Scale bagnate, scivola e finisce a terra. Risarcimento dal condominio

Vittima una donna che abita nel palazzo. Fatale l’acqua presente sulle scale, a seguito delle pulizie in corso. Ritenuti responsabili il condominio e l’amministratore.

Passeggiata brevissima e conclusa in ospedale. Appena messo piede fuori di casa, difatti, la donna scivola e finisce a terra, a causa dell’acqua presente sulle scale del palazzo durante le solite pulizie condominiali. A pagare per le lesioni provocate dal capitombolo dovranno essere il condominio e l’amministratore in carica. Cassazione, sentenza numero 23727, sez. Terza Civile, depositata il 22 novembre 2016 Condotta. Svolta decisiva in appello, dove, contrariamente a quanto stabilito in Tribunale, viene sancita la «responsabilità» sia dell’«amministratore» che del «condominio» per l’incidente verificatosi all’interno del palazzo. Ciò comporta che proprio loro dovranno provvedere al «risarcimento» preteso dalla vittima. Salva, invece, per un vizio processuale l’«impresa» a cui erano state affidate le «pulizie» nell’immobile. E questa visione viene ritenuta corretta dalla Cassazione. Fondamentale il «ruolo causale» riconosciuto all’«acqua» presente sulle «scale condominiali». Questo elemento non è affatto «qualificabile come imprevedibile o inevitabile, cioè avulso dal normale utilizzo» dell’immobile, spiegano i magistrati del ‘Palazzaccio’. Di conseguenza, è logico ritenere la disavventura vissuta dalla donna come frutto della condotta tenuta dall’amministratore e dal condominio.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 21 ottobre - 22 novembre 2016, numero 23727 Presidente/Relatore Di Amato Fatto Con atto di citazione del 4 maggio 2001 N.N. esponeva di aver subito danni fisici scivolando, mente usciva dalla propria abitazione, sulle scale condominiali bagnate perché oggetto di pulizia. Premesso di non conoscere l'impresa delle pulizie, domandava il risarcimento all'amministratore di condominio, BA.CE Consult s.a.s., nella sua qualità di custode, e al condominio ex articolo 2043, c.c. Si costituivano i convenuti e l'impresa di pulizie, Lavanda, oltre alla compagnia assicuratrice del condominio, SAI, chiamate in causa dai primi, tutti contestando le pretese avversarie. Il tribunale di Padova rigettava le domande, rilevando che custode era il condominio e non il suo amministratore in proprio, e che, nel resto, difettava la dimostrazione del nesso causale relativamente alla domanda spiegata a titolo aquiliano generale, con conseguenti oneri probatori. La corte di appello riformava la decisione di prime cure, affermando la responsabilità ex articolo 2051, c.c., sia dell'amministratore che del condominio, previa riqualificazione a tale titolo della domanda, sull'assunto conclusivo della pericolosità della cosa custodita anche se innescata da un agente esterno. Al contempo dichiarava inammissibile la domanda di manleva e garanzia, verso l'impresa di pulizie e la compagnia assicuratrice, in quanto non riproposte con appello incidentale ma solo con un generico e appunto tardivo richiamo, in sede di precisazione delle conclusioni, a quelle formulate in primo grado. Il condominio e la già socia accomandataria della BA.CE Consult, cancellata dal registro delle imprese, proponevano ricorso per cassazione affidato a sei motivi. Resiste con controricorso l'impresa delle pulizie, Lavanda. Motivi 1. Con il primo motivo è dedotta, ex articolo 360, numero 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell'articolo 2051, c.c., in relazione alla mancata verifica del nesso di causalità tra danno e cosa presuntamente pericolosa . In sintesi, il ruolo causale autonomo dell'agente esterno, nel caso in parola l'acqua sulle scale, non riferibile al condominio, sarebbe stato degradato erroneamente all'irrilevanza. Con il secondo motivo si deduce, ex articolo 360, numero 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell'articolo 2051, c.c., sotto il profilo della mancata considerazione quale fortuito della presenza dell'acqua sulle scale, e, ai sensi dell'articolo 360, numero 5, c.p.c., l'omesso esame dei motivi della presenza della suddetta acqua, che avrebbero dovuto indurre a ritenerla estranea alla custodia posta a base della responsabilità. Con il terzo motivo, ex articolo 360, numero 4, c.p.c., si deduce la nullità della sentenza avendo violato l'articolo 112, c.p.c., sostituendo alla domanda formulata ex articolo 2043, c.c., l'autonoma figura di responsabilità ex articolo 2051, c.c., e, ai sensi dell'articolo 360, numero 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli articolo 2043 e 2051, c.c., per i medesimi motivi. Con il quarto motivo si deduce, ex articolo 360, numero 3, c.p.c., la violazione dell'articolo 132, c.p.c., ovvero la nullità della sentenza, ex articolo 360, numero 4, c.p.c., in relazione agli articolo 132 e 156, c.p.c., per non avere, la sentenza della corte di merito, riportato le conclusioni di primo grado richiamate in appello. Con il quinto motivo si deduce, ex articolo 360, numero 3, c.p.c., la violazione dell'articolo 346, c.p.c., per essere stato ritenuto necessario l'appello incidentale riguardo alle domande di manleva e garanzia pertanto dichiarate inammissibili. Con il sesto motivo si deduce ex articolo 360, numero 5, c.p.c., l'omesso esame delle domande di manleva e garanzia affermandone senza motivazione la tardività nonostante fossero state riproposte nelle conclusioni richiamando quelle di prime cure. Nel controricorso l'impresa di pulizie sottolinea, in particolare, come le domande di manleva e garanzia risultino invece esaminate dalla corte di merito, ritenendo necessario sollevarle con il mancato appello incidentale, ferma la tardività derivante dalla riproposizione ex articolo 346, c.p.c., successivamente alla comparsa di costituzione e risposta in appello. 2. Il primo, secondo e terzo motivo, da esaminare congiuntamente per connessione, sono infondati. La qualificazione della domanda, in seconde cure, ex articolo 2051, c.c., è da ritenere corretta poiché quando la parte agisce prospettando condotte astrattamente compatibili con la fattispecie prevista dall'articolo 2051 c.c., anche la loro riconduzione, operata dal giudice di primo grado, all'articolo 2043 c.c., non vincola il giudice d'appello nel potere, suo proprio, di riqualificazione giuridica dei fatti costitutivi della pretesa azionata Sez. 3, numero 11805 del 2016, Rv. 640195 , così come quindi non lo vincola, logicamente, il riferimento formale, della parte, all'articolo 2043, c.c. Quanto al resto va rilevato, ai fini dello scrutinio ex articolo 360, numero 3, c.p.c., che secondo la giurisprudenza di questa Corte, cui si intende dare seguito, il caso fortuito idoneo ad escludere la responsabilità oggettiva ex articolo 2051 c.c. può rinvenirsi anche nella condotta del terzo quando essa, rivelandosi come autonoma, eccezionale, imprevedibile ed inevitabile, risulti dotata di efficacia causale esclusiva nella produzione dell'evento lesivo Sez. 3, numero 18317 del 2015, Rv. 636857 . Nel caso, la decisione della corte territoriale è corretta in quanto non risulta provato dal soggetto onerato, nelle sedi di merito, un ruolo causale dell'acqua sulle scale qualificabile quale imprevedibile, inevitabile ed esclusivo, ossia eccezionalmente assorbente e avulso dal normale utilizzo della cosa in custodia. 3. Anche il quarto, quinto e sesto motivo sono da esaminare congiuntamente per connessione. Pur essendo fondato il quinto motivo, l'infondatezza degli altri due risulta dirimente. La carenza nella compiuta indicazione delle conclusioni, ad opera della sentenza qui gravata, risulta irrilevante quando queste siano state prese in considerazione come emerge dall'esame della parte motiva. Quanto al resto, sono intervenute, di recente, le Sezioni Unite di questa Corte Sez. U., numero 7700 del 2016, Rv. 639281 chiarendo come in caso di rigetto della domanda principale e conseguente omessa pronuncia sulla domanda di garanzia condizionata all'accoglimento, la devoluzione di quest'ultima al giudice investito dell'appello sulla domanda principale non richiede - come invece ritenuto dalla corte territoriale - la proposizione di appello incidentale cui la parte totalmente vittoriosa in prime cure non può avere interesse , essendo sufficiente quindi la riproposizione della domanda ex articolo 346 c.p.c. Ciò in quanto sulle domande in questione riportate nel ricorso, a pag. 7, con indicazione delle originarie sedi processuali non risulta essere stata richiesta, né dal garantito né dal garante, autonoma pronuncia, ma solo una statuizione subordinata all'accoglimento, che mancò in prime cure, della domanda risarcitoria principale cfr. pag. 36-37 della decisione delle Sez. U. citata . Ciò posto, va rilevato che le domande in parola sono state riproposte, mediante specifico richiamo a quelle di primo grado, in sede di precisazioni delle conclusioni e non di comparsa di costituzione in appello. Da ciò consegue la preclusione a mente del richiamo, per il giudizio di appello, alle scansioni decadenziali di prime cure enucleabile dall'articolo 359 c.p.c., sicché pure in secondo grado opera la regola generale per cui il tema da decidere viene delineato negli atti introduttivi, al netto delle possibilità di emenda laddove previste come, nell'articolazione istruttoria del primo grado, nell'ipotesi di cui all'articolo 183 c.p.c. Il ricorso pertanto dev'essere respinto. Le spese seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso condanna i ricorrenti in solido al rimborso delle spese di lite liquidate in euro 2.500,00 oltre euro 200,00 per esborsi ed oltre accessori come per legge. Ai sensi dell'articolo 13, comma 1 quater, del d.P.R. numero 115 del 2002, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.