Il credito relativo ad una pena pecuniaria inflitta può essere compensato con il credito del detenuto…

La natura giuridica del credito relativo al pagamento di una pena pecuniaria non ostacola la possibilità della compensazione, poiché questa rappresenta, in termini giuridici, una mera entrata patrimoniale dello Stato.

Il caso. Il Ministero della Giustizia ricorre per la cassazione del decreto del Tribunale con cui era stata in parte accolta la domanda attorea, volta ad ottenere il risarcimento previsto dall’articolo 35- ter ord. penumero per il trattamento degradante, disumano e contrario all’articolo 3 della CEDU al quale era stato sottoposto durante alcuni periodi di detenzione. Motivo di ricorso. Con il motivo di ricorso il ricorrente lamenta che il Tribunale aveva respinto l’eccezione di compensazione del credito derivante dall’accoglimento della pretesa risarcitoria di cui al succitato articolo 35- ter con la pena pecuniaria inflitta la cui riscossione doveva ritenersi assoggettata alla disciplina dell’esecuzione esattoriale, compatibile in termini strutturali con l’istituto della compensazione dei crediti. La compensazione dei crediti. Al riguardo, gli Ermellini accolgono tale motivo di ricorso sottolineando che la natura giuridica del credito relativo al pagamento di una pena pecuniaria non ostacola la possibilità della compensazione, poiché questa rappresenta in termini giuridici una mera entrata patrimoniale dello Stato, suscettibile inoltre di riscossione mediante ruolo dopo l’estensione operata dal d.lgs. numero 46/1999. Pertanto, nel caso in esame, il Tribunale ha errato nel respingere la pretesa del Ministero poiché, per le entrate patrimoniali, come prima detto, l’amministrazione può opporre in compensazione i propri crediti qualunque ne sia la fonte, «con la sola necessità che il credito vantato sia certo e che in relazione ad esso venga sollevata specifica eccezione». E il decreto impugnato deve essere cassato alla luce del principio di diritto secondo cui la natura giuridica del credito del Ministero della Giustizia relativo ad una pena pecuniaria inflitta può essere compensato con il concorrente credito del detenuto derivante dal riconoscimento del risarcimento per il trattamento disumano e degradante al quale è stato sottoposto durante la detenzione in carcere, poiché il primo rappresenta una mera entrata patrimoniale dello stato e «trattandosi di compensazione cd. propria – visto che la reciproca relazione di debito-credito non nasce da un unico rapporto – per operare è necessaria soltanto l’eccezione di parte, oltre che, così come la compensazione impropria, il requisito della certezza».

Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza 4 dicembre 2018 – 29 gennaio 2019, numero 2350 Presidente Travaglino – Relatore Di Florio Ritenuto Che 1. Il Ministero della Giustizia ricorre, affidandosi a due motivi, per la cassazione del decreto del Tribunale di Napoli con il quale è stata parzialmente accolta la domanda di I.C. , proposta al fine di ottenere il risarcimento previsto ex articolo 35 ter O.P. L. 26 luglio 1975, numero 354 e successive modifiche per il trattamento degradante, disumano e contrario all’articolo 3 della CEDU al quale era stato sottoposto durante alcuni periodi di detenzione che aveva trascorso nelle casa circondariali di omissis . 2. L’intimato non si è difeso. Considerato che 1. Con il primo motivo, il Ministero ricorrente deduce, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, numero 3, la violazione degli artt 2935 e 2947 c.c., nonché della L. numero 354 del 1975, articolo 35 ter lamenta, al riguardo, che il Tribunale, ritenendo che la responsabilità dell’amministrazione fosse riconducibile al cd contatto sociale , aveva applicato la prescrizione decennale e che tale statuizione doveva ritenersi erronea in quanto l’azione proposta aveva natura risarcitoria e doveva pertanto soggiacere ai termini di prescrizione di cui all’articolo 2947 c.c 1.2. Con il secondo motivo, il ricorrente si duole della violazione, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, numero 3, articolo 1241 e 1243 c.c. lamenta che il Tribunale aveva respinto l’eccezione di compensazione del credito derivante dall’accoglimento delle pretese risarcitorie di cui all’articolo 35 ter o.p., con la pena pecuniaria inflitta la cui riscossione, regolata dal D.P.R. numero 115 del 2002, articolo 227 bis, doveva ritenersi assoggettata alla disciplina dell’esecuzione esattoriale, strutturalmente compatibile con l’istituto della compensazione dei crediti. Contesta, dunque, la statuizione del giudice di merito che aveva ritenuto la natura indisponibile del credito. 2. Il primo motivo è infondato, anche se la motivazione della sentenza impugnata deve essere modificata ex articolo 384 c.p.c., u.c Infatti, questa Corte ha recentemente affermato che il diritto ad una somma di denaro pari a otto Euro per ciascuna giornata di detenzione in condizioni non conformi ai criteri di cui all’articolo 3 della CEDU, previsto dalla L. numero 354 del 1975, articolo 35 ter, comma 3, come introdotto del D.L. numero 92 del 2014, articolo 1, conv. con modif. dalla L. numero 117 del 2014, si prescrive in dieci anni, trattandosi di un indennizzo che ha origine nella violazione di obblighi gravanti ex lege sull’amministrazione penitenziaria. Il termine di prescrizione decorre dal compimento di ciascun giorno di detenzione nelle su indicate condizioni, salvo che per coloro che abbiano cessato di espiare la pena detentiva prima del 28 giugno 2014, data di entrata in vigore del D.L. cit., rispetto ai quali, se non sono incorsi nelle decadenze previste del D.L. numero 92 del 2014, articolo 2, il termine comincia a decorrere solo da tale data Cass. SSUU 11018/2018 . 2.1. La pronuncia ha pure chiarito, escludendo che il risarcimento possa essere ricondotto alla responsabilità da contatto sociale alla quale si è riferito, nel caso in esame, il Tribunale di Napoli, che nonostante la terminologia utilizzata dal legislatore, che, tanto con riferimento alla riduzione della pena, quanto con riferimento al compenso in denaro, assume che vengono riconosciuti a titolo di risarcimento del danno , deve concordarsi con quanto già più volte affermato dalle sezioni penali di questa Corte circa il fatto che si è in presenza di un mero indennizzo . In particolare, deve ritenersi che la previsione di una somma di denaro pari ad otto Euro per ciascuna giornata in cui è stato subito il pregiudizio, indica che il legislatore si è mosso in una logica di forfetizzazione della liquidazione, che considera solo l’estensione temporale del pregiudizio, senza nessuna variazione in ragione della sua intensità e senza alcuna considerazione delle eventuali peculiarità del caso. Manca il rapporto tra specificità del danno e quantificazione economica che caratterizza il risarcimento e manca ogni considerazione e valutazione del profilo soggettivo. Al fine di contenere i costi, semplificare il meccanismo di calcolo e ridurre le variabili applicative, si è scelta la via dell’indennizzo, cioè di un compenso di entità contenuta e di meccanica e uniforme quantificazione . 2.2. La Corte ha concluso che la natura di mero indennizzo e il radicarsi della responsabilità nella violazione di obblighi gravanti ex lege sull’amministrazione penitenziaria nei confronti dei soggetti sottoposti alla custodia carceraria, inducono ad escludere l’applicabilità della regola specifica dettata per la prescrizione del diritto al risarcimento del danno derivante da fatto illecito dall’articolo 2947 c.c., comma 1 e che pertanto vale la regola generale della prescrizione decennale cfr. Cass. SSUU 11018/2018 . In tal senso, la motivazione del provvedimento in esame deve intendersi modificata. 3. Il secondo motivo, invece, è fondato. Questa Corte ha, recentemente affermato con un orientamento che questo Collegio ritiene di condividere, che la natura giuridica del credito relativo al pagamento di una pena pecuniaria non ostacola affatto la possibilità della compensazione, in quanto essa giuridicamente rappresenta una mera entrata patrimoniale dello Stato, oltre tutto suscettibile di riscossione mediante ruolo a seguito dell’estensione operata dal D.Lgs. numero 46 del 1999 in particolare, secondo l’articolo 17 di tale D.Lgs. - salvo quanto previsto dal comma 2 vale a dire salvo che per le entrate delle regioni, delle province, anche autonome, dei comuni e degli altri enti locali, nonché per la tariffa di cui del D.Lgs. numero 152 del 2006, articolo 156 - si effettua mediante ruolo la riscossione coattiva delle entrate dello Stato, anche diverse dalle imposte sui redditi, e di quelle degli altri enti pubblici, anche previdenziali, esclusi quelli economici , con conseguente applicabilità delle disposizioni di cui al capo 2^ del titolo 1^ e al titolo 2^ del D.P.R. numero 602 del 1973, come modificate cfr. Cass. 10130/2018 . 3.1. Al riguardo è stato ritenuto decisivo, in termini ermeneutici, che l’ordinamento non contempla un divieto di compensazione per le entrate patrimoniali dello Stato, non prevedendolo neppure con riferimento alle entrate tributarie, attesa la possibilità del pagamento spontaneo mediante compensazione volontaria con i crediti d’imposta v. del D.P.R. numero 602 del 1973, articolo 28 ter e del D.Lgs. numero 46 del 1999, articolo 20-bis, derivante dal D.L. numero 262 del 2006, conv. in L. numero 286 del 2006 in altre parole, finanche rispetto alle entrate tributarie è consentita la compensazione tra poste a debito e poste a credito, fatta salva in quel solo caso l’identità delle natura dei crediti tributari da compensare, identità che è eccezionalmente stabilita in considerazione dell’oggetto della prestazione il tributo , donde non può essere estesa oltre l’ambito per il quale è contemplata. 3.2. Ne consegue che, per le altre entrate patrimoniali, l’amministrazione è abilitata a opporre in compensazione i propri crediti qualunque ne sia la fonte, con la sola necessità che il credito vantato sia certo e che in relazione ad esso venga sollevata specifica eccezione. cfr. Cass. civ. 10130/2018 . 3.3. Nel caso in esame, ricorrendo proprio tale ipotesi, il Tribunale ha errato nel respingere la pretesa del Ministero risulta infatti apodittico, oltre che erroneo, ritenere, mediante argumentum a contrario rispetto alla disposizione normativa di cui al D.P.R. numero 115 del 2002, articolo 6, comma 2, che regola l’estinzione delle obbligazioni in materia di spese di giustizia, che la riscossione della pena pecuniaria inflitta configuri un credito indisponibile, non suscettibile di essere opposto in compensazione cfr. pag. 11, cpv 14 del decreto impugnato . 3.4. Si osserva, infatti, che mentre tale statuizione vale per le spese di mantenimento in carcere, rispetto alle quali non è possibile opporre la compensazione fintanto che non si sia consumata la facoltà dell’interessato di chiedere la remissione del debito, posto che prima della definizione del procedimento previsto del D.P.R. numero 115 del 2002, articolo 6, il controcredito della P.A. non è certo ed esigibile cfr. Cass. 17277/2018 , essa non può essere estesa alla riscossione delle pene pecuniarie inflitte, la cui natura, per ciò che è stato sopra argomentato non presenta alcuna incompatibilità con la compensazione, ove venga eccepita dalla controparte interessata. 4. Il decreto impugnato, pertanto, deve essere cassato alla luce del seguente principio di diritto la natura giuridica del credito del Ministero della Giustizia relativo ad una pena pecuniaria inflitta non ostacola affatto la possibilità che esso venga compensato con il concorrente credito del detenuto derivante dal riconoscimento del risarcimento del danno ex articolo 35 ter o.p., per il trattamento disumano e degradante al quale è stato sottoposto durante la detenzione in carcere, in quanto il primo rappresenta una mera entrata patrimoniale dello Stato oltre tutto suscettibile di riscossione mediante ruolo a seguito dell’estensione operata dal D.Lgs. numero 46 del 1999 trattandosi di compensazione cd. propria - visto che la reciproca relazione di debito-credito non nasce da un unico rapporto - per operare è necessaria soltanto l’eccezione di parte, oltre che, così come la compensazione impropria, il requisito della certezza . 5. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto - in quanto il credito dello I. è stato calcolato dal Tribunale e sul computo non è stata sollevata alcuna censura, e quello del Ministero della Giustizia risulta dimostrato attraverso la tempestiva produzione della posizione giuridica dell’intimato questa Corte può decidere nel merito ex articolo 384 c.p.c., comma 2, dichiarando compensato il credito dello I. accertato ex articolo 35 ter o.p., per detenzione inumana e degradante con il controcredito del Ministero della Giustizia derivante dalla pena pecuniaria inflitta. 6. La novità della questione consente la compensazione delle spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte rigetta il primo motivo di ricorso ed accoglie il secondo cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, dichiara compensato il credito accertato ex articolo 35 ter o.p., in favore di I.C. con quello del Ministero della Giustizia derivante dalla pena pecuniaria inflitta. Spese del giudizio di legittimità compensate.