Nessun indennizzo a carico del proprietario se il terzo agisce in violazione della normativa edilizia, a meno che non sia concessa la sanatoria

Nelle controversie riconducibili alle fattispecie regolate dagli articolo 1150 e 936 c.c. nessun indennizzo a carico del proprietario del fondo può essere preteso dal terzo costruttore che abbia realizzato l'opera in violazione della normativa edilizia, autonomamente commettendo nel primo caso, o concorrendo nel secondo, i reati previsti e puniti dagli articolo 31 e 41 l. numero 1150 del 1942 e 10 e 13 l. numero 765/1967.

Nelle controversie riconducibili alle fattispecie regolate dagli articolo 1150 e 936 c.c. nessun indennizzo a carico del proprietario del fondo può essere preteso dal terzo costruttore che abbia realizzato l'opera in violazione della normativa edilizia, autonomamente commettendo nel primo caso, o concorrendo nel secondo, i reati previsti e puniti dagli articolo 31 e 41 l. numero 1150 del 1942 e 10 e 13 l. numero 765 del 1967 e ciò non tanto perché possano essere poste in dubbio la sussistenza o l'entità della locupletazione del proprietario del fondo nella prospettiva di un ordine di demolizione da parte della pubblica amministrazione. competente, quanto piuttosto perché è da ritenere in contrasto con i principi generali dell'ordinamento ed in particolare con la funzione dell'amministrazione della giustizia che possa l'agente conseguire indirettamente, ma pur sempre per via giudiziaria, quel vantaggio che si era ripromesso di ottenere nel porre in essere l'attività penalmente illecita e che in via diretta gli è precluso dagli articolo 1346 e 1418 c.c. nel caso in cui venisse concessa la sanatoria edilizia sul manufatto così costruito, spetta invece al terzo la indennità di cui all’articolo 936 c.c., venendo meno l’illecito penale ed amministrativo. Con la pronuncia del 25 gennaio 2016, numero 1237, il S.C. affronta il tema dell’indennità ex articolo 936 c.c., fornendo un esauriente riepilogo della giurisprudenza sul punto, con riferimento agli aspetti di maggior rilievo della disciplina in esame. Il caso. La vicenda decisa dal S.C. prende le mosse dalla richiesta di indennità ex articolo 936 c.c. promossa nei confronti del proprietario di un immobile, inerente un piano sopraelevato. Accolta in primo grado la domanda e parzialmente riformata in appello l’importo dovuto, gli eredi del convenuto in primo grado propongono ricorso per Cassazione sostenendo, tra l’altro, l’irregolarità, dal punto di visto urbanistico, della costruzione così realizzata. Il S.C. rigetta il ricorso rilevando, nel solco della massima di cui sopra, l’esistenza di una sanatoria avente ad oggetto proprio l’immobile per cui è causa, con conseguente legittimità della indennità richiesta e quantificata dalla Corte di Appello. Acquisto per accessione ed indennità differenze tra l’articolo 934 c.c. e l’articolo 936 c.c Ai sensi dell’articolo 934 c.c. l'acquisto delle opere in favore del proprietario del suolo si realizza istantaneamente, senza che occorra alcuna manifestazione di volontà di questo volta a ritenere quanto edificato sul proprio terreno, costituendo invece la manifestazione di volontà acquisitiva del medesimo proprietario condizione per l'insorgere dell'obbligo di pagamento dell'indennità prevista dall'articolo 936, comma 2, c.c. I presupposti dell’indennità ex articolo 936 c.c L'articolo 936 c.c., in tema di opera fatte su suolo altrui, non richiede per la sua applicabilità l'utilità dell'opera realizzata ed il conseguente incremento di valore del fondo, potendo tale elemento influire indirettamente solo sulla scelta del proprietario del fondo tra lo ius tollendi ed il diritto di ritenere l'opera, ovvero, nei casi in cui lo ius tollendi non è ammesso o non è esercitato, sulla determinazione della misura dell'indennità spettante all'autore dell'opera, dovuta nella minor somma tra il valore dei materiali ed il prezzo della mano d'opera o l'aumento di valore subito dal fondo. Opera su bene comune nessuna indennità. La costruzione di un'opera realizzata da un condomino su bene comune non è, per contro, disciplinata dalle norme in materia di accessione, poiché difetta il presupposto dell'altruità del bene, ma dalle norme in materia di comunione, sicché il comproprietario del fondo, sul quale il primo ha realizzato l'opera, non può agire per il riconoscimento dell'indennizzo ex articolo 936 c.c Indennizzo ex articolo 936 c.c. debito di valore o debito di valuta? L'indennizzo dovuto ai sensi dell'articolo 936 c.c. dal proprietario del suolo al terzo che sullo stesso abbia realizzato opere e costruzioni con materiali propri rappresenta debito di valore – come anche riconosciuto dalla Cassazione con la sentenza in commento - sia che si determini in relazione all'incremento arrecato al fondo sia che abbia riguardo al valore dei materiali ed al prezzo della mano d'opera. Indennità ex articolo 936 c.c. ed attività abusiva. Come espresso dalla massima in commento, al possessore del fondo non spetta indennizzo per addizioni consistenti in edifici abusivamente eretti sullo stesso, non potendo ammettersi alcun indennizzo per lo svolgimento di un'attività illecita anche sotto il profilo penale a meno, come nel caso di specie, l’immobile in questione non sia stato oggetto di concessione in sanatoria. Indennità ex articolo 936 c.c. e legittimazione passiva. Legittimato passivo dell'azione intentata dal terzo, che ha costruito nel fondo altrui con materiali propri, ai fini della indennità di cui all'articolo 936 c. c., è il soggetto che rivesta la duplice qualità di proprietario del fondo e beneficiario delle opere realizzate dal terzo tale criterio di determinazione della legittimazione passiva è valido anche quando l'azione esperita dal terzo sia di mero accertamento, in quanto tendente solo alla individuazione dell'autore dei manufatti. Indennità di occupazione e terreno demaniale. Deve escludersi il riconoscimento dell'indennizzo, richiesto ex articolo 936 c.c. nei confronti della pubblica amministrazione da parte di chi abbia costruito illecitamente un'opera edilizia nel vigore della legge numero 47/1985 su suolo pubblico, senza, neanche, avere successivamente provveduto al versamento degli oneri dovuti al fine di ottenere la sanatoria, in quanto l'applicazione dell'articolo 14, legge numero 47/1985, che impone la demolizione dell'opera abusiva realizzata su suolo pubblico e il ripristino dello stato dei luoghi ad opera del sindaco, esclude che l'Amministrazione proprietaria possa esercitare la scelta della ritenzione dell'incorporazione, così come prevista, per le ipotesi di costruzioni non abusive, nell'articolo 936, comma 2, c.c

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 14 dicembre 2015 – 25 gennaio 2016, numero 1237 Presidente Nuzzo – Relatore Falabella Svolgimento del processo È impugnata la sentenza della Corte di appello di Palermo, depositata il 20 maggio 2011 con cui, in parziale riforma della pronuncia resa dal Tribunale del capoluogo siciliano, è stata rideterminata l'indennità ex articolo 936 c.c. dovuta dagli appellanti principali G.A. , +Altri in favore di D.L. . In detta pronuncia è stato dichiarato che l'importo da corrispondersi a quest'ultimo a norma dell'articolo 936 c.c. ammontasse a Euro 117.818,57, oltre interessi legali dal 31 luglio 2006. La vicenda processuale ha avuto origine con la citazione notificata il 27 giugno 1985 con cui il predetto D. assumeva di aver edificato il primo piano di un edificio sovrastante un magazzino deduceva l'attore di aver acquistato due delle quote indivise dell'area dai comproprietari della stessa, G.V. e Ga.Vi. , e che il proprio suocero G.G. aveva mancato di trasferirgli la propria, benché si fosse impegnato verbalmente in tal senso. L'attore chiedeva di essere dichiarato proprietario esclusivo dell'area sovrastante il magazzino, nonché dell'appartamento posto al primo piano del corpo di fabbrica da lui edificato in via subordinata domandava il rimborso delle somme corrispondenti al valore delle opere realizzate, a norma dell'articolo 936 c.c., oltre che il risarcimento dei danni per la mancata stipula. Il Tribunale di Palermo accoglieva la domanda subordinata proposta dall'attore, condannando i convenuti al pagamento della somma di Euro 237.582,66, oltre interessi legali dalla notifica del deposito della sentenza. La sentenza era impugnata dai convenuti in vita e dagli eredi di quelli che erano nel frattempo deceduti e la Corte di appello di Palermo, disattendendo gli altri motivi di gravame, accertava l'erroneità del calcolo della rivalutazione e degli interessi sulla somma liquidata ex articolo 936 c.c. con riferimento al periodo intercorrente tra il 1 gennaio 1979 il 31 luglio 2006 definendo nell'importo sopra indicato di Euro 117.818,57 l'ammontare di quanto dovuto a titolo di indennità, rivalutazione monetaria e interessi fino alla menzionata data del 31 luglio 2006. La pronuncia della corte palermitana è stata impugnata per cassazione, con ricorso affidato a cinque motivi, da G.A. , +Altri . Resiste con controricorso D.L. , il quale ha depositato memoria. Motivi della decisione Con il primo motivo i ricorrenti hanno denunciato violazione e falsa applicazione degli articolo 936, 1346 e 1418 c.c. in relazione all'articolo 360, 1 co., numero 3, c.p.c., per avere la corte d'appello proceduto alla liquidazione dell'indennità in presenza di un'opera realizzata in difformità della rilasciata concessione, così da costringere il proprietario a richiedere successiva sanatoria e da determinarne la condanna in sede penale. In particolare, D. , procedendo all'edificazione dell'appartamento, aveva operato in difformità della licenza edilizia rilasciata dal Comune di Partinico a G.G. , realizzando una veranda chiusa non prevista nel progetto, con aumento della relativa cubatura e in violazione delle norme imperative al tempo cogenti per effetto di tale condotta il predetto G. aveva subito un procedimento e una condanna in sede penale, resa con sentenza del 5 giugno 1981, e aveva dovuto proporre domanda di sanatoria. Sul punto i ricorrenti hanno richiamato la giurisprudenza di questa Corte in forza della quale l'autore di un illecito non è titolato a richiedere l'indennità ex articolo 936 c.c., e ciò anche nel caso in cui il proprietario del fondo si giovi dell'opera per avere regolarizzato l'immobile con la concessione in sanatoria. Il motivo non è fondato. La corte palermitana ha rilevato che per l'immobile edificato dall'odierno controricorrente era stata rilasciata regolare concessione edilizia numero 23 del 17 maggio 1977 e che G.G. aveva subito una condanna in sede penale con sentenza resa dal pretore di Partinico per la realizzazione del II piano in assenza di concessione edilizia e per aver chiuso a veranda una terrazza del I piano quindi, la difformità sarebbe consistita unicamente in tale opera . È da aggiungere, a quest'ultimo riguardo, che i ricorrenti si dolgono proprio del fatto che G.G. abbia subito le ripercussioni della violazione edilizia concernente il primo piano dell'edificio e avente ad oggetto la nominata chiusura della veranda , violazione posta in essere da D. , il quale non era invece responsabile degli abusi riferiti al secondo piano del fabbricato cfr. pagg. 12 e 13 ricorso . La sentenza impugnata ha poi evidenziato che con riferimento ai due illeciti quelli concernenti, rispettivamente, il primo in secondo piano dell'edificio era stata rilasciata concessione in sanatoria numero 329/2000 in cui era oltretutto richiamata la concessione del 1977 dal che la corte ricavava una conferma dell'esistenza del titolo che autorizzava la realizzazione del corpo di fabbrica del primo piano . Il giudice d'appello ha quindi concluso nel senso di non potersi in alcun modo negare la locupletazione in favore del proprietario ciò in quanto l'immobile non è precario essendo escluso qualsiasi pericolo di demolizione dello stesso . Ciò detto, da una prima angolazione deve richiamarsi il principio consolidato per cui ove l'esecuzione delle opere abusive da parte di un terzo, con materiali propri, su suolo altrui, configuri un illecito penale, il proprietario non gli deve corrispondere alcun indennizzo per tutte Cass. 25 febbraio 2011, numero 4732 Cass. 29 gennaio 1997, numero 888 Cass. 10 settembre 1997, numero 8834 , poiché, sul piano civilistico, il manufatto abusivo deve ritenersi carente di valore per il fondo. Infatti, in caso di costruzione eretta senza titolo concessorio - ovvero di opere eseguite in contrasto con la stesso - il diritto dominicale relativo a quell'opera è caratterizzato da spiccata precarietà quanto al suo contenuto di ricchezza acquisita, poiché i provvedimenti autoritativi previsti dalla legge si risolvono nell'espressione di una qualità giuridica immanente a quel manufatto e da esso non separabile Cass. 13 aprile 1995, numero 4269, richiamata da Cass. 22 agosto 2003, numero 12347 . Tale situazione viene evidentemente meno per effetto della regolarizzazione urbanistica del manufatto, operata, come nel caso in esame, con la concessione in sanatoria richiesta da G.G. . Infatti, a norma dell'articolo 38 l. 47/1985 l'oblazione estingue il reato edilizio e, concessa la sanatoria, viene meno la possibilità di applicare le sanzioni amministrative conseguenti all'abuso inoltre, ove nei confronti del richiedente la sanatoria sia intervenuta con sentenza definitiva di condanna per il reato, viene fatta annotazione della oblazione nel casellario giudiziale e in tale caso non si tiene conto della condanna ai fini dell'applicazione della recidiva e del beneficio della sospensione condizionale della pena. La concessione in sanatoria restituisce quindi senz'altro l'immobile a uno stato di conformità al diritto e, come correttamente rilevato dalla corte di appello, esclude che lo stesso sia oggetto di una futura demolizione per la violazione della disciplina edilizia ad esso applicabile. Il discorso non si esaurisce, tuttavia, nei rilievi fin qui svolti. Da una seconda angolazione, va infatti osservato che questa Corte ha in passato ritenuto che nelle controversie riconducibili alle fattispecie regolate dagli articolo 1150 e 936 c.c. nessun indennizzo a carico del proprietario del fondo può essere preteso dal terzo costruttore che abbia realizzato l'opera in violazione della normativa edilizia, autonomamente commettendo nel primo caso, o concorrendo nel secondo, i reati previsti dalle singole disposizioni penali che sanzionano le condotte illecite ciò non tanto perché possano essere poste in dubbio la sussistenza o l’entità della locupletazione del proprietario del fondo nella prospettiva di un ordine di demolizione da parte della pubblica amministrazione competente, quanto piuttosto perché è da ritenere in contrasto con i principi generali dell'ordinamento ed in particolare con la funzione dell'amministrazione della giustizia che possa l'agente conseguire indirettamente, ma pur sempre per via giudiziaria, quel vantaggio che si era ripromesso di ottenere nel porre in essere l'attività penalmente illecita e che in via diretta gli è precluso dagli articolo 1346 e 1418 c.c. Cass. 17 maggio 2001, numero 6777 in senso conforme, Cass. 14 dicembre 2011, numero 26853 . È da ricordare, in proposito, che a norma dell'articolo 38, 5 co. l. numero 47/1985, i soggetti indicati all'articolo 6 della legge, tra cui è ricompreso il costruttore del manufatto, che intendevano fruire dei benefici penali previsti dallo stesso articolo 38 e dall'articolo 39, dovevano presentare al comune autonoma domanda di oblazione, con le modalità di cui all'articolo 35. Sulla base di tale disciplina, in difetto di un'attivazione nel senso indicato, la sanatoria conseguita dal proprietario non giovava allo stesso costruttore, il quale, non essendosi autonomamente adoperato onde conseguire l'estinzione del reato, versava nell'illecito e non poteva legittimamente pretendere di conseguirne il frutto per via giudiziaria Cass. 17 maggio 2001, numero 6777 . Il quadro normativo originario è peraltro mutato, dal momento che il primo comma dell'articolo 24 l. numero 136/1999 ha disposto Il secondo comma dell'articolo 38 della legge 28 febbraio 1985, numero 47, e successive modificazioni, deve intendersi nel senso che la corresponsione per intero dell'oblazione, purché compiuta da uno dei soggetti legittimati a presentare la domanda di cui all'articolo 31 della stessa legge, estingue nei confronti di tutti i soggetti interessati i reati di cui all'articolo 41 della legge 17 agosto 1942, numero 1150, e successive modificazioni, all'articolo 17 della legge 28 gennaio 1977, numero 10, e successive modificazioni, all'articolo 221 del testo unico delle leggi sanitarie, approvato con regio decreto 27 luglio 1934, numero 1265, e agli articoli 13, primo comma, 14, 15 e 16 della legge 5 novembre 1971, numero 1086 . Quindi il predetto articolo 24, 1 co. estende l'effetto estintivo del reato - conseguente al pagamento effettuato da coloro che sono legittimati ai sensi dell'articolo 31 l. numero 47 del 1985 - a tutti i soggetti responsabili, a prescindere dalla presentazione di autonoma domanda di condono. Discende da ciò che con il pagamento dell'oblazione da parte di G. è venuto meno anche il concorso nel reato da parte di D. . Per il che nulla osta a che il medesimo si veda riconosciuto l'indennizzo di cui all'articolo 936 c.c Col secondo motivo è lamentata violazione e falsa applicazione degli articolo 99 e 112 c.p.c. La corte distrettuale avrebbe impropriamente operato la liquidazione degli interessi sull'indennità in assenza di una espressa domanda in tal senso. La censura non merita accoglimento. L'indennità prevista dal 2 co. dell'articolo 936 c.c. costituisce oggetto di un debito di valore Cass. 13 aprile 2006, numero 8657 , con la conseguenza che il giudice, nel liquidare detta indennità, deve riconoscere sulla relativa somma, anche d'ufficio, gli interessi compensativi cfr. Cass. 14 febbraio 2013, numero 3706, con riferimento all'indennità contemplata per l'accessione invertita di cui all'articolo 938 c.p.c. . Col terzo motivo è denunciata violazione e falsa applicazione dell'articolo 936 c.c., in relazione all'articolo 360, numero 3 c.c La sentenza impugnata avrebbe errato nel confermare la condanna pronunciata dal tribunale nei confronti di tutti gli appellanti indistintamente, ritenendo che del pagamento dell'indennità fossero gravati i proprietari dell'area occupata, e ciò senza considerare che l'effettivo beneficiario del vantaggio economico fosse identificabile in uno solo di essi, posto che il magazzino e l'area sovrastante, su cui era stato realizzato l'appartamento, era nell'esclusiva disponibilità di G.G. . Col quarto motivo si lamenta insufficiente, illogica e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio, a norma dell'articolo 360, numero 5 c.p.c. la corte di appello avrebbe infatti condannato gli appellanti nella duplice qualità di comproprietari del fondo e di beneficiari dell'esecuzione delle opere, ma la predetta qualità, in capo ai comproprietari, sarebbe in netto contrasto con le risultanze istruttorie di causa. Infatti l'assegnazione in divisione e la cessione in favore di G.G. della sola porzione di fondo su cui era stato edificato l'immobile dimostrerebbe che nessun beneficio si era concretizzato in capo ai condividenti venditori che dalla divisione parziale e vendita avevano conseguito solo il corrispettivo del valore del fondo. I motivi, da esaminarsi in modo unitario per la loro connessione, sono infondati. Legittimato passivo dell'azione intentata dal terzo, che ha costruito nel fondo altrui con materiali propri, ai fini della indennità di cui all'articolo 936 c.c., è il soggetto che rivesta la duplice qualità di proprietario del fondo e di beneficiario delle opere realizzate per tutte Cass. 17 febbraio 1981, numero 968 . Il riferimento alla qualità di beneficiario trova fondamento nel rilievo per cui il soggetto passivo di tale azione va individuato non necessariamente in colui il quale era proprietario del fondo al momento dell'accessione ma in chi, anche se divenuto proprietario di quel bene dopo l'accessione, abbia effettivamente usufruito del beneficio da essa derivatone. Infatti, in tema di accessione relativa ad opere fatte da un terzo su fondo altrui, ai sensi dell'articolo 936 c.c., ove l'originario proprietario abbia trasferito il terreno su cui insiste la costruzione realizzata dal terzo, il rapporto relativo all'obbligo di corrispondere l'indennizzo, gravante sul proprietario del fondo che eserciti il diritto di ritenzione - non diversamente dall'inverso rapporto avente ad oggetto la rimozione delle opere - intercorre, anche agli effetti della legittimazione processuale, non più tra l'iniziale titolare ed il terzo, bensì tra quest'ultimo e l'acquirente del suolo, trovandosi l'uno a subire il depauperamento e l'altro a beneficiare dell'arricchimento in ragione dei quali la norma tende a ristabilire una situazione di relativo equilibrio Cass. 30 maggio 2013, numero 13603 in senso conforme Cass. 7 settembre 1984, numero 4780 Cass. 6 agosto 1977, numero 3586 . Se non può che convenirsi su tale proposizione, deve però anche riconoscersi che il trasferimento della posizione di diritto o di obbligo che si attui in pendenza della lite risulti processualmente irrilevante a mente dell'articolo 111, 1 co. c.p.c Infatti le vicende giuridiche attinenti alla titolarità del bene e, di riflesso, ai diritti e agli obblighi che ad esso si riconnettono successive all'inizio della controversia non sono idonee ad alterare i termini di questa, giacché il processo, a norma del cit. articolo 111, 1 co. prosegue fra le parti originarie, cioè fra le parti nella loro originaria individualità e posizione giuridica. Bene ha fatto, dunque, la corte di appello a valorizzare il dato della posteriorità dell'atto di divisione e vendita - con cui venne attribuita a G.G. la porzione immobiliare che qui interessa - rispetto al momento in cui era stata notificata la citazione introduttiva del giudizio. Quanto al vizio motivazionale, esso evidentemente non sussiste. La sentenza impugnata ha inteso infatti attribuire esclusivo rilievo all'elemento giuridico della titolarità del fondo in capo agli appellanti al momento dell'introduzione del giudizio. Ciò è tanto vero che la stessa corte di appello ha escluso potessero rivestire alcuna consistenza pregressi accordi tra i comproprietari operati verbalmente, senza il rispetto della necessaria forma scritta ad substantiam. La pronuncia identifica quindi la qualità di comproprietari del fondo in quella di beneficiati dall'esecuzione dell'opera, senza scindere le due posizioni il che è del tutto corretto, visto che una separazione delle dette posizioni avrebbe potuto operarsi solo se prima dell'introduzione del giudizio la titolarità del diritto di proprietà fosse mutata. Infatti, solo ove il proprietario dell'area edificata avesse cessato di essere tale dopo l'accessione ma prima dell'introduzione del giudizio , si sarebbe dovuto escludere che egli fosse anche beneficiario delle opere realizzate, secondo quanto sopra osservato. Il quinto motivo concerne le spese ci si duole del fatto che esse siano state riversate sugli istanti, compensandole per un terzo. Si assume che la compensazione sia illegittima, dal momento che l'odierno controricorrente sarebbe stato soccombente in grado di V. appello. È indubbio, invece, che gli odierni ricorrenti fossero soccombenti, avendo riguardo al giudizio di merito inteso nel suo complesso, visto che D. aveva visto accolta la domanda da lui proposta in via subordinata infatti, il giudice di appello, allorché riformi in tutto o in parte la sentenza impugnata, deve procedere d'ufficio, quale conseguenza della pronuncia di merito adottata, ad un nuovo regolamento delle spese processuali, il cui onere va attribuito e ripartito tenendo presente l'esito complessivo della lite poiché la valutazione della soccombenza opera, ai fini della liquidazione delle spese, in base ad un criterio unitario e globale, sicché viola il principio di cui all'articolo 91 c.p.c., il giudice di merito che ritenga la parte soccombente in un grado di giudizio e, invece, vincitrice in un altro grado Cass. 18 marzo 2014, numero 6259 . Quanto alla formula adottata dal giudice del gravame per giustificare la pronuncia di compensazione, di essa non possono certo dolersi gli odierni ricorrenti sarebbe stato semmai il controricorrente, parte vittoriosa nel giudizio di merito trattato avanti al tribunale e alla corte d'appello, a poter lamentare l'ipotetica assenza dei motivi che fondavano la decisione in punto di compensazione. Nella propria memoria ex articolo 378 c.p.c. il controricorrente ha proposto una domanda di condanna ex articolo 96 c.p.c Tale domanda è inammissibile. Infatti, per quanto concerne i danni sofferti nei precedenti gradi del giudizio, su cui il giudici di merito non avrebbero pronunciato - come lamentato nella memoria pagg. 11 s. - va osservato che sul punto avrebbe dovuto proporsi ricorso incidentale ciò che non è accaduto. Con riguardo ai danni per responsabilità processuale aggravata che si assumono derivanti dalla proposizione del ricorso per cassazione, vale invece il principio per cui la pretesa, a pena di inammissibilità, deve farsi valere con il controricorso, non quindi con la memoria di cui all'articolo 378 c.p.c. o nel corso della discussione orale per tutte Cass. S.U. 17 agosto 1990, numero 8363 Cass. 11 ottobre 2011, numero 20914 . In conclusione, il ricorso è respinto e i ricorrenti vanno condannati al pagamento delle spese processuali, liquidate in dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate in Euro 4.000,00, di cui Euro 200,00 per esborsi.