di Leda Rita Corrado
di Leda Rita Corrado *Nella sentenza numero 10578/11 del 13 maggio, la Corte di Cassazione ha esaminato la questione relativa alla imponibilità dei proventi derivanti da attività di meretricio sia ai fini Irpef sia ai fini IVA.La vicenda. L'Amministrazione finanziaria contestava ad una contribuente l'esistenza di una sensibile differenza tra i versamenti eseguiti sui conti bancari ed il reddito di lavoro dipendente percepito esercitando l'attività di ballerina in locali notturni nel 1999. Tali importi venivano recuperati a tassazione ex articolo 32, comma 2, d.p.r. numero 600/1973 e 51, comma 2, d.p.r. numero 633 del 1972.In giudizio, la contribuente sosteneva che i proventi desumibili dalle movimentazioni bancarie non erano riferibili ad operazioni imponibili, costituendo elargizioni occorse in rapporto a varie frequentazioni amicali e relazioni amorose.La Suprema Corte, però, cassa la sentenza di gravame e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso della contribuente, osservando che gli importi percepiti devono essere qualificati come proventi derivanti dall'attività di prostituzione da sottoporre ad imposizione.L'arresto che qui si glossa si ricollega alla sentenza numero 20582 del 2010 , con la quale la stessa Corte di Cassazione ha valutato un altro accertamento a carico della medesima contribuente, relativo al periodo di imposta 1996.L'imponibilità dei proventi da prostituzione. In merito all'imposizione diretta, nel caso di specie è applicabile l'articolo 36, comma 34 bis, d.l. 223 del 2006, in base al quale, in deroga all'articolo 3 della legge 27 luglio 2000, numero 212, la disposizione di cui al comma 4 dell'articolo 14 della legge 24 dicembre 1993, numero 537, si interpreta nel senso che i proventi illeciti ivi indicati, qualora non siano classificabili nelle categorie di reddito di cui all'articolo 6, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, numero 917, sono comunque considerati come redditi diversi .Secondo il Collegio, con essa è stato introdotto nell'ordinamento il principio, di carattere generale, della tassabilità dei redditi per il fatto stesso della loro sussistenza, a prescindere dalla loro provenienza, e dunque, dalla sussumibilità della relativa fonte in una delle specifiche categorie reddituali di cui all'articolo 6 Tuir .Il Giudice di legittimità attribuisce efficacia retroattiva a tale norma.L'utilizzo dell'accertamento sintetico. Nell'ultimo quinquennio, si è riacceso il dibattito concernente la tassabilità dei proventi da prostituzione tale questione si intreccia con alcune problematiche strutturali di grande rilevanza pratica, afferenti lo strumento dell'accertamento sintetico.Le pronunce dei giudici di merito risolvono fattispecie concrete del tutto similari. L'Amministrazione finanziaria determina sinteticamente il reddito complessivo da attribuire ad una contribuente, sulla base della capacità di spesa dimostrata con l'acquisto o il mantenimento di beni mobili ed immobili. La contribuente impugna l'atto impositivo, asserendo che tali spese sono state sostenute con proventi non imponibili, in quanto derivanti dall'esercizio dell'attività di meretricio.Le soluzioni divergono tra loro. A favore della imponibilità si è espressa la Commissione tributaria provinciale di Reggio Emilia sentenza numero 131 del 2009 .Secondo la tesi difensiva, i proventi occultati erano stati attribuiti animo donandi da uomini coniugati, con i quali la contribuente avrebbe intrattenuto relazioni sentimentali di natura clandestina il Collegio ravvisa invece la motivazione di tali attribuzioni nella convinzione di dover riconoscere alla contribuente un corrispettivo per le sue prestazioni sessuali, giacché i rapporti erano regolati da un preciso accordo commerciale, esplicito o implicito, di tipo sinallagmatico, un do ut facias, per cui le parti [ ] erano ben consce di dover adempiere ad un preciso obbligo contrattuale . A parere della Commissione, tali proventi costituivano redditi di lavoro autonomo, sussistendo, nel caso de quo, gli elementi caratterizzanti siffatta attività la prevalenza del lavoro personale del prestatore d'opera, l'assenza del vincolo di subordinazione, la libera pattuizione del compenso, l'assunzione a carico del lavoratore degli oneri relativi all'esecuzione della prestazione e del rischio inerente all'esecuzione medesima .In altre pronunce, il problema della tassabilità dei proventi da meretricio viene eluso, spostando l'attenzione su questioni tecnico-processuali collegate all'utilizzo dell'accertamento sintetico valorizzando il disposto dell'articolo 38, comma 6, d.p.r. 29 settembre 1973, numero 600, alcune Commissioni hanno posto a carico della contribuente l'onere di dimostrare - attraverso la produzione di idonea documentazione - quale fosse la categoria reddituale di appartenenza dei proventi occultati.L'assoggettabilità a Iva. La Corte di Cassazione, infatti, statuisce l'assoggettabilità all'Iva dell'attività di prostituzione quando sia autonomamente svolta dal prestatore, con carattere di abitualità .L'attività di meretricio, seppur contraria al buon costume, in quanto avvertita dalla generalità delle persone come trasgressiva di condivise norme etiche che rifiutano il commercio per danaro del proprio corpo, [ ] consiste [ ] in una prestazione di servizio verso corrispettivo ex articolo 3, comma 1, d.p.r. numero 633 del 1972.Anche la Corte UE si è espressa a favore dell'assoggettabilità. Il Collegio osserva che la qualificazione della prostituzione in termini di prestazione di servizi retribuita è stata già operata dalla Corte di Giustizia sentenza del 20 novembre 2011, numero 268, causa C-268/99 . Infatti, il Giudice europeo, muovendo dalla considerazione secondo cui una prestazione di lavoro subordinato o una prestazione di servizi retribuita deve essere considerata come attività economica, purché l'attività esercitata sia reale ed effettiva e non tale da presentarsi come puramente marginale e accessoria, ha affermato che la prostituzione costituisce una prestazione di servizi retribuita, rientrante nella nozione di attività economica , demandando al giudice nazionale il compito di accertar tare in ciascun caso, alla luce degli elementi di prova che gli sono forniti, se sussistono le condizioni che consentono di ritenere che la prostituzione sia svolta come lavoro autonomo, ossia senza alcun vincolo di subordinazione per quanto riguarda la scelta di tale attività, le condizioni di lavoro e retributive, sotto la propria responsabilità, e a fronte di una retribuzione che gli sia pagata integralmente e direttamente .* Giornalista pubblicista
Corte di Cassazione, sez. Tributaria, sentenza 2 marzo - 13 maggio 2011, numero 10578Presidente D'Alonzo - Relatore SambitoSvolgimento del processoCon avviso di accertamento relativo ad IVA ed IRPEF per l'anno d'imposta del 1999, è stata contestata a M. A. Z. la mancata contabilizzazione e dichiarazione dei ricavi da lavoro autonomo, in aggiunta ai redditi da lavoro dipendente, da lei svolto presso alcuni locali notturni, quale ballerina. La CTP di Sondrio ha accolto il ricorso della contribuente e l'appello dell'Ufficio e stato rigettato dalla CTR della Lombardia, con sentenza numero 35/31/05, depositata il 31.3.2006, sul rilievo che competeva all'Amministrazione finanziaria di provare la ricorrenza dell'attività lavorativa autonoma, prova che non poteva esser desunta dagli accrediti annoiati nei conti correnti della contribuente, la quale aveva, ad ogni modo, giustificato la percezione del denaro in riferimento a rapporti amicali o sentimentali, da lei intrattenuti. La CTR ha, inoltre, affermato che i proventi derivanti dall'esercizio della prostituzione non costituiscono reddito assoggettabile a tassazione.Per la cassazione di tale sentenza, ha proposto ricorso l'Agenzia delle Entrate, sulla scorta di due motivi, cui l'intimata resiste, con controricorso.Motivi della decisioneCon il primo motivo, l'Agenzia delle Entrate, deducendo violazione e falsa applicazione del D.P.R. numero 600 del 1973, articolo 32, 38 e 39, nonché del D.P.R. numero 633 del 1972, articolo 51, in relazione all'articolo 360 c.p.c., comma 1, numero 3, afferma che la ripresa a tassazione è avvenuta in base agli accertamenti dalla Guardia di Finanza, da cui era emerso un notevole divano tra le retribuzioni da lavoro dipendente della contribuente ed i versamenti dalla stessa effettuati sui propri conti correnti, versamenti che dovevano considerarsi ricavi, in assenza di prova contraria da parte della stessa. La ricorrente sottopone, dunque, alla Corte il seguente quesito di diritto se, ai sensi del D.P.R. numero 600 del 1973, articolo 32, e del D.P.R. numero 633 del 1972, articolo 51, i singoli dati ed elementi risultanti dai conti correnti bancari, dei quali il titolare del conto non fornisca adeguata giustificazione, possono essere ritenuti rilevanti ai fini della ricostruzione del reddito imponibile .Col secondo motivo, l'Agenzia, deducendo violazione e falsa applicazione del D.P.R. numero 917 del 1986, articolo 1, 3 e 6 e della L. numero 537 del 1993, articolo 14, comma 4, in relazione all'articolo 360 c.p.c., comma 1, numero 3, afferma che la sentenza non ha considerato che, in base a tali disposizioni, ogni corrispettivo, anche derivante da attività illecite, concorre a formare l'imponibile e formula il seguente quesito di diritto se, ai sensi delle disposizioni del TUIR e della L. numero 537 del 1993, articolo 14, 4, qualsivoglia corrispettivo, percepito a qualsiasi titolo, ove non espressamente escluso, contribuisce a formare il reddito complessivo del contribuente, sul quale si deve determinare l'imposta dovuta .Procedendo alla valutazione congiunta dei motivi, tra loro connessi, va, anzitutto, disattesa l'eccezione d'inammissibilità del secondo motivo, sollevata dalla controricorrente per supposta violazione dell'articolo 366 c.p.c. per essere il thema decidendum pienamente individuabile, nonostante i refusi dattilografici su cui si basa l'eccezione.Nel merito, i motivi sono fondati. In tema d'accertamento dell'imposta sui redditi, la giurisprudenza di legittimità Cass. numero 18081 del 2010 numero 7766 del 2008 ha, già, affermato il principio, che qui si condivide, secondo cui, quando l'accertamento, effettuato dall'ufficio finanziario, si fonda su verifiche di conti correnti bancari, l'onere probatorio dell'Amministrazione è soddisfatto, secondo il D.P.R. numero 600 del 1973, articolo 32, attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti predetti, e si determina un'inversione dell'onere della prova, a carico del contribuente, il quale deve dimostrare che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non sono riferibili ad operazioni imponibili. Questa Corte ha, inoltre, precisato Cass. numero 18111/2009 numero 9573/2007 , con indirizzo al quale si intende dare continuità, che quando sussistono flussi finanziari che non trovano corrispondenza nella dichiarazione dei redditi, il recupero fiscale non è subordinato alla prova preventiva che il contribuente eserciti una specifica attività in assenza di contestazione sulla legittimità dell'acquisizione dei dati risultanti dai conti correnti bancari, i dati medesimi possono, infatti, essere utilizzati sia per dimostrare l'esistenza di un'eventuale attività occulta impresa, arte o professione , sia per quantificare il reddito ricavato da tale attività, incombendo al contribuente l'onere di dimostrare che i movimenti bancari, che non trovano giustificazione sulla base delle sue dichiarazioni, non sono fiscalmente rilevanti.Tale principio non soffre eccezioni se il reddito da assoggettare a tassazione costituisca provento di tatti, atti o attività qualificabili come illecito civile, penale o amministrativo tenuto conto del disposto di cui al D.L. numero 223 del 2006, articolo 36, comma 34 - bis, inserito dalla L. numero 248 del 2006, articolo 1, di conversione secondo il quale in deroga alla L. 27 luglio 2000, numero 212, articolo 3, la disposizione di cui della L. 24 dicembre 1993, numero 537, articolo 14, comma 4, si interpreta nel senso che i proventi illeciti ivi indicati, qualora non siano classificabili nelle categorie di reddito di cui all'articolo 6, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, numero 917, sono comunque considerati come redditi diversi .Con tale disposizione, alla quale va attribuita efficacia retroattiva Cass. numero 13213/2007, numero 18111/2009, numero 37/2010 , per esser stata emanata in espressa deroga al principio di irretroattività delle disposizioni tributarie, sancito dalla L. numero 212 del 2000, articolo 3, è stato introdotto nell'ordinamento il principio, di carattere generale, della tassabilità dei redditi per il fatto stesso della loro sussistenza, a prescindere dalla loro provenienza, e, dunque, dalla sussumibilità della relativa fonte in una delle specifiche categorie reddituali di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, numero 917, articolo 6, essendo normativamente considerati, in via residuale, come redditi diversi, da ascriversi, appunto, alla lettera f di detto articolo 6.Ne consegue che il reddito tratto dalla controricorrente dall'esercizio dell'attività di prostituzione - tale natura va riconosciuta a quello derivante da donativi e regali relativi a rapporti di natura affettuosa , secondo l'accertamento contenuto nell'impugnata sentenza - va assoggettato all'imposta diretta, dovendo condividersi l'orientamento espresso da questa Corte, con la sentenza numero 20528/2010 - emessa, proprio, nei confronti della controricorrente per gli anni d'imposta 1996, 1997 e 1998 -, secondo cui la risposta del Ministero delle Finanze all'interrogazione parlamentare del 31.7.1990 , invocata dalla contribuente, risalente a tempo antecedente l'emanazione delle disposizioni legislative, sopra menzionate, non vincola, in alcun modo, i giudici tributari e, ovviamente, questa Corte nell'interpretazione delle disposizioni normative applicabili al caso in esame. Deve, dunque, affermarsi il principio secondo cui i singoli dati ed elementi risultanti dai conti correnti bancari vanno ritenuti rilevanti ai fini della ricostruzione del reddito imponibile, ai sensi del D.P.R. numero 600 del 1973, articolo 32, se il titolare del conto non fornisca adeguata giustificazione, a prescindere dalla prova preventiva che il contribuente eserciti una determinata attività, e dalla natura lecita o illecita dell'attività stessa.La natura dell'attività svolta è rilevante, invece, ai fini dell' IVA, che, in base al D.P.R. numero 633 del 1972, articolo 1 si applica sulle cessioni dei beni e le prestazioni di servizi effettuate nel territorio dello Stato nell'esercizio d'imprese o nell'esercizio di arti e professioni e sulle importazioni da chiunque effettuale . In base al D.P.R. numero 633, articolo 3, comma 1, in esame, costituiscono prestazioni di servizi le prestazioni verso corrispettivo dipendenti da contratto d'opera, appalto, trasporto, mandato, spedizione, agenzia, mediazione, deposito e in genere da obbligazioni di fare, non fare e di permettere quale ne sia la fonte laddove il successivo articolo 5, comma 1, specifica che per esercizio di arti e professioni si intende l'esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, di qualsiasi attività di lavoro autonomo da parte di persone fisiche ovvero da parte di società semplici o di associazioni senza personalità giuridica costituite tra persone fisiche per l'esercizio in forma associata delle attività stesse .A tale stregua, deve affermarsi l'assoggettabilità ad IVA dell'attività di prostituzione, quando sia autonomamente svolta dal prestatore, con carattere di abitualità seppur contraria al buon costume, in quanto avvertita dalla generalità delle persone come trasgressiva di condivise norme etiche che rifiutano il commercio per danaro del proprio corpo, l'attività predetta non costituisce reato, e consiste, appunto, in una prestazione di servizio verso corrispettivo, inquadrabile nell'ampia previsione contenuta nel secondo periodo del citato D.P.R. numero 633 del 1972, articolo 3, comma 1. La qualificazione della prostituzione in termini di prestazione di servizi retribuita risulta, peraltro, già, affermata dalla Corte di Giustizia delle Comunità europee nella sentenza numero 268 del 20.11.2001, in causa C-268/99, in cui la Corte muovendo dalla giurisprudenza, costante, secondo la quale una prestazione di lavoro subordinato o una prestazione di servizi retribuita dev'essere considerata come attività economica ai sensi dell'articolo 2 del Trattato CE divenuto, in seguito a modifica, articolo 2 CE , purché le attività esercitate siano reali ed effettive e non tali da presentarsi come puramente marginali e accessorie, ha affermato che la prostituzione costituisce una prestazione di servizi retribuita , che rientra nella nozione di attività economiche , demandando al giudice nazionale di accertare in ciascun caso, alla luce degli elementi di prova che gli sono forniti, se sussistono le condizioni che consentono di ritenere che la prostituzione sia svolta come lavoro autonomo, ossia senza alcun vincolo di subordinazione per quanto riguarda la scelta di tale attività, le condizioni di lavoro e retributive, sotto la propria responsabilità, e a fronte di una retribuzione che gli sia pagata integralmente e direttamente .Posto, dunque, che i proventi tratti dalla controricorrente, dall'attività di prostituzione, quale accertata dal giudice del merito, vanno assoggettati ad IVA, deve, qui, ribadirsi in relazione al D.P.R. numero 633 del 1972, articolo 51, quanto sopra si è esposto per l'omologo D.P.R. numero 600 del 1973, articolo 32, in tema d'imposta sul reddito, e, cioè, che Cass. numero 8041/2008 4589/2009, 18081/2010 , in presenza di accertamenti bancari, condotti ex articolo 51 cit. è onere del contribuente dimostrare che i proventi desumibili dalla movimentazione bancaria non debbono essere recuperati a tassazione o perché egli ne ha già tenuto conto nelle dichiarazioni o perché cfr. pure Cass. numero 9573/2007, numero 1739/07, numero 28324/07 non sono fiscalmente rilevanti, in quanto non si riferiscono ad operazioni imponibili.L'impugnata sentenza, che non si è attenuta ai predetti principi, va cassata ed, in assenza di ulteriori accertamenti di fatto, la causa va decisa nel merito, col rigetto del ricorso della contribuente.Si ravvisano giusti motivi, in considerazione della novità delle questioni affrontate, per compensare tra le parti le spese dell'intero giudizio.P.Q.M.Accoglie il ricorso, cassa e decidendo nel merito, rigetta il ricorso della contribuente. Compensa le spese del giudizio.