Il datore di lavoro ha fornito tutte le prove sufficienti per attestare l’insussistenza del requisito dimensionale preteso per l’operatività della tutela reale. L’ex dipendente riceve solo l’indennità, mentre non si spalanca la finestra della reintegra.
Questa la controversia su cui ha statuito la sezione Lavoro della Cassazione con la sentenza numero 15517/12 del 17 settembre. Tutela obbligatoria o reale? La Corte di Appello di Milano, pronunciando sull’impugnazione proposta da un uomo nei confronti di una s.r.l., confermava il decisum del Tribunale con il quale era stato annullato il licenziamento intimato al lavoratore e applicata la tutela obbligatoria ex articolo 8 l. numero 604/1966, per insussistenza del numero di quindi occupati. Problema numerico. Al centro del ricorso in Cassazione, l’uomo lamenta che la corte territoriale non avrebbe considerato che il trasferimento di ben sei dipendenti presso altra sede fosse avvenuto in epoca posteriore ai fatti in causa, mentre prima del licenziamento i subordinati totali sarebbero stati diciannove. Onere datoriale rispettato. Come la Corte ha affermato in passato Cass. numero 25249/10 , ai fini dell’operatività della tutela reale contro i licenziamenti individuali illegittimi, il computo dei dipendenti va accertato sulla base del criterio della normale occupazione, da riferirsi al periodo antecedente l’interruzione del rapporto. La valutazione delle risultanze istruttorie effettuata dal giudice di merito è contestata in modo generico e non afferisce al concreto contenuto di prove testimoniali elementi suffraganti l’onere probatorio datoriale circa l’insussistenza del requisito dimensionale preteso per l’operatività della tutela reale. Strada interrotta. Alla luce di questi motivi, il ricorso viene rigettato. I giudici di legittimità – come è noto – hanno solo il potere di controllare sotto l’aspetto logico-formale la correttezza giuridica, mentre non possono riesaminare e valutare una volta di più il merito della causa. Infine va osservato che il riferimento del ricorrente a una delibera aziendale del 2002 contenente una dichiarazione del tutto generica di futura riduzione del personale costituisce un’argomentazione dalla sentenza impugnata svolta ad abundantiam, e pertanto non tange la ratio decidendi complessiva.
Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 23 maggio – 17 settembre 2012, numero 15517 Presidente De Renzis – Relatore Tricomi Svolgimento del processo 1. La Corte d'Appello di Milano, con la sentenza numero 1574 del 25 marzo 2010, pronunciando sull'impugnazione proposta da G.F.J. nei confronti della società Lumen Center Italia srl, in ordine alla sentenza emessa dal Tribunale di Milano numero 202/2008, confermava quest'ultima, con la quale era stato annullato il licenziamento intimato al lavoratore ed applicata la tutela obbligatoria di cui all'articolo 8 della legge numero 604 del 1966, per insussistenza del numero di quindici dipendenti occupati, ordinandosi alla società di riassumere il lavoratore entro tre giorni o, in mancanza, di risarcirgli il danno, versando l'indennità di Euro 9.155,16, oltre accessori, con contestuale condanna al pagamento di Euro 547,75, oltre accessori a titolo di indennità sostitutiva del preavviso. 2. Per la cassazione della suddetta sentenza d'appello ricorre G.F.J. nei confronti della società Lumen Center Italia srl, prospettando due motivi di ricorso. 3. la società resiste con controricorso. Motivi della decisione 1.Con il primo motivo di ricorso è dedotto il vizio di violazione di legge, falsa ed erronea applicazione dell'articolo 18 della legge numero 300 del 1970. La Corte d'Appello erroneamente nel valutare il requisito dimensionale necessario per applicare la tutela reale, aveva preso in considerazione non il 3 marzo 2003 data del licenziamento , come previsto dall'articolo 18 citato, ma un periodo di tempo successivo, così violando il disposto normativo e la giurisprudenza di legittimità in merito. 2. Con il secondo motivo di ricorso è dedotta carenza di motivazione. La sentenza della Corte d'Appello sarebbe viziata nel non considerare che il trasferimento di numero 6 dipendenti presso altra sede avveniva in epoca successiva al 3 marzo 2003, mentre prima del licenziamento il numero di dipendenti impiegato nel Comune di Buccinasco era 19. Sul punto non poteva assumere rilievo il richiamo effettuato dalla Corte d'Appello alla comunicazione aziendale dell'ottobre 2002 che prevedeva una futura riduzione di personale in quanto del tutto generica e, comunque, i trasferimenti avvenivano in epoca successiva al licenziamento. Il giudice di secondo grado, inoltre, non teneva conto delle risultanze istruttorie interrogatorio libero del legale rappresentante p.t. della società, testimonianze rese da P. , C. , N. che sembravano dimostrare come all'epoca del licenziamento non fosse in corso nessun trasferimento. 3. I suddetti motivi devono essere trattati congiuntamente in ragione della loro connessione. Gli stessi non sono fondati e devono essere rigettati. 3.1. Come questa Corte ha già avuto modo di affermare Cass., ex multis, numero 25249 del 2010 ai fini della operatività della tutela reale contro i licenziamenti individuali illegittimi, il computo dei dipendenti va accertato sulla base del criterio della normale occupazione, da riferirsi al periodo di tempo antecedente al licenziamento. Il ricorso, pertanto, è infondato perché il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte di cassazione e l'esame dei motivi non offre elementi per mutare orientamento. Ed infatti, contrariamente a quanto dedotto nel ricorso, la Corte d'Appello, con congrua motivazione rilevava che dalla istruttoria orale testi M.T N. e M C. , era emerso che tra febbraio e marzo 2003 l'ufficio commerciale, e con esso sei impiegati, venivano trasferiti dal Comune di Buccinasco, dove la società aveva due stabilimenti, i cui lavoratori erano stati tutti ricompresi nel computo, presso la sede di Milano, via Tartaglia. Pertanto sussisteva la prova, di cui era onerato il datore di lavoro, della insussistenza del requisito dimensionale per l'operatività della tutela reale. La valutazione delle risultanze istruttorie effettuata dal giudice di merito è contestata in modo del tutto generico ed assertivo dal ricorrente senza alcun riferimento al concreto contenuto delle testimonianze. Come questa Corte ha più volte affermato ex multis, Cass., numero 6288 del 2011 , il vizio di omessa o insufficiente motivazione, deducibile in sede di legittimità ex articolo 360, numero 5, cod. proc. civ., sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia e non può invece consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, perché la citata norma non conferisce alla Corte di legittimità il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l'esame e la valutazione fatta dal giudice del merito al quale soltanto spetta di individuare le fonti del proprio convincimento e, a tale scopo, valutare le prove, controllarne l'attendibilità e la concludenza, e scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione. Infine va osservato che il riferimento alla delibera del 2002 costituisce un'argomentazione della sentenza impugnata svolta ad abundantiam , e pertanto non costituente ratto decidendi” della medesima. 4. Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato. 5. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in Euro quaranta per esborsi, Euro duemila per onorario, oltre spese generali, IVA e CPA.