Risulta decisivo inquadrare l’episodio, ossia una lite verbale, in un palazzo, relativamente alla gestione degli spazi di accesso ai garage. Così la frase incriminata, “Vivi a scrocco di tua madre”, viene ridimensionata, e letta come semplice reazione.
La si potrebbe definire versione politically uncorrect del famigerato termine ‘bamboccione’, usato e abusato e adesso ‘diluito’ in un concetto più articolato «Vivi a scrocco di tua madre». Proprio questa frase – politically uncorrect, per l’appunto –, seppur potenzialmente offensiva, non necessariamente porta alla ingiuria è necessario contestualizzare, sempre Cassazione, sentenza numero 39979/2012, Quinta Sezione Penale, depositata oggi . Valenza relativa? Scenario è una piccola diatriba condominiale. Argomento, come spesso succede la momentanea gestione degli spazi per il parcheggio. A causare lo scontro il presunto blocco – ai danni della persona offesa – all’ingresso nel garage, blocco causato dall’automobile di uno degli ospiti dell’inquilino dalla ‘lingua tagliente’ Lo scontro, puramente verbale, si sublima nella frase «Tu non sei nessuno, vivi a scrocco di tua madre». Che per la persona così raffigurata rappresenta una offesa vera e propria. Ma questa visione viene smentita sia dal Giudice di Pace che dal Tribunale Dipende dal contesto Questione chiusa? Assolutamente no. Così si arriva in Cassazione a proporre ricorso è la persona che si ritiene offesa, e che sostiene la tesi secondo cui la frase ‘incriminata’ è «oggettivamente offensiva, in qualsiasi contesto venga utilizzata». Da rimettere in discussione, quindi, le valutazioni compiute in secondo grado? Anche la risposta dei giudici di Cassazione è negativa. Certo, viene riconosciuto, con la frase «Tu non sei nessuno, vivi a scrocco di tua madre» si attribuisce «uno stile di vita poco commendevole», ma questa valenza viene azzerata alla luce del contesto. Perché, viene chiarito, non vi era alcuna «intenzione di offendere gratuitamente» – logica, quindi, la conferma del pronunciamento del Tribunale –, piuttosto quelle parole, seppur poco gradevoli, erano legittimate come «reazione» a una pretesa condominiale della persona ritenutasi offesa, pretesa rivelatasi, per giunta, assolutamente infondata.
Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 21 giugno – 9 ottobre 2012, numero 39979 Presidente Zecca – Relatore Guardiano Ritenuto in fatto Con sentenza pronunciata il 28.3.2011 il tribunale di Torino in composizione monocratica, in qualità di giudice di appello, confermava la sentenza con cui il giudice di pace di Torino, in data 11.12.2009 assolveva J.G.P.A. dal reato di cui all’articolo 594, c.p., commesso in danno di V.A., perché il fatto non costituisce reato, condannando la parte civile costituita al pagamento delle spese del procedimento relativamente al grado di giudizio. Ha proposto ricorso la parte civile V.A., lamentando l’inosservanza della legge penale, nonché la contraddittorietà e la illogicità della motivazione, in quanto il giudice di secondo grado da un lato non ha tenuto conto che l’espressione utilizzata dall’imputato nei confronti del V. “tu non sei nessuno vivi a scrocco di tua madre” deve ritenersi oggettivamente offensiva in qualsiasi contesto venga utilizzata, dall’altro non ha spiegato per quale ragione il contesto in cui l’espressione stessa e stata utilizzata ne avrebbe fatto venir meno la natura offensiva, contraddicendo in tal modo proprio i principi affermati dal Supremo Collegio nel precedente giurisprudenziale al quale il giudice di secondo grado ha affermato di uniformarsi, mandando assolto l’imputato. Considerato in diritto Il ricorso non appare fondato e, quindi, non può essere accolto. II Tribunale di Torino, con motivazione approfondita e immune da vizi logici, ha ritenuto che l’espressione adoperata dal J. nei confronti del V.A., attribuendogli uno stile di vita poco commendevole, sia priva di reale valenza offensiva e non sorretta dalla intenzione di offendere gratuitamente la persona offesa, in considerazione del contesto in cui è stata pronunciata, che consente di qualificarla, piuttosto, come una reazione alla pretesa del V. che l’imputato spostasse l’autovettura di uno dei suoi ospiti per consentire alla parte civile l’accesso al suo garage, rivelatasi del tutto infondata, in quanto, come accertato dalla polizia giudiziaria intervenuta sul posto su richiesta dello stesso V., la suddetta vettura non impediva a quest’ultimo di entrare nel cortile per accedere al suo garage, non ostruendo il passo carrabile cfr. pagg. 2 e 3 dell’impugnata sentenza . Ciò appare assolutamente conforme alla elaborazione della giurisprudenza di legittimità al riguardo, secondo la quale in tema di tutela penale dell’onore, la valenza offensiva di una determinata espressione, per essere esclusa o comunque scriminata con il riconoscimento di una causa di non punibilità, deve essere riferita al contesto nel quale è stata pronunciata. Nella fattispecie, la Corte ha escluso la configurabilità del reato di ingiuria nel caso in cui l’imputato aveva detto ad agenti della polizia di Stato che non erano in grado di fare il loro -mestiere e non erano riusciti a rimediare al disagio segnalato poiché tali espressioni andavano inserite in un contesto nel quale il soggetto agente lamentava di non essere tutelato dalle istituzioni cfr., Cass., sez. V, 30.6.2011, numero 32907, D. e altro, rv. 250941, nonché, nello stesso senso, Cass., sez. V, 16.6.2011, numero 38297, D.S.F. Cass., Sez. V, 2.7.2010, numero 30956, C., rv 247972 . Sulla base delle svolte considerazioni il ricorso proposto nell’interesse di V.A. va, dunque, rigettato, ai sensi dell’articolo 615, co. 2, c.p.p., con condanna del ricorrente, giusto il disposto dell’articolo 616, c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento. P.Q.M. rigetta il ricorso e condanna i ricorrente al pagamento delle spese processuali.