Troppi episodi di confusione provocano le lamentele e l’azione giudiziaria del titolare della struttura più antica. Tesi accolta solo parzialmente dai giudici è evidente la eccessiva similarità dell’identificativo dei due alberghi, nonostante le distanze e la collocazione in due Comuni diversi. Ma ciò non può legittimare anche il risarcimento del danno.
“Quel ramo del lago ” nessuna citazione letteraria, però, nessun richiamo a Renzo e Lucia, nessun capolavoro manzoniano, più semplicemente una curiosa diatriba commerciale. Protagonisti due albergatori, pomo della discordia ditta e insegna, simili, molto simili, forse troppo Alla fine, a cantar vittoria è la struttura nata prima, nonostante la collocazione assai diversa – addirittura in due Comuni differenti – degli alberghi Cassazione, ordinanza numero 12136, Sesta sezione Civile, depositata il 17 maggio 2013 . Primogenitura. A dare il ‘la’ alla battaglia giudiziaria è il titolare della struttura alberghiera più vecchia – anno di nascita 1959 –, contestando la presenza di un’altra struttura con nome troppo, troppo simile, tale da dare luogo a «incresciosi accadimenti, determinati dalla confusione» provocata dalla ‘insegna’ della struttura meno vecchia – anno di nascita 1963 – ben dodici gli episodi richiamati dinanzi ai giudici. E accompagnati anche dal richiamo alla «analoga confusione determinata dai siti internet» e verificabile colle «ricerche attraverso il sito di ‘Pagine Bianche’» e colla «consultazione dell’elenco telefonico». Ma tali contestazioni non venivano accolte dal giudice di primo grado, il quale respingeva le richieste avanzate, ossia imporre alla struttura meno vecchia «di provvedere alla differenziazione» e prevedere anche «il risarcimento del danno». Ciò perché, chiarivano i giudici, la «denominazione» comune «non identificava una ‘ditta forte’, perché si trattava di accostamenti di immagini e di parole comuni, anche considerando che si faceva riferimento ad un fiore molto diffuso nella zona del lago Maggiore», senza dimenticare, poi, che il «pericolo di esclusione» era da escludere «anche considerando la distanza nello spazio fra le due sedi, che si trovano in Comuni diversi». A ribaltare parzialmente tale prospettiva, però, hanno provveduto i giudici di secondo grado, decidendo di obbligare la struttura meno vecchia a «modificare la ragione o denominazione sociale, la ditta e l’insegna» e inibendo «l’utilizzo della combinazione delle due parole» incriminate «in tutte le relative occorrenze, inclusi i richiami pubblicitari, indicazioni, pieghevoli pubblicitari, inserzioni in pubblicazioni a stampa o via internet». Nessuna apertura, invece, sul fronte del risarcimento del danno, negato alla struttura più vecchia. Luoghi e distanze. E questa prospettiva viene condivisa, e confermata, anche in Cassazione, laddove i giudici ribadiscono la necessità di una distinzione più netta tra i due alberghi, distinzione a cui dovrà provvedere il titolare della struttura meno vecchia. Respinte anche in ultima battuta le contestazioni mosse dall’albergatore più giovane. Innanzitutto, perché, nonostante la distanza tra le due strutture, collocate in differenti Comuni, «il concetto di luogo di esercizio dell’impresa, ai fini della tutela in caso di confondibilità, non va inteso con esagerato valore restrittivo», dovendosi tener conto anche degli «sviluppi potenziali» e delle «difficoltà ad isolare l’espansione in un determinato ambito territoriale» in questo caso, le due imprese sorgono «su due Comuni viciniori, sulla stessa sponda del lago Maggiore» e, quindi, operano «sostanzialmente nello stesso mercato turistico». Nessun dubbio, infine, sulla necessità di differenziare in maniera netta e chiara le due strutture non ci si può limitare, chiariscono i giudici, all’inserimento «nella ditta o nella denominazione di società di persone» del cognome dell’imprenditore – come fatto dal titolare della struttura meno vecchia –, cognome che «non può valere, di per sé, come elemento differenziatore». E condiviso è anche il divieto, deciso nel precedente grado di giudizio, di adottare quei termini già utilizzati per identificare la struttura più vecchia.
Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza 5 marzo – 17 maggio 2013, numero 12136 Presidente Di Palma – Relatore ragonesi Fatto e diritto La Corte rilevato che sul ricorso numero 8989/11 proposto da Villa Azalea di B.P. & amp C sas nei confronti di L.E. il consigliere relatore ha depositato la relazione che segue. “Il relatore Cons. Ragonesi, letti gli atti depositati, osserva in fatto ed in diritto quanto segue. Con atto di citazione notificato in data 22/02/06, L.E., nella sua qualità di titolare dell’impresa individuale Albergo “Villa Azalea” di L.E. tale la testuale indicazione in citazione , sito in Verbania - Pallanza, evocava in giudizio, dinanzi al Tribunale di Verbania, la Villa Azalea di B.P. e C. s. a. s, in persona del socio accomandatario B.P Esponeva 1’attore che sin dal 1959, era in esercizio l’impresa alberghiera, di cui egli era attuale titolare, con l’insegna Pensione Villa Azalea. L’allora titolare era il proprio genitore, alla cui morte era subentrata la moglie, propria madre, cui egli era a propria volta succeduto per donazione. Negli ultimi tempi si erano verificati incresciosi accadimenti, determinati dalla confusione che veniva determinata dall’esistenza della insegna della società convenuta, che si era costituita in data 30/07/1998 ed esercitava l’attività alberghiera in Baveno. Seguiva l’elencazione di 12 episodi che ad comunque interessate, avessero in vari casi fatto confusione, addirittura talora prendendo alloggio in una delle due strutture alberghiere, diversa da quella nella quale avevano inteso prenotare o si erano comunque indirizzati. Gli episodi di confusione erano tuttavia nel tempo aumentati, soprattutto da quando, in data 14/04/1999, la società convenuta aveva modificato la propria insegna in “Albergo Meublé Villa Azalea . Analoga confusione era determinata dai siti internet rispettivamente www.albergovillaazalea.com e www.villaazalea.com . E similmente accadeva per le ricerche attraverso il sito delle pagine bianche, come pure alla consultazione dell’elenco telefonico delle province di Novara e Verbano-Cusio Ossola. L’attore chiedeva l’accoglimento al Tribunale delle proprie domande, in particolare instando perché fosse imposto alla convenuta di provvedere alla differenziazione, oltre al risarcimento del danno. La società convenuta si costituiva in giudizio e resisteva alla domanda deducendo che la propria attività alberghiera aveva avuto inizio nel 1963, e nessuna doglianza era mai pervenuta sino al giugno del 2002. Gli episodi segnalati dalla parte attrice erano in realtà sporadici. Non vi era alcuna inoltre alcuna confondibilità fra i segni distintivi, considerando che due esercizi si trovavano in due comuni diversi, a distanza di circa 12 o 13 km, l’uno in Verbania, capoluogo di provincia, e l’altro in Baveno, comune di circa 5000 abitanti, sulle rive opposte del Lago Maggiore. Tutte he denominazioni utilizzate dagli albergatori della zona erano tra loro piuttosto similari, come spesso accade, tanto che erano diffusi nomi piuttosto consueti come Miramonti, Miralago e così via. L’insegna che da molto tempo veniva utilizzata dall’attore recava in realtà la scritta “Albergo Azalea”, mentre la propria insegna recava la scritta “Hotel Villa Azalea”, con una differenziazione più che sufficiente. Il Tribunale, con sentenza del 26-11-07 rigettava la domanda di parte attrice e regolava le spese in conformità del principio di soccombenza. In particolare, riteneva il giudice di prime cure che la denominazione “Villa Azalea” non identificava una “ditta forte”, perché si trattava di accostamenti di immagini e di parole comuni, anche considerando che si faceva riferimento ad un fiore molto diffuso nella zona del Lago Maggiore. Ciò rilevava ai fini della valutazione dcl pericolo di confusione fra le due imprese che doveva escludersi anche considerando la distanza nello spazio fra le due sedi, che si trovano in comuni diversi. D’altra parte risultava che l’impresa di cui era titolare la società convenuta era operante almeno dal 1964 come “Villa Azalea di Baveno”, già “Hotel Pensione Azalea”. Nel 1999 vi fu effettivamente una registrazione di modifica dell’insegna, ma non risultava che ciò avesse dato luogo a indicazioni idonee a determinare confusione, l’attività in questione preesistendo già da oltre trent’anni. In assenza di iscrizione nel registro delle imprese, istituito solo nel 1993 legge 29/12/1993, numero 580 , il conflitto avrebbe dovuto risolversi a favore del preutente cioè di parte attrice, che utilizzava la ditta controversa fin dal 1959 , a condizione però clue questi avesse dimostrato che l’utilizzatore posteriore “in ipotesi il convenuto, dal 1963” fosse stato a conoscenza del preuso. Tale prova non era stata neppure offerta. Avverso la detta sentenza proponeva appello il L. quale titolare della ditta Villa Azalea di L.E., resisteva la Villa Azalea di B.P. sas. La Corte d’appello, con sentenza 1817/10, in accoglimento parziale del gravare ordinava alla parte convenuta, Villa Azalea di B.P. e C. s.a.s., di modificare la ragione o denominazione sociale, la ditta e l’insegna, inibendo alla medesima l’utilizzo della combinazione delle due parole “villa” e “azalea”, in tutte le relative occorrenze, inclusi i richiami pubblicitari, indicazioni, pieghevoli pubblicitari, inserzioni in pubblicazioni a stampa o via internet, ed ogni altro simile mezzo di richiamo, rigettava la domanda di risarcimento del danno. Avverso la detta sentenza ricorre per cassazione Villa Azalea di B.P. e C. s.a.s., sulla base di tre motivi cui resiste con controricorso L.E. Con il primo motivo di ricorso la società ricorrente si duole del fatto che la Corte d’appello con un’ erronea interpretazione dell’articolo 1564 c.c. non abbia ritenuto che la diversità di luoghi in citi le due imprese erano esercitate rendeva insussistente il pericolo di confarndibilità delle imprese. Su tale questione questa Corte, sia pure con risalenti Sentenze, ha affermato cod civ, ai fini della tutela in caso di confondibilità fra imprese non va inteso con esagerato valore restrittivo, dovendosi badare anche agli sviluppi potenziali dell’impresa razionalmente prevedibili, nonchè alle pratiche difficoltà, che sovente s’incontrano, ad isolare l’espansione di un’impresa in un determinato ambito territoriale. Pertanto, la localizzazione non deve essere intesa secondo un criterio restrittivo, riguardo soltanto all’attività esplicata in un determinato momento, nel luogo di produzione e di commercio, ma facendo anche riferimento alla possibilità di espansione all’intera zona territoriale, al cosiddetto mercato di sbocco, raggiunta dall’attività complessiva dell’impresa. Cass numero 22/62, Cass 1644/60 . Il relativo accertamento di fatto, è rimesso al giudice di merito e non è censurabile in sede di legittimità, se si fìcientemente motivato. v. Cass 2423/92 . Nel caso di specie la Corte d’appello ha rilevato in fatto che le due imprese sorgevano su due comuni viciniori sulla stessa sponda del lago Maggiore e operavano sostanzialmente nello stesso mercato turistico. Trattasi di motivazione corretta ed adeguata onde la stessa non è suscettibile di scrutinio in sede di legittimità. Con il secondo motivo di ricorso la società ricorrente si duole del fatto che la Corte le abbia imposto di non utilizzare nella insegna la combinazione delle due parole Villa e Azalea senza dare invece la possibilità di integrare tale combinazione con altre parole atte a differenziarla. Con il terzo motivo ripropone la stessa questione con particolare riferimento alla ditta, evidenziando che solo nel 2003 la impresa resistente aveva modificato la propria originaria ditta “impresa individuale L.E.” in quella di “Albergo Villa Azalea di L.E.”, e che comunque le due ditte con le indicazioni dei rispettivi patronimici risultano adeguatamente differenziate. I due motivi che pongono la medesima questione in riferimento l’uno alla ditta e l’altro all’insegna possono essere esaminati congiuntamente. Gli stessi sono manifestamente infondati. Questa Corte ha in diverse occasioni osservato che se è vero che in base all’articolo 2563, secondo comma c.c. “la ditta, comunque sia formata, deve contenere almeno il cognome o la sigla dell’imprenditore, salvo quanto a disposto dall’articolo 2565”, è altrettanto certo che, in base all’articolo 2564, primo comma c.c. applicabile anche all’insegna in virtù dell’articolo 2568 c.c. , allorché la ditta sia uguale o simile a quella usata da un altro imprenditore e possa creare confusione per l’oggetto dell’impresa e per il luogo in cui questa venga esercitata, essa “deve essere integrata o modificata con indicazioni idonee a differenziarla” Cass 12568/04 v anche Cass 16283/09 . Da ciò necessariamente consegue che il cognome dell’imprenditore che deve essere inserito nella ditta o nella denominazione di società di persone non può valere di per sé conte elemento differenziatore della ditta o dell’insegna. Quanto alla imposizione da parte della sentenza del non uso della combinazione delle parole Villa e Azalea, va rammentato che trattasi di una valutazione a carattere discrezionale poiché il giudice, per dare attuazione al disposto dell’articolo 2564 cod. civ., non incontra alcun limite nell’imporre la modifica della denominazione necessaria a differenziarla eliminandone una parte, restando salva la facoltà della società di adottare una denominazione diversa, purché non faccia uso del termine, o dei termini, il cui uso è stato inibito dal giudice Cass. 7651/07, Cass. 6 marzo 1993, numero 2740 22 giugno 1078, numero 3084 . Il ricorso pertanto, ove vengano condivise le considerazioni che precedono essere trattato in camera di consiglio ricorrendo i requisiti di cui all’art 375 cpc. P.q.m. Rimette il processo al Presidente della sezione per la trattazione in Camera di Consiglio Roma 10.10.12 Il Cons. relatore Vista la memoria della ricorrente Considerato che non emergono elementi che possano portare a diverse conclusioni di quelle rassegnate nella relazione di cui sopra che pertanto il ricorso va rigettato con conseuuente condanna della società ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate come da dispositivo P.Q.M. rigetta il ricorso e condanna le ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in euro 6000,00 oltre euro 200,00 per esborsi ed oltre accessori di legge.