Secondo il professionista, la liquidazione dell’onorario effettuata tenendo conto del valore della controversia deve avere come parametro di riferimento la domanda, ma la Cassazione precisa che il giudice deve stabilire se l’importo oggetto della domanda possa costituire un parametro di riferimento idoneo dovendolo disattendere in caso contrario.
Il caso. Un avvocato rende una serie di prestazioni professionali in favore di una società. Quando si tratta di riscuotere il compenso però, non tutto fila liscio e così il professionista agisce in giudizio per ottenere il pagamento di alcune parcelle. Per due di queste, il Tribunale riconosce il diritto dell’avvocato a pretenderne il pagamento, mentre per altre decide che l’importo va ridotto. Il professionista ricorre in appello, ma senza successo. Si arriva dunque in Cassazione. A cosa bisogna riferirsi per la liquidazione dell’onorario? L’avvocato lamenta il fatto che una delle parcelle è stata ridotta poiché nella liquidazione degli onorari dovuti dal cliente si è tenuto conto del valore effettivo della controversia sulla base di quanto statuito in sentenza. A suo dire, invece, il valore effettivo della controversia dovrebbe essere individuato in base al principio della domanda. Il giudice deve stabilire se l’importo oggetto della domanda può costituire un parametro di riferimento idoneo. Il motivo è infondato e la Suprema Corte, con la sentenza numero 3889/12 depositata il 12 marzo scorso, ha modo di ribadire che «nel caso di liquidazione degli onorari a carico del cliente il giudice di merito deve stabilire, tenuto conto dell’attività difensiva del legale e delle peculiarità del caso specifico, se l’importo oggetto della domanda possa costituire un parametro di riferimento idoneo ovvero se lo stesso si riveli del tutto inadeguato rispetto all’effettivo valore della controversia, come nel caso in cui il legale abbia esagerato in modo assolutamente ingiustificato la misura della pretesa azionata in evidente sproporzione rispetto a quanto poi attribuito alla parte assistita, perché in tali casi il compenso preteso alla stregua della relativa tariffa non può essere considerato corrispettivo della prestazione espletata stante la sua obbiettiva inadeguatezza rispetto alla attività svolta».
Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 25 gennaio – 12 marzo 2012, numero 3922 Presidente Schettino – Relatore Proto Svolgimento del processo Con citazione del 19/2/2003 l'avv. E S. conveniva in giudizio Thema Computer s.r.l. per sentirla condannare al pagamento di compensi ' per prestazioni professionali rese in suo favore. Thema Computer s.r.l. si costituiva in giudizio e contestava la domanda. Il Tribunale di Milano con sentenza del 30/6/2006 riconosceva dovuti gli importi di due parcelle e riduceva quelli richiesti per le restanti tre parcelle. A seguito di appello dell'avv. S. , al quale resisteva Thema Computer s.r.l., la Corte di Appello di Milano con sentenza del 30/11/2009 rigettava l'appello rilevando quanto al primo motivo di appello riguardante la detrazione di lire 3.758.000 dall'importo di cui alla parcella del 10/5/1999 per la causa contro il Ministero delle Finanze , che la somma risultava già pagata per espresso riconoscimento dello stesso legale - quanto al secondo motivo di appello riguardante la riduzione degli importi di cui alle bozze di parcella nnumero 85 e 84 per cause contumaciali rispettivamente nei confronti di ASL Napoli X e Regione Campania perché correttamente e in applicazione della tariffa forense articolo 6 D.M. 585/1994 , nella liquidazione degli onorari dovuti dal cliente si era tenuto conto del valore effettivo della controversia, in quanto manifestamente diverso rispetto a quello presunto a norma del c.p.c., non potendosi tenere conto della richiesta, formulata in quei giudizi, di lire 169 milioni per un non dimostrato maggior danno da ritardo l'ulteriore censura riguardante la violazione dei minimi tariffari nella liquidazione della parcella numero 84 anche con riferimento allo scaglione tariffario prescelto era inammissibile per genericità non precisandosi in quale parte i conteggi sarebbero errati e quali sarebbero gli importi inferiori ai minimi - quanto al terzo motivo di appello, riguardante il calcolo degli interessi legali, preteso con decorrenza dalle scadenze delle singole parcelle e con anatocismo invece che con decorrenza dalla data di notifica dell'atto di citazione, che nelle bozze di parcella mancava l'indicazione di un termine per il pagamento e non risultavano atti di messa in mora prima della notifica della citazione e, infine, che la diversa decorrenza degli interessi non poteva desumersi dal generico richiamo ad una ricognizione di debito che non portava alcuna analitica ricostruzione contabile. La statuizione sul quarto motivo di appello, relativa alle spese processuali, non forma oggetto di ricorso. S.E. ha proposto ricorso affidato a 4 motivi. Thema Computers s.r.l. ha resistito con controricorso e ha depositato memoria. Motivi della decisione 1, Con il primo motivo il ricorrente deduce il vizio di motivazione a con riferimento all'affermazione per la quale il pagamento dell'importo di lire 3.758.700 avrebbe dovuto essere indicato nella bozza di parcella del 10/5/1999, perché, invece, il pagamento era avvenuto dopo circa un mese e quindi non poteva essere indicato in parcella b con riferimento al mancato riconoscimento della somma di lire 2.800.000 che pure risultava portata in detrazione nella parcella del 10/5/1999, ma che, invece, non era stata pagata e semplicemente indicata come dedotta perché la cliente ne aveva promesso il pagamento nel 1997. 2. Il motivo, quanto all'eccepita impossibilità di indicare in parcella il pagamento di lire 3.758.700 in quanto eseguito successivamente, è inammissibile per difetto di rilevanza in quanto non è per nulla spiegato come la circostanza che il pagamento sia avvenuto un mese dopo possa influire sulla determinazione dell'ammontare del debito complessivo e comunque sulla correttezza della decisione. Con riferimento al mancato riconoscimento della somma di lire 2.800.000 il motivo è infondato perché la motivazione posta a fondamento del rigetto della richiesta dell'importo di lire 2.800.000 sussiste e non è né illogica né contraddittoria, essendo fondata sulla circostanza, pacifica, che nella parcella in contestazione l'importo era stato portato in detrazione, dal che si doveva desumere che non fosse richiesto in quanto già pagato. Nel motivo di ricorso il ricorrente richiama varia documentazione dalla quale dovrebbe risultare che, invece, l'importo non era stato pagato, ma non dimostra che le relative contestazioni fossero state tempestivamente formulate in appello e con specifico riferimento ai documenti che oggi sottopone all'esame di questa Corte di legittimità pertanto non è ravvisabile un vizio di motivazione rispetto a questioni di merito su elementi documentali che non risultano in modo specifico dedotte davanti al giudice di merito, mentre la motivazione che sorregge la decisione è ampiamente sufficiente. 3. Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione dell'articolo 2697 c.c. in materia di ripartizione dell'onere probatorio perché su esso deducente incombeva solo l'onere di provare di essere creditore, mentre era la controparte a dovere provare di avere estinto il credito di lire 2.800.000, e tale prova non era stata fornita. 4. Il motivo è inammissibile in quanto non attinge la ratio decidendi della sentenza di appello nella quale non è stato affermato che il cliente debitore non dovesse provare l'estinzione del debito, ma che il debito risultava estinto perché portato in detrazione dalla stessa parcella predisposta dal creditore. 5. Con il terzo motivo il ricorrente deduce la violazione degli articolo 57 - 61 L. 36/1934 e dell'articolo 6 D.M. 5/10/1994 numero 585 sostenendo che, anche applicando l'articolo 6 della T.F. approvata con D.M. 585/1994, il valore effettivo della controversia deve sempre essere individuato in base al principio della domanda e non, invece, con riferimento a quanto statuito in sentenza nella specie la liquidazione è avvenuta prendendo a riferimento, per lo scaglione applicabile, l'importo che l'attore aveva chiesto per capitale e interessi, ma senza tenere conto dell'importo richiesto quale maggior danno per ritardato pagamento, quantificato il lire 169.000.000 e per la cui dimostrazione egli aveva svolto attività professionale. 6. Il motivo, limitato al vizio di violazione di legge, è infondato. L'articolo 6 della T.F. approvata con D.M. 585/1994 al primo comma stabilisce che nella liquidazione degli onorari a carico del soccombente il valore della causa è determinato a norma del c.p.c. ossia con riferimento alla domanda nel momento in cui la stessa è proposta, tenuto conto del richiamo di cui agli articolo 10 e 14 , ma i successivi commi 2 e 4, nella liquidazione degli onorari a carico del cliente introducono un criterio correttivo per il quale ai sensi del comma 2 nella liquidazione degli onorari a carico del cliente, può aversi riguardo al valore effettivo della controversia, quando esso risulti manifestamente diverso da quello presunto a norma del codice di procedura civile ai sensi del comma 4 Nella liquidazione degli onorari a carico del cliente, per la determinazione del valore effettivo della controversia, deve aversi riguardo al valore dei diversi interessi sostanzialmente perseguiti dalle parti . Il comma 2 introduce, quindi, il principio di adeguatezza e di proporzionalità' degli onorari rispetto all'attività' prestata dal legale tale principio costituisce la regola generale nella liquidazione degli onorari e, perciò', trova applicazione anche per quanto riguarda gli onorari a carico del soccombente quando non vi sia coincidenza fra il disputatimi e il decisum S.U. 19014/2007 . Questa Corte ha già affermato il principio, al quale qui deve darsi continuità, per il quale nel caso di liquidazione degli onorari a carico del cliente il giudice di merito deve stabilire, tenuto conto dell'attività difensiva del legale e delle peculiarità del caso specifico, se l'importo oggetto della domanda possa costituire un parametro di riferimento idoneo ovvero se lo stesso si riveli del tutto inadeguato rispetto all'effettivo valore della controversia, come nel caso in cui il legale abbia esagerato in modo assolutamente ingiustificato la misura della pretesa azionata in evidente sproporzione rispetto a quanto poi attribuito alla parte assistita, perché in tali casi - a prescindere dai profili di responsabilità ascrivibili al professionista - il compenso preteso alla stregua della relativa tariffa non può essere considerato corrispettivo della prestazione espletata stante la sua obiettiva inadeguatezza rispetto alla attività' svolta Cass. 31/5/2010 numero 13229 , Nel caso di specie la Corte di Appello ha reso una pronuncia in linea con il suddetto principio avendo osservato che occorreva fare riferimento al valore effettivo della controversia se diverso da quello presunto a norma del c.p.c. e che, in concreto, il valore effettivo era inferiore perché non poteva tenersi conto della richiesta di condanna al maggior danno da ritardo nell'adempimento che non aveva ricevuto dimostrazione. La dedotta violazione degli articolo da 57 a 61 della legge professionale del 1934 non sussiste in quanto le suddette norme fissano i criteri generali per la liquidazione e, in particolare l'art, 57 stabilisce che i criteri per la determinazione degli onorari e delle indennità dovute agli avvocati in materia penale e stragiudiziale sono stabiliti ogni biennio con deliberazione del Consiglio nazionale forense nella fattispecie, come detto, la tariffa forense non è stata violata, essendo stato applicato l'articolo 6. 7. Con il quarto motivo il ricorrente deduce la violazione dell'articolo 1282 c.c. lamentando la liquidazione degli interessi con decorrenza dalla data della domanda mentre, con la conclusionale in appello, esso deducente aveva fatto rilevare che gli interessi dovevano decorrere dalle date pattuite dalle parti e secondo quanto indicato da una ricognizione di debito il ricorrente inoltre, assume che, trattandosi di crediti liquidi ed esigibili, gli stessi producevano interessi senza necessità di messa in mora o diffida. 8. Il motivo si fonda sul presupposto che i crediti fossero liquidi ed esigibili da data anteriore alla domanda giudiziale in quanto riconosciuti dal cliente con una ricognizione di debito dell'Ottobre 1997 e in quanto la decorrenza degli stessi era stata pattuita identica censura era stata formulata come motivo di appello e il giudice di appello l'aveva motivatamente rigettata giudicandola generica e carente della doverosa e analitica ricostruzione contabile. Questa ratio decidendi non ha formato oggetto di specifico motivo di ricorso e pertanto il motivo, prospettato solo come violazione dell'articolo 1282 c.c., è inammissibile, posto che l'invocata liquidità ed esigibilità del credito è collegata ad un riconoscimento di debito che il giudice di appello aveva ritenuto non rilevante perché eccessivamente generico. Peraltro, la decisione della Corte di appello è coerente con il principio, ripetutamente affermato da questa Corte, per il quale .in tema di liquidazione di diritti ed onorari di avvocato e procuratore a carico del cliente, la disposizione comune alle tre tariffe forensi civile, penale e stragiudiziale contenuta nel D.M. 14 febbraio 1992, numero 238 prevede che gli interessi di mora decorrano dal terzo mese successivo all'invio della parcella, tuttavia quando insorge controversia tra l'avvocato ed il cliente circa il compenso per prestazioni professionali, il debitore non può essere ritenuto in mora prima della liquidazione del debito, che avviene con l'ordinanza che conclude il procedimento ex articolo 28 della legge 13 giugno 1942, numero 794 sicché è da quella data - e nei limiti di quanto liquidato dal giudice - e non da prima che va riportata la decorrenza degli interessi cfr. in massima e da ultimo, Cass. 2/2/2011 numero 2431 in precedenza, v. Cass. nnumero 11777/2005, 5240/1999, 13586/1991, 5004/1993 3995/1988 . 8. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato con la condanna del ricorrente, in quanto soccombente, al pagamento delle spese di questo giudizio di Cassazione, liquidate come in dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna S.E. a pagare a Thema Computer Consultants s.r.l. le spese di questo giudizio di Cassazione che si liquidano in complessivi Euro 2.200 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.