«Ti conosco, ti ho visto tante volte, mi piaci tanto ...»: una frase sfrontata non necessariamente integra reato

Un’espressione che non abbia i caratteri della minaccia, nonostante possa provocare turbamento nel destinatario delle attenzioni, non può per questo motivo essere qualificata come reato, dal momento che il piano del moralmente riprovevole deve essere tenuto ben distinto da quello del penalmente rilevante.

La vicenda in commento trae le mosse da una relazione sentimentale cui la persona offesa ha posto fine e che, attualmente - in seguito all’introduzione dell’articolo 612 bis c.p. ad opera del D.L. numero 11/2009 convertito nella L. numero 39/2009 - avrebbe potuto essere qualificata come stalking. Essendo, però, i fatti oggetto di processo avvenuti nel 2005, in ossequio ai principi della successione di leggi penali nel tempo, i capi di imputazione formulati sono stati quelli di molestie capo A , ingiurie continuate B , minacce continuate C , diffamazione D nei confronti della ex compagna, oltreché di minaccia nei confronti della figlia di quest’ultima. Il caso. Il protagonista veniva condannato in primo e secondo grado per i delitti sopra esposti, nello specifico per aver ripetutamente ed insistentemente effettuato telefonate alla persona offesa, per averla ingiuriata e minacciata di farle perdere lavoro e figli, per aver diffuso in giro dei volantini che la qualificavano come una ‘donna di facili costumi’, per aver lasciato scritte volgari ed equivoche sulla sua auto e sulla porta della chiesa del paese ed, infine, per aver telefonato alla figlia della donna, affermando «ti conosco, ti ho visto tante volte ho delle cose carine da darti, se vuoi posso venire a prenderti, mi piaci tanto». Avverso la pronuncia di appello ricorreva per cassazione la difesa, lamentando - mancanza di motivazione in ordine al reato di ingiuria, in quanto si tratterebbe di espressioni «troia, puttana» ormai in voga nel linguaggio comune e comunque non lesive dell’onore - vizio motivazionale relativamente alle minacce, giacché inidonee ad ingenerare timore, anche in considerazione del fatto che non dipenderebbero dalla volontà dell’ imputato «ti farò perdere il lavoro e i figli» - violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla diffamazione, non essendovi prova della provenienza degli scritti offensivi - vizio motivazionale in relazione alla minaccia ai danni della figlia della ex fidanzata, e ciò sia per mancanza di prova, sia per l’assenza di una reale frase minacciosa - vizio di motivazione in ordine alla asserita credibilità della persona offesa, alla mancata considerazione delle prove a discarico e alla sussistenza dell’elemento soggettivo. «Troia, puttana» lesa la dignità morale della persona offesa. Il ricorso ha trovato parziale accoglimento, avendo i Giudici di legittimità reputato fondato il solo motivo concernente la minaccia telefonica dei confronti della ragazzina. La frase addebitata all’imputato, infatti, non integra gli estremi giuridici della minaccia, ma, semmai, può essere qualificabile come una sfrontatezza, certamente riprovevole dal punto di vista morale, ma non penalmente rilevante. Tutti gli altri motivi di gravame, invece, non hanno trovato accoglimento. Quanto all’ingiuriosità dei termini «troia, puttana», la Corte ritiene che non vi sia dubbio alcuno è stata lesa la dignità morale della persona offesa e quindi gli estremi del reato sono stati integrati. Relativamente alle minacce di fare perdere figli e lavoro, si ritiene che sia stata posta in essere una condotta fortemente intimidatoria nei confronti della donna, anche alla luce delle emergenze probatorie, secondo cui il prevenuto aveva già anticipato le modalità concrete con cui avrebbe attuato il male ingiusto rivolgendosi al marito della stessa ed alla congregazione religiosa-datrice di lavoro . Anche in punto diffamazione la sentenza è immune da censure i giudicanti di merito hanno preso in considerazione e motivato sugli elementi di prova a carico dell’imputato, consistenti nelle dichiarazione della persona offesa, nei tabulati telefonici e nella compatibilità tra le scritte offensive e i normografi rinvenuti in possesso dell’uomo. Infine, gli Ermellini non accolgono neppure il motivo afferente la motivazione sulla credibilità della persona offesa e sulla valutazione delle prove a carico e discarico, dal momento che nella sentenza di appello si riscontra un’attenta valutazione delle dichiarazioni della donna, intrinsecamente coerenti, equilibrate, nonché suffragate da riscontri esterni, quali i tabulati telefonici, oltreché dal sequestro dei volantini riportanti il suo numero di telefono e dal rinvenimento, nella casa dell’imputato, di ben tre normografi aventi gli stessi caratteri impressi sui volantini stessi. Il ricorso - eccezion fatta per l’unico motivo accolto - è teso a sollecitare una nuova ponderazione delle risultanze processuali, una nuova valutazione di merito, cosa non consentita in sede di legittimità. Di conseguenza, la Suprema Corte lo ha accolto parzialmente, annullando senza rinvio la pronuncia impugnata limitatamente alla statuizione sulla minaccia nei confronti della figlia della ex compagna, eliminando l’aumento di pena ad essa relativo.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 5 luglio - 4 ottobre 2012, numero 38993 Presidente Zecca – Relatore Settembre Ritenuto in fatto 1. Ricorre M.L. avverso la sentenza della Corte di appello di Ancona del 26/5/2011 che, in parziale riforma della sentenza del locale Tribunale, sezione distaccata di Osimo, lo condanna a pena di giustizia per i reati di molestia capo A , ingiurie continuate capo B , minacce continuate capo C , diffamazione continuata capo D commessi nei confronti di G.M. e per il reato di minaccia commesso nei confronti di Go.Gi. , figlia della G Secondo l'accusa, condivisa dai giudici del merito, il M. , che aveva avuto una relazione sentimentale con G.M. , aveva preso, una volta interrotta la relazione, a vessarla in vario modo, telefonandole in ogni ora del giorno e della notte, rivolgendole epiteti ingiuriosi, minacciando di farle perdere il lavoro e i figli, diffondendo in giro volantini che la dipingevano come donna di facili costumi, lasciando scritte equivoche e volgari sulla sua auto o sulla porta della chiesa di . Infine, in una occasione, telefonava a Gi. , figlia della G. , nel mese di luglio del 2005, dicendole cose che sconvolgevano la ragazza io ti conosco, ti ho visto tante volte, vieni su alla Chiesetta, ho delle cose carine da darti, se vuoi posso venire a prenderti, mi piaci tanto . L'affermazione di responsabilità si fonda, principalmente, sulle dichiarazioni della persona offesa, sull'esame dei tabulati telefonici dell'imputato e della persona offesa, su indagini di polizia giudiziaria in particolare sul rinvenimento, in possesso dell'imputato, di un normografo che, per le sue caratteristiche e per un difetto di costruzione che presentava, rimandava agli scritti offensivi diffusi nel contesto residenziale e lavorativo della persona offesa . 2. Il M. ricorre con sei motivi, lamentando a mancanza di motivazione della sentenza in ordine al capo B dell'imputazione ingiurie , trattandosi di espressioni ormai in voga nel linguaggio comune e non lesive del decoro del destinatario, pronunciate, oltretutto, durante un litigio tra persone legate da rapporti sentimentali o di stretta amicizia, senza intenzione offensiva b vizio di motivazione in relazione al capo C dell'imputazione minacce , per l'irrilevanza penale delle espressioni usate ti farò perdere il lavoro e i figli , siccome inidonee ingenerare timore nel destinatario delle stesse, anche in considerazione del fatto che il male prospettato non era dipendente dalla volontà dell'agente c violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al capo D dell'imputazione diffamazione continuata , non essendovi prova alcuna che gli scritti offensivi fossero provenienti dall'imputato, né che sia stato l'imputato a telefonare al marito della donna, dicendogli che trattava male i figli. Nessun rilievo ha il possesso del normografo da parte dell'imputato, né che lo stesso presentasse un piccolo difetto di costruzione riscontrato sugli scritti , trattandosi di normografo comunemente diffuso d vizio di motivazione in relazione al capo E dell'imputazione minaccia nei confronti di Go.Gi. , sia per la mancanza di prova a suo carico, sia per l'assenza del contenuto di minaccia e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta credibilità della persona offesa, non avendo la Corte d'appello tenuto conto della relazione sentimentale intercosa con l'imputato e del fatto che le telefonate erano reciproche f vizio di motivazione della sentenza, per non aver motivato a sufficienza in ordine alle prove a discarico e alle specifiche contestazioni mosse dalla difesa dell'imputato, nonché in ordine all'elemento soggettivo dei reati contestati. Considerato in diritto Il ricorso è fondato nei ristretti limiti che verranno di seguito esposti. 1. Quanto al primo motivo, rappresenta un'opinione del tutto personale del ricorrente quella secondo cui le espressioni ingiuriose contestate al capo B troia, puttana siano in voga nel linguaggio comune che rientrino nelle normali evenienze di una relazione sentimentale e non siano lesive del decoro del destinatario. Del tutto assertiva è, invece, l'affermazione che le parole e frasi ingiuriose siano state pronunciate nel corso di litigi tra i due, per cui si elidono a vicenda. I giudici di merito, rigettando le eccezioni difensive, hanno invece ritenuto, con adeguamento al senso comune, che le espressioni riportate in imputazione fossero lesive della dignità morale della donna e integrassero gli estremi dell'ingiuria. La conclusione è del tutto logica e congrua e, come tale, immeritevole delle censure mosse col ricorso. 2. Lo stesso dicasi per il vizio di motivazione lamentato col secondo motivo sub b . In questo caso all'imputato è contestato di aver minacciato la donna prospettandole la perdita dei figli e del lavoro. La Corte d'appello ha, con argomenti assolutamente logici, collegato questa prospettiva alle iniziative dell'imputato, che aveva già anticipato alla donna di volersi rivolgere al marito da cui era separata e al datore di lavoro una congregazione religiosa per sollecitare iniziative che la privassero della facoltà di tenere i figli con sé o addirittura della potestà genitoriale e di lavorare presso l'organismo religioso evidentemente, come conseguenza delle informazioni da lui fornite . Anche in questo caso, l'esclusione del carattere fortemente intimidatorio della minaccia rappresenta un'opinione tutta personale del ricorrente, che comprensibilmente la Corte d'appello ha liquidato con poche e pertinenti osservazioni. 3. I terzo motivo sub e è manifestamente infondato, giacché i giudici di merito hanno passato in rassegna, e attentamente valutato, gli elementi di prova a carico dell'imputato, costituiti non solo dalle dichiarazioni della persona offesa, ma anche dai riscontri telefonici e dall'accertato possesso, da parte dell'imputato, di normografi aventi caratteri congruenti con le scritte diffamatorie diffuse sul conto della donna. Sul punto, l'apprezzamento dei giudici di merito è incensurabile in questa sede, avendo offerto, sul punto, una motivazione assolutamente logica e saldamente ancorata alle risultanze probatorie. 4. Fondato si appalesa, invece, la doglianza sub d , dal momento che l'espressione addebitata all'imputato non sembra avere i caratteri della minaccia anche se è probabile che un certo turbamento abbia provocato nella ragazza , quanto, piuttosto, quelli della sfrontatezza cosicché, per non essere stata accompagnata da iniziative di contenuto analogo a quello riscontrabile nell'atteggiamento verso la madre, non può dirsi sufficiente ad integrare il reato di cui all'articolo 612 cod. penale. 5. Gli ultimi due motivi di ricorso possono essere esaminati congiuntamente, perché attengono entrambi alla prova dei reati, che il ricorrente mette in discussione. Le doglianze sono infondate, giacché i giudici di merito hanno attentamente vagliato le dichiarazioni della persona offesa, ne hanno apprezzato l'intrinseca coerenza, l'equilibrio narrativo e l'assenza di intenti ritorsivi, oltre a passare in rassegna, e valutare, i riscontri esterni al suo racconto, costituiti, principalmente, dai reports dei tabulati telefonici che hanno evidenziato un gran numero di chiamate dirette alla persona offesa e provenienti dalle utenze in possesso all'imputato , dal sequestro di volantini su cui, insieme ad una donna in atteggiamenti provocanti, erano riportati i numeri di telefono della persona offesa e di tre normografi, rinvenuti in casa dell'imputato, aventi caratteri uguali a quelli dei volantini diffamatori. Per contro, le censure contenute nel ricorso sono del tutte generiche e frutto di una personalissima lettura delle risultanze processuali esse erano già state sottoposte al vaglio della Corte territoriale e confutare con esaustiva motivazione i relativi motivi di ricorso si risolvono nella richiesta, inammissibile in sede di legittimità, di una rinnovata ponderazione delle prove alternativa a quella correttamente effettuata dai Giudici di merito. In conclusione, solo il quarto motivo di ricorso va accolto, con conseguente eliminazione della pena irrogata per il relativo reato. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla statuizione sul capo E della rubrica minaccia in danno di Go.Gi. ed elimina l'aumento di pena relativo a tale imputazione per Euro 50 , rideterminando la pena finale in Euro 3.450 complessivi di multa rigetta nel resto il ricorso.