Rivalutazione monetaria: solo se si tratta di compensi derivanti da attività svolta con il lavoro personale dell’agente

Per potersi configurare la competenza del giudice del lavoro in tema di contratti di agenzia è necessario che l’attività di collaborazione sia coordinata e continuativa e venga svolta quanto meno in misura prevalente con il lavoro personale dell’agente tale situazione non ricorre allorché il contratto di agenzia intercorra con una società di capitali o, come nella specie, con una società di persone che costituisca un autonomo centro d’imputazione di interessi tra il socio e il preponente, ovvero quando l’agente svolga la propria attività avvalendosi di una struttura organizzativa a carattere imprenditoriale.

Con la sentenza numero 3029 del 16 febbraio 2015, la Corte di Cassazione chiarisce la natura dei crediti derivanti da un contratto di agenzia, precisando che su tali importi può applicarsi la rivalutazione automatica soltanto nel caso di in cui derivino da un rapporto di agenzia nel quale l’attività dell’agente è svolta personalmente e con continuità, escludendosi, quindi, nel caso di agente avente struttura societaria. Il caso. Nel caso deciso dalla Cassazione con la sentenza in commento, la controversia era relativa, per quanto di interesse in questa sede, alla natura dei crediti derivanti da un contratto di agenzia, nel senso di doverli o meno ricondurre nell’ambito dei crediti di lavoro e, quindi, soggetti alla rivalutazione automatica ex articolo 429 c.p.c., pur in assenza della prova sul danno lamentato dal creditore. Deciso in senso contraddittorio dai giudici di merito, la Corte di Cassazione, tra l’altro, ritiene opportuno rimettere alla Corte territoriale la valutazione sulla natura di tali crediti, anche in ragione del soggetto, avente forma societaria, che svolgeva l’attività di agenzia. Società di persone ed imputazione del contratto di agenzia. Secondo la giurisprudenza, con riferimento all’imputazione del contratto di agenzia, la società in accomandita semplice, quale che ne sia il numero di soci, costituisce comunque un centro autonomo d’imputazione di rapporti giuridici rispetto ai soci stessi pertanto, concluso un contratto di agenzia tra l’impresa preponente ed una società in accomandita semplice, la controversia sulla risoluzione di tale contratto esula dalla competenza per materia del giudice del lavoro, a nulla rilevando che uno dei soci abbia materialmente svolto attività personale di agente, in quanto tale attività viene necessariamente mediata dalla società, perdendo il carattere della personalità nei confronti del preponente. Crediti di lavoro e rivalutazione la regola generale. In forza dell’articolo 429 c.p.c., la rivalutazione dei crediti di lavoro, costituendo una proprietà intrinseca ed indissolubile di tali crediti, come tale riconducibile alla causa petendi della domanda con cui il credito è fatto valere, deve essere operata d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio, senza necessità di una specifica domanda del lavoratore, sempreché sulla questione non sia già intervenuta una pronuncia, ancorché solo implicita, non contestata dalla parte soccombente, atteso che in tale caso il potere officioso del giudice viene meno per effetto dell’acquiescenza e dalla formazione del giudicato sulla questione Obbligazioni pecuniarie e danno da svalutazione monetaria quando può essere risarcito. Nelle obbligazioni pecuniarie, in difetto di discipline particolari dettate da norme speciali – come, ad esempio, l’ipotesi di cui all’articolo 429 c.p.c. poc’anzi menzionata – il maggior danno da svalutazione monetaria rispetto a quello già coperto dagli interessi legali moratori non convenzionali che siano comunque dovuti è in via generale riconoscibile in via presuntiva e per qualunque creditore che ne domandi il risarcimento, senza necessità di inquadrarlo in un’apposita categoria, nella eventuale differenza, a decorrere dalla data di insorgenza della mora, tra il tasso del rendimento medio annuo netto dei titoli di stato di durata non superiore a dodici mesi ed il saggio degli interessi legali ovviamente è fatta salva la possibilità del debitore di provare che il creditore non ha subìto un maggior danno o che lo ha subìto in misura inferiore a quella differenza, in relazione al meno remunerativo uso che avrebbe fatto della somma dovuta se gli fosse stata tempestivamente versata. Se il danneggiato è un imprenditore? Per contro, il creditore danneggiato che domandi a titolo di maggior danno una somma superiore a quella differenza è tenuto ad offrire la prova del danno effettivamente subìto, quand’anche sia un imprenditore, mediante la produzione di idonea e completa documentazione, e ciò sia che faccia riferimento al tasso dell’interesse corrisposto per il ricorso al credito bancario sia che invochi come parametro l’utilità marginale netta dei propri investimenti in entrambi i casi la prova potrà dirsi raggiunta per l’imprenditore solo se, in relazione alle dimensioni dell’impresa ed all’entità del credito, sia presumibile, nel primo caso, che il ricorso o il maggior ricorso al credito bancario abbia effettivamente costituito conseguenza dell’inadempimento, ovvero che l’adempimento tempestivo si sarebbe risolto nella totale o parziale estinzione del debito contratto verso le banche, e, nel secondo, che la somma sarebbe stata impiegata utilmente nell’impresa. Debiti di valuta e debiti di valore la differenza. Per distinguere i debiti di valuta dai debiti di valore, occorre avere riguardo non alla natura dell’oggetto nel quale la prestazione avrebbe dovuto concretarsi al momento dell’inadempimento, bensì all’oggetto diretto ed originario della prestazione, che, nelle obbligazioni di valore, consiste in una cosa diversa dal denaro, mentre, nelle obbligazioni di valuta è proprio una somma di danaro, a nulla rilevando l’originaria indeterminatezza della somma stessa ne deriva che il debito per il risarcimento del danno, conseguente alla mora nell’adempimento di una obbligazione sin dall’origine pecuniaria, ex articolo 1224 c.c., ha natura di debito di valuta tanto se il risarcimento sia pari alla sola misura degli interessi al tasso legale e convenzionale, quanto se debba essere determinato anche in relazione alla maggior misura dimostrata. Proprio uno dei motivi di ricorso, accolto con rinvio alla Corte di Appello, riguardava l’esatta natura dei crediti riconosciuti, in considerazione del fatto che alcune delle provvigioni oggetto di causa non era state corrisposte per la dolosa condotta della società agente, che aveva intrattenuto rapporti concorrenziali con altri soggetti rispetto a quello in essere con il proprio preponente. Obbligazione risarcitoria è debito di valore. Il S.C., inoltre, precisa che l’obbligazione di risarcimento dei danni da inadempimento contrattuale costituisce - al pari dell’obbligazione risarcitoria per responsabilità extracontrattuale ed aquiliana - un debito non di valuta ma di valore, sicché, anche in sede di liquidazione equitativa dei danni predetti, deve tenersi conto della svalutazione monetaria frattanto intervenuta, senza necessità che il creditore alleghi o dimostri il danno maggiore ai sensi dell’articolo 1224, comma 2, c.c. danni nelle obbligazioni pecuniarie su tale somma rivalutata decorrono gli interessi atteso che la rivalutazione e gli interessi sulla somma rivalutata adempiono funzioni diverse - poiché mentre la prima mira a ripristinare la situazione patrimoniale del danneggiato quale essa era prima dell’evento pregiudizievole, i secondi hanno natura compensativa - e sono, quindi, giuridicamente compatibili.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 26 novembre 2014 – 16 febbraio 2015, numero 3029 Presidente Piccialli – Relatore Mazzacane Svolgimento del processo Con atto di citazione notificato il 16-6-2000 la s.a.s. S.N. di S.G. e D. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Bari la s.p.a. Alcisa chiedendone la condanna al pagamento della somma complessiva di lire 1.272.995.514 oltre interessi e svalutazione per diritti maturati nel corso del lungo rapporto di agenzia intercorso tra le due società e cessato in data 31-12-1996. L'attrice assumeva che con contratto del 30-1-1995 l'allora società di fatto S.N. di G. e D. era stata nominata dalla convenuta agente di commercio con l'incarico di vendere i prodotti alimentari della stessa nella zona di Bari e Brindisi dietro corrispettivo di provvigioni diverse in base al tipo di prodotti venduti a seguito della cessazione del rapporto in data 31-12-1996, l'Alcisa aveva inviato all'esponente un prospetto da cui risultava la spettanza all'ex agente della somma di lire 53.145.474 interamente assorbita, secondo la convenuta, da varie somme dovute dall'attrice per titoli diversi, cosicché, effettuata la compensazione, l'ex agente sarebbe stata debitrice di lire 16.266.000. L'esponente aveva contestato tale conteggio, indicando come dovute dall'Alcisa somme per le seguenti causali A L. 139.500.000 a titolo di rimborso, previa detrazione della percentuale prevista dello star del credere, della somma di L. 130.000.000 che l'Alcisa aveva preteso sugli ordini andati a buon fine del cliente s.r.l. D.V.G. di Terlizzi e garantiti da essi S. al 100%, dato che era nullo il patto di garanzia dell'agente oltre la percentuale dello star del credere 9%, pari a tre volte la provvigione del 3% B lire 180.000.000 per provvigioni sugli ordini acquisiti da D.V.D. , cui l'Alcisa aveva affidato clandestinamente l'incarico di agente nella zona assegnata alla società S. C L. 681.000.000 per provvigioni relative a vendite effettuate direttamente e di soppiatto dall'Alcisa alle clienti s.p.a. D.V.G. e s.p.a. GVD nel periodo 1975-1990 D L. 26.810.273 per provvigioni maturate relative al quarto semestre 1986 e non ancora inviate E L. 10.650.980 quali differenze di provvigioni indebitamente trattenute dall'Alcisa sui cosiddetti premi di fedeltà concessi ai clienti che acquistavano quantitativi di mercé rilevanti F L. 23.199.646 per il mancato recupero di somme dovute da dodici clienti all'Alcisa, nei cui crediti rimasti insoluti l'Alcisa aveva surrogato la S. G L. 145.000.000 a titolo di indennità pari all'1% di provvigione per l'attività di maneggio denaro riconosciuta fin dal 1975 dalla contrattazione collettiva del 1974 per tutte le somme incassate tra il 1975 ed il 1986 H L. 11.068.010 per rimborso interessi dal 1989 al 1990 illecitamente addebitati all'attrice per i ritardati pagamenti della clientela I L. 52.084.884 per indennità sostitutiva di preavviso e L. 112.055.735 per indennità di cessazione del rapporto, entrambe non corrisposte L L. 1.037.660 per FIRR già riconosciute dalla controparte. La società attrice, rilevato che dal totale di L. 1.382.407.188 dovute dovevano essere detratte alcune voci di credito in favore della convenuta, chiedeva la condanna di quest'ultima al pagamento della residua somma di L. 1.272.995.514 oltre interessi e rivalutazione. Costituendosi in giudizio la società Alcisa contestava il fondamento delle domande attrici di cui chiedeva il rigetto, eccependo tra l'altro la prescrizione e la decadenza di ogni diritto risalente ad oltre cinque o dieci anni addietro a seconda del titolo sottostante in via riconvenzionale chiedeva la condanna della società S. al pagamento di L. 16.266.200 quale saldo debitorio al netto della compensazione legate, nonché al pagamento di L. 6.000.000.000 per risarcimento danni da illegittimo comportamento concorrenziale tenuto nella zona, e, infine, spiegava domanda riconvenzionale per il pagamento di L. 22.550.236 in restituzione di quanto indebitamente percepito per effetto di accordi transattivi disconosciuti. In sede di memoria ex articolo 183 quinto comma c.p.c. l'attrice rinunciava alla indennità di cessazione del rapporto e chiedeva, invece, la corresponsione della indennità suppletiva di clientela pari a L. 97.078.000 in proposito la convenuta non accettava il contraddittorio. Il Tribunale adito con sentenza del 16-9-2005 accoglieva per quanto di ragione la domanda attrice nonché la riconvenzionale dell'Alcisa avente ad oggetto la somma di L. 16.266.200 e, compensato il credito della convenuta con il maggior credito dell'attrice, condannava l'Alcisa al pagamento in favore della S. della somma di Euro 513.484,88 di cui Euro 212.344,86 per sorte capitale ed il residuo per interessi legali e rivalutazione al 31-10-2003, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali sulla sorte capitale dal 1-11-2003 al soddisfo. Proposta impugnazione da parte dell'Alcisa cui resisteva la S.N. di D. e S.G. in liquidazione che introduceva anche un appello incidentale la Corte di Appello di Bari con sentenza del 27-2-2008 ha rigettato l'appello principale ed ha dichiarato inammissibile l'appello incidentale. La Corte territoriale, per quanto ancora interessa in questa sede, ha ritenuto infondata l'eccezione di prescrizione sollevata dall'Alcisa in relazione ai diritti fatti valere sub B e C dell'atto di citazione, affermando che effettivamente il termine prescrizionale in ordine alle provvigioni maturate antecedentemente al 1996 non poteva decorrere prima di tale anno, ovvero dalla scoperta delle vendite intervenute tra l'Alcisa e le società dei Vanna o direttamente o tramite l'illecito l'incarico di agenzia in proposito ha rilevato, quanto alla sospensione della prescrizione per dolo del venditore ai sensi dell'articolo 2941 numero 8 c.c., che il comportamento doloso del debitore, ai fini della sospensione, può estrinsecarsi anche in fatti omissivi, quando questi riguardano atti dovuti ai quali il debitore è tenuto per legge o per contratto nella specie l'Alcisa, per il semplice fatto di vendere direttamente mercé alla società D.V. di nascosto nella zona di competenza della S. o di vendere nella stessa zona tramite l'incarico occulto dato ad altro agente, aveva violato precisi obblighi non solo di legge ma contrattuali ed inoltre neppure mancava il doto commissivo dell'occultamento, atteso che, come emerso dalla documentazione in atti, la mercé veniva fatturata con un codice diverso noto solo all'Alcisa ed alle società D.V. , ed il pagamento avveniva nelle mani di funzionari inviati appositamente dall'Alcisa oppure con altri mezzi nascosti. Il giudice di appello, inoltre, ha disatteso il motivo con il quale l'appellante principale aveva censurato il mancato accoglimento dell'eccezione di prescrizione relativamente alla domanda proposta sub G dell'atto di citazione avente ad oggetto l'indennità di maneggio del denaro, nonché la mancata considerazione della irrilevanza delle fotocopie di ricevute di spedizione prodotte dai S. per giustificare l'avvenuta interruzione del termine prescrizionale in ordine alla eccepita irrilevanza delle copie fotostatiche delle ricevute, ha ritenuto che esse dovevano aversi per riconosciute come conformi agli originali, in quanto non espressamente disconosciute tempestivamente subito dopo l'avvenuta produzione nel giudizio di primo grado, avendo l'Alcisa richiesto gli originali solo con la comparsa conclusionale quanto poi alla eccepita prescrizione, doveva senz'altro ritenersi che la società S. avesse tempestivamente provato di averla interrotta inviando periodicamente all'indirizzo dell'Alcisa le raccomandate esibite, che contenevano richieste e solleciti di pagamento della indennità di incasso, riferendosi a rimesse precedenti te quali, come accertato dal CTU, erano documentate. La Corte territoriale poi ha condiviso il convincimento del giudice di primo grado in ordine alla riconosciuta rivalutazione monetaria delle somme oggetto di condanna per l'automatica applicazione di quanto previsto per i crediti di lavoro, pur vertendosi in una controversia tra due imprese in proposito ha anzitutto ritenuta corretta l'applicazione analogica dell'articolo 409 c.p.c., norma di natura sostanziale, in presenza di una impresa collettiva di persone che svolgeva attività di agenzia tramite il lavoro personale dei due germani S.G. e S.D. , con la conseguenza che il minor introito di provvigione incideva notevolmente sul guadagno personale dei due soci in secondo luogo occorreva rilevare che la maggior parte dei crediti era di natura risarcitoria, ovvero di valore, attenendo a provvigioni non corrisposte a causa dell'occultamento doloso dei rapporti intrattenuti illecitamente dall'Alcisa con la società dei fratelli D.V. comunque, anche a voler ritenere tutto il credito riconosciuto di valuta, nella specie, trattandosi di imprenditori commerciali, era ragionevole presumere che essi, ove avessero potuto disporre tempestivamente delle somme dovute, le avrebbero utilizzate in impieghi antinflazionistici. Infine la sentenza impugnata ha affermato, relativamente alta decorrenza di interessi e svalutazione sulla somma richiesta dalla controparte con la domanda sub A dell'atto di citazione avente ad oggetto il rimborso delle somme trattenute dall'Alcisa come star del credere per gli insoluti D.V. , che, trattandosi di una garanzia prestata con patto nullo, si verteva sicuramente in tema di indebito oggettivo, onde il rimborso era dovuto dal momento dell'avvenuto versamento, e da tale momento dovevano decorrere gli interessi. Per la cassazione di tale sentenza la s.p.a. Alcisa ha proposto un ricorso articolato in dieci motivi seguito successivamente da una memoria cui la s.a.s. S.N. di S.G. e D. in liquidazione ha resistito con controricorso. Motivi della decisione Con il primo motivo la ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione degli articolo 1743-1748-2941 numero 8-1362 c.c., e 115 e 116 c.p.c., censura la sentenza impugnata per aver rigettato l'eccezione di prescrizione sollevata dall'esponente in relazione alle domande sub B e C dell'atto di citazione sotto un duplice profilo anzitutto la condotta dell'Alcisa, consistente nella vendita dei propri prodotti in via diretta e tramite un altro agente nella stessa zona assegnata alla S. , non poteva essere qualificata come un fatto omissivo, essendo semmai un fatto commissivo, fonte stessa del diritto alle provvigioni invocato in giudizio pertanto non si poteva ritenere sussistente il dolo previsto dall'articolo 2941 numero 8 c.c. per la sospensione della prescrizione in secondo luogo erroneamente la Corte territoriale ha ritenuto che tale condotta costituisse una violazione di un obbligo di legge e/o contrattuale, avendo dato per scontato che il rapporto di agenzia intercorso tra le parti fosse in esclusiva, mentre in realtà l'Alcisa non aveva mai concesso l'esclusiva ad alcuno dei suoi agenti. La censura è infondata. Anzitutto deve osservarsi che la sentenza impugnata ha rilevato, ai fini della operatività della sospensione della prescrizione ex articolo 2941 numero 8 c.c., che il comportamento doloso del debitore può manifestarsi anche i fatti omissivi oltre che commissivi, quando abbia ad oggetto un atto dovuto per legge o per contratto, come era avvenuto nella fattispecie, laddove l'Alcisa, vendendo mercé alla società D.V. di nascosto nella zona di competenza della S. o vendendo nella stessa zona tramite l'incarico occulto dato ad altro agente, aveva violato obblighi non solo di legge articolo 1743 e 1748 c.c. , ma anche contrattuali ha comunque aggiunto che nella specie ricorreva anche il dolo commissivo dell'occultamento, considerato che dalla documentazione in atti era emerso che la mercé era stata fatturata con un codice diverso noto solo all'Alcisa e ad altre società D.V. , e che il pagamento avveniva nelle mani di funzionari appositamente inviati dall'Alcisa oppure con altri mezzi nascosti pertanto il giudice di appello ha ritenuto che nella specie la sospensione della prescrizione del diritto alle provvigioni da parte della società S. per occultamento doloso del debito da parte dell'Alcisa era conseguente ad un comportamento sia commissivo che omissivo di quest'ultima, cosicché logicamente è stata ritenuta l'operatività dell'articolo 2941 numero 8 c.c. sotto entrambi i profili. Quanto poi al rilievo secondo cui, contrariamente all'assunto della Corte territoriale, l'Alcisa non avrebbe mai concesso l'esclusiva ad alcuno dei suoi agenti, è agevole rilevare che in tal modo la ricorrente introduce per la prima volta in questa sede una questione nuova implicante un accertamento di fatto, come tale inammissibile. Con il secondo motivo la ricorrente, deducendo contraddittorietà della motivazione, assume che erroneamente il giudice di appello ha ritenuto la sussistenza di artifici e raggiri nel comportamento dell'esponente, e quindi il dolo commissivo dell'occultamento dell'attività già richiamata net precedente motivo infatti tali pretesi raggiri riguarderebbero solo le vendite dirette asseritamente effettuate dall'Alcisa presso la s.p.a. D.V. e la s.p.a. GDV, e non quelle effettuate dall'altro agente D.V.D. , e ciò per la ragione che la dichiarazione resa da D.V.P. e richiamata dalla sentenza impugnata riguarda esclusivamente la posizione D.V. - GDV inoltre fa presente che l'eventuale fatturazione della mercé direttamente venduta dall'esponente alla D.V. ed alta GDV rappresentava un fatto organizzativo interno per distinguere le diverse posizioni e facilitare gli adempimenti fiscali, privo di qualsiasi valenza ingannatrice verso la S. quanto poi ai pagamenti effettuati direttamente al funzionario dell'Alcisa, si trattava di un fatto assolutamente normale, come tale inidoneo ad occultare le vendite in questione. La Alcisa poi contesta la presunzione secondo la quale sarebbe stato verosimile e credibile che i S. non avessero avuto mai sentore della esistenza di vendite e forniture effettuate dall'Alcisa ai D.V. in segreto in quanto illogica, contraddittoria e priva di qualsiasi supporto probatorio, data la lunga frequentazione trentennale dei S. con i D.V. . Infine neppure poteva emergere la veridicità di accordi segreti e fraudolenti tra l'Alcisa ed i D.V. dalla documentazione richiamata dalla Corte territoriale, posto che tutt'al più dalle lettere del 3-5-1993 e 20-5-1993 e dai tabulati Enasarco si poteva desumere l'esistenza di un altro mandato nella stessa zona di XXXX, e dai registri contabili si poteva ricavare l'esistenza di vendite dirette da parte della società preponente alla D.V. - GDV. Il motivo è infondato. La Corte territoriale all'esito di una scrupolosa valutazione degli elementi probatori acquisiti in atti ha ritenuto sussistente la prova degli artifici e raggiri da parte dell'Alcisa per occultare dolosamente il proprio debito nei confronti della società S. , richiamando in proposito anzitutto la deposizione del teste D.V.P. , che aveva confermato le dichiarazioni rilasciate quale amministratore delle s.p.a. D.V.G. e GDV, nonché i fatti riferiti dal fratello D.V.D. nel frattempo deceduto nelle dichiarazioni scritte del 3-7-1996 circa il rapporto di agenzia intercorso tra l'Alcisa e lo stesso D.V.D. dal 1979 al 1989, e che aveva anche riferito che le due suddette società tra il 1975 ed il 1990 avevano acquistato mercé dall'Alcisa per circa sette miliardi di lire il giudice di appello ha poi aggiunto che gli accordi segreti e fraudolenti intervenuti tra l'Alcisa ed i D.V. avevano trovato riscontro documentale sia nella corrispondenza intercorsa tra l'agente abusivo D.V.D. e l'Alcisa, sia nelle risultanze della CTU, tramite l'esame dei tabulati esistenti presso l'Enasarco e dei registri contabili delle società D.V. acquisiti nella procedura del fallimento di dette società né tali inoppugnabili prove potevano essere scalfite dai rapporti di conoscenza esistenti da tantissimi anni tra i S. ed i D.V. , non avendo l'Alcisa neppure allegato che tra i S. ed i D.V. fossero intercorsi affari speculativi ed ambigui di comune interesse in danno dell'attuale ricorrente o di altre società, o comunque relazioni diverse da quelle normalmente intercorrenti tra l'agente ufficiale dell'Alcisa e dei clienti. Avendo quindi il giudice di appello puntualmente indicato gli elementi dai quali ha tratto il suo convincimento, si è in presenza di un accertamento di fatto sorretto da congrua e logica motivazione, come tale incensurabile in questa sede, dove la ricorrente tende inammissibilmente a prospettare una valutazione delle risultanze istruttorie a sé più favorevole, trascurando di considerare i poteri al riguardo devoluti al giudice di merito. Con il terzo motivo la società Alcisa, deducendo insufficiente motivazione, afferma, sempre in merito all'erroneo rigetto dell'eccezione di prescrizione sollevata dall'esponente con riferimento ai punti sub B e C dell'atto di citazione, che il giudice di appello, pur sollecitato in proposito, ha omesso l'esame della lettera del 23-2-1990 il cui contenuto è stato trascritto nel ricorso spedita dalla S. al signor G.I. all'epoca Presidente dell'Alcisa con la quale la prima caldeggiava presso la società esponente l'ipotesi di inglobare nella propria struttura i cosiddetti piazzisti D.V. per la zona di Bari nord da tale documento, infatti, si traeva la prova non solo del fatto che la S. era perfettamente a conoscenza delle vendite effettuate dall'Alcisa tramite l'agente D.V. e direttamente presso la D.V. s.p.a. - GDV, ma addirittura della circostanza che, al momento della cessazione del rapporto di agenzia con D.V.D. , le parti avevano discusso espressamente l'ipotesi di creare una struttura di vendita unica tra i S. ed i venditori D.V. . La censura è infondata. Invero dall'esame della suddetta lettera emerge soltanto l'interessamento dei S. per creare nella zona nord di Bari, tramite i D.V. , una struttura eventuale con spedizione diretta , senza quindi poter dedurre neppure implicitamente da tale prospettiva futura una pregressa conoscenza da parte degli stessi S. delle vendite dirette da parte dell'Alcisa o tramite i D.V. nella zona di competenza degli stessi S. . Con il quarto motivo la ricorrente, deducendo insufficiente motivazione, premesso che l'esponente aveva impugnato la statuizione del giudice di primo grado relativa all'accoglimento della domanda avente ad oggetto l'indennità suppletiva di clientela, e che tale motivo è stato rigettato dalla Corte territoriale in conseguenza del rigetto dei motivi di appello relativi all'accoglimento delle domande sub B e C dell'atto di citazione introduttivo del primo grado di giudizio, sostiene che l'accoglimento dei precedenti motivi di ricorso dovrà comportare la cassazione anche del suindicato capo della sentenza impugnata. Il motivo è infondato. Il giudice di appello con riferimento all'indennità suppletiva di clientela ha rilevato che correttamente la società S. aveva osservato che il conteggio del dovuto predisposto dall'Alcisa era errato non tenendo conto delle provvigioni sottratte furtivamente alla appellata, cosicché ha aderito al convincimento del giudice di prime cure che aveva riconosciuto detta indennità pertanto, essendo già stati rigettati i precedenti motivi riguardanti la sospensione della prescrizione del diritto della società S. alle provvigioni sulle vendite dell'Alcisa dolosamente occultate, anche tale motivo deve logicamente essere rigettato. Con il quinto motivo l'Alcisa, denunciando contraddittorietà e/o insufficienza della motivazione, censura la sentenza impugnata riguardo al rigetto del motivo di appello relativo all'accoglimento della domanda sub G dell'atto di citazione avente ad oggetto l'indennità di maneggio denaro sotto un primo profilo deduce che, contrariamente all'assunto della Corte territoriale, l'esponente aveva contestato le semplici fotocopie delle ricevute di spedizione, e quindi le aveva disconosciute rispetto all'originale fin dalla comparsa di costituzione del giudizio di primo grado, non essendo necessario in proposito l'uso di formule sacramentali la ricorrente ha trascritto il contenuto di tale comparsa di costituzione che è del seguente tenore sotto il profilo prescrizionale, controparte eccepisce l'interruzione producendo fotocopie di missive che, senza timore di essere smentiti, l'Alcisa dichiara ufficialmente di non avere mai e poi mai ricevuto in caso contrario l'Alcisa avrebbe senza dubbio come sempre risposto alle inusitate richieste dei S. . Tali missive peraltro mancanti perfino della sottoscrizione non provano alcunché, né possono considerarsi prove rilevanti affini dell'interruzione della prescrizione . La censura è infondata. Il giudice di appello ha ritenuto che le copie fotostatiche delle suddette ricevute di spedizione dovevano essere ritenute riconosciute come conformi agli originali in quanto non espressamente disconosciute tempestivamente subito dopo la produzione nel giudizio di primo grado, avendo l'Alcisa richiesto gli originali soltanto con la comparsa conclusionale tale convincimento è corretto, posto che dall'esame della sopra riportata comparsa di costituzione emerge soltanto la contestazione in ordine all'avvenuto ricevimento di tali fotocopie, e non invece riguardo alla difformità di esse rispetto agli originali. Con il sesto motivo la ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione degli articolo 1334-2679 -2719 c.c. nonché 115-116 e 216 c.p.c., afferma, sempre in relazione alla domanda richiamata nel precedente motivo, che erroneamente il giudice di appello ha ritenuto provata l'interruzione del termine prescrizionale mediante la produzione delle semplici fotocopie delle lettere raccomandate di messa in mora nonostante l'avvenuto disconoscimento di esse in ogni caso, attesa la contestazione dell'esponente circa l'avvenuta ricezione delle raccomandate, era sorto l'onere del mittente di provare detta ricezione. 1 motivo è infondato. La Corte territoriale ha affermato, sempre in relazione alla indennità di maneggio di denaro, che la società S. aveva provato di aver tempestivamente interrotto la eccepita prescrizione, avendo inviato periodicamente all'Alesa le raccomandate esibite, le quali contenevano precise richieste e solleciti di pagamento di detta indennità di incasso, riferendosi a rimesse precedenti che, come accertato dal CTU, erano documentate ha poi escluso che dette raccomandate non fossero state ricevute dall'Alcisa, atteso che risultavano essere state sempre spedite nello stesso luogo in cui erano state spedite e ricevute tutte le altre lettere inviate dai S. neppure valeva opporre che la società S. avrebbe potuto trasmettere una di quelle raccomandate con ricevuta di ritorno in quanto, come era pacifico in atti, tra le parti non era mai invalsa in tanti anni la pratica di scambiarsi la corrispondenza con tale modalità. Orbene, premesso che tale ultima affermazione del giudice di appello non è stata oggetto di censure in questa sede, si deve conseguentemente ritenere che la questione giuridica sollevata con il motivo in oggetto dalla ricorrente - ovvero se, in caso di contestazione dell'avvenuta ricezione di una lettera raccomandata di messa in mora da parte del destinatario, il mittente abbia l'onere, onde comprovare l'eccepita interruzione della prescrizione, di produrre la relativa ricevuta di ritorno, ovvero di dimostrare in altro modo l'avvenuta ricezione della stessa o, quantomeno, l'avvenuta consegna presso il domicilio del destinatario - è irrilevante, considerato che l'incontestata prassi esistente tra le parti di non utilizzare le raccomandate con ricevuta di ritorno nella loro corrispondenza fa quantomeno presumere, in assenza di alcun elemento di segno contrario, che l'Alcisa avesse regolarmente ricevuto le suddette raccomandate d'altra parte il fatto che quest'ultima non avesse mai risposto a tali raccomandate aventi ad oggetto richieste di indennità di maneggio di denaro ben si spiega, come ritenuto dalla sentenza impugnata, con il rilievo che l'Alcisa non aveva nulla da obiettare in proposito, avendo sempre incassato il denaro, e non avendo potuto disconoscere il diritto dell'agente a riscuotere detta indennità. Con il settimo motivo l'Alcisa, denunciando violazione e falsa applicazione degli articolo 429 e 409 numero 3 c.p.c., censura la sentenza impugnata per aver riconosciuto cumulativamente su tutte le somme liquidate in favore della controparte gli interessi legali e la rivalutazione monetaria invero l'applicazione analogica di tale norma, riguardante i crediti di lavoro, ai rapporti di agenzia è ammissibile soltanto se questi ultimi sono connotati dalla prestazione di opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale dell'agente orbene nella fattispecie non sussistevano tali requisiti in capo alla società S. che, per sua stessa ammissione, era una società di persone con una struttura organizzativa articolata, con personale e capitali investiti, e che aveva promosso la presente causa dinanzi al Tribunale civile ordinario invece che alla relativa Sezione Lavoro. Preliminarmente deve essere esaminata l'eccezione della controricorrente di novità della questione sollevata con la censura in esame eccezione estesa anche alle questioni sollevate dalla ricorrente con l'ottavo ed il nono motivo, rispetto ai quali quindi valgono le stesse considerazioni che ora saranno svolte in quanto nel giudizio di primo grado la società S. non avrebbe mai contestato la debenza della rivalutazione monetaria tale eccezione deve essere disattesa, essendo decisivo il rilievo che tale questione è stata oggetto di dibattito nel giudizio di appello e che non risulta - e neppure stato dedotto - che l'appellata ne avesse eccepito la novità. Tanto premesso, il motivo è fondato. La Corte territoriale ha ritenuto applicabile analogicamente ai crediti maturati dalla società S. nei confronti dell'Alcisa l'articolo 409 c.p.c. avendo considerato che la creditrice era costituita da una società di persone che svolgeva una attività di agenzia con il lavoro personale dei due fratelli S.G. e S.D. , con la conseguenza che il minor introito di provvigione incideva notevolmente sul guadagno personale dei due soci. Tale convincimento non può essere condiviso, atteso che ai fini della suddetta applicazione dell'articolo 409 numero 3 c.p.c. al rapporto di agenzia con le conseguenti ricadute ai sensi dell'articolo 429 terzo comma c.p.c. , occorre che detto rapporto si concreti in una prestazione d'opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato orbene tale requisito non ricorre allorché il rapporto di agenzia intercorra con una società di capitali o con una società di persone, che costituisca un autonomo centro di imputazione di interessi tra il socio ed il preponente Cass. Ord. 22-3-2006 numero 6351 nello stesso senso è stato ritenuto che la società in accomandita semplice, quale che ne sia il numero dei soci, costituisce comunque un centro autonomo di rapporti giuridici rispetto ai soci stessi, con la conseguenza che, concluso un contratto di agenzia tra l'impresa preponente ed una società in accomandita semplice, la controversia sulla risoluzione di tale contratto esula dalla competenza per materia del giudice del lavoro, a nulla rilevando che uno dei soci abbia svolto attività personale di agente, in quanto tale attività viene necessariamente mediata dalla società, perdendo il carattere della personalità nei confronti dei preponente Cass. Ord. 14-7-2011 numero 15535 pertanto nella fattispecie deve escludersi in favore della S. il riconoscimento automatico della rivalutazione monetaria sulle somme liquidate in suo favore in base all'articolo 409 numero 3 c.p.c Con l'ottavo motivo la società Alcisa, deducendo violazione e falsa applicazione degli articolo 1224-1282-1748-2033 e 2036 c.c., sostiene che, contrariamente all'assunto della sentenza impugnata, tutte le somme riconosciute alla S. non avevano natura risarcitoria, ed erano da qualificare come debiti di valuta e non di valore, sia quelle dovute a titolo di provvigioni sia le altre, con le relative conseguenze in ordine alla maturazione di interessi legali e maggior danno da svalutazione monetaria. Il motivo è fondato. La Corte territoriale, sempre ai fini del riconoscimento della rivalutazione monetaria sulle somme liquidate in favore della società S. , ha evidenziato che la maggior parte dei crediti riconosciuti era di natura risarcitoria, ovvero di valore, riguardando provvigioni non corrisposte a causa dell'occultamento doloso dei rapporti intrattenuti illecitamente dall'Alcisa con i fratelli D.V. orbene, pur essendo vero che alcuni dei crediti in questione ovvero quelli nascenti dalla violazione da parte della preponente del diritto di esclusiva in favore dell'agente hanno natura risarcitoria, tuttavia non tutti i crediti riconosciuti alla società S. hanno tale natura, come espressamente affermato dallo stesso giudice di appello, onde quantomeno occorreva differenziare a tal fine i diversi crediti, distinguendo quelli di valuta da quelli di valore, incombente che dovrà essere espletato in sede di rinvio. Con il nono motivo la ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione dell'articolo 1224 secondo comma c.c., afferma che, anche ammettendo che la semplice generica richiesta di rivalutazione monetaria avanzata da parte attrice potesse essere qualificata come richiesta di maggior danno ex articolo 1224 secondo comma c.c., in ogni caso la Corte territoriale non avrebbe potuto procedere alla automatica liquidazione della rivalutazione monetaria, oltre interessi legali sulle somme via via rivalutate, in difetto di una qualsiasi prova in merito al maggior danno asseritamente subito dalla S. . La censura è fondata. Infatti la sentenza impugnata, riconoscendo il maggior danno da svalutazione monetaria su tutti i crediti, anche qualora si volessero qualificare di valuta, sulla base della semplice qualità di imprenditori commerciali dei soci della società S. e sulla presunzione dell'impiego delle somme di denaro dovute in impieghi antinflazionistici, non ha tenuto conto che, secondo la pronuncia a Sezioni Unite di questa Corte 16-7-2008 numero 19499, il maggior danno ai sensi dell'articolo 1224 secondo comma c.c. può ritenersi esistente in via presuntiva in tutti i casi in cui, durante la mora, il saggio medio di rendimento netto dei titoli di Stato con scadenza non superiore a dodici mesi sia stato superiore al saggio degli interessi legali ricorrendo tale ipotesi, il risarcimento del maggior danno spetta a qualunque creditore, quale che ne sia la qualità soggettiva o l'attività svolta, fermo restando che, se il creditore domanda, a titolo di risarcimento del maggior danno, una somma superiore a quella risultante dal suddetto saggio di rendimento dei titoli di Stato, avrà l'onere di provare l'esistenza e l'ammontare di tale pregiudizio, anche per via presuntiva in particolare, ove il creditore abbia la qualità di imprenditore, avrà l'onere di dimostrare o di aver fatto ricorso al credito bancario sostenendone i relativi interessi passivi ovvero - attraverso la produzione dei bilanci - quale fosse la produttività della propria impresa, per le somme in essa investite il debitore, dal canto suo, avrà invece l'onere di dimostrare, anche attraverso presunzioni semplici, che il creditore, in caso di tempestivo adempimento, non avrebbe potuto impiegare il denaro dovutogli in forme di investimento che gli avrebbero garantito un rendimento superiore al saggio legale pertanto occorre procedere in sede di rinvio all'esame di tale punto della controversia in conformità degli enunciati principi. Con il decimo motivo la società Alcisa, deducendo violazione e falsa applicazione degli articolo 2033 e 2697 c.c., con riferimento alla decorrenza degli interessi dovuti sulla somma riconosciuta in relazione alla domanda sub A dell'atto di citazione, rileva che il giudice di appello, avendo ritenuto trattarsi di indebito oggettivo, ha stabilito la relativa decorrenza dal momento del versamento peraltro l'articolo 2033 c.c. prevede il diritto ai frutti ed agli interessi, da parte di chi ha eseguito un pagamento non dovuto, con decorrenza dal giorno del pagamento, se chi lo ha ricevuto era in mala fede, oppure, se questi era in buona fede - la quale deve sempre presumersi - dal giorno della domanda, cosicché la Corte territoriale avrebbe dovuto accertare lo stato soggettivo di buona o mala fede da parte dell'acipiens . La censura è infondata. La sentenza impugnata ha rilevato, con riferimento al credito sub A dell'atto di citazione introduttivo del primo grado di giudizio, che sussisteva la mala fede da parte dell'Alcisa in quanto appariva assai più verosimile la tesi della garanzia prestata dai S. su imposizione della preponente alla luce della condotta del tutto scorretta e fortemente speculativa tenuta dall'Alcisa nella intera vicenda per i conclamati rapporti clandestini di agenzia e di fornitura fraudolenta tenuti con le società dei D.V. pertanto la Corte territoriale ha correttamente stabilito ai sensi dell'articolo 2033 c.c. la decorrenza degli interessi relativi al suddetto credito dal giorno del versamento, avendo accertato la mala fede dell' accipiens . In definitiva, accolti il settimo, l'ottavo ed il nono motivo di ricorso, e rigettati tutti gli altri, la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione ai motivi accolti, e la causa deve essere rinviata anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio ad altra sezione della Corte di Appello di Bari per un nuovo esame delle questioni oggetto dell'ottavo e del nono motivo di ricorso alla luce delle argomentazioni sopra rispettivamente svolte al riguardo. P.Q.M. La Corte accoglie il settimo, l'ottavo ed il nono motivo di ricorso, rigetta tutti gli altri motivi, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio ad altra sezione della Corte di Appello di Bari.