Indennità all’amministratore di sostegno: rimborso spese fortettario o reddito professionale?

Secondo l’Agenzia delle entrate, nell'ipotesi in cui il giudice tutelare scelga direttamente un avvocato quale amministratore di sostegno, si ritiene che la relativa indennità rappresenti un compenso per lo svolgimento di una attività professionale inquadrabile quale reddito di lavoro autonomo e rilevante ai fini IVA, mentre per il Tribunale di Varese l’indennità liquidata dal giudice tutelare ha valore meramente indennitario.

Il primo comma dell’articolo 379 c.c. è quanto mai chiaro nel prevedere che «l’ufficio tutelare è gratuito» il giudice tutelare può, tuttavia assegnare, al tutore «un’equa indennità» dopo aver considerato, ai sensi del secondo comma, «l’entità del patrimonio e le difficoltà dell’amministrazione». Nonostante, però, l’ufficio di tutore come pure quello di amministratore di sostegno giusta il rinvio di cui al primo comma dell’articolo 411 c.c. possa anche essere “soverchiamente gravoso” – tanto da portare all’esonero del tutore ex articolo 383 c.c. – quell’equa indennità prevista dal codice sembra rappresentare più un rimborso forfettario che il corrispettivo di una prestazione professionale. Un’indennità che la Corte Costituzionale aveva ritenuto non avere natura retributiva, essendo funzionale soltanto a «compensare gli oneri e le spese non facilmente documentabili da cui è gravato il tutore a cagione dell'attività di amministrazione del patrimonio del pupillo, alla quale l'ufficio tutelare lo obbliga personalmente» sent. numero 1073/88 . Una compensazione economica forfettaria che, secondo la Consulta, non può essere estesa – neppure tramite l’articolo 3 Cost. come avrebbe voluto il giudice a quo – all’ipotesi in cui il tutore assuma la “cura personale” del pupillo. Per l’Agenzia delle entrate l’equa indennità è retribuzione. Senonché, è accaduto che un avvocato al quale il giudice aveva affidato alcune amministrazioni di sostegno si è posto un dubbio di natura fiscale e, cioè, se sulle somme liquidate dal giudice a titolo di equa indennità, da un lato, debbano essere applicati l’IVA e il contributo previdenziale e, dall’altro lato, siano rilevanti ai fini dell’IRPEF. Il dubbio viene formalizzato in un’istanza di interpello all’amministrazione finanziaria che risponde al contribuente con la Risoluzione numero 2/E del 9 gennaio 2012. Orbene, l’Agenzia delle Entrate, dopo aver sottolineato l’ampia discrezionalità di cui gode il giudice tutelare nell’individuare l’amministratore di sostegno anche al di fuori della cerchia dei parenti, ha affermato che «nell'ipotesi in cui il giudice tutelare scelga direttamente un avvocato quale amministratore di sostegno, si ritiene che la relativa indennità, anche se determinata in via equitativa e su base forfetaria, rappresenti comunque, sotto il profilo dell'applicazione della normativa tributaria di competenza della scrivente, un compenso per lo svolgimento di una attività professionale, inquadrabile quale reddito di lavoro autonomo ai sensi dell'articolo 53 del testo unico della imposte sui redditi e rilevante ai fini IVA ai sensi degli articoli 3 e 5 del DPR 26 ottobre 1972, numero 633». Del resto, l’Agenzia delle entrate aveva osservato che la sentenza della Corte Costituzionale non poteva impedire una simile conclusione in quanto il caso oggetto del giudizio a quo riguardava un tutore che, però, era un parente. Il tutore rivendica gli accesso di legge sull’indennità. Ecco allora che, in presenza della risoluzione della quale abbiamo ora fatto cenno, l’amministratore di sostegno propone istanza al giudice tutelare affinché provveda a liquidare sull’equa indennità già liquidata anche gli accessori di legge e, cioè, l’IVA e il contributo previdenziale previsto dalla normativa vigente. Senonché, il Tribunale di Varese con il decreto del 20 marzo scorso, respinge l’istanza affermando che l’indennità liquidata dal giudice tutelare all’amministratore di sostegno ai sensi del secondo comma dell’articolo 379 c.c. non ha valore retributivo, ma meramente indennitario. Per il giudice è mera indennità e non retribuzione. Per il Tribunale di Varese «l’indennità, ex articolo 379 c.c., non avendo carattere retributivo, va intesa come rimborso delle spese sostenute e dei mancati guadagni del tutore/amministratore che non ha avuto la possibilità di occuparsi pienamente della cura dei propri interessi». Peraltro – osserva il Tribunale di Varese incappando, però, in una inversione logica – proprio perché l’indennità non ha natura retributiva la liquidazione non risponde al criterio della proporzionalità bensì al criterio dell’equità e della ragionevolezza. Inversione logica perché non è il criterio seguito a determinare la natura dell’indennità bensì la previa determinazione che individua il criterio da seguire per la liquidazione del quantum. Ma l’aspetto fondamentale della motivazione del decreto in commento con il quale si tenta di superare le conclusioni dell’Agenzia delle Entrate è forse quello relativo a ciò, che l’indennità serve a «evitare che [il tutore] tragga pregiudizio dall’attività solidaristica svolta in favore del soggetto debole». Il Tribunale di Varese ritiene,quindi, che “retribuire” l’avvocato e “indennizzare” il parente, come vorrebbe l’Agenzia delle Entrate, sarebbe in violazione dell’articolo 3 Cost. conclusione condivisibile a patto, però, di ricordare che, secondo l’interpretazione diffusa, l’avvocato sarebbe tenuto ad assumere l’incarico giudiziario di tutore in adempimento di un dovere di solidarietà che trae fondamento non dalla parentela bensì dall’iscrizione all’ordine degli avvocati. Entrambi i soggetti, cioè, adempiono all’ufficio di tutore la cui gratuità sembra essere spiegata con l’adempimento di un dovere di solidarietà sociale temperato dalla non eccessiva gravosità dell’impegno e dalla limitazione sic! temporale di dieci anni. Alcuni dubbi finali. A chi scrive resta, però, il dubbio della necessaria gratuità dell’incarico prevista dalla legge anche laddove il soggetto sia in grado dal punto di vista economico di provvedere a “retribuire” o “indennizzare”, poco importa, il soggetto che cura il suo patrimonio soltanto ove non vi siano denari sarebbe possibile fare appello alla solidarietà principalmente dei “membri della famiglia” anche di fatto e poi di altri soggetti quali gli iscritti ad un albo professionale. Ma c’è ancora un dubbio questa volta, però, per l’amministratore di sostegno che fare dopo il rigetto dell’istanza? Fatturare comunque defalcando l’IVA e la Cassa previdenza dall’onorario come suggerito anche dal giudice tutelare “è nella somma stessa che deve ricercare gli accessori di legge e non i un compenso ulteriore” in linea con l’amministrazione finanziaria oppure non emettere fattura e probabilmente riproporre la questione della natura dell’indennità davanti alle Commissioni tributarie?

Tribunale di Varese, Ufficio Vol. Giur., decreto 20 marzo 2012 Giudice tutelare Buffone Osserva In fatto. Con decreto del 20 febbraio 2012, questo GT ha liquidato, in favore della istante, una indennità ex articolo 379 c.c., quantificata in totali Euro 1.000,00. Con istanza del 14 marzo 2012, l’istante chiede che la somma venga maggiorata degli accessori di Legge, ovvero CPA ed IVA. L’istanza non può trovare accoglimento. In Diritto. Giova premettere che gli uffici a protezione degli incapaci sono gratuiti articolo 379, comma I, c.c. . Ciò nondimeno, il giudice tutelare può riconoscere una indennità al tutore v. articolo 424, comma I, c.c. che richiama la norma ex articolo 379 c.c. o all’amministratore di sostegno articolo 411, comma I, c.c., che richiama l’articolo 379 c.c. considerando l'entità del patrimonio e le difficoltà dell'amministrazione essendo l’Ufficio gratuito resta salva, la facoltà di chiedere l’ausilio di collaboratori stipendiati ai sensi dell’articolo 379, comma II, cod. civ. L'indennità, ex articolo 379 cod. civ., non avendo carattere retributivo, va intesa come rimborso delle spese sostenute e dei mancati guadagni del tutore/amministratore che non ha avuto la possibilità di occuparsi pienamente della cura dei propri interessi. E, infatti, secondo la lettura interpretativa autorevolmente fornita dalla Corte costituzionale Corte Cost. 6 dicembre 1988 numero 1073, GC 1989, I, 258 l’“ equa indennità ”, che a norma dell'articolo 379, secondo comma, c.c., il giudice tutelare può assegnare al tutore, “considerando l'entità del patrimonio e le difficoltà dell'amministrazione”, « non ha natura retributiva, ma serve a compensare gli oneri e le spese non facilmente documentabili da cui è gravato il tutore a cagione dell'attività di amministrazione del patrimonio del pupillo, alla quale l'ufficio tutelare lo obbliga personalmente senza possibilità di nominare sostituti », i coadiuvanti previsti nell'ultima parte della norma in esame non essendo sostituti nel senso dell'articolo 1717, secondo comma, cod. civ., bensì semplici ausiliari dell'obbligato nel senso dell'articolo 1228 c.c. Secondo il Giudice delle Leggi, dunque, l'articolo 379 comma 2 c.c. prevede una “riparazione” del patrimonio del rappresentante, mediante ristoro del denaro che compensa delle attività perdute e delle spese sostenute. Da ciò discende, come primo effetto, che l’indennità non può essere calcolata sulle Tariffe Forensi degli Avvocati, poiché non ha natura retributiva tariffe, peraltro, abrogate dall’articolo 9 dl. 1/2012 guardare a parametri modulati con taglio “retributivo” non è, cioè, corretto. Il giudice tutelare deve liquidare l’indennità “ Caso per Caso ”, in ragione delle effettive attività poste in essere e, anche, dei successi e risultati raggiunti dall’amministratore. La liquidazione “per casi” può, però, presentare un inconveniente dove manchino un minimo di “criteri comuni” con la funzione di garantire una omogeneità nella risposta liquidatoria ed evitare decreti che, per situazioni più o meno analoghe, statuiscano soluzioni sostanzialmente divergenti. Da qui l’introduzione di alcuni protocolli come per questo ufficio . Ma qui interviene l’eventuale scelta del singolo Tribunale che, pur istituendo criteri per una liquidazione “di massima”, non determina certo “la trasformazione” della indennità ex articolo 379 cc. da posta indennitaria a posta retributiva. In altri termini – immutato l’oggetto una indennità - appurato l’an, il giudice tutelare, in ordine al quantum, può seguire i criteri interni all’Ufficio, elaborati sulla base di una campionatura della giurisprudenza tutelare. La funzione dell’indennità corrisposta ex articolo 379, comma II, c.c., in conclusione, propende univocamente per la sua esclusione dal novero dei compensi a carattere retributivo, posto che non viene applicato il criterio della proporzionalità articolo 36 Cost. ma quello dell’equità e della ragionevolezza e tenuto conto del fatto che la somma concessa all’amministratore non lo “paga” delle attività svolte ma delle attività “perdute”, nel senso che lo ristora di un pregiudizio al patrimonio tant’è che i parametri liquidatori previsti dall’articolo 379 c.c. non sono l’attività e l’impegno del rappresentante, ma il patrimonio e la situazione economica del rappresentato . Da qui, dunque, l’inclusione dell’importo nell’ambito delle indennità a carattere non retributivo. Si tratta di una linea interpretativa conforme all’insegnamento della Corte Costituzionale v. ordinanza numero 1073 del 24 novembre1988 . Tuttavia, di recente, una Risoluzione dell’Agenzia delle Entrate 2/2012 ha optato per la soluzione opposta ritenendo che l’indennità ex articolo 379 c.c. rappresenti comunque, sotto il profilo dell'applicazione della normativa tributaria, un compenso per lo svolgimento di una attività professionale, inquadrabile quale reddito di lavoro autonomo ai sensi dell'articolo 53 del testo unico della imposte sui redditi e rilevante ai fini IVA ai sensi degli articoli 3 e 5 del DPR 26 ottobre 1972, numero 633. Depurando la risoluzione dalle parti teoriche non utili, la motivazione del provvedimento è il seguente 1 il provvedimento di assegnazione dell'equa indennità si basa su criteri retributivi, come le Tariffe forensi degli Avvocati 2 l’ordinanza della Corte costituzionale numero 1073 del 1988 contiene principi di diritto non applicabili all’amministrazione di sostegno in quanto la Consulta si è pronunciata in materia di interdizione. La delibera non è condivisibile per i seguenti motivi. Argomento 1 . L’indennità costituisce comunque un compenso. « Nell'ipotesi in cui il giudice tutelare scelga direttamente un avvocato quale amministratore di sostegno, si ritiene che la relativa indennità, anche se determinata in via equitativa e su base forfetaria, rappresenti comunque, sotto il profilo dell'applicazione della normativa tributaria di competenza della scrivente, un compenso per lo svolgimento di una attività professionale, inquadrabile quale reddito di lavoro autonomo ai sensi dell'articolo 53 del testo unico della imposte sui redditi e rilevante ai fini IVA ai sensi degli articoli 3 e 5 del DPR 26 ottobre 1972, numero 633 ». L’argomento non è condivisibile. In primo luogo, sarebbe singolare stando alla risoluzione far dipendere l’applicazione del prelievo fiscale dalla qualità soggettiva dell’amministratore, nel senso che si applicherebbe l’imposta per l’Avvocato e non anche per il familiare che non esercita una professione, con buona pace dell’articolo 3 della Costituzione. Ad ogni modo, sotto il profilo dell’applicazione della normativa tributaria, in tanto una elargizione può costituire un compenso in quanto accresca il patrimonio del percettore e non costituisca, invece, una “riparazione monetaria” per una perdita che va compensata. Orbene, nel caso di specie, con l’indennità il giudice, accertate le spese sostenute dall’amministratore e le perdite causate dall’impegno con il beneficiario, lo rimborsa – e non integralmente – per evitare che tragga pregiudizio dall’attività solidaristica svolta in favore del soggetto debole. Argomento 2 . Applicazione variabile dell’articolo 379 c.c. « Si ritiene che la conclusione non sia inficiata dalla ordinanza della Corte costituzionale numero 1073 del 1988. L'intervento della Corte costituzionale è del 1988, mentre le norme in materia di amministrazione dei sostegno sono state introdotte con la legge numero 6 del 2004, e l'articolo 411 c.c. rinvia all'articolo 379 c.c., in quanto compatibile, facendo con ciò presumere che l'applicazione di quest'ultimo comporta comunque una verifica di detto requisito da parte dell'interprete in relazione alla situazione concreta ». L’argomento non convince. La Risoluzione, dovendo necessariamente confrontarsi con la decisione della Corte Costituzionale del 1998 che ha affermato la natura non retributiva dell’indennità, osserva che la pronuncia riguarda l’interdizione e non l’amministrazione di sostegno. Orbene, l’articolo 379 comma I c.c., richiamato dall’articolo 411, comma I, c.c. è integralmente compatibile con l’amministrazione di sostegno ed apparirebbe, anche qui, assolutamente singolare immaginare che, in caso di interdizione, valendo Corte cost. 1998, l’indennità ha valore indennitario mentre in caso di amministrazione, non valendo Corte cost. 1998, l’indennità ha valore retributivo. Anche qui con una foce interpretativa che si infrange contro il principio di uguaglianza dinanzi alla Legge. La soluzione della Agenzia presenta, poi, nel merito, profili di incostituzionalità, nel senso che suggerisce l’adozione di una interpretazione dell’articolo 379 c.c. in contrasto con gli articolo 2, 3, 32 Cost. Non è difficile rilevare, infatti, come essa rischi di pregiudicare la tutela del soggetto debole perché, con la fatturazione e l’incameramento delle somme nel reddito imponibile, viene svilita la funzione stessa dell’istituto ex articolo 379 c.c. che non arricchisce per una attività ma risana per una perdita. Aderendo, peraltro, ad una impostazione retributiva, occorrerebbe rispettare l’articolo 36 Cost. ed elargire al professionista quanto “effettivamente gli spetta” e, quindi, magari, somme che il soggetto debole non può sostenere un conto è liquidare una minima indennità sul patrimonio disponibile, un contro è liquidare un compenso sull’attività svolta. In questo senso non sarebbe nemmeno possibile rigettare l’istanza ex articolo 379 c.c., circostanza ricorrente e che avviene ogni qual volta il beneficiario abbia patrimoni ridotti. Alla luce delle considerazioni che precedono, la risoluzione – non avente ovviamente valore normativo – va considerata come una mera opinione dell’Agenzia che, in quanto in contrasto con fonti sovraordinate, non può orientare l’attività interpretativa del giudice. Ciò vuol dire che, nel caso di specie, l’indennità è riconosciuta e liquidata con funzione e spirito di indennità. Se, tuttavia, il professionista, per sua libera interpretazione, opta per qualificare l’indennità ex articolo 379 c.c. come posta retributiva, allora è nella somma stessa che deve ricercare gli accessori di legge e non in un compenso ulteriore. P.Q.M. Letto e applicato l’articolo 379 cod. civ Rigetta l’istanza.

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