. Nodo gordiano è la mancanza di una indicazione precisa, nel ‘patto’, dei compiti attribuiti. Ciò rende nulla la ‘prova’. Illegittimo, di conseguenza, il recesso anticipato deciso dall’azienda, condannata a risarcire la dipendente.

Troppo generico, e quindi fragilissimo si sbriciola, metaforicamente, il ‘patto di prova’. Così, nonostante le obiezioni dell’azienda – ‘Poste Italiane spa’, per la precisione –, è sancita la nullità del ‘patto’ allegato al ‘contratto a termine’ stipulato con una lavoratrice. Vittoria piena, quindi, per la dipendente, che si vede anche riconosciuto un risarcimento di 2mila e 700 euro per l’illegittimità del recesso anticipato operato dall’azienda Cassazione, sentenza numero 5509, sezione Lavoro, depositata oggi . Prova. Nodo gordiano della vicenda è la mancanza di dettagli nel ‘patto di prova’. Proprio alla luce di tale elemento, difatti, i giudici di merito hanno sancito la «illegittimità del recesso, per carenza di specificazioni delle mansioni» della lavoratrice, operato dall’azienda. E proprio su questo elemento si soffermano i legali di ‘Poste Italiane spa’, riaffermando, in Cassazione, la tesi della idoneità delle «indicazioni contenute nella lettera di assunzione», lettera, datata settembre 2001, che conteneva, ricordano i legali, «un espresso richiamo al sistema classificatorio della contrattazione collettiva vigente compiti conformi a quelli attualmente previsti per il personale dell’‘Area Operatiova’ , e alla relativa nozione dettaglia del profilo professionale» della lavoratrice. Per i legali dell’azienda, ovviamente, «il patto di prova era pienamente valido». Anche perché, viene aggiunto, «il rinvio alla contrattazione collettiva consentiva una idonea ricostruzione delle attribuzioni assegnate alla lavoratrice», e, peraltro, «è sufficiente il riferimento scritto alla qualifica e al livello di inquadramento, idonei a determinare per relationem le singole mansioni, nonché la preventiva conoscenza, da parte del dipendente, dei compiti che gli saranno attribuiti». Mansioni. Tale visione, però, viene ritenuta priva di senso dai giudici del ‘Palazzaccio’, i quali ricordano, in premessa, che «il ‘patto di prova’, apposto al contratto di lavoro, deve non solo risultare da atto scritto, ma contenere anche la specifica indicazione delle mansioni da espletare». Ciò anche per dare al lavoratore «la possibilità di impegnarsi secondo un programma ben definito, in ordine al quale poter dimostrare le proprie attitudini» e al datore di lavoro «la facoltà di esprimere la propria valutazione sull’esito della prova». Elemento non discutibile, di conseguenza, sanciscono i giudici, è l’indicazione «dall’inizio» di «compiti esattamente identificati». E invece, in questa vicenda, son davvero di poco peso – su questo punto viene considerata corretta la valutazione compiuta in Appello – «le indicazioni contenute nella lettera di assunzione», indicazioni «del tutto vaghe e insufficienti a ricostruire, anche attraverso un rinvio alla fonte collettiva, le specifiche attribuzioni» della lavoratrice «nel quadrimestre di assunzione con contratto a tempo determinato». Andando nel dettaglio, difatti, emerge che è stata «specificata la sede di lavoro» e sono stati individuati «come attribuiti alla lavoratrice soltanto compiti conformi a quelli attualmente previsti per il personale dell’‘Area Operativa’», con riferimento a una «pluralità di mansioni che addirittura facevano riferimento a tre distinti livelli di inquadramento del personale, nonché ad un’ampia serie di diversificate mansioni concrete, nessuna delle quali è possibile, in via generale, ricostruire come attribuzione concreta» per la lavoratrice. Tutto ciò spinge i giudici della Cassazione a confermare la illegittimità della condotta aziendale, culminata, peraltro, nella «mancanza di indicazione delle mansioni» persino nel «telegramma di recesso».

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 11 dicembre 2014 – 19 marzo 2015, numero 5509 Presidente Lamorgese – Relatore Nobile Fatto e diritto Con ricorso alla Corte di Appello di Firenze numero R.G. 278/2006 Poste Italiane s.p.a. impugnava la sentenza del giudice del lavoro del Tribunale di Pistoia che - dichiarata la nullità del patto di prova apposto al contratto a termine stipulato tra la società e G.M. in data 25-9-2001, per il periodo 1-10-2001 131-1-2002 - l'aveva condannata a pagare euro 2.716,02, a titolo risarcitorio per l'illegittimo recesso ante tempus del 25-10-2001. In particolare la società deduceva a la mancata valutazione da parte del primo giudice del comportamento della lavoratrice concludente verso la volontà risolutiva del rapporto b la erroneità della ritenuta illegittimità del recesso per carenza di specificazione delle mansioni c l'omessa considerazione della piena libera recedibilità del datore di lavoro dal patto di prova. La M. si costituiva e resisteva al gravame. La Corte d'Appello di Firenze, con sentenza depositata il 29-4-2008, rigettava l'appello e condannava l'appellante al pagamento delle spese. Per la cassazione di tale sentenza la società ha proposto ricorso con due motivi. La M. è rimasta intimata. Infine il Collegio ha autorizzato la motivazione semplificata. Ciò posto va rilevato che la società ricorrente con il primo motivo, denunciando violazione degli articolo 2096 e 1362 c.c. nonché vizio di motivazione, deduce che la decisione impugnata avrebbe errato nel ritenere insufficienti ed inidonee le indicazioni contenute nella lettera di assunzione del 25-9-2001, omettendo di considerare che tale lettera conteneva un espresso richiamo al sistema classificatorio della contrattazione collettiva vigente compiti conformi a quelli attualmente previsti per il personale dell'Area Operativa , e alla relativa nozione dettagliata del profilo professionale in cui la M. era inquadrata, per cui il patto di prova era pienamente valido con il secondo motivo, denunciando ulteriore vizio di motivazione, ribadisce che il rinvio alla contrattazione collettiva consentiva una idonea ricostruzione delle attribuzioni assegnate alla lavoratrice ed aggiunge che, ai fini della validità del patto di prova, è sufficiente il riferimento scritto alla qualifica e al livello di inquadramento, idonei a determinare per relationem le singole mansioni, nonché la preventiva conoscenza, da parte del lavoratore, dei compiti che gli saranno attribuiti. Entrambi i motivi, strettamente connessi ed in parte ripetitivi, non meritano accoglimento. Come è stato più volte affermato da questa Corte e va qui ribadito, il patto di prova apposto al contratto di lavoro deve non solo risultare da atto scritto, ma contenere anche la specifica indicazione delle mansioni da espletare, atteso che la facoltà del datore di lavoro di esprimere la propria insindacabile valutazione sull'esito della prova presuppone che questa debba effettuarsi in ordine a mansioni esattamente identificate ed indicate. A tal fine il riferimento al sistema classificatorio della contrattazione collettiva è sufficiente ad integrare il requisito della specificità dell'indicazione delle mansioni del lavoratore in prova solo se rispetto alla scala definitoria di categorie, qualifiche, livelli, profili professionali il richiamo contenuto nel patto di prova è fatto alla nozione più dettagliata v. Cass. 18-11-2000 numero 14950, Cass. 9-6-2006 numero 13455, nonché Cass. 10-10-2006 numero 21698, che afferma che da una parte, la possibilità per il lavoratore di impegnarsi secondo un programma ben definito in ordine al quale poter dimostrare le proprie attitudini, e, dall'altra, la facoltà del datore di lavoro di esprimere la propria valutazione sull'esito della prova, presuppongono che questa debba effettuarsi in relazione a compiti esattamente identificati sin dall'inizio e Cass. 20-5 2009 numero 11722, che ammette la indicazione per relationem, sempre che il richiamo sia sufficientemente specifico . Orbene, nella specie, la Corte di merito ha rilevato che le indicazioni contenute nella lettera di assunzione sono dei tutto vaghe ed insufficienti a ricostruire anche attraverso un rinvio alla fonte collettiva le specifiche attribuzioni della M. nel quadrimestre di assunzione con contratto a tempo determinato infatti viene specificata la sede di lavoro presso il C.P.O. di Pistoia e si individuano come attribuiti alla lavoratrice soltanto compiti conformi a quelli attualmente previsti per il personale dell'Area Operativa , nella quale erano ricomprese una pluralità di mansioni, che addirittura facevano riferimento a tre distinti livelli d'inquadramento del personale precedentemente in vigore, nonché ad un'ampia serie di diversificate mansioni concrete nessuna delle quali è possibile in via generale ricostruire come attribuzione concreta per G.M. . Tale accertamento, prettamente di fatto, risulta conforme a diritto e, in quanto congruamente motivato, resiste alle censure della società ricorrente, che, in sostanza, si risolvono in una inammissibile richiesta di revisione del ragionamento decisorio - non sussumibile nel controllo di logicità del giudizio di fatto, consentito dall'articolo 360 numero 5 c.p.c. v., fra le altre, Cass. 7-6-2005 numero 11789, Cass. 6-3-2006 numero 4766, Cass. 7-1-2014 numero 91 - in merito alla valutazione della insufficienza, in concreto, del richiamo ai compiti previsti per il personale dell'Area Operativa . D'altra parte la affermazione della Corte di merito circa la mancanza di indicazione delle mansioni non solo a monte ma anche a valle nel telegramma di recesso è stata fatta ad abundantiam, per cui la censura rivolta contro tale argomentazione risulta inammissibile v. Cass. 22-11-2010 numero 23635, Cass. 23-11-2005 numero 24591 . Il ricorso va, pertanto, respinto. Infine non deve provvedersi sulle spese, non avendo la intimata svolto alcuna attività difensiva. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso, nulla per le spese.