Rimessa completamente in discussione la decisione del Gup, che aveva optato per il non luogo a procedere nei confronti di una donna. Quest’ultima ha intentato azioni giudiziarie nei confronti di un uomo per ‘estorcere’ la proprietà di un immobile. Ciò che conta è non solo l’arbitrarietà dell’azione ma anche lo scopo a cui essa mira in concreto.
Anche il ricorso alla giustizia può dar luogo a un tentativo di estorsione. A patto che l’azione giudiziaria intentata sia arbitraria e abnorme. E, soprattutto, finalizzata a ‘forzare’ la volontà altrui per soddisfare scopi personali non conformi a giustizia Cassazione, sentenza numero 2720/2013, Seconda Sezione Penale, depositata oggi . Uso e abuso. Giustizia lenta, in Italia, o forse troppo spesso, e per questioni minime, sollecitata dai cittadini. A volte, però, si può arrivare addirittura agli estremi Esemplare la vicenda verificatasi nel Napoletano, laddove, addirittura, una donna è arrivata a «intentare azioni giudiziarie arbitrarie» nei confronti di un uomo per ottenere, da quest’ultimo, un immobile gratis et amore dei. Sullo sfondo si delinea l’ipotesi dell’estorsione, anche perché è evidente l’obiettivo della ‘minaccia’ giudiziaria, che, però, non viene ritenuta tale dal Giudice dell’udienza preliminare, che, a sorpresa, opta per il «non luogo a procedere». Perché «la condotta di intentare azioni giudiziarie, pur se arbitrarie, non presentava, di per sé, i caratteri propri della minaccia necessaria per l’astratta configurabilità del delitto di estorsione». Azione abnorme. A ribaltare questa prospettiva, però, provvedono i giudici della Cassazione. E a risultare decisivo, rispetto alla linea seguita dal Gup, è la semplice considerazione che l’uso di mezzi giuridici è finalizzato a «conseguire scopi diversi da quelli per cui gli stessi sono stati previsti» di conseguenza, «è configurabile il delitto di estorsione quando attraverso l’uso abnorme di tali atti si coarta la volontà altrui per soddisfare scopi personali non conformi a giustizia». Ebbene, rispetto alla vicenda in esame il Gup ha errato, soprattutto per non aver tenuto presente che «anche la minaccia di esercitare un diritto, come l’esercizio di un’azione giudiziaria o esecutiva, può costituire illegittima intimidazione, idonea ad integrare l’elemento materiale del reato quando tale minaccia sia finalizzata al conseguimento di un profitto ulteriore, non giuridicamente tutelato». Per questo motivo, la questione viene rimessa nuovamente alla valutazione del Tribunale.
Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 19 dicembre 2012 - 18 gennaio 2013, numero 2720 Presidente Casucci – Relatore Gentile Considerato in diritto 1 Il GUP presso il Tribunale di Napoli, all’esito dell’udienza preliminare, con sentenza del 01.02.2012 dichiarava non doversi procedere per insussistenza del fatto nei confronti di F.A. imputata del reato di cui agli articolo 81, cpv. 110- 56- 629, co. 2 - 61 numero 5,7,11 CP, perché, mediante minaccia nei confronti di C.G., consistita nell’intentare azioni giudiziarie arbitrarie, quali quella per l’esecuzione in forma specifica di un compromesso di compravendita che in realtà era simulato non essendo stato mai versato al predetto C. la somma di € 180.000 a titolo di caparra per l’acquisto di un immobile, tentava in tal modo di costringere il predetto a cederle il bene senza alcuna controprestazione 2 Il Gup riteneva che la condotta di intentare azioni giudiziarie, pur se arbitrarie, non presentava, di per sé, i caratteri propri della minaccia necessaria per l’astratta configurabilità del delitto di estorsione e, pertanto, procedeva alla sentenza di non luogo a procedere, ex articolo 4235 CPP anche se erroneamente si procedeva alla pronuncia di “assoluzione” perché il fatto non sussiste . 3 Avverso tale decisione ricorre per cassazione il Difensore della persona offesa costituita parte civile, C.G. deducendo MOTIVO ex articolo 606, 1° co., lett. b c.p.p. 4 Il ricorrente censura la decisione impugnata per violazione dell’articolo 629 CP in quanto avrebbe trascurato di considerare che il delitto di estorsione può sussistere anche quando si esperisca un’azione giudiziaria, ove proposta con l’intenzione di coartare l’altrui volontà e conseguire risultati non conformi a giustizia CHIEDE l’annullamento della sentenza impugnata. Considerato in diritto 5 Il ricorso per cassazione è correttamente introdotto ex articolo 428/co. 2 CPP. 6 Il Gip ha sostenuto l’impossibilità di ravvisare il delitto di estorsione nel caso di proposizione di un’azione civile davanti all’autorità giudiziaria, sebbene le richieste siano infondate e pretestuose, ma tale principio, frettolosamente seguito dal Gup di Napoli, subisce tuttavia un’eccezione, ove taluno faccia uso di mezzi giuridici per conseguire scopi diversi da quelli per cui gli stessi sono stati previsti, sicché è configurabile il delitto di estorsione quando attraverso l’uso abnorme di tali atti si coarta la volontà altrui per soddisfare scopi personali non conformi a giustizia. Cassazione penale, sez. II, 17/05/1996 . 7 Il Gup ha violato tale principio di diritto, ormai costantemente affermato dalla giurisprudenza di legittimità, ed ha omesso ogni verifica sull’eventuale uso abnorme dell’azione giudiziaria, sulla idoneità della stessa a coartare la volontà altrui per soddisfare scopi personali non conformi a giustizia, attesa che anche la minaccia di esercitare un diritto - come l’esercizio di un’azione giudiziaria o esecutiva - può costituire illegittima intimidazione idonea ad integrare l’elemento materiale del reato quando tale minaccia sia finalizzata al conseguimento di un profitto ulteriore, non giuridicamente tutelato. Cassazione penale, sez. II, 16/01/2003, numero 16618 . 8 Va riconosciuta pertanto la violazione di legge denunciata dal ricorrente per erronea applicazione dell’articolo 629 CP, con conseguente annullamento della decisione impugnata e con rinvio al medesimo Giudice dell’udienza preliminare, in diversa composizione perché, ricorrendo in astratto l’ipotesi criminosa contestata, proceda a nuovo esame, fermo restando il principio per il quale il giudice dell’udienza preliminare può prosciogliere nel merito l’imputato, in forza di quanto disposto dall’articolo 425, comma 3 c.p.p., nel testo modificato dall’articolo 23, comma 1, legge numero 479/1999 anche quando gli elementi acquisiti risultino insufficienti e contraddittori, ai sensi dell’ultima parte del comma 3° dell’articolo 425, ma solo allorché detti elementi siano comunque non idonei a sostenere l’accusa nel giudizio. Cassazione penale, sez. VI, 29/03/2012, numero 13544 . P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e dispone trasmettersi gli atti al Tribunale di Napoli per l’ulteriore corso.