La Corte di appello non ha alcun dubbio sulla credibilità della persona offesa, costituitasi parte civile, ma avrebbe dovuto valutare più approfonditamente l’attendibilità in generale delle dichiarazioni accusatorie.
Questo è quanto deciso dalla Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la sentenza numero 16177 depositata lo scorso 9 aprile. Il caso. Un ragazzo veniva condannato, in primo e secondo grado, alla pena di 4 anni e 4 mesi di reclusione oltre al risarcimento danni in favore della parte civile liquidato equitativamente in 70mila euro, per avere presso la propria abitazione, con violenza e minaccia, puntandole contro un coltello e colpendola alla nuca con il manico dello stesso, costretto una prostituta a subire 3 diversi rapporti sessuali. Il verdetto viene tuttavia ribaltato dalla Corte di Cassazione a cui l’imputato ha presentato ricorso. Il ragazzo aveva dato alla ragazza il numero di telefono, il nome e l’indirizzo. Gli Ermellini ritengono che la sentenza impugnata omette di compiere la necessaria rigorosa ed approfondita valutazione sulla credibilità delle dichiarazioni accusatorie della persona offesa costituitasi parte civile. La Corte territoriale, infatti, si è limitata ad osservare che, «poiché la credibilità della ragazza era fuori di dubbio e poiché la ragazza aveva raccontato che l’imputato l’aveva minacciata con il coltello sin dal primo momento in cui era entrata in casa», allora vi era senz’altro la prova che «tutti i rapporti sessuali, compreso quello iniziale pattuito, erano avvenuti senza il consenso» della donna, ma per la minaccia esercitata. I giudici avrebbero dovuto valutare l’attendibilità delle dichiarazioni. La sentenza impugnata viene invece annullata proprio perché – a parere della Cassazione – i giudici di secondo grado avrebbero dovuto valutare «l’attendibilità in generale delle dichiarazioni accusatorie anche tenendo conto di questo segmento del racconto».
Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 15 gennaio – 9 aprile 2013, numero 16177 Presidente Squassoni – Relatore Franco Svolgimento del processo Con la sentenza in epigrafe, la corte d'appello di Roma confermò la sentenza 17.5.2011 del Gup del tribunale di Roma, che aveva dichiarato D.S.G. colpevole del reato di cui all'articolo 609 bis cod. penumero , per avere con violenza e minaccia, puntandole contro un coltello e colpendola alla nuca col manico dello stesso, costretto E.B.C.J. a subire tre diversi rapporti sessuali per via vaginale, anale e orale e lo aveva condannato, con le attenuanti generiche equivalenti alla recidiva e la riduzione per il rito, alla pena di anni 4 e mesi 4 di reclusione oltre al risarcimento del danno in favore della parte civile liquidato equitativamente in Euro 70.000,00. L'imputato, a mezzo dell'avv. Giuseppe Campanelli, propone ricorso per cassazione deducendo 1 vizio di motivazione e violazione di legge in relazione all'articolo 609 bis cod. penumero ed agli articolo 3 e 111 Cost. e 6 Cedu. Lamenta che la corte d'appello ha omesso di motivare adeguatamente e congruamente sugli specifici punti di gravame ed in particolare di considerare la differenza tra le tre versioni del fatto narrate dalla persona offesa, viziate da lacunosità, inverosimiglianza e prive di consequenzialità. Lamenta che la corte non ha risposto alle eccezioni relative - alla differenza tra il racconto della persona offesa e quello dall'amica V. che l'aspettava per strada - al fatto che la donna avesse potuto sentire il suono del cellulare alla chiamata dell'amica e non lo avesse invece sentito l'imputato - al fatto che nessun condomino udì suonare il citofono - alle dichiarazioni della teste A. - all'assoluta assenza di abrasioni, lesioni, lividi, segni sul capo, nonostante il ritenuto rapporto anale violento e i ritenuti colpi col manico del coltello sulla nuca - al fatto che la visita ospedaliera non rilevò tracce della violenza né tracce di sperma - al fatto che il protettore O. non si sarebbe allontanato subito dalla zona, nonostante il timore di guai con la polizia - al fatto che la polizia non abbia rintracciato O. . Osserva poi che è contraddittoria l'affermazione secondo cui O. non fu in grado di impedire alla donna di chiamare la polizia tanto ella era sconvolta, senza considerare che non fu la persona offesa a chiamare la polizia ma una persona di passaggio. Deduce che la sentenza impugnata non ha fornito una motivazione sulle incongruenze della sentenza di primo grado evidenziate nell'atto di appello e si è limitata ad un generico richiamo alla prima decisione con asserzioni probabilistiche. 2 vizio di motivazione e violazione di legge in relazione alla mancata concessione della attenuante di cui all'articolo 609 bis, comma 3, cod. penumero ed alla eccepita mancanza di correlazione tra imputazione e sentenza ex articolo 521 cod. proc. penumero . Lamenta che su quest'ultimo punto, la corte d'appello non ha risposto alla relativa eccezione. La difesa aveva infatti sostenuto che l'aspetto penalmente rilevante riguardava solo la parte di condotta ulteriore ed eccedente rispetto a quella precedentemente pattuita per telefono. La stessa parte offesa sostiene che la violenza era consistita in quel più richiesto dall'imputato rispetto a quanto convenuto, ovvero la penetrazione anale e le minacce col coltello. Al contrario il capo di imputazione comprende anche la parte iniziale nei modi pattuiti. La corte d'appello ha frainteso l'eccezione ed ha erroneamente attribuito all'imputato un comportamento violento e prevaricatorio anche nella parte concordata del rapporto. Sul punto non è stata nemmeno confutata la tesi difensiva. 3 violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla mancata verifica della dedotta questione in punto di risarcimento del danno. Ricorda che coi motivi di appello aveva contestato l'eccessività della somma liquidata in via equitativa, mentre la corte non ha risposto nel merito limitandosi ad affermare che la liquidazione in via equitativa è consentita. Inoltre, anche la liquidazione equitativa deve essere sorretta da adeguata motivazione. Motivi della decisione Il ricorso è fondato, perché effettivamente la sentenza impugnata omette di compiere la necessaria rigorosa ed approfondita valutazione sulla credibilità delle dichiarazioni accusatorie della persona offesa costituitasi parte civile e, soprattutto, omette di rispondere alle diverse specifiche eccezioni proposte dalla difesa con l'atto di appello, limitandosi, in sostanza, a riportare gli argomenti del giudice di primo grado oggetto di censura, peraltro per la gran parte ripetendoli così come riassunti nella parte iniziale ed espositiva. Invero, il giudice di primo grado - ed allo stesso modo la sentenza di appello - hanno ritenuto che i fatti si fossero svolti esattamente come narrati dalla persona offesa, e che quindi la vicenda fosse stata la seguente. L'imputato, tramite un sito internet, aveva fissato con una prostituta un appuntamento a casa di lui per le sei del mattino, per la durata di mezz'ora al prezzo di Euro 100,00. La donna, C. , si recò all'indirizzo ricevuto con una amica, V. , e con il protettore, O. , che aspettarono per la strada. Appena entrata nell'appartamento, l'imputato le puntò contro un grosso coltello con la lama seghettata, si calò i pantaloni, la minacciò, le intimò di spogliarsi e infine la obbligò ad avere un rapporto sessuale completo. In seguito, l'imputato pretese un rapporto anale, la donna rifiutò, l'uomo la colpì ripetutamente al capo col manico del coltello, la persona offesa allora l'ingannò facendogli credere che il secondo rapporto era stato anale, quando l'uomo se ne rese conto si infuriò e la penetrò violentemente nell'ano con un dito. Nel frattempo l'imputato aveva continuato a minacciarla col coltello ad un certo punto la donna se ne impadronì ma l'uomo le si avventò contro e, dopo breve colluttazione, se ne impossessò di nuovo. Intanto, passata la mezz'ora, V. telefonò al cellulare di C. questa, mentre l'imputato le stava sopra sul letto, riuscì ad appoggiare il cellulare sul cuscino, a premere il tasto di risposta, e rivolse una frase all'uomo idonea a far capire all'amica la situazione. V. si preoccupò e suonò a tutti i citofoni del palazzo, senza avere risposta. L'imputato a questo punto pretese un rapporto orale sporcò la ragazza la ripulì con la carta igienica accesa la luce, la ragazza si rivestì dimenticando il reggiseno scese nella strada dove trovò l'amica e il protettore O. salì in macchina di questi che però la cacciò perché aveva vomitato si accorse che l'imputato era sceso anch'egli in strada per controllarla una passante chiamò la polizia O. poi le riferì che quando arrivò la polizia l'imputato era rientrato a casa infine andò al pronto soccorso. La difesa nel ricorso per cassazione ricorda che con i motivi di appello aveva eccepito che la ricostruzione dei fatti era chiaramente inverosimile e che pertanto le dichiarazioni della ragazza non erano attendibili e lamenta che la corte d'appello non ha in sostanza esaminato e dato risposta alle sue doglianze. Lamenta, in primo luogo, che illogicamente ed apoditticamente la corte d'appello ha respinto l'eccezione che la parte in precedenza concordata del rapporto non poteva essere compresa nella condotta criminosa, in quanto la violenza sessuale si sarebbe potuta eventualmente esplicare solo per la parte ulteriore rispetto a quella pattuita, ossia per la penetrazione anale e il rapporto orale. La corte d'appello ha respinto questa eccezione ed ha invece ritenuto che la violenza sessuale si era esplicata fin dall'inizio, non appena aperta la porta dell'appartamento, avendo l'imputato immediatamente iniziato a minacciare e a colpire la donna con il coltello. Sul punto, però, la motivazione è carente, apodittica e manifestamente illogica. Si era invero eccepito che era pacifico che l'imputato aveva dato alla ragazza non solo il suo numero di telefono, ma anche il nome e l'indirizzo, compreso il numero interno dell'appartamento, sicché era evidentemente consapevole che, in caso di aggressione, la persona offesa avrebbe potuto subito e senza difficoltà risalire a lui. Se quindi in astratto si sarebbe potuto ipotizzare che la vicenda fosse degenerata in un secondo momento a seguito della richiesta di prestazioni ulteriori non pattuite, era invece totalmente inverosimile pensare che l'imputato avesse aggredito la ragazza subito dopo avere aperto la porta, senza alcuna congrua e valida ragione. La corte d'appello ha risposto solo apparentemente a questa eccezione, dal momento che non ha cercato di spiegare il motivo di un comportamento altrimenti inverosimile, ma si è limitata ad osservare che, poiché la credibilità della ragazza era fuor di dubbio e poiché la ragazza aveva raccontato che l'imputato l'aveva minacciata con il coltello sin dal primo momento in cui era entrata in casa, allora vi era senz'altro la prova che tutti i rapporti sessuali, compreso quello iniziale e pattuito, erano avvenuti senza il suo consenso ma per la minaccia esercitata, e quindi tutti i rapporti integravano la violenza sessuale. Così facendo, però, la sentenza ha in modo manifestamente illogico invertito i termini del ragionamento. Infatti, ha dato per scontata la totale attendibilità - ritenuta sulla base di una valutazione generica e evidentemente non completa - del racconto della ragazza, e quindi ha ritenuto provate la minaccia e la violenza iniziali perché così la ragazza aveva dichiarato. Al contrario, la corte avrebbe dovuto valutare di per sé l'oggettiva attendibilità di questa parte del racconto, fornire una motivazione che desse un senso ed una spiegazione ad un comportamento altrimenti incomprensibile e poi valutare l'attendibilità in generale delle dichiarazioni accusatorie anche tenendo conto di questo segmento del racconto. La esatta ricostruzione di come si sia svolto l'incontro tra i due anche nella fase iniziale, quindi, è rilevante non solo per la delimitazione del comportamento integrante reato, per la qualificazione giuridica del fatto, per la dosimetria della pena, per l'entità del risarcimento, ma, preliminarmente e in via generale, anche per la necessaria approfondita valutazione della attendibilità dell'intero complesso delle dichiarazioni della persona offesa. La difesa ha poi eccepito il vizio di motivazione su una serie di punti, in ordine ai quali effettivamente la motivazione appare carente o manifestamente illogica. Possono a questo proposito ricordarsi i seguenti punti. Non è stato spiegato, e quindi non si riesce a comprendere, come la persona offesa abbia potuto udire il suono del cellulare e come invece non l'abbia udito l'imputato, che in quel momento le stava addosso sul letto, sicché la donna abbia potuto attivare il collegamento senza farsene accorgere dall'imputato, che altrimenti non lo avrebbe permesso e comunque avrebbe subito capito il reale senso della frase pronunciata. Non è stato spiegato come mai nessun condomino abbia sentito suonare il citofono quando V. li avrebbe chiamati tutti. Non si è poi tenuto conto che questa parte del racconto non ha avuto un riscontro oggettivo, sia pure per carenza nelle indagini. Quanto alla dichiarazione della vicina di piano di non aver sentito alcun rumore, la corte d'appello afferma che, avendo la persona offesa dichiarato di essersi comportata con l'imputato come se nulla fosse accaduto, era evidente che la stessa, nel fuggire lungo le scale, avesse fatto attenzione a non fare rumori particolari. Subito dopo, però, sostiene che la circostanza che l'imputato e il padre avessero fatto particolare attenzione nell'entrare e uscire di casa costituirebbe una mera supposizione difensiva, senza alcun riscontro probatorio. Giustamente il ricorrente lamenta, oltre la carenza motivazionale, la differenza interpretativa usata in ordine alle medesime evidenze probatorie, viste nell'ottica accusatoria e in quella difensiva. La persona offesa ha dichiarato che era abituata a non avere mai rapporti anali, che per questo motivo aveva respinto la pretesa dell'imputato, che questi per reazione la aveva violentemente penetrata con un dito. Stando così le cose, non è stato spiegato come sia possibile che poi stessa alla persona offesa non siano state riscontrate lesioni nella zona anale, pur essendo stata sottoposta nel pronto soccorso a visita medica e ginecologica avendo raccontato la violenza sessuale subita. Non è rimasto chiaro quale sia stata la presenza ed il comportamento del protettore O. , e del perché questi, dopo aver cacciato C. dalla macchina, non si sia allontanato ma sia rimasto sul posto tanto da vedere l'imputato rientrare in casa prima dell'arrivo della polizia e nemmeno è stata valutata la circostanza che la polizia non abbia mai rintracciato ed interrogato questo soggetto. Si è affermato che non era plausibile che chi esercita attività di prostituzione potesse, per soli 100 Euro, esporsi al fastidio di rapporti con la polizia sollecitandone l'intervento, ma poi si asserisce che l'intervento della polizia non era stato chiesto dalla persona offesa, ma da una passante. La sentenza impugnata, poi, ha attribuito valore di rilevante riscontro alle dichiarazioni accusatorie alla inverosimiglianza della giustificazione data dall'imputato alla sua uscita di casa subito dopo che la ragazza era andata via. La motivazione sul punto è però apodittica perché la eventuale finalità di rendersi conto delle intenzioni della ragazza potrebbe conciliarsi anche con la versione dell'imputato, secondo cui la ragazza uscendo lo avrebbe minacciato di ritorsioni per non avere accettato di pagare una somma maggiore. In realtà, tutta la motivazione della sentenza impugnata si basa, come e-splicitamente riconosciuto, unicamente sulle dichiarazioni della persona offesa ritenute in toto credibili e veritiere. Questo giudizio di piena attendibilità, però, presupponeva, come costantemente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, una previa approfondita e rigorosa analisi e valutazione della attendibilità delle sue dichiarazioni, sia soggettiva sia oggettiva, considerando globalmente la vicenda narrata nella sua interezza e fornendo a tal fine una congrua ed a-deguata motivazione. Questa valutazione è però mancata, perché il giudizio di attendibilità si basa nella sentenza impugnata su una motivazione generica e di stile, che si risolve sostanzialmente nella affermazione che la narrazione è attendibile perché precisa e circostanziata, senza esaminare l'attendibilità oggettiva della vicenda nel suo complesso. La sentenza impugnata va dunque annullata con rinvio ad altra sezione della corte d'appello di Roma per nuovo esame. Gli altri motivi restano assorbiti, ma non preclusi. È peraltro opportuno rilevare che è fondato anche il terzo motivo di ricorso relativo alla quantificazione del danno in via equitativa. Con l'appello l'imputato aveva eccepito la eccezionale eccessività della somma liquidata in via equitativa senza una adeguata e congrua motivazione. La corte d'appello in pratica non ha risposto a questa specifica eccezione, ma si è limitata ad affermare la legittimità di una valutazione equitativa quando manchino componenti patrimoniali suscettibili di una precisa determinazione. La motivazione è dunque manifestamente illogica, perché confonde in sostanza una liquidazione equitativa con una liquidazione arbitraria, mentre anche una liquidazione equitativa richiede una motivazione congrua ed adeguata sui parametri adottati, che dia il senso dell'iter logico argomentativo seguito dal giudice. Pertanto, sul rigetto dello specifico motivo di appello che lamentava l'eccezionale entità della liquidazione del danno, nella sentenza impugnata manca totalmente una motivazione. P.Q.M. La Corte Suprema di Cassazione annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della corte d'appello di Roma.