Cambia strada e si fa male: no all’infortunio in itinere

Il danno in itinere occasionato dal lavoro, che giustifica il costo della collettività per la sicurezza sociale, esige il rigore del lavoratore nel rispetto delle norme di legge e di normale prudenza.

Il caso. Un lavoratore in regime di contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, promuoveva una causa di servizio nei confronti dell’I.N.A.I.L. azionando una pretesa risarcitoria riconducibile alla tutela legale del c.d. «infortunio in itinere» sul presupposto fattuale dell’incidente stradale occorsogli durante il viaggio di ritorno alla sua abitazione da una meta, precedentemente raggiunta per ragioni inerenti la sua prestazioni lavorativa. Nel dettaglio, il lavoratore si era da principio, recato presso un presidio sanitario pubblico per sottoporsi ad accertamenti sanitari disposti dal datore di lavoro, in ottemperanza ai dettami imperativi della normativa sulla sicurezza degli ambienti di lavoro, poi, successivamente anziché fare direttamente ritorno presso la sede dell’azienda per il prosieguo della rispettiva giornata lavorativa, aveva preferito utilizzare delle ore di permessi lavorativi preventivamente richiesti, per far rientro presso la sua abitazione e usufruire della pausa pranzo e, proprio durante quest’ultimo tragitto - ossia dal presidio sanitario alla sua abitazione - subiva il predetto incidente, da egli ascritto alle ragioni di servizio. Ribaltamento in appello della sentenza di primo grado il nesso eziologico è stato interrotto. Il Tribunale in primo grado accoglieva le ragioni di esso lavoratore, ma in sede di gravame proposto dall’Istituto assistenziale I.N.A.I.L. la Corte di Appello riformava in toto la sentenza di primo grado, statuendo che il titolo della domanda di giustizia azionata dal lavoratore non poteva risiedere nell’istituto normativo dell’infortunio in itinere poiché dall’accertamento degli elementi fattuali, si evinceva una manifesta interruzione del nesso eziologico tra l’occasione di lavoro e/o la ragione di servizio e l’evento dannoso occorso al lavoratore medesimo. Non si tratta di infortunio in itinere. Il decisum del Collegio di appello veniva ratificato appieno dalla Suprema Corte di Cassazione, investita della questione sotto il profilo del giudizio di legittimità promosso dal lavoratore, in quanto verificata la ragionevolezza della ricostruzione fattuale operata in sede di gravame attraverso la corretta valutazione dei mezzi istruttori allegati dalle parti, l’unico motivo di impugnazione addotto dal lavoratore-ricorrente e vertente sulla violazione e/o falsa applicazione delle norme sull’infortunio in itinere ex art.2 d.p.r. numero 1124/1965 e successivi artt.12-13 del d.lgs. numero 38/2000 non risulta meritevole di accoglimento. Il rischio elettivo solca il limite di applicabilità della tutela infortunistica. Stante, invero, il regime normativo di tale istituto, introdotto appunto la norma ex art.2 d.p.r. numero 1124/1965 e successivamente riformato con il d.lgs. numero 38/2000 per infortunio in itinere si intende quel particolare evento dannoso che si ponga in stretta relazione causale con il tragitto e/o con l’intinerario intercorrente tra il luogo di lavoro oppure il luogo raggiunto per ragioni di servizio con la propria abitazione, naturalmente inteso in termini di andata e ritorno, il tutto però con il limite del c.d. rischio elettivo radicato in una scelta e/o comportamento volontario del lavoratore idonea ad interrompere la predetta relazione causale e snaturalizzare il concetto giuridico di infortunio in itinere. Dal tenore letterale delle norme anzidette, ove si legge che «l’assicurazione comprende tutti i casi di infortunio avvenuti per causa violenta in occasione di lavoro» art.2 d.p.r. numero 1124/1965 nonché il testo riformato con la disposizione ex art.12 d.lgs. numero 38/2000 secondo il quale «salvo il caso di interruzione o deviazione del tutto indipendente del lavoro o comunque non necessitate» la Cassazione ha ribadito che nel caso di specie, la scelta arbitraria e non dipendente da ragioni oggettive e/o di forza maggiore di interrompere la sequenza eziologica di causa-effetto tra meta presidio sanitario raggiunta per ragioni di servizio e durante l’orario di lavoro ed azienda, ove proseguire la giornata lavorativa, peraltro percorrendo un itinerario inteso come strade effettivamente percorse, completamente diverso da quello che avrebbe percorso se avesse fatto ritorno direttamente in azienda, rileva quale verificazione in concreto del predetto rischio elettivo e quindi come limite alla tutela infortunistica in discorso.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 25 gennaio – 22 febbraio 2012, numero 2642 Presidente Roselli – Relatore Arienzo Svolgimento del processo La Corte di Appello di Brescia, con sentenza del 20.8.2009, in accoglimento dell'appello dell'INAIL ed in riforma della sentenza di primo grado, rigettava la domanda di Z.G. intesa alla condanna dell'istituto alla corresponsione dell'indennizzo per danno biologico in relazione all'incidente stradale occorsogli in data omissis , quando, dopo una visita medica presso il Servizio di prevenzione e sicurezza degli ambienti di lavoro, stava percorrendo la strada che dagli ambulatori dell'ASL conduceva alla sua abitazione. Rilevava la Corte territoriale che era pacifica la circostanza che il tempo necessario alla visita dovesse essere considerato tempo di lavoro, trattandosi di visita richiesta dalla datrice di lavoro, ma che ciò non era sufficiente per poter considerare l'incidente stradale come un infortunio in itinere. La scelta del lavoratore di dirigersi verso omissis dove era la sua abitazione, percorrendo strade del tutto diverse da quelle che dall'ASL l'avrebbero riportato in azienda, era stata la conseguenza di una scelta, che era quella di fruire di ore di permesso/ferie da lui chieste, idonea ad interrompere il nesso causale fra il suo viaggio verso l'abitazione e l'occasione di lavoro. Ed invero, se non fosse stato in permesso, egli, alle ore 11,00, sarebbe dovuto rientrare a omissis e dirigersi in località diversa, percorrendo strade diverse, laddove era stato il permesso/ferie che gli aveva consentito di svolgere in quell'intervallo di tempo attività non connessa con la prestazione lavorativa il viaggio di rientro presso la sua abitazione . Riteneva, pertanto, la Corte del merito che, mentre il tempo antecedente alla visita presso l'ASL doveva ritenersi essere in connessione con l'attività di lavoro, non altrettanto era sostenibile per le ore successive, per le quali il lavoratore aveva scelto liberamente di godere di permesso/ferie. Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso lo Z. , con unico articolato motivo, illustrato con memoria. Resiste, con controricorso, l'Istituto, che ha anch'esso depositato memoria ai sensi dell'articolo 378 c.p.c Motivi della decisione Con l'unico motivo di ricorso, Z.G. denunzia la violazione e la falsa applicazione dell'articolo 2 DPR numero 1124/1965 e degli articolo 12 e 13 D. lgs numero 38/2000, dell'articolo 41 c.p.c., nonché l’omessa insufficiente e contraddittoria motivazione, ai sensi dell'articolo 360, nnumero 3 e 5, c.p.c Osserva il ricorrente che l'indennizzabilità dell'infortunio in itinere, subito nella distanza fra la sua abitazione ed il luogo di lavoro, postula 1 la sussistenza di un nesso eziologico tra il percorso seguito e l'evento, nel senso che tale percorso costituisca quello normale per recarsi al lavoro e per tornare alla propria abitazione, 2 che l'itinerario non sia percorso per ragioni personali o in orari non collegabili all'attività lavorativa e 3 la necessità dell'uso del veicolo privato per il collegamento tra abitazione e luogo di lavoro, considerati gli orari imposti dall'impegno lavorativo e quelli dei pubblici servizi di trasporto. Aggiunge che il rischio elettivo, che esclude l'indennizzabilità e che postula un maggior rigore valutativo rispetto all'attività lavorativa diretta, implica tutto ciò che, estraneo e non attinente all'attività lavorativa, sia dovuto a scelta arbitraria del lavoratore che abbia volutamente creato ed affrontato, in base a ragioni ed impulsi personali, una situazione diversa da quella inerente alla sua attività lavorativa e per nulla connessa ad essa. Tanto premesso, rileva in fatto che, dopo la visita presso il servizio di Prevenzione e Sicurezza degli ambienti di Lavoro, ove era stato convocato ai fini del giudizio di revisione avverso il giudizio di inidoneità parziale della Medicina del Lavoro, essendo ancora in permesso, esso ricorrente si era recato presso la propria abitazione per pranzare, per poi fare ritorno al lavoro nel pomeriggio e che l'incidente si era verificato nel periodo, senza soluzione di continuità, tra visita e percorso di rientro a casa. In relazione agli elementi di fatto così descritti, rileva che la situazione delineata rivesta il carattere di necessità, perché, per le caratteristiche della strada, la distanza della Asl dall'abitazione e dal luogo di lavoro, per l'assenza di comode soluzioni alternative per recarsi alla visita medica, l'uso del mezzo proprio era giustificato proprio in un'ottica di bilanciamento di interessi delle esigenze del lavoro con quelle personali proprie del lavoratore e ritiene che l'evento nella sua modalità giustifichi un intervento a carattere solidaristico a carico della collettività. Censura la decisione della Corte d'appello nella parte in cui, nel valutare la sussistenza di rischio elettivo, aveva fatto erroneamente ricorso al criterio dell'imposizione, anziché a quello della ragionevolezza connesso alla considerazione dei valori degni di tutela nell'ordinamento, quali le esigenze connesse ai valori della famiglia, e richiama giurisprudenza di legittimità in materia di riduzione del conflitto tempo libero - tempo di lavoro, nonché gli articolo 2, 3, secondo comma, 41, comma secondo, della Costituzione quali espressione del principio di tutela dell'uomo lavoratore. Osserva che il criterio dell'imposizione adottato dalla Corte era tale da negare legittimità all'opzione per il mezzo privato che non fosse funzionale alle modalità di lavoro, riconoscendo solo ad essa normalità e quindi copertura assicurativa e che la valutazione compiuta non aveva riguardo agli standars comportamentali esistenti nella società civile rispondenti a valori guida dell'ordinamento, quali un più intenso legame con la comunità familiare ed un rapporto con l'attività lavorativa diretto ad una maggiore efficienza delle prestazioni di lavoro con un riduzione del conflitto tra le stesse ed il tempo libero. Il ricorso è infondato e come tale deve essere respinto. In tema di infortunio in itinere - nel regime successivo alla riforma di cui all'articolo 12 del decreto legislativo 23 febbraio 2000, numero 38, applicabile ratione temporis alla dedotta fattispecie, - il rischio elettivo - cioè dovuto ad una scelta arbitraria del lavoratore infortunato, che interrompa ogni nesso tra lavoro, rischio ed evento - è configurato come l'unico limite alla copertura assicurativa di qualsiasi infortunio, in quanto ne esclude l'essenziale requisito della occasione di lavoro di cui all'articolo del TU numero 1124/65 -secondo la giurisprudenza di questa Corte v. Cass. 13447/2000, 3363/2001, 7222/2002, 11885/2003, 5525/2004 - ma, con riferimento all'infortunio in itinere, assume, tuttavia, una nozione più ampia - rispetto all'infortunio, che si verifichi nel corso dell'attività lavorativa vera e propria - in quanto comprende comportamenti del lavoratore infortunato, di per sé non abnormi, secondo il comune sentire, ma semplicemente contrari a norme di legge o di comune prudenza vedi, per tutte, Cass. 3 agosto 2005 numero 16282, 11885/2003, 5525/2004 . La sentenza impugnata non si discosta dal principio di diritto enunciato, laddove nega la copertura assicurativa al dedotto infortunio incontrovertibilmente in itinere - in dipendenza della configurazione, come rischio elettivo appunto, del comportamento del lavoratore che lo ha determinato - all'esito di accertamento di fatto che, peraltro, risulta incensurabile, sotto l'unico profilo, deducibile in sede di legittimità, del vizio di motivazione articolo 360, numero 5, c.p.c. . Invero, la denuncia di un vizio di motivazione in fatto della sentenza, impugnata con ricorso per Cassazione ai sensi dell'articolo 360, numero 5, c.p.c. - vizio nel quale si traduce anche la mancata ammissione di un mezzo istruttorio vedi, per tutte, Cass. numero 13730, 9290/2004 , nonché l'omessa od erronea valutazione di alcune risultanze probatorie cfr. Cass. numero 3004/2004, 3284/2003, cit. - non conferisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare autonomamente il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì soltanto quello di controllare, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico - formale, le argomentazioni - svolte dal giudice del merito, al quale spetta in via esclusiva l'accertamento dei fatti, all'esito della insindacabile selezione e valutazione della fonti del proprio convincimento - con la conseguenza che il vizio di motivazione deve emergere - secondo l'orientamento consolidato della giurisprudenza di questa Corte Cass. 10.11.2004 numero 21377, Cass. 29.11.2005 numero 26048, Cass. 18.4.2007 numero 9243 - dall'esame del ragionamento svolto dal giudice di merito, quale risulta dalla sentenza impugnata, e può ritenersi sussistente solo quando, in quel ragionamento, sia rinvenibile traccia evidente del mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d'ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l'identificazione del procedimento logico - giuridico posto a base della decisione, mentre non rileva la mera divergenza tra valore e significato, attribuiti dallo stesso giudice di merito agli elementi da lui vagliati, ed il valore e significato diversi che, agli stessi elementi, siano attribuiti dal ricorrente ed, in genere, dalle parti, né, comunque, una diversa valutazione dei medesimi fatti. Lungi dal denunciare vizio di motivazione articolo 360, numero 5, c.p.c. - nell'accertamento di fatto del giudice d'appello - il ricorrente sembra prospettare - inammissibilmente - una ricostruzione diversa dei medesimi fatti. A prescindere delle dette considerazioni - peraltro assorbenti - l'accertamento di fatto della sentenza impugnata non pare, comunque, inficiato da vizio di motivazione. Infatti, non è controverso che il dedotto infortunio si è verificato mentre l'attuale ricorrente percorreva la strada che conduce dall'ASL alla propria abitazione, e non quella che conduce al luogo di lavoro. Anche a volere ammettere che lo stesso ricorrente avesse la necessità di utilizzare il mezzo proprio per l'assenza di soluzioni alternative al detto uso, la decisione impugnata risulta, tuttavia, adeguatamente sorretta dal concorrente accertamento che, in ogni caso, la scelta del lavoratore di dirigersi verso omissis , dove vi è la sua abitazione, percorrendo strade del tutto diverse da quelle che dall'ASL l'avrebbero riportato in azienda, è infatti la conseguenza di un scelta, quella di fruire di ore di permesso/ferie da lui chieste, che interrompe il nesso causale fra il suo viaggio verso l'abitazione e l'occasione di lavoro . Infatti, alla luce del principio di diritto enunciato, tanto basta - per configurare, nella dedotta fattispecie, il rischio elettivo - e per rigettare, di conseguenza, il ricorso. In tema di infortunio in itinere , il requisito della occasione di lavoro implica la rilevanza di ogni esposizione a rischio, indipendentemente dal grado maggiore o minore di questo, assumendo il lavoro il ruolo di fattore occasionale del rischio stesso ed essendo il limite della copertura assicurativa costituito esclusivamente dal rischio elettivo , intendendosi per tale quello che, estraneo e non attinente alla attività lavorativa, sia dovuto ad una scelta arbitraria del lavoratore, il quale crei ed affronti volutamente, in base a ragioni o ad impulsi personali, una situazione diversa da quella inerente alla attività lavorativa, ponendo così in essere una causa interattiva di ogni nesso tra lavoro, rischio ed evento. Ne consegue che, allorquando l'utilizzo della pubblica strada sia imposto dalla necessità di raggiungere il posto di lavoro, si configura un rapporto finalistico o strumentale, tra l'attività di locomozione e di spostamento tra luogo di abitazione e luogo di lavoro, e viceversa e l'attività di stretta esecuzione della prestazione lavorativa, che di per sé è sufficiente ad integrare quel quid pluris richiesto per la indennizzabilità dell'infortunio in itinere cfr., in tali termini, Cass. 11.12.2003 numero 18989 . Conclusivamente, la valutazione dell'inerenza del rischio all'attività lavorativa ed alle sue modalità costituisce un apprezzamento di fatto di competenza del giudice del merito che, nella specie, con motivazione coerente ai principi di diritto enunciati e priva di salti logici, è pervenuto alla conclusione che il lavoratore non avesse diritto a copertura assicurativa, essendo stata la scelta del mezzo personale dettata da ragioni che, seppure legittime, non assumono uno spessore sociale tale da giustificare un intervento di carattere solidaristico a carico della collettività. Peraltro, è stato evidenziato che l'infortunio si è verificato in periodo temporale successivo alla visita presso l'ASL e non risulta dimostrato che il permesso fruito non fosse strettamente collegato alla durata della visita, sicché anche sotto tale profilo il ritorno presso la propria abitazione non si giustificherebbe in altro modo che con l'esigenza di soddisfare esigenze meramente personali, non connesse affatto con l'attività lavorativa. Tali ultime considerazioni rendono palese l'inapplicabilità dei principi richiamati dal ricorrente in relazione alla necessità di avere riguardo agli standars comportamentali esistenti nella società civile rispondenti a valori guida dell'ordinamento, individuati in un più intenso legame con la comunità familiare ed in un rapporto con l'attività lavorativa diretto ad una maggiore efficienza delle prestazioni di lavoro con un riduzione del conflitto tra le stesse ed il tempo libero. Il ricorso va rigettato e le spese di lite del presente giudizio, per il principio della soccombenza, vanno poste - nella misura liquidata in dispositivo - a carico dello Z. . P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna lo Z. al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 2.500,00, per onorario, Euro 40,00 per esborsi, oltre spese generali, IVA e CPA.