Spetta al contribuente dimostrare l’esistenza e l’inerenza dei costi, e, qualora si tratti di costi derivanti da servizi o beni prestati o ceduti da una società controllante estera ad una controllata italiana, anche di ogni elemento che consenta al Fisco di verificare il normale valore dei relativi corrispettivi.
Ad affermarlo è la Corte di Cassazione, nella sentenza numero 11949/2012. Il caso. Una S.r.l., interamente controllata da una holding svizzera, operava quale filiale unica per l’Italia di un gruppo multinazionale per la commercializzazione di prodotti software , importati da una consorella inglese. Nell’ultimo giorno dell’esercizio 2004, la società contribuente contabilizzava una fattura, emessa nella stessa data, con la quale la consorella inglese rettificava in aumento i prezzi applicati in precedenza. L’Amministrazione finanziaria disconosceva i costi di acquisto per violazione della disciplina sui prezzi di trasferimento, posto che, secondo la prospettazione dell’ufficio procedente, l’operazione aveva come scopo quello di drenare utili. Il ricorso della società contribuente era accolto dalla competente Commissione Tributaria Provinciale, con sentenza confermata in appello. Nella sentenza in esame, la Corte di Cassazione cassa con rinvio la pronuncia impugnata dall’Amministrazione finanziaria, fissando il seguente principio di diritto «l’onere di fornire la dimostrazione dell’esistenza e dell’inerenza dei costi, e qualora si tratti di costi derivanti da servizi o beni prestati o ceduti da una società controllante estera ad una controllata italiana, anche di ogni elemento che consenta all’amministrazione di verificare il normale valore dei relativi corrispettivi, incombe a carico del contribuente, e non dell’Amministrazione finanziaria». La disciplina dei prezzi di trasferimento ha ratio antielusiva. In via preliminare, la Corte di Cassazione ricorda che la disciplina dei prezzi di trasferimento tra parti collegate – transfer price o transfer pricing , nel primo caso ponendo l’accento sul profilo statico del fenomeno, nel secondo su quello dinamico – consente all’Amministrazione finanziaria «un controllo dei corrispettivi applicati alle operazioni commerciali e/o finanziarie intercorse tra società collegate e/o controllate residenti in nazioni diverse, al fine di evitare che vi siano aggiustamenti «artificiali» di tali prezzi, determinati dallo scopo di ottimizzare il carico fiscale di gruppo, ad esempio canalizzando il reddito verso le società dislocate in aree o giurisdizioni caratterizzate da una fiscalità più mite». In base all’articolo 110, comma 7, Tuir, «i componenti del reddito derivanti da operazioni con società non residenti nel territorio dello Stato, che direttamente o indirettamente controllano l’impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l’impresa» sono valutati in base al valore normale dei beni ceduti, dei servizi prestati e dei beni e servizi ricevuti, determinato ex articolo 9 Tuir i corrispettivi pattuiti sono ritenuti scarsamente attendibili perché manipolati nell’ambito di scambi transnazionali tra soggetti i cui processi decisionali sono condizionati, poiché funzionali ad un unitario centro di interessi. La necessità di contrastare pratiche di questo tipo giustifica la deroga al principio secondo cui il reddito è determinato sulla base dei corrispettivi pattuiti dalle parti della singola transazione commerciale. Secondo la Suprema Corte, l’articolo 110, comma 7, Tuir non combatte l’occultamento del corrispettivo, «ma le manovre che incidono sul corrispettivo palese, consentendo il trasferimento surrettizio di utili da uno Stato all’altro, sì da influire in concreto sul regime dell’imposizione fiscale» in buona sostanza, la disciplina sui prezzi di trasferimento consente di evitare che «all’interno del gruppo di società vengano effettuati trasferimenti di utili mediante l’applicazione di prezzi inferiori o superiori al valore normale dei beni ceduti, al fine di sottrarli all’imposizione fiscale in Italia a favore di tassazioni estere inferiori [] o comunque a favore di situazioni che rendano fiscalmente conveniente l’imputazione di utili ad articolazioni del gruppo diverse da quelle nazionali». Il principio di libera concorrenza quale criterio di valutazione dei prezzi di trasferimento. Per la valutazione dei prezzi di trasferimento tra le imprese associate di un gruppo multinazionale, anche alla luce del Modello OCSE il criterio cardine è rappresentato dal principio di libera concorrenza, fondato sul regime che si instaura tra imprese indipendenti in buona sostanza, i valori concordati dalle parti nell’ambito di transazioni controllate sono automaticamente sostituiti dai valori regime della libera concorrenza. La ripartizione dell’onere della prova. Sull’Amministrazione finanziaria incombe l’onere di provare la fondatezza della rettifica da transfer price «con riferimento allo scostamento tra il corrispettivo pattuito ed il valore normale dei beni o dei servizi scambiati». Il problema della ripartizione dei costi infragruppo coinvolge, oltre al profilo dell’esistenza, anche quello della inerenza dei costi dichiarati in seguito all’addebito di un servizio o di una cessione di beni, effettuati alla società controllata dalla controllante o da altra società soggetta al medesimo controllo. Secondo la Corte di Cassazione, ai fini della deducibilità di un costo addebitato da una controllante ad una controllata «è pur sempre necessario che risulti, se non che il costo sia correlato a specifici ricavi conseguiti da quest’ultima, quanto meno che l’addebito di tale costo si sia tradotto in un’effettiva utilità per la controllata». In forza del principio di vicinanza alla prova, a carico del contribuente viene posto l’onere di fornire la dimostrazione dell’esistenza e dell’inerenza delle componenti negative del reddito e, qualora si tratti di costi derivanti da servizi o beni prestati o ceduti da una società controllante estera ad una controllata italiana, anche di ogni elemento che consenta all’Amministrazione di verificare il normale valore dei relativi corrispettivi.
Corte di Cassazione, sez. Tributaria, sentenza 4 aprile 13 luglio 2012, numero 11949 Presidente pivetti – Relatore Valitutti Premesso in fatto 1. Con sentenza numero 164/4/09, depositata il 27.11.09 e notificata il 19.1.10, la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia rigettava l'appello proposto dall'Agenzia delle Entrate Ufficio di Gallarate avverso la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale, con la quale era stato accolto il ricorsa proposto dalla società T. s.r.l. ora C. s.r.l. avverso gli avvisi di accertamento emessi, in materia di IBPEG, IRAP ed IVA, per gli anni di imposta 2003, 2004, 2005 e 2006. 2. La CTR, riteneva, invero, totalmente infondata la pretesa fiscale azionata con i suddetti atti impositivi, in relazione 1 alla ripresa a tassazione per indebita svalutazione delle rimanenze, ex articolo 52 del d.P.R. numero 917/85 2 alla ripresa a tassazione per disconoscimento di costi d'acquisto, conseguente alla non corretta applicazione ad avviso dell’amministrazione delle norme fiscali sul cd. transfer pricing articolo 110, co. 7 del d.P.R. numero 917/86 , determinata dalla condotta elusiva posta in essere dalla contribuente. 3. Per la cassazione della sentenza della numero 164/4/09 ha proposto ricorso l'Agenzia delle Entrate, articolando sette motivi distinti in due gruppi, corrispondenti alle suindicate, diverse, riprese a tassazione. La società resistente ha replicato con controricorso, contenente, altresì, ricorso incidentale condizionato, affidato a quattro motivi. Le parti hanno predotto memorie ex articolo 378 c.p.c. Osserva in diritto 1. I primi cinque motivi di ricorso, concernenti la ripresa a tassazione per indebita svalutazione delle rimanenze ex articolo 92 del d.P.R. numero 917/86, e conti rassegnati nell'atto introduttivo del presente giudizio con la Lettera A , vanno esaminati congiuntamente, attesa la loro evidente connessione. 1.1. Con il primo motivo, l'Agenzia delle Entrate deduce la violazione del principio di diritto vivente cieca la natura di impugnazione-merito ascrivibile al processo tributario, desumibile dagli articolo 1, 2, 7 e 36 del d. lgs numero 546/92, In relazione all’articolo 360 numero 4 c.p.c Con il secondo, terzo, quarto e quinto motivo, poi, la ricorrente denuncia la violazione dell'articolo 112 c.p.c., in relazione all'articolo 360 numero 4 c.p.c., degli articolo 36, co. 2 numero 4 del d.lgs. numero 546/92, 111, co. 6 Cost. in relazione all'articolo 360 nnumero 3 e 4 c.p.c., nonché l'omessa motivazione su un fatto decisivo della controversia, in relazione all'articolo 360 numero 5 c.p.c. 1.2. Con le censure suddette l'amministrazione ricorrente ha premesso che la pretesa fiscale azionata con gli atti impositivi, oggetto di impugnativa da parte della T. s.r.l., concerneva, anzitutto, l'indebita a parere dell’Ufficio svalutazione delle rimanenze finali da parte della società contribuente. Quest'ultima aveva, invero, determinato il valore da attribuire alle rimanenze finali facendo riferimento a quello di presunto realizzo previsto dal legislatore civilistico , mentre secondo i verificatori, i cui accertamenti erano stati trasfusi nel processo verbale di constatazione notificato alla T. s.r.l. si sarebbe dovuto considerare il valore normale di tali rimanenze, che di conseguenza sarebbe stato certamente più elevato di quello esposto dalla contribuente. Di tali rimanenze, pertanto, l'amministrazione procedeva a rideterminare il valore, con conseguente recupero di imposta per l'anno 2003. Per le annualità successive al 2003, l'Ufficio provvedeva, poi, ad ulteriori recuperi a tassazione senza, tuttavia, calcolare nella base imponibile il valore delle giacenze iniziali pari a quello delle rimanenze finali rettificato per l'anno di imposta 2003, bensì prendendo a base del calcolo il valore della giacenza iniziale dichiarata anno per anno dalla contribuente, in violazione dell'articolo 92 ex 59 del d.P.R. numero 917/86. 1.3. Senonché, il giudice di appello, si sarebbe limitato a parere della ricorrente a confermare l'annullamento degli atti impositivi per tutte le annualità di imposta 2003-2006, senza esaminare nel merito la pretesa tributaria fatta valere dall’amministrazione, per ricondurla alla misura ritenuta corretta, come sarebbe stato necessario in conseguenza della natura di impugnazione -merito ascrivibile al processo tributario. Di più, la CTR avrebbe fondato il rigetto del gravame dell’Agenzia delle Entrate anche sulla mancanza di prove senza, oltre tutto, indicare quali specifici mezzi di prova avrebbe dovute addurre l'amministrazione circa l'effettività del beneficio che alla contribuente sarebbe derivato dalla svalutazione operata in anticipo, rispetto all’esercizio nel quale tale diminuzione di valore si sarebbe realmente verificata. Senonché tale beneficio di imposta non aveva secondo la ricorrente in alcun modo formato oggetto della materia del contendere del giudizio di appello. Tutto ciò si sarebbe, pertanto, tradotto, ad avviso dell’Agenzia delle Entrate, in una palese violazione del disposto dell'articolo 112 c.p.c. sotto il duplice profilo dell’omesso, integrale, esercizio della podestà decisionale demandata al giudice tributario di merito, e della ultrapetizione rispetto alle domande ed eccezioni delle parti nonché nell'omessa motivazione su fatti decisivi della controversia. 1.4. Tanto premesso, osserva la Corte che il gruppo di censure suesposte concernenti la ripresa a tassazione per indebita svalutazione delle rimanenze, ex articolo 92 del d.P.R. numero 917/86, e contrassegnate in ricorso con la lettera A si palesa solo parzialmente fondato, dovendo essere accolto solo in relazione al primo motivo di ricorso, vertente sulla mancata rideterminazione, nel merito, della pretesa tributaria azionata dall’amministrazione finanziaria. 1.4.1. Va difatti rilevato, al riguardo, che la CTR, pur condividendo nella sostanza come già il giudice di prime cure la ripresa a tassazione conseguente all’effettuata, anticipata svalutazione delle rimanenze, da parte della contribuente, ha, nondimeno, confermato l'annullamento degli atti impositivi per tutte le annualità dal 2003 al 2006. A siffatta pronuncia il giudice di appello o pervenuto imputando all'amministrazione di non avere correttamente calcolato la base imponibile, ai fini della determinazione del reddito di impresa, non avendo la medesima considerato il valore delle giacenze iniziali pari a quello delle rimanenze finali, rettificato per l'anno di imposta 2003, ma avendo preso a base del calcolo il valore della giacenza iniziale dichiarato anno per anno dalla contribuente. Orbene, va osservato in proposito che, in materia di determinazione del reddito di impresa, la disposizione dell'articolo 92 del d.P.R. numero 917/86 ex 59 postula in campo tributario il cd. principio di continuità dei valori di bilancio, in forza del quale le rimanenze finali di un esercizio costituiscono esistenze iniziali dell'esercizio successivo, e le reciproche variazioni concorrono a formare il reddito di esercizio Cass. 11748/08 . Sotto il profilo in esame, dunque, la decisione di seconde cure, che ha ritenuto confliggente, con la disposizione summenzionata, il descritto modus operandi della p.a. appare, sul punto, certamente corretta. E tuttavia, costituisce ormai ius receptum nella giurisprudenza di questa Corte l'affermazione secondo cui il processo tributario non è annoverabile tra quelli di impugnazione-annullamento, bensì era quelli di impugnazione merito, in quanto non diretto alla mera eliminazione dell'atto impugnato, bensì alla pronuncia di una decisione di merito sostitutiva, sia della dichiarazione resa dal contribuente, sia dell'accertamento dell’amministrazione finanziaria. Ne discende che, qualora il giudice tributario ravvisi la parziale infondatezza il principio non si attaglia, invero, per evidenti ragioni, all'ipotesi di totale nullità dell'atto impositivo della pretesa fiscale dell’amministrazione, non deve, ne può, limitarsi ad annullare l'avviso di accertamento, ma deve quantificare la pretesa tributaria ritenuta cor rotta, entro i limiti posti dal petitum delle parti cfr. Cass. 11212/07, 25376/08, 13868/10, 21759/11 . 1.4.2. Da quanto suesposto consegue, pertanto, che la CTR, una volta ritenuta l'erroneità dei valori assunti dall'amministrazione a base del calcolo della maggiore imposta dovuta dalla contribuente, non si sarebbe dovuta limitare a confermare l'annullamento degli atti impositivi disposto dal primo giudice. Il giudice di appello, infatti, non avendo censurato il recupero a tassazione in relazione al primo periodo di imposta anno 2003 , conseguente alla svalutazione delle rimanenze finali, avrebbe dovuto esaminare nel merito la pretesa tributaria, per ricondurla alla misura ritenuta corretta, operando una motivata valutazione sostitutiva entro i limiti posti dalle domande di parte. 1.4.3. Sotto il profilo in esame, pertanto, il ricorso dell’Agenzia delle Entrate deve trovare pieno accoglimento. 1.5. Vanno disattesi, invece, a giudizio della Corte, il seconde, terzo, quarto e quinto motivo di ricorso, concernenti la protesa ultrapetizione ed il difetto di motivazione dell'impugnata sentenza, in punto effettività del beneficio che alla contribuente sarebbe derivato dalla svalutazione operata in anticipo, rispetto all'esercizio nel quale tale diminuzione di valore -si sarebbe effettivamente verificata. 1.5.1. Tali doglianze si palesano, invero, del tutto infondate, dovendo, per contro, rilevarsi che il tema del beneficio anticipato che alla T. s.r.l. sarebbe derivato dalla svalutazione delle rimanenze finali, contrariamente all'assunto dell'Agenzia delle Entrate, aveva costituito oggetto della motoria del contendere dei gradi di merito del giudizio, vertendo tale questione proprio su uno degli specifici rilievi mossi dall’amministrazione alla contribuente. Dallo stesso ricorso dell'Agenzia delle entrate p. 3 si desume, infatti, al riguardo che l'Ufficio aveva, tra l'altro, contestato alla T. s.r.l., sulla scorta del relativo processo verbale di constatazione, quanto segue la svalutazione applicata dalla società, secondo i verificatori, ha comportato l’ottenimento di un beneficio fiscale anticipato rispetto a quello nel quale si è effettivamente realizzato . Ed anche dalla decisione di prime cure, sulla quale la CTR era chiamata a pronunciarsi, si evince che la materia del contendere del giudizio di merito aveva avuto ad oggetto anche la svalutazione delle rimanenze finali operata dalla società che aveva comportato un beneficio fiscale anticipato rispetto alla sua effettiva, concreta, verificazione, così da venerare un impatto sull'utile dell'esercizio chiuso al 31 ottobre 2004 rectius al 31 ottobre 2003 v. ricorso, p. 7 . 1.5.2. So ne deve necessariamente inferire, dunque, a giudizio della Corte, che non e ravvisabile, nella specie, il dedotto vizio di ultrapetizione, e neppure quello di motivazione, essendo del tutto chiaro che l’ effettivo beneficio fiscale , al quale fa riferimento la CTR e la cui dimostrazione da parte dell'Ufficio sarebbe mancata, è costituito da qualsiasi beneficio tributano diverso da quello conseguente alla corretta applicazione del principio di continuità dei valori di bilancio, disatteso dall’amministrazione finanziaria. 1.6. Per tutte le ragioni che precedono, pertanto, il primo gruppo di censure, contrassegnato in ricorso con la lettera A , va accolto nei limiti suesposti. 2. Il sesto e settimo motivo di ricorso contrassegnati nell’atto introduttivo del presente giudizio con la lettera B e che vanno esaminati congiuntamente, attesa la loro evidente connessione attengono alla ripresa a tassazione per disconoscimento di costi d'acquisto, conseguente alla non corretta applicazione delle norme fiscali sul cd. transfer pricing articolo 110, co. 7 del d.P.R. numero 917/86 , determinata ad avviso dell’amministrazione dalla condotta elusiva posta in essere dalla contribuente. Con il sesto motivo di ricorso, l'Agenzia delle Entrate denuncia, infatti, la violazione dell'articolo 110, co. 7 ex 76, co. 5 del d.P.R. numero 317/86, in relazione all'articolo 360 numero 3 c.p.c., mentre con il settimo motivo, l'amministrazione deduce l'insufficiente motivazione su un fatto decisivo della controversia, in relazione all'articolo 360 numero 5 c.p.c. 2.2. Ciò posto, giova premettere, al riguardo, che come si evince dal processo verbale di constatazione, trascritto dall'Agenzia delle Entrate nel ricorso, e posto a fondamento degli atti impositivi in discussione la società T. s.r.l. è interamente controllata dalla H. S.A. con sede in Svizzera, e fa parte del gruppo multinazionale statunitense, del quale costituisce la filiale unica per l'Italia, per la commercializzazione in esclusiva dei prodotti software giochi per pc, per Play station, ecc. . Tali prodotti vengono importati dalla contribuente tramite la consorella a sua volta controllata dalla medesima casa madre T. LTD, con sede in Gran Bretagna, fornitore unico dei prodotti commercializzati dalla filiale italiana. Ebbene, in data 31.10.04, ovverosia nell'ultimo giorno dell’esercizio fiscale, la T. s.r.l. contabilizzava la fattura numero 20031247, emessa in pari data dalla consorella inglese T. LTD, per l'importo di € 947.456,00. Tale documento contabile, che recava quale causale Price adiustement to product sold during FY 2003/2004 , si concretava, in effetti, nell'addebito alla società italiana di consistenti rettifiche in aumento dei prezzi in precedenza applicati, in relazione ad alcuni prodotti software acquistati dalla medesima nel corso dell'esercizio finanziario suindicato. 2.2.1. Ciò posto, l'Ufficio sulla scorta di quanto dedotto dai verificatori nel relativo processo verbale di constatazione riteneva trattarsi di un'evidente operazione elusiva, finalizzata al drenaggio degli utili conseguiti dalla filiale italiana mediante l'abuso dello strumento costituito dai prezzi di trasferimento all'interno del gruppo multinazionale in considerazione. In tal senso, a parere dell'amministrazione, deponevano, invero, una serie di fattori a la data dell'operazione, effettuata l'ultimo giorno dell’esercizio fiscale, in concomitanza con la disponibilità dei consuntivi sulla redditività della stessa società contribuente b la specie di operazione economica, tradottasi nella contabilizzazione di una fattura passiva per rettifica in aumento del prezzo già praticato dalla società fornitrice, su vendite quantitativamente rilevanti di prodotti software e lo scostamento dei prezzo praticato da quello medio di acquisito degli stessi prodotti da parte della T. s.r.l. Ne conseguiva il disconoscimento, da parte dell'amministrazione, dei costi derivanti dalle suddette rettifiche dei prezzi di trasferimento operate in danno economico della contribuente italiana, con conseguente applicazione d'ufficio del valore normale dei beni in questione, determinato ai sensi dell’articolo 9 del d.P.R. numero 917/86 nel prezzo medio di vendita, epurato dalla maggiorazione contestata, applicato dalla fornitrice inglese alla consorella italiana, nel corso dell'esercizio fiscale esaminato. 2.2.2. Senonché, nell'impugnata sentenza, la CTR affermava l'infondatezza del gravame proposto, sul punto, dall'Agenzia delle Entrate, sulla base delle seguenti argomentazioni a l'onere della prova in ordine al comportamento elusivo del contribuente incomberebbe a carico dell’amministrazione b tale onere non sarebbe stato, nella specie, adempiuto da parte dell'Agenzia delle Entrate, a fronte degli elementi di prova forniti dalla contribuente sulla scorta di uno studio articolato, in proposito, dalla consulente P. c non sussisterebbe agli atti la dimostrazione di un intento elusivo della contribuente, e neppure che quest'ultima abbia conseguito un effettivo beneficio fiscale dal comportamento contestato dall'amministrazione. Nei confronti di tali conclusioni del giudice di appello insorge, pertanto, l'Agenzia delle Entrate, denunciando la violazione del disposto dell'articolo 110, co. 7 d.P.R. numero 917/86, e deducendo la sussistenza di un vizio motivazionale in relazione al medesimo fatto decisivo della controversia. 2.3. Le suesposte censure sono fondate e vanno accolte. 2.3.1. Va osservato, al riguardo, che la vicenda in esame ripropone la complessa e delicata problematica del cd. transfer price o transfer pricing la prima espressione pone l'accento sul profilo statico del fenomeno, la seconda su quello dinamico , che si incentra sulla corretta applicazione della normativa in materia di prezzi di trasferimento tra parti correlate. Tale normativa ha per vero la finalità di consentire all'amministrazione finanziaria un controllo dei corrispettivi applicati alle operazioni commerciali e/o finanziarie intercorse fra società collega te e/o controllate residenti in nazioni diverse, al fine di evitare che vi siano aggiustamenti artificiali di tali prezzi, determinati dallo scopo di ottimizzare il carico fiscale di gruppo, ad esempio canalizzando il reddito verso le società dislocate in aree o giurisdizioni caratterizzate da una fiscalità più mite. Un ruolo centrale in tale prospettiva assume, nel nostro ordinamento, l'articolo 110, co. 7 del d.P.R. numero 917/86 articolo 76, co. 5 del testo previgente , a norma del quale i componenti del reddito derivanti da operazioni con società non residenti nel territorio dello stato che, direttamente o indirettamente controllano l'impresa o ne sono controllate, o che sono controllate dalla stessa società che controlla l'impresa nazionale, sono valutati in base al valore normale dei beni ceduti, dei servizi prestati e dei beni ricevuti, determinato ai sensi dell’articolo 9 del d.P.R. numero 917/86. La ratio della disposizione in oggetto è del tutto evidente. La norma succitata costituisce, difatti, una deroga al principio per cui, nel sistema di imposizione sul reddito, questo viene determinato sulla base dei corrispettivi pattuiti dalle parti della singola transazione commerciale articolo 109 d.P.R. 917/86 . Nelle ipotesi in cui tali corrispettivi risultano scarsamente attendibili e possono essere manipolati in danno del Fisco italiano, come nel caso degli scambi transnazionali tra soggetti i cui processi decisionali sono condizionati, poiché funzionali ad un unitario centro di interessi, i corrispettivi medesimi sono per vero sostituiti, per volontà di legge, dal valore normale dei beni o dei servizi oggetto dello scambio, qualora tale sostituzione ricada, in concreto, a vantaggio del Fisco italiano. 2.3.2. Sotto il profilo in esame, dunque, può dirsi che la previsione in parola completi il catalogo delle garanzie offerte dalla legislazione a favore dell’Erario, con riferimento a tutte quelle ipotesi nelle quali il corrispettivo pattuito data la sostanziale unicità del soggetto economico, trattandosi di rapporti commerciali tra articolazioni dello stesso gruppo può non riflettere il reale valore dei beni e dei servizi scambiati. La disposizione di cui al co. 7 dell'articolo 110 d.P.R. 917/06, pertanto, in presenza di norme specificamente dirette ad impedire il dirottamento di flussi reddituali, ad esempio verso Paesi a fiscalità agevolata co. 10, 11 e 12 dell'articolo 110, articolo 167 e 168 d.P.R. 917/86 , mediante condotte simulatorie danti luogo a fenomeni di tipo evasivo , ha la finalità ulteriore di evitare che, mediante fenomeni non simulatori come l'alterazione del prezzo di trasferimento, l'Erario italiano abbia a subire comunque un concreto pregiudizio. In altri termini, l'applicazione delle norme sul transfer pricing non combatte l'occultamento del corrispettivo, costituente una forma di evasione, ma le manovre che incidono sul corrispettivo palese, consentendo il trasferimento surrettizio di utili da uno Stato all'altro, sì da influire in concreto sul regime dell’imposizione fiscale. Per tali essenziali connotazioni, pertanto, deve ritenersi che tale disciplina costituisca secondo l'interpretazione più diffusa anche nella giurisprudenza di questa Corte una clausola antielusiva, in linea con i principi comunitari in tema di abuso del diritto, finalizzata ad evitare che all’interno del gruppo di società vengano effettuati trasferimenti di utili mediante l'applicazione di prezzi inferiori o superiori al valore normale dei beni ceduti, al fine di sottrarli all’imposizione fiscale in Italia a favore di tassazioni estere inferiori cfr. Cass. 22023/06, 11226/07, o comunque a favore di situazioni che rendano fiscalmente conveniente l'imputazione di utili ad articolazioni del gruppo diverse da quelle nazionali. 2.3.3. La norma in esame, va letta, poi, in combinato disposto con l'articolo 9 del modello di convenzione fiscale OCSE del 1995 1996, secondo il quale quando le condizioni convenute o imposte tra le due imprese, nelle loro relazioni commerciali o finanziarie, sono diverse da quelle che sarebbero state convenute tra imprese indipendenti, gli utili che in mancanza di tali condizioni sarebbero stati realizzati da una delle due imprese, ma che a causa di dette condizioni non lo sono stati, possono essere inclusi negli utili di questa impresa e tassati di conseguenza . Il criterio cardine, per la valutazione dei prezzi di trasferimento tra le imprese associate di un gruppo multinazionale, è costituito, quindi, dal principio di libera concorrenza, fondato, cioè, sul regime che si instaura tra imprese indipendenti principio, pertanto non a caso fiscalmente posto in diretta correlazione con la definizione del valore normale dei beni o dei servizi , ai sensi dell’articolo 9 del d. P.R. 917/86, richiamato dai co. 2 e 7 dell'articolo 110 dello stesso decreto. Le norme suindicate stabiliscono, in definitiva, l'irrilevanza, ai fini fiscali, dei valori concordati dalle parti nell'ambito di transazioni controllate e l'inserimento automatico nelle transazioni medesime di valori legali, ancorati al regime della libera concorrenza valore normale, ex articolo 9 D.P.R, 917/86 . 2.3.4. Tutto ciò premesso, è evidente che la violazione di una clausola antielusiva comporta come ritenuto dal giudice di seconde cure che l'onere della prova della ricorrenza dei presupposti di fatto dell’elusione gravi, in via di principio, sull'amministrazione finanziaria che intenda operare le conseguenti rettifiche cfr. Cass. 22023/06 . Ed invero, per quanto concerne i componenti positivi del reddito, incombe certamente sull'amministrazione finanziaria secondo le regole generali in materia articolo 2697 c.c. l'onere di provare la fondatezza della rettifica da transfer price, ossia la fondatezza della pretesa fiscale azionata, con riferimento allo scostamento tra il corrispettivo pattuito ed il valere normale dei beni o dei servizi scambiati. Ad analoga conclusione deve pervenirsi con riferimento alla fattispecie ricorrente nel caso concreto concernente le rettifiche dei costi, pur dovendosi operare in questa caso significative variazioni in tema di onere della prova. Con riferimento alla determinazione del reddito di impresa, invero, il problema della ripartizione dei costi infragruppo involge anche il profilo dell'inerenza, oltre che quello dell’l'esistenza, dei costi dichiarati in seguito all'addebito di un servizio o di una cessione di beni, effettuati alla società controllata dalla controllante, o da altra società soggetta al medesimo controllo. E', invero, di tutta evidenza che, ai fini della deducibilità di un costo addebitato da una controllante ad una controllata, è pur sempre necessario che risulti, se non che il costo sia correlato a specifici ricavi conseguiti da quest'ultima, quanto meno che l'addebito di tale costo si sia tradotto in un'effettiva utilità per la controllata. L'onere di fornire la dimostrazione dell’esistenza e dell’inerenza di tali componenti negative del reddito, e qualora si tratti come nella specie di costi derivanti da servizi e beni prestati o ceduti da una società controllante estera ad una controllata italiana, anche di ogni elemento che consenta all'amministrazione di verificare il normale valore dei relativi corrispettivi, non può pertanto che cedere in forza del cd principio di vicinanza alla prova a carico del contribuente Cfr. Cass. 1709/07 . Da quanto fin qui esposte deve, pertanto, necessariamente inferirsi l'erroneità dell'impugnata sentenza, laddove ha ritenuto l'Agenzia non avesse adempiuto l’onere, sulla medesima incombente, di provare il dedotto comportamento elusivo del contribuente, in violazione delle norme sul transfer pricing. 2.3.5. Ma l'impugnata sentenza è, del pari, censurabile per quanto concerne l'iter motivazionale in forza del quale è pervenuta ad escludere che siffatta normativa fosse stata violata dalla società contribuente. La CTR ha, invero, del tutto pretermesso l'esame dei numerosi e consistenti rilievi, che l'amministrazione pur non onerata dell'onere della prova come dianzi detto aveva formulato in ordine all'epoca sospetta a fine esercizio in cui era stata operata la contabilizzazione della predetta fattura passiva, nonché alla natura stessa dell'operazione, consistente in una rettifica in aumento del prezzo già praticato dalla fornitrice estera su vendite quantitativamente rilevanti di prodotti software, ed in un notevole scostamento dai prezzi di acquisto degli stessi beni da parte della contribuente italiana. La sentenza di appello si fonda, invero, esclusivamente sul generico rilievo circa l'esistenza di credibili giustificazioni fornite dalla T. s.r.l. in relazione al valore assunto nella transazione de qua, in base ad uno studio articolato elaborato dall'officiata società consulente P Ebbene pur dando per scontata l'autorevolezza e la serietà di tale studio, sul piano della teoria generale fiscale e finanziaria è appena il caso di rilevare che ai fini che qui interessano siffatto studio, elaborato a richiesta della parte privata, si traduce in un mero parere, non vincolante per l'amministrazione, del quale, peraltro, la sentenza impugnata non riferisce neppure sommariamente il contenuto, fino a lasciare indeterminato se si tratti di uno studio di carattere generale, ovvero di uno studio riguardante la concreta operazione per cui è giudizio. Esso non può, pertanto, di certo integrare la prova, il cui onere incombeva sulla contribuente, dell’esistenza, dell'inerenza del costo, e tanto meno della conformità del prezzo esposto in fattura al valore normale ex articolo 9 e 110, co. 2 e 7 del d.P.R. 917/86. 2.3.6. Per tutte le ragioni esposte, pertanto, il sesto e settimo motivo di ricorso non possono che trovare totale accoglimento da parte della Corte. 3. La ritenuta fondatezza di parte del ricorso principale dell'amministrazione finanziaria comporta, quindi, la necessità di procedere all’esame del ricorso incidentale condizionato proposto dalla T. s.r.l., il cui esame viene posposto al primo, poiché vertente su questioni pregiudiziali che hanno costituito oggetto del giudizio di appello, e sono state implicitamente disattese dalla CTR cfr. Cass.S.U. 5456/09 . 3.1. Ciò posto, va rilevato che con il primo e secondo motivo di ricorso incidentale che vanno trattati congiuntamente, attesa la loro evidente connessione la C. s.r.l. già T. s.r.l. deduce la violazione degli articolo 53 d. lgs. numero 546/92, 342 e 324 c.p.c., in relazione all'articolo 360 numero 3 c.p.c., nonché la violazione delle medesime norme, in relazione all'articolo 360 numero 4 c.p.c. La CTR avrebbe infatti errato, a parere della contribuente, a non rilevare l'inammissibilità del gravame proposto dall'Agenzia delle Entrate, in relazione alla violazione delle norme sul transfer pricing, e di conseguenza la formazione del giudicato interno, per avere l'amministrazione omesso di formulare specifici motivi di appello avverso la decisione di prime cure, essendosi la medesima limitata a riprodurre i motivi di doglianza sostenuti nel primo grado del giudizio e cioè in buona sostanza a confermare la legittimità degli atti di impositivi emessi nei confronti della società contribuente. 3.2. Le suesposte censure sono palesemente infondate. 3.2.1. L'indicazione dei motivi di appello nel processo tributario, ai sensi dell'articolo 53 del d.lgs. numero 546/92 non deve, infatti, necessariamente consistere in una rigorosa e formalistica enunciazione delle ragioni invocate a sostegno del gravame, essendo, per contro, sufficiente un'esposizione chiara ed univoca sia pure sommaria -della domanda rivolta al giudice di appello e delle ragioni della doglianza. Ne discende che i motivi di appello ben possono essere ricavati, anche per implicito, dall'intero atto di impugnazione considerato nel suo complesso, o dal richiamo, in esse contenute, di specifici atti del procedimento Cass. 1224/07, 7393/11 . Ne discende, dunque, che perfino la mera riproposizione, a supporto del gravame proposto dall'amministrazione finanziaria, della motivazione dell'avviso di accertamento annullato dal giudice di primo grado assolve l'onere di impugnazione specifica, imposto dall’articolo 53 del d.lgs. numero 546/92. Ed invero, atteso il carattere devolutivo pieno che l'appello riveste nel processo tributario, quest'ultimo non integra un mezzo limitato al controllo di vizi specifici, bensì costituisce un gravame rivolto ad ottenere il riesame della causa nel merito Cass. 4784/11 . 3.2.2. Per tali ragioni, pertanto, la censura in esame non può che essere rigettata. 3.3. Con il terzo e quarto motivo di ricorso, del pari da esaminarsi congiuntamente per la loro evidente connessione, la società resistente denuncia la violazione degli articolo 32 4 c.p.c. e 2909 c.c., in relazione sia all’articolo 360 numero 4 che all'articolo 360 numero 3 c.p.c. 3.3.1. Deduce, invero, la contribuente che la CTR avrebbe omesso di rilevare in relazione al rilievo concernente l'indebita svalutazione delle rimanenze finali la formazione del giudicato interno, in conseguenza della mancata impugnazione, da parte dell'Agenzia delle Entrate, dì una delle rationes decidendi della sentenza di prime cure, concernente l'affermazione, effettuata dalla CTP, secondo cui l'omessa considerazione, da parte dell'Ufficio, del maggior valore delle rimanenze iniziali si era tradotto nella violazione del divieto di duplicazione del prelievo di imposta. Ed invero, osserva la contribuente che la CTR pur avendo rilevato che la violazione del principio generale che vieta la duplicazione del prelievo non aveva costituito oggetto di specifica contestazione da parte dell'Agenzia delle Entrate p. 6 dell’impugnata sentenza aveva, poi, inopinatamente omesso di rilevare la formazione del giudicato interno sul punto, e la conseguente inammissibilità del proposto gravame. 3.3.2. Le censure suesposte sono manifestamente infondate. Va osservato, infatti, che la violazione del divieto di doppia imposizione non costituisce un'autonoma ratio decidendo della sentenza di appello, ma costituisce, piuttosto, un’argomentazione di supporto alla decisione di confermare il disposto dal primo giudice annullamento degli atti impositivi, poiché emessi in violazione dell'articolo 92 del d.P.R. m. 917/86. E’del tutto evidente, pertanto, che l'amministrazione finanziaria, nel censurare la decisione di prime cure per violazione del principio dell'autonomia dei periodi di imposta, ha censurato anche la pretesa violazione ritenuta dal primo giudice del principio del divieto di doppia imposizione. 3.3.3. Per tali ragioni, pertanto, il ricorso incidentale della C. s.r.l. non può che essere rigettato. 4. L'accoglimento del primo motivo di ricorso sub A e dei due motivi di ricorso sub B comporta la cassazione dell'impugnata sentenza, con rinvio ad altra sezione della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, che dovrà riesaminare la controversia, tenendo conto in ordine all’accertamento circa la corretta applicazione dei principi in tema di transfer pricing di tutti gli elementi suesposti, dedotti dall'amministrazione finanziaria, ed attenendosi altresì al seguente principio di diritto l'onere di fornire la dimostrazione dell'esistenza e dell'inerenza dei costi, e qualora si tratti di costi derivanti da servizi o beni prestati o ceduti da una società controllante estera ad una controllata italiana, anche di ogni elemento che consenta all’amministrazione di verificare il normale valore dei relativi corrispettivi, incombe a carico del contribuente, e non dell'amministrazione finanziaria . 5. Il giudice di rinvio provvedere, altresì alla liquidazione delle spese del giudizio di cassazione. P.Q.M. Accoglie il primo motivo sub lett. A ed i due motivi sub lett. B del ricorso cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti, con rinvio ad altra sezione della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, che provvedere alla liquidazione anche delle spese del giudizio di cassazione.