Licenziamento illegittimo se lo scontro verbale nasce da vessazioni del datore

Il licenziamento è illegittimo se si è in presenza di un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali.

Il caso. Un licenziamento di un quadro considerato illegittimo dalla Corte di appello, con relativa condanna della società alla reintegra del lavoratore e la corresponsione in suo favore delle retribuzioni globali di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegra. Questa è la questione presentata ai giudici di Cassazione sentenza numero 807, Sezione Lavoro, depositata il 15 gennaio 2013 . Uno scontro verbale nato da vecchie ruggini. Il lavoratore, prima del licenziamento, era stato oggetto di frequenti rilievi da parte dei superiori, gli era stato reiteratamente e pubblicamente richiesto di dimostrare di aver conseguito la laurea in ingegneria, circostanza risultante dalla documentazione prodotta dal dipendente al momento dell’assunzione. È per queste ragioni che la Corte d’appello aveva considerato uno scontro verbale avvenuto tra lavoratore e il suo diretto superiore come una “comprensibile” reazione del primo all’attività di provocazione posta in essere dalla direzione aziendale. A proporre ricorso per cassazione, contro la sentenza che aveva dichiarato illegittimo il licenziamento, è la società. Tuttavia, anche dopo il giudizio di legittimità, il verdetto non cambia licenziamento illegittimo, corresponsione in favore del lavoratore delle retribuzioni globali di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegra, ma niente risarcimento danni. Licenziamento sì, ma solo se si è in presenza di un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali. La S.C., infatti, ha ribadito che in tema di licenziamento per giusta causa, ai fini della proporzionalità tra fatto addebitato e recesso, viene in considerazione ogni comportamento che, per la sua gravità, «sia suscettibile di scuotere la fiducia del datore di lavoro e di far ritenere che la continuazione del rapporto si risolva in un pregiudizio per gli scopi aziendali» Cass., numero 2013/2012 . Rapporto di fiducia irrimediabilmente incrinato. La Corte sottolinea, inoltre, che la gravità dell’inadempimento deve essere valutata nel rispetto della regola generale della «non scarsa importanza» prevista dall’articolo 1455 c.c Insomma, la massima sanzione disciplinare, il licenziamento appunto, «risulta giustificata solamente in presenza di un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali, tale cioè da non consentire la prosecuzione del rapporto di lavoro per essersi irrimediabilmente incrinato il rapporto di fiducia».

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 24 ottobre 2012 – 15 gennaio 2013, numero 807 Presidente De Renzis – Relatore Venuti Svolgimento del processo La Corte di Appello di Firenze, con sentenza del 20 febbraio 2009, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato illegittimo il licenziamento intimato dalla società Nencini Laterizi S.p.A. al dipendente K.A. , con qualifica di quadro ha condannato la società a reintegrarlo nel posto di lavoro ed a corrispondergli le retribuzioni globali di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegra, con gli accessori di legge ha rigettato la domanda di risarcimento dei danni proposta dal lavoratore. Ha osservato la Corte territoriale che dalle risultanze acquisite, ed in particolare dalla prova testimoniale, non erano emersi elementi tali da giustificare il licenziamento, dovendo viceversa ritenersi che la direzione aziendale, superato il periodo di prova, avendo maturato il convincimento della inadeguatezza del dipendente ai compiti assegnatigli, era da tempo alla ricerca di un pretesto per liberarsi di un lavoratore indesiderato. Il dipendente era stato privato di alcune mansioni era oggetto di frequenti rilievi da parte dei superiori gli era stato reiteratamente e pubblicamente richiesto di dimostrare di aver conseguito la laurea in ingegneria, circostanza questa risultante dalla documentazione prodotta dal dipendente all'atto dell'assunzione. Nella situazione sopra descritta, lo scontro verbale del 15 novembre 2004, avvenuto tra il lavoratore e il suo diretto superiore, appariva come una comprensibile, seppure censurabile, reazione del primo all'attività di provocazione posta in essere dalla direzione aziendale in suo danno ed in particolare dal predetto superiore. Quanto alla domanda di risarcimento dei danni, la Corte d'appello rilevava che le prove acquisite non avevano dimostrato la gravità del demansionamento né tanto meno le vessazioni che il lavoratore aveva posto a fondamento di detta domanda. Per la riforma di tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la società, sulla base di un solo motivo. Resiste il lavoratore, proponendo ricorso incidentale in relazione alle domande risarcitorie non accolte. La società ha depositato controricorso al ricorso incidentale. Motivi della decisione 1. I ricorsi, principale ed incidentale, in quanto proposti avverso la stessa sentenza devono essere riuniti articolo 335 c.p.c. . 2. Con l'unico motivo del ricorso la società ricorrente denunzia omessa e/o insufficiente motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio articolo 360, primo comma, numero 5, c.p.c. . Deduce che la Corte territoriale - non ha indicato le ragioni che l'hanno indotta a ritenere che i comportamenti posti in essere dalla società erano preordinati all'allontanamento del lavoratore dall'azienda - non ha valutato adeguatamente l'episodio verificatosi nell'aprile del 2004 e il grave errore di valutazione commesso in quella circostanza dal dipendente questi, intervenuto per fronteggiare una fuoriuscita di fumo da un impianto, aveva azionato per errore una valvola che riguardava un diverso impianto, provocando un tardivo blocco dello stesso ed il verificarsi di un getto di vapore che aveva procurato ustioni al viso ad un suo superiore - non ha considerato il rifiuto reiterato ed immotivato da parte del dipendente di esibire, a seguito di tale incidente, il titolo accademico conseguito - ha valutato parzialmente il contenuto delle registrazioni effettuate dal dipendente nel corso dei colloqui avuti con il superiore suddetto, traendone conseguenze non rispondenti alla reale entità dei fatti - ha erroneamente ritenuto che le frasi ingiuriose pronunciate dal ricorrente nei confronti del suo diretto superiore nel corso della discussione avvenuta nel novembre 2004 non fossero tali da giustificare la sanzione espulsiva, mentre in realtà si era trattato di un comportamento idoneo a ledere il rapporto fiduciario, dovendo peraltro escludersi che l'azienda avesse tenuto nei confronti del lavoratore una attività di provocazione. 3. Con l'unico motivo del ricorso incidentale, denunziando violazione e falsa applicazione degli articolo 2087 e 2103 c.c. articolo 360, primo comma, numero 3, c.p.c. , nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio articolo 360, primo comma, numero 5 c.p.c. , si censura la sentenza impugnata per avere rigettato la domanda relativa al danno professionale conseguente al demansionamento, nonché quelle relative al danno biologico, esistenziale e alla dignità morale. Rileva il ricorrente incidentale che dalla prova testimoniale espletata in primo grado è emerso il demansionamento operato dall'azienda nei suoi confronti nonché un disegno consapevolmente persecutorio, che gli hanno procurato uno stato depressivo reattivo, oltre che una lesione della sua dignità. A fronte di tali elementi, la Corte di merito ha erroneamente rigettato le domande e, pur dando atto che l'azienda aveva posto in essere nei suoi confronti continue pressioni e aperte provocazioni per indurlo alle dimissioni, ha ritenuto che in tali fatti non fossero configurabili vessazioni. Ciò, ad avviso del ricorrente incidentale, configura una motivazione contraddittoria e comunque insufficiente, nonché una falsa applicazione degli articolo 2087 e 2103 c.c. per non avere ravvisato demansionamento e violazione dell'obbligo di sicurezza in condotte che viceversa rientrano nel paradigma normativo in questione . In relazione alla asserita violazione dei predetti articoli, formula il relativo quesito di diritto. 4. Il ricorso principale non è fondato. È principio consolidato di questa Corte che in tema di licenziamento per giusta causa, ai fini della proporzionalità fra fatto addebitato e recesso, viene in considerazione ogni comportamento che, per la sua gravità, sia suscettibile di scuotere la fiducia del datore di lavoro e di far ritenere che la continuazione del rapporto si risolva in un pregiudizio per gli scopi aziendali, dovendosi ritenere determinante, a tal fine, l'influenza che sul rapporto di lavoro sia in grado di esercitare il comportamento del lavoratore che, per le sue concrete modalità e per il contesto di riferimento, appaia suscettibile di porre in dubbio la futura correttezza dell'adempimento e denoti una scarsa inclinazione ad attuare diligentemente gli obblighi assunti, conformando il proprio comportamento ai canoni di buona fede e correttezza cfr., fra le altre, Cass. 22 giugno 2009 numero 14586 Cass. 26 luglio 2010 numero 17514 Cass. 13 febbraio 2012 numero 2013 . La gravità dell'inadempimento deve essere valutata nel rispetto della regola generale della non scarsa importanza di cui all'articolo 1455 c.c., sicché l'irrogazione della massima sanzione disciplinare risulta giustificata solamente in presenza di un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali, tale cioè da non consentire la prosecuzione del rapporto di lavoro per essersi irrimediabilmente incrinato il rapporto di fiducia, da valutarsi in concreto in considerazione della realtà aziendale e delle mansioni svolte Cass. io dicembre 2007 numero 25743 . Inoltre va assegnato rilievo all'intensità dell'elemento intenzionale, al grado di affidamento richiesto dalle mansioni, alle precedenti modalità di attuazione del rapporto, alla durata dello stesso, all'assenza di pregresse sanzioni, alla natura e alla tipologia del rapporto medesimo Cass. 13 febbraio 2012 numero 2013 . Il giudizio di proporzionalità tra licenziamento disciplinare e addebito contestato è devoluto al giudice di merito, la cui valutazione non è censurabile in sede di legittimità, ove sorretta da motivazione sufficiente e non contraddittoria Cass. 25 maggio 2012 numero 8293 Cass. 7 aprile 2011 numero 7948 Cass. 15 novembre 2006 numero 24349 È stato infine precisato da questa Corte che il controllo sulla congruità e sufficienza della motivazione, consentito dall'articolo 360, primo comma, numero 5, c.p.c., non deve risolversi in nuovo giudizio di merito attraverso una autonoma, propria valutazione delle risultanze degli atti di causa, risultando ciò estraneo alla funzione assegnata dall'ordinamento al giudice di legittimità cfr. Cass. 26 luglio 2010 numero 17514 Cass. 23 febbraio 2009 numero 4369 Cass. 10 dicembre 2007 numero 25743 Cass. 7 giugno 2005 numero 11789 . Nella fattispecie in esame la Corte di merito, con motivazione congrua e priva di vizi logici, dopo aver ricostruito i fatti in base alle risultanze della prova testimoniale, li ha valutati nella loro completezza, sul piano oggettivo e soggettivo alla stregua degli elementi concreti emersi, escludendo che fossero tali da giustificare la sanzione espulsiva. In particolare ha posto in evidenza che il lavoratore non solo veniva frequentemente fatto oggetto di rilievi in ragione della asserita sua inadeguatezza allo svolgimento dei compiti assegnatigli, alcuni dei quali gli furono sottratti, ma ha rimarcato che pubblicamente e reiteratamente gli venne richiesto di dimostrare il titolo di studio laurea in ingegneria conseguita all'estero - evidentemente allo scopo di screditarlo nell'ambiente lavorativo -, ancorché tale titolo fosse stato allegato nel curriculum presentato all'atto dell'assunzione. Da tutto ciò la Corte territoriale ha argomentato che lo scontro verbale con il diretto superiore, avvenuto nel novembre 2004, fu determinato da una comprensibile, seppure censurabile, reazione del lavoratore, determinata dall'atteggiamento ostile tenuto dall'azienda nei suoi confronti, onde non poteva ritenersi giustificata la sanzione espulsiva comminatagli. La società ricorrente ha evidenziato una supposta imperizia e/o negligenza del lavoratore in occasione di un episodio avvenuto nell'aprile del 2004, in cui il medesimo, intervenuto per fronteggiare una fuoriuscita di fumo da un impianto, ha azionato per errore una valvola che riguardava un diverso impianto, provocando un tardivo blocco dello stesso ed il verificarsi di un getto di vapore che aveva procurato ustioni al viso ad un suo superiore. Ha poi richiamato delle registrazioni effettuate dal dipendente nel corso di colloqui avuti con lo stesso superiore. Tali fatti - per quanto è dato rilevare dagli scritti difensivi delle parti -non risultano oggetto di contestazione disciplinare e quindi non rilevano ai fini del presente giudizio. 5. Anche il ricorso incidentale è infondato. La Corte territoriale, pur motivando succintamente in ordine al rigetto delle domande relative al demansionamento e ai danni, ha tuttavia dato conto delle ragioni del suo convincimento, richiamando le prove acquisite ed in particolare le deposizioni dei testi escussi. Ha rilevato al riguardo che, seppure dalle dichiarazioni di tali testi era emerso uno stato di tensione e di disagio per il dipendente nell'ambiente lavorativo, tuttavia, anche per il circoscritto periodo oggetto di prova e la scarsa rilevanza dei fatti emersi, non poteva configurarsi il dedotto demansionamento né tanto meno erano ravvisabili vessazioni . La motivazione appare coerente e non contraddittoria con quanto in precedenza sostenuto dalla stessa Corte, e cioè che l'azienda aveva posto in essere nei confronti del lavoratore provocazioni e pressioni al fine di indurlo alle dimissioni. Un conto, infatti, è essere provocato o subire sollecitazioni al fine anzidetto, altro conto è ricevere vessazioni, e cioè angherie, soprusi e sopraffazioni, elementi questi che possono integrare la fattispecie del mobbing nel concorso degli altri elementi richiesti. Quanto poi alla dedotta violazione dell'obbligo di sicurezza articolo 2087 c.c. , non è dato cogliere il senso della censura dal momento che il ricorrente incidentale non ha fornito ulteriori precisazioni o chiarimenti in merito. Il ricorso incidentale deve pertanto essere respinto. 6. Vanno compensate tra le parti le spese presente giudizio, avuto riguardo al rigetto di entrambi i ricorsi. P.Q.M. La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta. Compensa le spese tra le parti.