Casa-lavoro in appena un chilometro? Meglio farsela a piedi... Niente infortunio in itinere, niente indennizzo

L’utilizzo della bicicletta per percorrere la breve distanza è assolutamente legittimo, ma esso non è giustificato da una necessità fondamentale. Ecco perché la richiesta della dipendente di un ospedale, rimasta vittima di un incidente nel tragitto di ritorno verso casa, viene respinta nessuna spesa per l’Inail.

Tragitto breve tra casa e lavoro? Allora meglio andare a piedi. Ci si guadagna in salute e in portafoglio. Perché se il percorso è sostenibile anche a piedi, il ricorso a un mezzo di locomozione privato non è giustificato, e l’infortunio in itinere non viene coperto dall’indennizzo a carico dell’Inail Cassazione, ordinanza numero 15059, sesta sezione civile, depositata oggi . Due ruote superflue. Il percorso ‘incriminato’ è quello tra casa e lavoro – un ospedale –, compiuto ogni giorno in bici da una donna, che, però, rimane vittima di un incidente. Step successivo è la richiesta di indennizzo nei confronti dell’Inail, perché, secondo la donna, l’infortunio va considerato come in itinere e ricollegato all’ambito lavorativo. Ma per i giudici si tratta di una pretesa senza fondamento, prospettiva, questa, condivisa sia in primo che in secondo grado. Chiara l’ottica scelta la copertura assicurativa è sì prevista anche in caso di «uso del mezzo di trasporto privato», ma a patto che tale uso «sia necessitato». Ebbene, secondo i giudici, in questa vicenda, alla luce della distanza tra abitazione e luogo di lavoro – poco più di un chilometro –, il ricorso al mezzo privato non era giustificabile. Quei mille metri erano distanza «percorribile agevolmente a piedi, per una persona ancora giovane», come la dipendente dell’ospedale. Libero arbitrio. Secondo la donna, però, la decisione assunta in Appello è eccessiva. Soprattutto perché «la scelta del mezzo» per andare a lavoro e per tornare poi a casa «deve essere non imposta, ma lasciata alla libera scelta del lavoratore». E questo principio – richiamato nel ricorso proposto in Cassazione – viene accompagnato anche da un ulteriore elemento la malattia con cui la lavoratrice dichiara di ‘convivere’, e che la obbliga ad «effettuare il percorso nel più breve tempo possibile». Per i giudici di terzo grado, il riferimento alla libera scelta del lavoratore è giusto, però va reso più chiaro ricordando che «il mezzo di trasporto pubblico costituisce strumento normale di mobilità e comporta il grado minimo di esposizione al rischio di incidenti stradali». Di conseguenza, optare per un mezzo di locomozione privato è legittimo, ma comporta anche una maggiore assunzione di rischi Ebbene, in questo quadro, viene ritenuto decisivo, e logico, l’elemento utilizzato dai giudici di Appello per negare l’indennizzo – linea condivisa anche in terzo grado, con rigetto del ricorso della donna –, ossia la limitata lunghezza del percorso casa-lavoro, percorribile tranquillamente a piedi. E legittima viene ritenuta, dai giudici di Cassazione, anche l’affermazione, nella pronuncia d’Appello, sulla incompatibilità della malattia – richiamata dalla lavoratrice – «con l’uso della bicicletta».

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - L, ordinanza 2 luglio – 7 settembre 2009, numero 15059 Presidente Battimiello – Relatore Mammone Ritenuto in fatto e diritto 1. – S.B., premesso di essere stata vittima di un infortunio in itinere mentre con la sua bicicletta tornava dall’Ospedale civile di Brescia di cui era dipendente alla propria abitazione e che l’INAIL non aveva ricollegato l’infortunio alla prestazione di lavoro, chiedeva di accertare l’indennizzabilità del sinistro con condanna dell’INAIL alle prestazioni di legge. 2. - Rigettata la domanda e proposto appello da S., la Corte d’appello di Brescia con sentenza del 30.10.10 rigettava l’impugnazione rilevando che l’articolo 2 del t.u. numero 1124, come modificato dall’articolo 12 del d.lgs. 23.02.00 numero 38, contempla la copertura del infortunio in itinere anche nel caso di uso del mezzo di trasporto privato, a condizione che l’uso stesso sia necessitato. Rilevato che nel caso di specie l’abitazione dell’infortunata distava Km. 1,2 dal luogo di lavoro, riteneva che il mezzo privato la bicicletta non fosse giustificato, trattandosi di distanza agevolmente percorribile a piedi, per una persona in età ancor giovane 37 anni e senza problemi di deambulazione, come la ricorrente. Era, inoltre, tardivamente dedotta la circostanza che la S. fosse affetta da malattia che imponeva di percorrere il tragitto nel più breve tempo possibile. 3. - Avverso questa sentenza proponeva ricorso S. Si difendeva con controricorso l’INAIL. Il Consigliere relatore ai sensi dell’articolo 380 bis c.p.c. depositava relazione, che era comunicata al Procuratore generale ed era notificata ai difensori costituiti assieme all’avviso di convocazione della adunanza della camera di consiglio. 4. – S. deduce tre motivi di impugnazione 1 carenza di motivazione, sottolineando incongruità del ragionamento del giudice di merito, atteso che la scelta del mezzo con cui percorrere il tratto di strada tra abitazione e luogo di lavoro deve essere non imposta, ma lasciata alla libera scelta del lavoratore 2 il giudice non avrebbe tenuto conto della malattia che imponeva alla lavoratrice di effettuare il percorso nel più breve tempo possibile 3 il giudice avrebbe dovuto tener conto di questa circostanza, pur dedotta e documentata solo in appello, trattandosi di “fatto costitutivo del diritto azionato”, direttamente ricollegabile alla pretesa dedotta in primo grado. 5. - La giurisprudenza ritiene che l’infortunio in itinere non può essere ravvisato in caso di incidente stradale subito dal lavoratore che si sposti con il proprio mezzo di trasporto ove l’uso del mezzo privato rappresenti non una necessità per la mancanza di soluzioni alternative, ma una libera scelta del lavoratore, tenuto conto che il mezzo di trasporto pubblico costituisce strumento normale di mobilità delle persone e comporta il grado minimo di esposizione al rischio di incidenti stradali giurisprudenza costante, da ultimo Cass. 3.11.11 numero 22759 . Nel caso di specie il giudice ha proceduto ad un accertamento di merito circa il carattere non necessitato del mezzo adottato dalla ricorrente che, in quanto correttamente motivato, non è censurabile in sede di legittimità. 6. - Il giudice ha inoltre correttamente ritenuto tardiva la deduzione della malattia da cui è afflitta la ricorrente, trattandosi di circostanza preesistente all’inizio del giudizio. Parte ricorrente, inoltre, non svolge una adeguata discussione circa il carattere condizionante della malattia e lascia sostanzialmente incontestata l’affermazione del giudice che la malattia in questione sarebbe ragionevolmente incompatibile con l’uso della bicicletta. 7. - In conclusione, infondati i tre motivi, il ricorso deve essere rigettato. Le spese di giudizio, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 30 trenta per esborsi ed in € 1.000 mille per onorari, oltre spese generali, Iva e Cpa.