La registrazione di conversazioni effettuata da un privato su impulso della polizia giudiziaria non costituisce una forma di documentazione dei contenuti di un dialogo, ma una vera e propria attività investigativa che comprime il diritto alla segretezza con finalità di accertamento processuale. Invero, il contenuto delle registrazioni è destinato ad entrare nel compendio probatorio del procedimento in corso. Per tali ragioni, dunque, la finalità investigativa delle registrazioni e la limitazione del diritto alla segretezza delle comunicazioni, ai fini dell’utilizzabilità dei risultati, si impone l’intervento di un provvedimento dell’autorità giudiziaria, o, quantomeno, un atto autorizzativo motivato del pubblico ministero.
Quando la registrazione non è autorizzata. Nella sentenza numero 19158/2015, depositata lo scorso 8 maggio, si affronta la problematica relativa alla legittimità ed utilizzabilità del contenuto di registrazioni effettuate da uno degli interlocutori, ma non di propria, bensì su iniziativa della polizia giudiziaria, a fini investigativi. La Corte affronta la questione partendo dall’analisi della differenza tra il valore giuridico delle registrazioni tra presenti e quello, invece, delle intercettazioni, per giungere a precisare quali limitazioni o garanzie vengano prestate in caso di registrazioni effettuate dall’interlocutore consapevole su impulso delle forze di polizia. L’imputato, nel suo ricorso, deduceva, infatti, inosservanza di norme processuali per avere la Corte di merito ritenuto utilizzabile il contenuto di una conversazione registrata dall’offeso su sollecitazione ed impulso della polizia giudiziaria, sulla scorta di una semplice autorizzazione verbale del PM. Registrazione di conversazione tra presenti e valore processuale. I giudici di legittimità, sulla scorta di un principio oramai consolidato, partono dall’assunto che le registrazioni tra presenti, effettuate da uno degli interlocutori, non necessitano di alcuna autorizzazione giudiziaria, risolvendosi all’interno del procedimento in una particolare forma di documentazione che, evidentemente, non può essere sottoposta alle particolari limitazioni e formalità delle intercettazioni, in quanto rappresenta una modalità di documentazione dei contenuti della conversazione, già nella disponibilità di chi la effettua e potenzialmente riversabili nel processo attraverso la testimonianza. Infatti, come precisa la Corte, con la registrazione, il soggetto interessato non fa altro che memorizzare fonicamente le notizie lecitamente apprese da un altro interlocutore. Il contenuto di tali registrazioni può essere introitato nel processo in qualità di “documento”, diversamente dal risultato di intercettazioni che, invece, assume la forma di “atto del procedimento”. Tutto ciò che viene effettuato fuori dal procedimento videoriprese o fonoregistrazioni , costituisce, al suo interno, prova documentale. Al contrario, le registrazioni captate dalla Polizia Giudiziaria costituiscono “documentazione dell’attività investigativa”, rientranti nella categoria delle prove atipiche ex articolo 189 c.p.p Fruibilità del contenuto delle registrazioni. Quando la documentazione visiva o fonica, come nel caso di specie, viene “etero diretta” dalla polizia giudiziaria, il diritto alla segretezza delle conversazioni e delle comunicazioni “viene inciso con una precisa finalità investigativa dato che i relativi contenuti sono destinati certamente ad entrare a far parte del compendio probatorio del procedimento in corso”. Ebbene, tale compressione di diritti costituzionalmente tutelati deve necessariamente avvenire sulla scorta di un provvedimento dell’autorità giudiziaria che però non è lo stesso che si richiede in caso di intercettazioni di comunicazioni da parte del GIP . La registrazione di comunicazione eseguita da un soggetto, presente al dialogo e con il suo consenso, con strumenti di captazione forniti dalla PG, seppure implichi un minor grado di intrusione nella sfera privata del captato rispetto alla intercettazione effettuata da terzi soggetti nei confronti di persone inconsapevoli, necessita, comunque, di un provvedimento autorizzativo, che può essere ben rappresentato da un decreto motivato del Pubblico Ministero, sottoponibile a future critiche processuali, non risultando la mera autorizzazione verbale sufficiente in tal senso.
Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 20 marzo – 8 maggio 2015, numero 19158 Presidente Fiandanese – Relatore Recchione Ritenuto in fatto 1. La Corte di appello di Roma, in parziale riforma della sentenza di primo grado, condannava il P.A. alla pena di anno uno mesi due di reclusione ed Euro 140 di multa in relazione ai due episodi di tentata estorsione ai danni di Pr.Bo. . Si contestava all'imputato di avere minacciato gravi danni alla persona offesa per indurla a consegnare la somma di Euro 1000, necessaria per pagare l'avvocato che doveva difendere il ricorrente nel processo nel quale il Pr. aveva reso dichiarazioni accusatorie a carico del P. . 2. Avverso tale provvedimento ricorreva per cassazione la difesa del P. deducendo i seguenti motivi di ricorso. 2.1. Inosservanza di norme processuali stabilite a pena di inutilizzabilità. Ci si doleva del fatto che per l'accertamento della responsabilità era stato utilizzato il contenuto di una registrazione effettuata dall'offeso su sollecitazione della polizia giudiziaria procedente. Tale operazione era stata autorizzata solo verbalmente dal pubblico ministero, il che non era sufficiente ad integrare gli estremi del provvedimento motivato necessario per rendere legittima la captazione di conversazioni effettuate da privato su sollecitazione ed impulso della polizia giudiziaria procedente 2.2. vizio di motivazione. Si denunciava il travisamento della testimonianza dell'offeso Pr. resa in dibattimento il 12 Gennaio 2007. Nella prospettiva difensiva, dalla lettura dell'allegato verbale di trascrizione della testimonianza dibattimentale dell'offeso non sarebbe emerso alcun comportamento minaccioso riferibile all'imputato emergerebbe invece che il Pr. si era risolto a denunciare il P. perché intimorito dalla situazione nel suo complesso e non dal comportamento dell'imputato. Dalla lettura della trascrizione stenotipica non emergerebbe inoltre non un comportamento minatorio, ma piuttosto la richiesta di aiuto per pagare l'avvocato, che era costoso. 2.3. Vizio di motivazione in ordine alla sussistenza dell'elemento psicologico non sarebbe stato adeguatamente considerato l'atteggiamento psicologico dell'imputato che non era finalizzato ad ottenere un profitto ingiusto ma ad invocare l'aiuto economico dell'amico, con il quale peraltro, in passato, aveva acquistato sostanza stupefacente. Considerato in diritto 1. Il primo motivo di ricorso è infondato. 1.1. Deve premettersi che, in via di principio, la giurisprudenza della corte di cassazione è costante nel ritenere che le registrazioni di conversazioni tra presenti, compiute di iniziativa da uno degli interlocutori, non necessitano dell'autorizzazione del giudice per le indagini preliminari, ai sensi dell'articolo 267 cod. proc. penumero , in quanto non rientrano nel concetto di intercettazione in senso tecnico, ma si risolvono in una particolare forma di documentazione, che non è sottoposta alle limitazioni ed alle formalità proprie delle intercettazioni Sez. 1^, 14-4-1999, Iacovone Sez. 1^, 14-2-1994, Pino Sez. 6^, 8-4-1994, Giannola . Al riguardo, è stato acutamente evidenziato dalle Sezioni Unite che, in caso di registrazione di un colloquio ad opera di una delle persone che vi partecipi attivamente o che sia comunque ammessa ad assistervi, difettano la compromissione del diritto alla segretezza della comunicazione, il cui contenuto viene legittimamente appreso soltanto da chi palesemente vi partecipa o vi assiste, e la terzietà del captante. La comunicazione, una volta che si è liberamente e legittimamente esaurita, senza alcuna intrusione da parte di soggetti ad essa estranei, entra a far parte del patrimonio di conoscenza degli interlocutori e di chi vi ha non occultamente assistito, con l'effetto che ognuno di essi ne può disporre, a meno che, per la particolare qualità rivestita o per lo specifico oggetto della conversazione, non vi siano specifici divieti alla divulgazione es. segreto d'ufficio . Ciascuno di tali soggetti è pienamente libero di adottare cautele ed accorgimenti, e tale può essere considerata la registrazione, per acquisire, nella forma più opportuna, documentazione e quindi prova di ciò che, nel corso di una conversazione, direttamente pone in essere o che è posto in essere nei suoi confronti in altre parole, con la registrazione, il soggetto interessato non fa altro che memorizzare fonicamente le notizie lecitamente apprese dall'altro o dagli altri interlocutori. 1.2. Può dunque essere affermato il principio che la registrazione della conversazione effettuata da uno degli interlocutori all'insaputa dell'altro non è classificabile come intercettazione, ma rappresenta una modalità di documentazione dei contenuti della conversazione, già nella disponibilità di chi effettua la documentazione e potenzialmente riversabili nel processo attraverso la testimonianza. 1.3. L'acquisizione al processo della documentazione fonica del colloquio può avvenire attraverso il meccanismo di cui all'articolo 234 cod.proc.penumero , comma 1, che qualifica documento tutto ciò che rappresenta fatti, persone o cose mediante la fotografia, la cinematografia, la fonografia o qualsiasi altro mezzo Cass. sez. 2 numero 7035 del 29/010/2014 Rv 258551 . 1.4. Diversa è l'ipotesi, ricorrente nel caso di specie, di registrazione eseguita da un privato, su indicazione della polizia giudiziaria ed avvalendosi di strumenti da questa predisposti. In giurisprudenza, a fronte di decisioni che hanno escluso l'esistenza di decisivi elementi differenziali tra la fonoregistrazione effettuata d'iniziativa del privato con apparato nella sua diretta disponibilità e quella ottenuta con un apparecchio fornito dagli inquirenti Cass. Sez. 2^, 5-11-2002 numero 42486 , si è ritenuta, invece, l'inutilizzabilità di registrazioni di conversazioni effettuate, in assenza di autorizzazione del giudice, da uno degli interlocutori dotato di strumenti di captazione predisposti dalla polizia giudiziaria e ciò sul rilievo che, in tal modo, si verrebbe a realizzare un surrettizio aggiramento delle regole che impongono il ricorso a strumenti tipici per comprimere il bene costituzionalmente protetto della segretezza delle comunicazioni Cass. Sez. 6^, 6-11-2008 numero 44128 . Sul punto il collegio condivide l'interpretazione offerta dalla Corte di Cassazione secondo cui “per la soluzione della questione, recependo anche il suggerimento offerto dalla Corte Costituzionale nella sentenza numero 320 del 2009, occorre prendere le mosse dalla pronuncia delle Sezioni Unite nella sentenza 28-3-2006 numero 26795, nella quale - con riferimento alla materia delle videoregistrazioni -, è stata rimarcata la distinzione esistente tra documento e atto del procedimento oggetto di documentazione. In tale decisione è stato chiarito che le norme sui documenti, contenute nel codice di procedura penale, sono state concepite e formulate con esclusivo riferimento ai documenti formati fuori anche se non necessariamente prima e, comunque, non in vista e in funzione del processo nel quale si chiede o si dispone che essi facciano ingresso”. Da ciò si è dedotto, con riguardo alle videoriprese che solo quelle effettuate fuori dal procedimento possono essere considerate prova documentale laddove quelle effettuate dalla Polizia Giudiziaria nel corso delle indagini costituiscono documentazione dell'attività investigativa , inquadrabile nella categoria delle prove atipiche, previste dall'articolo 189 cod. proc. penumero . Il regime processuale delle videoriprese può essere esteso alla documentazione fonica della conversazione effettuata da uno degli interlocutori, dato che la compressione del diritto alla riservatezza ed alla segretezza delle comunicazioni appare assimilabile Cass. sez. 2 numero 7035 del 29/010/2014 Rv 258551 . Quando la documentazione visiva o fonica viene etero diretta dalla polizia giudiziaria il diritto alla segretezza delle conversazioni e delle comunicazioni viene inciso con una precisa finalità investigativa dato che i relativi contenuti sono destinati certamente ad entrare a far parte del compendio probatorio del procedimento in corso. Tale vocazione processuale della registrazione effettuata d'intesa con la polizia giudiziaria consente di inquadrare la relativa operazione come atto di indagine e non come documento il che consente la assimilazione del relativo regime processuale a quello ideato per le videoriprese la registrazioni visive come anche quelle audio nella misura in cui non preesistono alla attività investigativa, ma costituiscono uno sviluppo delle stessa comporta una compressione del diritto alla riservatezza ed alla segretezza delle comunicazioni che richiede una tutela assonante seppur non coincidente con quella che presidia le intercettazioni. Si condivide pertanto la necessità che tale compressione di diritti costituzionalmente tutelati avvenga sulla base di un provvedimento dell'autorità giudiziaria. Si ribadisce tuttavia che il controllo di legittimità implicito nella autorizzazione non richiede il rispetto delle norme che regolano l'intercettazione di conversazioni o comunicazioni in quanto “le registrazioni fonografiche, per il diverso livello di intrusione nella sfera di riservatezza che ne deriva, non possono essere assimilate, nemmeno nell'ipotesi considerata, alle intercettazioni telefoniche o ambientali e non possono, quindi, ritenersi sottoposte alle limitazioni ed alle formalità proprie di queste ultime” Cass. sez. 2 numero 7035 del 29/010/2014 Rv 258551 . Le registrazioni fonografiche eseguite da uno degli interlocutori con strumenti di captazione forniti dagli organi investigativi essendo effettuate col pieno consenso di uno dei partecipi alla conversazione, implicano un minor grado di intrusione nella sfera privata rispetto alla intercettazione ovvero alla captazione dei colloqui che intercorrono tra persone inconsapevoli il che consente di ritenere sufficiente un livello di garanzia minore che può essere assicurato da un decreto del pubblico ministero. “Tale provvedimento, infatti, rappresenta il livello minimo di garanzie richiamato in varie pronunce della Corte Costituzionale sentenze numero 81 del 1993 e numero 281 del 1998 e al quale la giurisprudenza di legittimità ha fatto riferimento, in mancanza di una specifica normativa, sia in materia di acquisizione dei tabulati contenenti i dati identificativi delle comunicazioni telefoniche Sez. Unumero 23-2-2000 numero 6 , sia in tema di videoriprese eseguite in luoghi non riconducibili al concetto di domicilio, ma meritevoli di tutela ai sensi dell'articolo 2 Cost., per la riservatezza delle attività che vi si compiono Cass. Sez. Unumero 28-3-2006 numero 26795 ” Cass. sez. 2 numero 7035 del 29/010/2014 Rv 258551 . Nel caso di specie, tale livello minimo di garanzia non è stato rispettato, in quanto la Polizia Giudiziaria, pur avendo fornito all'offeso - come si legge a pag. 3 della sentenza impugnata - l'attrezzatura per captare le conversazioni con l'imputato, ha agito sulla base di “una autorizzazione verbale del pubblico ministero procedente”. La mera autorizzazione verbale non è tuttavia sufficiente a garantire la tutela del diritto alla segretezza delle comunicazioni. La compressione di tale diritto per finalità investigative deve essere compiuta con atto scritto, fruibile e sottoponibile a future critiche processuali. 1.5. Può dunque essere affermato che la registrazione di conversazioni effettuata da un privato su impulso della polizia giudiziaria non costituisce una forma di documentazione dei contenuti del dialogo, ma una vera e propria attività investigativa che comprime il diritto alla segretezza con finalità di accertamento processuale. Tale compressione del diritto alla segretezza delle comunicazioni ha una matrice pubblica resa evidente dal fatto che il contenuto della registrazione è destinato ad entrare nel compendio probatorio del procedimento in corso la finalità investigativa della registrazione e la conseguente limitazione del diritto alla segretezza delle comunicazioni impongono l'intervento di un provvedimento dell'autorità giudiziaria, ovvero un decreto motivato del pubblico ministero. La finalità di garanzia del provvedimento autorizzatorio impone la forma scritta con conseguente ostensione e fruibilità processuale della motivazione si tratta di una forma di garanzia che non si ritiene soddisfatta attraverso la mera autorizzazione orale. 1.6. Nel caso di specie la Corte territoriale riteneva sufficiente per garantire la legittimità della operazione di registrazione, la sola autorizzazione orale del pubblico ministero, contrariamente a quanto indicato dalle sopra esposte linee interpretative. I relativi contenuti probatori devono pertanto essere dichiarati inutilizzabili. Nella sentenza impugnata l'erronea affermazione circa l'utilizzabilità della registrazione della conversazione sulla base della mera autorizzazione orale del pubblico ministero non incide, tuttavia, sulla tenuta dell'impianto motivazionale della affermazione di responsabilità che resiste alla elisione dell'elemento di prova inutilizzabile. Come osservato dalla stessa Corte di appello l'accertamento di responsabilità riposa sulle dichiarazioni della persona offesa nonché sulle dichiarazioni testimoniali a conferma , oltre che sulle dichiarazioni dell'indagato e sulla provata esistenza del procedimento penale connesso per spaccio di stupefacenti a carico del P. . Si tratta evidentemente di un impianto probatorio in grado di sostenere l'accertamento di responsabilità anche a prescindere dall'utilizzo della registrazione contestata. Il collegio condivide sul punto la giurisprudenza della Corte di cassazione secondo cui nel giudizio di legittimità, i casi di rettificazione elencati nell'articolo 619, commi 1 e 2, cod. proc. penumero non sono tassativi ed è quindi suscettibile di rettificazione ogni altro erroneo enunciato contenuto nella sentenza impugnata, del quale sia palese e pacifica la riconoscibilità, qualora non comporti la necessità dell'annullamento Cass. sez. 1, numero 35423 del 18/06/2014 Rv. 260279 . 2. Il motivo di ricorso relativo alla inesistenza della minaccia è infondato. 2.1. Il comportamento minatorio attribuito all'imputato risulta attestato dal D.C.M. il quale ha dichiarato di “avere percepito essendo stato presente, alle reazioni di forte turbamento suscitate nel Pr. dal colloquio telefonico da questi avuto con il P. , a seguito del quale è maturata nel medesimo Pr. la decisione di andare a sporgere denuncia, ed ha riferito che il Pr. gli ha dichiarato di essere stato in quella occasione minacciato dal predetto P. ” pagg. 4 e 5 della sentenza impugnata . Il collegio condivide sul punto l'orientamento giurisprudenziale secondo cui ai fini della configurabilità del reato di estorsione, il carattere minaccioso della condotta e la idoneità della stessa a coartare la volontà del soggetto passivo vanno valutate in relazione a concrete circostanze oggettive, non rendendosi necessario che si sia verificata l'effettiva intimidazione del soggetto stesso Cass. sez. 2, numero 36698 del 19/06/2012, Rv. 254048 . Pur non essendo necessaria la verifica della concreta efficacia intimidatoria della minaccia non può tuttavia negarsi che ogni volta, come nel caso di specie, tale evidenza sia disponibile, la stessa possa essere utilmente valutata per verificare l'esistenza della minaccia. L'effetto intimidatorio, pur non costituendo un elemento necessario per la configurazione della minaccia diventa cioè un elemento di prova utile per verificare in concreto l'esistenza di un comportamento qualificabile come minatorio. 2.1. Può dunque essere affermato che, per quanto il comportamento minatorio debba essere sempre valutato nella sua portata oggettiva a prescindere dalPefficacia dello stesso, che dipende dall'imponderabile livello di resilienza soggettiva della persona minacciata, tuttavia la prova degli esiti soggettivi della minaccia è valutabile per l'accertamento in concreto della condotta minatoria. 3. Anche le contestazioni relative all'elemento soggettivo devono essere respinte essendo emerso un comportamento minatorio finalizzato a farsi pagare il legale, in assenza di qualunque obbligo in tal senso dell'offeso si tratta di una azione pacificamente rivolta all'ottenimento di un ingiusto profitto, che non si presta in alcun modo ad essere inquadrata come richiesta di aiuto considerate le modalità violente con cui è stata posta in essere. 4. Ai sensi dell'articolo 616 cod. proc. penumero , con il provvedimento che rigetta il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.