di Donato Palombella
di Donato Palombella *La piscina è una costruzione edilizia? I rapporti di vicinato, fin troppo spesso, sono tesi e diventano fonti di discussioni insanabili destinate a sfociare nelle aule di giustizia. Questa volta si discute di una possibile violazione in materia di distanze tra edifici. A questa punto la domanda sorge spontanea cosa deve intendersi per costruzione ? Al quesito ha risposto la seconda Sezione civile della Corte di Cassazione con la sentenza numero 13389/2011, depositata in cancelleria il successivo 17 giugno 2011.Il caso. Tutto nasce dalla solita lite tra vicini. Ma questa volta il confinante sembra averla fatta grossa. In parole povere, ha realizzato una piscina ma, invece di procedere allo scavo nella sua proprietà, ha ritenuto più semplice alzare un muro di contenimento, effettuare un riempimento e, al suo interno, posizionato piscina. Ciò ha scatenato le ire del confinante secondo il quale la realizzazione del terrapieno e della relativa piscina dovrebbe essere considerata come una costruzione in senso tecnico la cui realizzazione sarebbe stata effettuata in aperta violazione delle norme in materia di distanze dettate sia dal codice civile articolo 873 che del regolamento comunale.A questo punto, occorre introdurre una parentesi. Il richiamato articolo 873 del codice civile, intitolato Distanze nelle costruzioni , stabilisce, testualmente, che Le costruzioni su fondi finitimi, se non sono unite o aderenti, devono essere tenute a distanza non minore di tre metri. Nei regolamenti locali può essere stabilita una distanza maggiore .Si invoca l'applicabilità dei più severi regolamenti comunali. Nel caso in esame il ricorrente non si limita a lamentare la violazione delle distanze ma ritiene applicabile il regolamento comunale. Quest'ultimo, in maniera molto più severa e restrittiva rispetto alle norme codicistiche, prescrive che la costruzione debba mantenersi ad una distanza di 5 metri dal confine. La norma invocata risulterebbe molto più restrittiva di quella civilistica sotto un duplice profilo. Non solo imporrebbe una maggiore distanza cinque metri in luogo dei due ma, cosa ben più grave, verrebbe ad incidere sulle modalità con cui dovrebbe essere conteggiata la distanza non in relazione ai corpi di fabbrica esistenti, bensì in relazione al confine!Ma la norma di tutela è applicabile solo se il terrapieno è una costruzione. Il Tribunale, ritenendo che il denunciato innalzamento del terreno sia di soli 45 cm, e, come tale, ininfluente ai fini della idoneità a pregiudicare l'apporto di aria e luce al fondo del vicino, ritiene che la realizzazione del terrapieno - nonché del relativo riempimento - non debba essere qualificato come una costruzione . Partendo da tale premessa, il Tribunale rigetta la domanda. Per quale motivo? Per un problema di ordine logico mancando la costruzione , non può essere neanche ipotizzata la violazione della norma in materia di distanze.Infatti viene considerato costruzione edilizia La Corte di Appello ribalta totalmente l'esito del giudizio. In primo luogo viene accertato un innalzamento del terreno, rispetto alla quota preesistente, di 70-80 cm. La prospettiva, a questo punto, cambia interamente e il terrapieno assume la configurazione di una costruzione con quanto ne consegue. Non solo scatta l'applicazione delle norme in materia di tutela delle distanze, ma la Corte territoriale ritiene applicabile la norma più restrittiva contenuta nel regolamento comunale con la conseguenza che viene ordinato un arretramento fino alla distanza di 5 metri .anche dalla Cassazione. La controversia, a questo punto, si trasferisce in Cassazione. Secondo gli Ermellini, la realizzazione del terrapieno destinato a contenere la piscina, deve essere qualificato come una costruzione con tutte le conseguenze del caso. Piazza Cavour fornisce una interpretazione del concetto di costruzione oltremodo estesa anche se certamente condivisibile. Essa non verrebbe a coincidere con il concetto di edificio bensì avrebbe un contenuto molto più ampio e diverso. Ai fini della determinazione delle distanze, spiega la Cassazione, il concetto di costruzione viene sostanzialmente a coincidere con quello di manufatto non completamente interrato che abbia i caratteri della solidità, stabilità, ed immobilizzazione al suolo . Sotto tale profilo, quindi, qualsiasi struttura appoggiata, incorporata o collegata in maniera stabile ad un corpo di fabbrica preesistente - ovvero al suolo - sarebbe da qualificare come costruzione . Sarebbe irrilevante, invece, il livello di posa o l'elevazione dell'opera.Il codice civile viene integrato dai regolamenti comunali. La Cassazione affronta anche un ulteriore problema ovvero il rapporto o meglio, l'eventuale contrasto intercorrente tra le norme codicistiche e quelle contenute dei regolamenti locali. Sotto questo profilo, la Cassazione ha sottolineato la validità delle norme regolamentari, anche se, come nel caso in esame, evidentemente più restrittive rispetto a quelle contenute nel codice civile. Quest'ultimo, in definitiva, verrebbe integrato dai regolamenti locali. Occorre tener presente che il regolamento comunale risponde proprio all'esigenza di integrare le norme civilistiche adeguandole al contesto territoriale in cui trovano concreta applicazione.Vi è violazione delle norme paesaggistiche? Fin qui l'aspetto civilistico. Ma quale sarà quello urbanistico? Il Consiglio di Stato sent. numero 371 del 19 gennaio 2011 , ha affrontato due problemi tra loro correlati le volumetrie realizzate e l'incidenza dell'opera sotto il profilo della possibile violazione delle norme paesaggistiche. In relazione alle volumetrie, il Giudice Amministrativo ha ritenuto che la realizzazione di una piscina non sia tale da incidere sul conteggio dei volumi almeno limitatamente a quelli realizzati entroterra . Si tratterebbe di opere costruite al di sotto del piano campagna ovvero della c.d. quota zero che, come tali, non sviluppano alcuna cubatura quantomeno sotto il profilo del calcolo delle volumetrie urbanistiche.Consiglio di Stato, Soprintendenza e Cassazione la piscina è una costruzione . Nel caso in esame Piazza Capo di Ferro ha fatto propria la tesi della Soprintendenza. Quest'ultima aveva chiesto di revocare l'autorizzazione paesaggistica rilasciata dall'amministrazione comunale, in quanto la piscina doveva essere considerata alla stregua di un qualsiasi manufatto, a prescindere dalla circostanza che essa non avrebbe costituito volumetria urbanisticamente rilevante. Consiglio di Stato, Soprintendenza e Cassazione, quindi, sono concordi tra loro la realizzazione di una piscina deve essere intesa come una vera e propria costruzione, a prescindere che venga realizzata prevalentemente entroterra. Ciò comporta l'obbligo del preventivo rilascio dell'autorizzazione paesaggistica. Tale autorizzazione servirebbe ad effettuare una valutazione ex ante sulla possibile incidenza del manufatto da realizzare sul territorio. La decisione si basa su una semplice considerazione di fatto l'opera è effettivamente capace di modificare il territorio, basti pensare agli indici di permeabilità o di copertura.Ma il permesso a costruire non sempre è necessario. Ancora il Consiglio di Stato, questa volta con una sentenza più datata, dell'8 agosto 2006 numero 4780, pronunciata in riforma della decisione resa dal TAR Veneto il 17 gennaio 2005 numero 94. Nell'occasione, il Giudice di appello ha ritenuto che la piscina interrata debba essere considerata, a tutti gli effetti, come una vera e propria costruzione edilizia . Unica concessione, la piscina potrebbe essere qualificata come una pertinenza della costruzione principale. Bene inteso a una condizione che essa venga realizzata all'interno della proprietà privata allo scopo esclusivo di essere a servizio degli abitanti. In questo caso - trattandosi di pertinenza - il manufatto non verrebbe qualificato come una nuova opera articolo 3, comma 1, lett. e , del d.p.r. numero 380/2001 - Testo Unico dell'Edilizia bensì come un semplice accessorio, un bene pertinenziale a servizio di quello principale. Ovviamente, qualora la piscina non fosse realizzata allo scopo di soddisfare le necessità degli utilizzatori del bene principale ma fosse, per esempio, aperta al pubblico, verrebbe a mancare il rapporto di pertinenzialità, con quanto ne consegue.* Giurista d'impresa
Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 28 aprile - 17 giugno 2011, numero 13389Presidente Oddo - Relatore MigliucciSvolgimento del processoH K., proprietario della p.f. 27/7 e della p.ed. 1828 in P.T. 1281/11 C.C. Dodiciville, conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Bolzano H M., proprietaria delle confinanti p.f. 27/6 e p.ed. 1789 in P.T. 1275/11 C.C. Dodiciville, deducendo che nell'anno 1997 la convenuta avrebbe realizzato una piscina sulla p.f. 27/6 nella zona confinante con la p.f. 27/7 di proprietà dell'istante, eseguendo lavori di movimentazione della terra di considerevoli dimensioni ed elevando notevolmente il livello del piano di campagna sul confine con la p.f. 34/1 C.C. Dodiciville di proprietà di un'altra vicina, Do Me., sarebbe stato costruito un muro di sostegno, mentre sul confine con il fondo della parte attrice la parete del garage sarebbe stata in parte usata come muro di sostegno e, per la rimanente parte, sarebbe stata realizzata una scarpata sia l'innalzamento del terreno che la piscina violerebbero le distanze minime di 10 m tra le costruzioni e di 5 m dal confine del fondo previste dalle norme di attuazione del piano urbanistico del Comune di Bolzano, nonché la distanza minima di 5 m dal confine pattuita contrattualmente dai predecessori delle parti nel contratto di compravendita dd. 21.7.1950. Pertanto, l'attore chiedeva la qualificazione dell'innalzamento del terreno intrapreso dalla convenuta, comprensivo di piscina, come costruzione ai sensi dell'articolo 873 c.c., l'accertamento dell'illiceità dei lavori di costruzione in conseguenza della violazione delle distanze e la condanna al ripristino dei luoghi.La convenuta, costituendosi in giudizio, chiedeva il rigetto della domanda e, in via riconvenzionale, instava per l'accertamento della comunione di quella parte del muro del garage dell'attore su cui appoggerebbe l'innalzamento del terreno. Con sentenza numero 575/03 il Tribunale rigettava la domanda proposta dall'attore, ritenendo che l'innalzamento del terreno - accertato in cm. 45 - non poteva essere qualificato come costruzione per la esiguità e la inidoneità a pregiudicare l'apporto di aria e luce.Con sentenza non definitiva del 30 giugno 2004 la Corte di appello di Trento sez. distaccata di Bolzano, in riforma della decisione impugnata dall'attore, accoglieva la domanda, peraltro condannando la convenuta a rimuovere e abbassare di 70 cm. le costruzioni realizzate nella zona di confine a ovest del garage fino a una distanza di 5 metri dal confine, mentre era ritenuta legittima la costruzione realizzata in appoggio sul muro a nord del garage del'attore, ai sensi dell'articolo 874 c.comma la cui disciplina trovava applicazione in virtù del richiamo di cui all'articolo 3 lett. h norme di attuazione del piano urbanistico del Comune di Bolzano.Con separata ordinanza era disposta la prosecuzione del giudizio per la determinazione dell'indennità ex articolo 874 c.comma che era stabilita con la sentenza definitiva numero 157/05 la quale regolava le spese del giudizio che per i 3/4 erano poste a carico della convenuta e per il residuo erano compensate. Con la sentenza non definitiva i Giudici di appello ritenevano che l'innalzamento artificiale del terreno realizzato per la costruzione della piscina in esso interrata e del pozzo per il contenimento della copertura della piscina erano da considerarsi costruzioni, dovendo ritenersi accertato in base ai rilevi compiuti dal consulente, che - seppure non potesse essere determinato l'originario piano l'innalzamento artificiale del terreno fosse da determinarsi in 70-80 cm. il che comportava la violazione della distanza di metri cinque dal confine prescritta dalle norme di attuazione dello strumento urbanistico vigente nella zona B5, in cui erano ubicati gli immobili in questione, dovendo al riguardo considerarsi il carattere vincolante delle norme dei regolamenti locali che hanno lo scopo non tanto di evitare intercapedini dannose quanto piuttosto di garantire un regolare sviluppo urbanistico, mentre nessuna rilevanza poteva attribuirsi a quanto previsto dalla circolare dell'Ufficio degli affari legali dell'urbanistica della Provincia Autonoma di Bolzano sui limiti del rispetto delle distanze, trattandosi di un atto di amministrazione interna privo di effetti immediati nei rapporti civilistici.Avverso le predette decisioni propone ricorso per cassazione M.H. sulla base di quattro motivi.Resiste con controricorso l'intimato proponendo ricorso incidentale condizionato affidato a un unico motivo, illustrato da memoria.La M. ha proposto controricorso al ricorso incidentale.Motivi della decisionePreliminarmente il ricorso principale e quello incidentale vanno riuniti, ex articolo 335 c.p.c., perché sono stati proposti avverso la stessa sentenza. Con il primo motivo la ricorrente, lamentando insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia nonché violazione e falsa applicazione degli articolo 2697,2729 e 873 c.comma e della circolare dell'ufficio degli affari legali dell'urbanistica della Provincia Autonoma di Bolzano del 30-3-1994, censura la decisione gravata laddove aveva ritenuto provato nella misura di 70-80 l'innalzamento del terreno la motivazione della sentenza si basava su una mera presupposizione formulata dal consulente tecnico d'ufficio, non tenendo conto di quanto rilevato dallo stesso ctu e dal consulente di parte M., secondo i quali i rilievi del sopralluogo corrispondevano al progetto concessionato, atteso che il livello del piano di campagna accertato era identico a quello del progetto ed era risultato pari a 45 cm. mentre del tutto irrilevante nella presente causa era l'altezza del muro di sostegno fra il confine M. / Me Doveva trovare applicazione la circolare della Provincia Autonoma di Bolzano del 30-3-1994, secondo cui non costituiscono costruzioni gli innalzamenti di terreno se realizzati, come nella specie, con un angolo di scarpata inferiore a 45^ si trattava di modestissima opera che non poteva qualificarsi come costruzione. Il motivo è infondato In primo luogo, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente la sentenza non ha dato per presupposta la circostanza relativa all'innalzamento del terreno pari a 70.80 cm. ma è pervenuta a tale conclusione a seguito della valutazione di una serie di dati obbiettivi acquisiti, indicando gli elementi in base ai quali ha fondato il convincimento in ordine alla misura dell'innalzamento artificiale del terreno al riguardo, ha verificato che per il sostegno del rialzo del terreno rispetto alla particolo f. 34/1 situata nella proprietà della vicina Me. , era stato costruito un muro di sostegno di cm.70-80, che prima dell'innalzamento del terreno il muro del garage sul lato nord era incontestabilmente libero e che il vecchio muretto di recinzione basato su degli zoccoli - che sul lato ovest è collegato al muro del garage e si estende lungo il confine tra la due pp. ff. 27/6 e 27/7 -, è alto solo pochi centimetri. Se il riferimento all'altezza del muro del confine con la proprietà della vicina era correttamente compiuto al limitato fine di acquisire un elemento presuntivo volto a verificare l'altezza del terreno riportato dalla convenuta per realizzare la piscina, qui occorre sottolineare che il procedimento logico giuridico seguito dalla sentenza impugnata è immune da vizi, dovendo ricordarsi che con riferimento al vizio di motivazione, è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione con il quale la sentenza impugnata venga censurata ai sensi dell'articolo 360 numero 5 c.p.c., qualora esso intenda far valere la rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice al diverso convincimento soggettivo della parte e, in particolare, prospetti un preteso migliore e più appagante coordinamento dei dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all'ambito di discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell'apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi del percorso formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi della disposizione citata. In caso contrario, infatti, tale motivo di ricorso si risolverebbe in una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito, e perciò in una richiesta diretta all'ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di cassazione Cass. 67394/2010 .Nella specie, le doglianze si risolvono nella censura della valutazione del valore probatorio degli elementi presuntivi in base ai quali la ricorrente formula una ricostruzione di fatti difforme da quella accolta dalla sentenza impugnata.Per quel che poi concerne l'omesso esame di quanto avrebbero rilevato il consulente tecnico e quello di parte, il motivo difetta di autosufficienza, dovendo qui ancora ricordarsi che in relazione al vizio di motivazione per omesso esame di un documento, di una prova o della consulenza tecnica d'ufficio o di parte, il ricorrente ha l'onere, a pena di inammissibilità del motivo di censura, di riprodurre nel ricorso, in osservanza del principio di autosufficienza del medesimo, il documento o la prova nella sua integrità ovvero i passi salienti della consulenza tecnica in modo da consentire alla Corte, che non ha accesso diretto agli atti del giudizio di merito, di verificare la decisività della censura Cass. 14973/2006 12984/2006 7610/2006 10576/2003 , tenuto conto che in proposito occorre dimostrare la certezza e non la probabilità che, ove essi fossero stati presi in considerazione, la decisione sarebbe stata diversa tale onere nella specie non è stato ottemperato dalla ricorrente. E, avendo verificato che - realizzato il rialzo del terreno - in esso era stata poi interrata la piscina e su di esso costruito altresì il pozzo per il contenimento della copertura della piscina, la sentenza ha correttamente qualificato come costruzione, secondo la previsione di cui all'articolo 873 cod. civ., le opere realizzate dalla convenuta a stregua della consolidata giurisprudenza di legittimità, atteso che ai fini dell'osservanza delle norme sulle distanze legali di origine codicistica o prescritte dagli strumenti urbanistici in funzione integrativa della disciplina privatistica, la nozione di costruzione non si identifica con quella di edificio ma si estende a qualsiasi manufatto non completamente interrato che abbia i caratteri della solidità, stabilità, ed immobilizzazione al suolo, anche mediante appoggio, incorporazione o collegamento fisso ad un corpo di fabbrica preesistente o contestualmente realizzato, indipendentemente dal livello di posa e di elevazione dell'opera.Infine,va considerato che le circolari amministrative, costituendo espressione della potestà di indirizzare e disciplinare in modo uniforme l'attività dell'Amministrazione, non sono fonte di diritto né hanno alcuna efficacia nell'interpretazione della legge.Con il secondo motivo la ricorrente,lamentando violazione e falsa applicazione di norme di diritto e in specie degli articolo 872 comma secondo e 873 c.c., censura la sentenza laddove aveva ritenuto l'applicabilità delle norme citate anche quando, come nella specie, non siano create intercapedini dannose, tenuto conto che la finalità perseguita dall'articolo 873 c.comma è quella di impedire che si formino e il giudice deve verificarne l'esistenza nella specie non potevano trovare applicazione l'articolo 873 c.comma né tanto meno l'articolo 872 c.c., perché le opere realizzate non erano suscettibili di creare intercapedini dannose.Con il terzo motivo la ricorrente,lamentando violazione e falsa applicazione di norme di diritto e in specie degli articolo 872 comma secondo, 873 c.comma 17 lett. d disposizioni di attuazione del p.u.comma di Bolzano, pubblicate nel B.U. Regione Trentino Alto Adige del 30-5-1995, articolo 16 lett.d disposizioni di attuazione del p.u.comma di Bolzano, pubblicate nel B.U. Regione Trentino Alto Adige del 1-8-200,deduce che le norme dei regolamenti locali che stabiliscono le distanze delle costruzioni dal confine per finalità diverse da quelle di tutela dell'igiene, della salubrità e della sicurezza non legittimano la tutela ripristinatoria in quanto non sono integrative delle disposizioni civilistiche che prevedono esclusivamente le distanze fra le costruzioni.Il secondo e il terzo motivo - che, per la stretta connessione, possono essere esaminati congiuntamente - sono infondati.La sentenza ha correttamente ritenuto la violazione delle distanze legali prescritte dallo strumento urbanistico, indipendentemente dalla creazione di intercapedini dannose. Ed invero, va osservato che le norme dei regolamenti locali che prescrivono nelle costruzioni distanze maggiori di quelle previste dal codice civile fissandole in relazione al confine, anziché direttamente fra le costruzioni medesime, hanno anche esse carattere integrativo della disciplina del codice civile, con la conseguenza che la loro violazione da diritto a pretendere la riduzione in pristino, oltre al risarcimento dei danni Cass. 8848/2004 14351/2000 d'altra parte, in considerazione delle finalità di natura pubblicistica al riguardo perseguite dal legislatore, il giudice non ha alcun margine di accertamento e di valutazione in ordine ai pregiudizi determinati dalla violazione delle relative disposizioni e, in particolare, alla formazione di eventuali intercapedini pericolose o dannose , cfr. Cass. 213/2006 25225/2006 8023/1999.Il quarto motivo violazione e falsa applicazione di norme di diritto e in specie dell'articolo 92 secondo comma c.p.comma nonché insufficiente motivazione denuncia la mancata compensazione delle spese processuali quando, mentre era stata accolta la domanda riconvenzionale, la domanda di riduzione in pristino proposta dall'attore era stata accolta soltanto in parte.Il motivo è infondato.Occorre premettere che la scelta di compensare o meno le spese processuali è rimessa al prudente e motivato apprezzamento del giudice, il quale in materia di regolamento delle spese processuali incontra, ai sensi dell'articolo 91 cod. procomma civ. soltanto il divieto di porle a carico della parte integralmente vittoriosa nella specie, in cui peraltro non sono stati denunciati specifici profili di violazione di legge, la sentenza ha proceduto alla condanna della parte sostanzialmente soccombente ai 3/4 delle spese, essendo stata accertata la denunciata illegittimità delle opere realizzate.Il ricorso principale va rigettato, mentre è assorbito l'incidentale condizionato.Le spese della presente fase vanno poste in solido a carico della ricorrente, risultata soccombente.P.Q.M.Riunisce i ricorsi, rigetta quello principale assorbito l'incidentale.Condanna la ricorrente al pagamento in favore del resistente delle spese relative alla presente fase che liquida in Euro 3.700,00 di cui Euro 200,00 per esborsi ed Euro 3.500,00 per onorari di avvocato oltre spese generali ed accessori di legge.