Franchising, solo la forma scritta può risolvere il contratto

di Francesco Mandalari e Alessandro Gallo

di Francesco Mandalari * e Alessandro Gallo **L'inedita sentenza in commento rappresenta una delle prime pronunce sull'applicazione della Legge numero 129/2004 testo normativo fondamentale in materia di affiliazione commerciale o franchising ed è interessante perché puntualizza alcuni principi generali in materia.E' tuttavia opportuna una breve premessa sul fenomeno contrattuale.Il contratto di affiliazione commerciale. La disciplina organica della materia è contenuta nella Legge speciale numero 129/2004, che all'art.1 individua nel contratto di affiliazione commerciale quel particolare negozio giuridico in base al quale una parte concede la disponibilità all'altra, verso corrispettivo, di un insieme di diritti di proprietà industriale o intellettuale relativi a marchi, denominazioni commerciali, insegne, modelli di utilità, disegni, diritti di autore, assistenza o consulenza tecnica e commerciale, inserendo l'affiliato in un sistema costituito da una pluralità di affiliati distribuiti sul territorio, allo scopo di commercializzare determinati beni o servizi .Il contratto di affiliazione commerciale o franchising comprende, quindi, un insieme di diritti ed obblighi, anche di carattere immateriale, che non si limitano al solo uso di un determinato marchio, ma si caratterizzano per il fatto di dar vita ad un sistema ovvero una rete di relazioni commerciali tra le parti del rapporto stesso, che comprende una varietà di diritti, obblighi e facoltà, che vanno dall'assistenza alla consulenza commerciale, alla facoltà di usare i segni distintivi dell'affiliante, etc.E' stato infatti affermato in giurisprudenza che il franchising è un sistema di collaborazione fra un produttore/venditore di beni franchisor ed un distributore franchisee , giuridicamente ed economicamente indipendenti l'uno dall'altro, ma vincolati da un ben preciso accordo commerciale in forza del quale il primo concede al secondo la facoltà di entrare a far parte della sua catena distributiva con diritto di sfruttarne, a determinate condizioni onerose, marchi, nome e insegna, obbligandosi a rifornirlo, mentre il secondo si obbliga a propria volta a confermarsi ad una serie di comportamenti prefissati cfr. Corte di Appello di Milano, 18.11.2003, in Dir. e prat. soc., 2004, 20, 73, con nota di Amabili .Più in particolare, nel caso di un contratto di franchising c.d. di servizi o distributivo - come quello esaminato nella pronuncia in commento - il rapporto negoziale non si esaurisce nella mera concessione dell'uso del marchio, ma comprende anche la trasmissione di quel know-how facente capo all'affiliante, consistente nel patrimonio di conoscenze pratiche anche non brevettate derivanti da esperienze e prove eseguite da quest'ultimo, ovverosia da quella formula commerciale che l'affiliante deve aver già sperimentato con successo cfr. art.3, comma 2, della Legge numero 129/2004, che prevede l'obbligo dell'affiliante di sperimentare la formula commerciale preventivamente alla costituzione del rapporto di affiliazione e che è stata trasmessa all'affiliato attraverso il rapporto negoziale tra di essi sorto.Con la ovvia conseguenza che il venir meno, per l'affiliato, della possibilità di continuare a sfruttare quella formula commerciale e la stessa notorietà del franchisor elimina un elemento essenziale del contratto, che genera in re ipsa un danno, visto che l'affiliato ha votato completamente la sua attività imprenditoriale nel rapporto con l'affiliante e naturalmente, ove tutto ciò sia una conseguenza del comportamento illecito, spontaneo e volontario dell'affiliante, il relativo danno è da iimputare esclusivamente a quest'ultimo, che è tenuto a risarcirlo in ogni sua componente.Com'è facilmente intuibile, un elemento fondamentale del rapporto è proprio la durata contrattuale.A tal fine va richiamato l'art.3, comma 3 della Legge numero 129/2004 che, recependo le indicazioni provenienti dalla dottrina, ha introdotto un principio di carattere generale valevole per ogni rapporto di franchising e stabilito una durata minima legale di tre anni.L'esistenza di una durata minima legale di tre anni - seppur derogabile per espresso accordo delle parti - consente all'affiliato franchisee di usufruire di un periodo minimo entro il quale quest'ultimo potrà beneficiare del rapporto con il franchisor, al duplice scopo, da un lato, di realizzare quei profitti che consentono di ammortizzare i costi e le spese c.d. di entrata e/o di start up che normalmente si affrontano quando si costituisce quel rapporto di affiliazione commerciale che prende il nome, appunto, di franchising, e, dall'altro lato, di ottenere tutti quei vantaggi, patrimoniali e di immagine, che derivano dall'appartenenza ad un determinato gruppo economico.L'inserimento di una durata minima di fonte legale, come appena detto, recepisce le indicazioni e le osservazioni che nel passato erano state espresse dalla dottrina, tendenti a riequilibrare la disparità di potere contrattuale che, normalmente, si manifesta in un momento successivo alla stipulazione del contratto, affinché l'affiliato non sia lasciato alla mercè dell'affiliante e, perciò, disponga di uno strumento di protezione contro ogni abuso di posizione dominante da parte di quest'ultimo, che gli consenta di azzerare o anche soltanto ridurre ogni rischio economico da esso dipendente dunque, la previsione di un termine minimo serve a garantire la realizzazione degli interessi dell'affiliato e, in particolare, l'ammortamento degli investimenti effettuati.Non senza ragione, quindi, è stato affermato che la norma in esame ha creato un legale coerente e trasparente tra l'ammortamento economico dell'investimento effettuato dall'affiliato e la durata del rapporto commerciale di franchising.Il periodo transitorio. Sulla scorta di quanto appena esposto, il Tribunale di Treviso ha anzitutto ritenuto di poter applicare la Legge numero 129/2004 nel caso di specie, in quanto, per espressa disposizione normativa art.9 , è destinata a regolare anche i rapporti sorti ovvero stipulati precedentemente ed in corso alla data di entrata in vigore del 25 maggio 2004.La necessità della forma scritta ad substantiam anche per la risoluzione. La seconda precisazione - che peraltro rappresenta una conseguenza della ritenuta applicazione della Legge numero 129/2004 - è relativa alla necessità della forma scritta, a pena di nullità, non solo per la costituzione del rapporto contrattuale come previsto espressamente dall'art.3 ma anche per la sua risoluzione ovvero per lo scioglimento dal vincolo contrattuale, restando esclusa la possibilità che ciò avvenga per facta concludentia con conseguente inammissibilità della prova per testi a tal fine formulata .Il Tribunale aderisce all'orientamento giurisprudenziale che esclude l'ammissibilità della risoluzione c.d. di fatto ove il contratto da risolvere richieda la forma scritta ad substantiam a tale fine richiama Cass. Civile, numero 25126/2006, ma si possono citare anche Cass. Civile, Sez. III, 4 luglio 2006, numero 15264, che a sua volta rinvia alle precedenti pronunce numero 14524 del 14.10.2002 e numero 10328 del 19.10.1998 .In questi casi la risoluzione deve essere formale e può dirsi giuridicamente esistente solo in presenza di un documento che contenga in modo diretto la dichiarazione della volontà negoziale e sia redatto al fine specifico di manifestarla cfr. Cass. Civile, 15.6.1993, numero 6656 .E siccome per i contratti di franchising la forma scritta ad substantiam è espressamente imposta dall'art.3 della Legge numero 129/2004 Il contratto di affiliazione commerciale deve essere redatto per iscritto a pena di nullità , che in forza della disciplina transitoria contenuta nell'art.9 è applicabile anche ai rapporti iniziati prima della sua entrata in vigore, la forma scritta a pena di nullità cioè ad substantiam vale per tutti i contratti di franchising ed impone la redazione di un documento formale anche per la sua risoluzione, non essendo assolutamente possibile che un vincolo negoziale sorto per atto scritto possa sciogliersi in maniera tacita ovvero per fatti concludenti.La cessazione del marchio, il grave inadempimento dell'affiliante e la violazione della durata minima legale. L'ultima parte rilevante della decisione riguarda l'accertato grave inadempimento dell'affiliante, il quale, a seguito della volontaria ed unilaterale cessazione del marchio, aveva di fatto reso impossibile la prosecuzione del rapporto contrattuale ed in violazione della durata minima di legge.Tale comportamento è stato censurato dal Tribunale adito, evidenziando come l'impossibilità di una prosecuzione del rapporto contrattuale per tale periodo di fonte legale aveva impedito all'affiliato di disporre di un tempo sufficiente all'ammortamento dell'investimento e di prevenire ed impedire comportamenti scorretti ed illegittimi da parte dell'affiliante , concretizzando così una grave lesione dell'interesse dell'affiliato - che ha sostenuto i costi per l'inizio dell'attività commerciale - all'attuazione del rapporto per un periodo temporale idoneo ad ammortizzare i costi di ingresso nella catena distributiva dell'affiliante .Su tali presupposti, è stata accolta sia la domanda di risoluzione giudiziale che, naturalmente, quella di condanna al risarcimento dei danni patrimoniali cagionati all'affiliato.* Avvocato in Reggio Calabria** Avvocato in Treviso

Tribunale di Treviso, sez. II Civile, sentenza 30 giugno 9 ottobre 2010, numero 1700Giudice LiberatiFattoCon atto di citazione regolarmente notificato la sig.ra M. E. chiamava in giudizio la S. s.p.a. chiedendo la risoluzione del contratto di franchising concluso in data 14.6.2004 per l'inadempimento della convenuta agli obblighi contrattualmente assunti chiedeva altresì la condanna della S. s.p.a. al pagamento del risarcimento del danno patrimoniale, quantificato in € 252.191,67, e del danno non patrimoniale per perdita della clientela c lesione dell'immagine professionale.A sostegno della propria domanda l'attrice deduceva che in data 8.9.2002 concludeva con la S. un contratto di affiliazione commerciale per la vendita di prodotti aventi marchio S. in T. cfr. docomma 1 attore nel negozio situate in Domodossola, alla via che tale accordo veniva rinnovato in data 14.6.2004 con la sottoscrizione di un nuovo contratto di franchising avente il medesimo oggetto e durata pari a cinque anni doc.2 attore che, in virtù del rinnovato accordo, aveva sostenuto ulteriori costi di investimento per l'acquisto di beni strumentali che nel corso della stagione primavera!estate del2005 la S., unilateralmente e senza preavviso, interrompeva ogni rapporto commerciale relative al negozio summenzionato, omettendo di effettuare le forniture dovute per la stagione primavera/estate del 2005 e cessando di produrre beni con marchio S. in T. che, a causa di tali circostanze, il rapporto di franchising cessava, di fatto, dopo un anno dalla conclusione del contratto dunque anticipatamente rispetto alle pattuizioni contrattuali e per fatti imputabili alla S. s.p.a. lamentava dunque l'inadempimento della convenuta alle previsioni negoziali stipulate, nonché la violazione della buona fede contrattuale di cui all'articolo 1375 c.comma e chiedeva la risoluzione del contratto di franchising per inadempimento della S. e la condanna del la convenuta al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali summenzionati.Si costituiva la S. s.p.a. c prospettava nel merito una diversa ricostruzione dei fatti. Eccepiva che tra le parti in causa sussistevano due distinti rapporti contrattuali di franchising, l'uno avente ad oggetto la commercializzazione di prodotti con marchio S. presso il negozio di via e l'altro avente ad oggetto la commercializzazione di prodotti con marchio S. in T. presso il negozio di che alla fine del 2004 la M. comunicava alla S. s.p.a. l'intenzione di recedere da entrambi i rapporti summenzionati, essendo in procinto di cedere l'azienda relativa al negozio S. e di adibire il negozio S. in T. all'esercizio di altra attività che per tali ragioni la S. s.p.a. bloccava la fornitura della merce relativa alla stagione Primavera/Estate 2005, già ordinata dalla M., e ritirava quella della stagione Autunno/lnverno 2004 rimasta invenduta che dunque il contratto di franchising del 14.6.2004 doveva ritenersi risolto per mutua consenso delle parti manifestato per facta concludentia che pertanto doveva ritenersi irrilevante la circostanza relativa alla cessazione della fabbricazione/ commercializzazione del marchio S. in T. da parte della S. che dunque nessuna violazione della buona fede contrattuale doveva ritenersi sussistente concludeva chiedendo l'accertamento della risoluzione consensuale del contratto di franchising del 14.6.2004 ed il rigetto delle domande dell' attore.DirittoLa domanda dell'attrice e fondata e deve essere accolta nei limiti di seguito enunciati.1. Al fine di decidere la presente controversia occorre in prima luogo verificare la sussistenza e gravita di un inadempimento di una delle parti alle obbligazioni assunte con il contratto di franchising dell4.6.2004 ovvero la sussistenza di un mutuo consenso manifestato per facta concludentia idoneo a risolvere consensualmente il contralto in esame.Al riguardo occorre premettere che la fattispecie in esame e inquadrabile nel contratto di affiliazione commerciale la tipologia negoziale in esame e stata tipizzata dal legislatore con la legge numero 129 del 2004, applicabile ai contratti di affiliazione commerciale in corso alla data di entrata in vigore della legge medesima ovvero al 24 maggio 2004, disciplina pe1ianto applicabile ratione temporis anche al caso di specie.All'esito dell'istruttoria può essere accertato l'inadempimento della S. s.p.a. alle obbligazioni legali e contrattuali assume. Invero, può ritenersi circostanza non contestata la cessazione della produzione e commercializzazione dei prodotti a marchio S. in T. da parte della S. alla fine del 2004 tale circostanza infatti none mai stata contestata dalla convenuta ed anzi ammessa cfr. comparsa di costituzione pag. 3 al riguardo la S. s.p.a. evidenzia I' irrilevanza di tale circostanza, sui presupposto della sussistenza di comune volontà delle parti di risolvere consensualmente il contratto manifestata per facta concludentia attraverso la cessione del ramo d'azienda relativo al negozio di via Domodossola numero 38 da parte della M. e dal successive esercizio di altra attività nel negozio di via Tale valutazione di irrilevanza non può essere condivisa.Invero, la cessazione del marchio S. in T. oggetto del contratto dopo solo pochi mesi dalla conclusione del nuovo contratto di franchising con la M. ha determinate l'impossibilita di prosegui re il rapporto contrattuale cosi come regolato con il contratto del 14.6.2004, essendo venuto meno l'oggetto stesso del contratto ovvero i prodotti con marchio S. in T. tale comportamento costituisce grave inadempimento in quanto integra violazione delle disposizioni di Legge, che prevedono una durata minima del contratto pari a tre anni cfr. articolo 3 Legge numero 129/2004 , proprio al fine di garantire all'affiliato un tempo sufficiente all'ammortamento dell'investimento e di prevenire ed impedire comportamenti scorretti ed illegittimi da parte dell'affiliante tale circostanza integra altresì violazione delle pattuizioni contrattuali, che prevedevano una durata del contratto di 5 anni. Al riguardo occorre precisare che la gravità dell'inadempimento deve commisurarsi alla rilevanza della violazione del contratto con riferimento alla natura ed alla finalità del rapporto, nonché al concreto interesse della parte alla esatta esecuzione del programma contrattuale nel caso di specie, la cessazione della produzione del marchio oggetto del contratto di franchising dopo solo alcuni mesi dalla conclusione del contralto del 14.6.2004 costituisce grave lesione dell'interesse dell'affiliato che ha sostenuto i costi per l'inizio dell'attività commerciale all'attuazione del rapporto per un periodo temporale idoneo ad ammortizzare i costi di ingresso nella catena distributiva dell' affiliata. Al riguardo questo Giudice osserva che deve ritenersi irrilevante la circostanza, peraltro non provata, relativa alla proposta della S. di prosecuzione del rapporto contrattuale di franchising con prodotti a marchio S., atteso che alcun obbligo in tal senso la M. aveva assunto contrattualmente, non potendo la S. obbligare l'attrice ad effettuare una scelta economico-imprenditoriale ritenuta non opportuna. Per gli stessi motivi deve ritenersi irrilevante anche la circostanza, allegata ma non provata, che il negozio di via vendesse anche marchi S. e non solo S. in T., atteso che oggetto del contralto inadempiuto erano i prodotti aventi marchio S. in T. . Deve dunque dichiararsi la risoluzione del contralto del 14.6.2004 per inadempimento della S. s.p.a Al riguardo occorre precisare che non può trovare accoglimento la domanda di accertamento di risoluzione consensuale. Invero, questo Giudice osserva che per orientamento giurisprudenziale che si condivide, la risoluzione consensuale di un contratto che prevede per la costituzione la forma scritta ad substantiam, come il contratto di franchising in esame cfr. articolo 3 l. numero 129/2004 , costituisce un negozio giuridico che deve anch'esso rivestire la forma scritta a pena di nullità cfr. Cass. 25126/2006 , essendo altrimenti invalido ne consegue pe1tanto 1' impossibilita di provare per testi la sua sussistenza al riguardo questo Giudice condivide quanto già espresso dai precedenti G.I. con ordinanze del1'8.2.2008 e dell'S. 10.2009 cui si rinvia e per questi motivi rigetta le istanze istruttorie avanzate dalla convenuta inoltre la cessione dell'azienda relativa al punto vendita di via Domodossola numero 38 e circostanza irrilevante in quanto concerne un diverso e distinto rapporto contrattuale tra le parti, non oggetto del presente giudizio.2. Sulla condanna al risarcimento del danno. Provato l'an debeatur, occorre accertare il quantum. AI riguardo questo Giudice ritiene condivisibile l'operato del Ctu, in quanto logico e coerente nello sviluppo e nelle conclusioni, nella misura e coni limiti di seguito indicati. La perizia individua e quanti fica i danni lamentati dall'attrice precisando gli importi dovuti per ogni singola voce di danno lamentata dall'attrice, e cosi € 3.457,92 quale danno emergente per mancato ammortamento dei costi di investimento, condividendosi le valutazioni svolte dal merito per addivenire a tale importo in particolare relativamente all'utilità dei lavori svolti anche dopo l'interruzione dei rapporti con la S. s.p.a., cfr. Ctu pagg.3-7 € 9.455,58 per mancato ammortamento dei canoni futuri di locazione, tenuto conto che l'attività dell'attrice c proseguita con altro franchisor cfr. Ctu pag. 7 € 1.575,93 per mancato ammortamento degli oneri di finanziamento, somma sulla quale non v'e contestazione cfr. Ctu pag.8 € 17.788,00 quale danno emergente per liquidazione delle rimanenze di magazzino al riguardo occorre precisare che si ritiene condivisibile, in quanto logica e coerente, la modalità di calcolo utilizzata dal perito, nonché la stima del relative danno e le osservazioni critiche svolte dal Ctp della convenuta devono ritenersi irrilevanti in quanto generiche e prive della prospettazione di una diversa modalità di calcolo e pertanto devono essere respinte. AI contrario, nessun importo a titolo di lucro cessante per mancati guadagni futuri può dirsi dovuto in quanto il relativo danno none provato. Invero, Secondo ]'insegnamento della giurisprudenza prevalente, che questo Giudice condivide, il lucro cessante si concreta nell'accrescimento patrimoniale in concreto pregiudicato o impedito dall' inadempimento dell' obbligazione contrattuale Cass. numero 7647/94 esso presuppone la prova dell'utilità patrimoniale che, secondo un rigoroso giudizio di probabilità e non di mera possibilità il creditore avrebbe conseguito se l'obbligazione fosse stata correttamente adempiuta e deve essere escluso per quei mancati guadagni che sono meramente ipotetici in altri termini esso esige la prova dell'esistenza di elementi oggettivi e certi dai quali desumere in termini di certezza o di elevata probabilità e non di mera potenzialità, l'esistenza di un pregiudizio economicamente valutabile cfr. Cass. numero 4052/2009 nel caso di specie lo stesso Ctu ha evidenziato in primo luogo la difficoltà di tale accertamento, attesa la dipendenza da fattori variabili e determinabili solo in via approssimativa in particolare l'andamento del mercato di settore e di zona ed in secondo luogo ha rilevato l'impossibilita di individuare con precisione la componente reddituale del negozio di via nel quale, successivamente alla chiusura dei rappot1i con la S., la M. ha esercitato attività di commercializzazione di prodotti a marchio Y. attesa I' assenza di una contabilità distinta per singolo punto vendita invero, la contabilità del negozio Y. era tenuta insieme a quella di altro punto vendita chiamato K. , situato in via e gestito anch'esso dall'attrice costringendo il consulente ad un calcolo presuntivo e necessariamente approssimativo allo stesso modo, i dati rilevati dal consulente evidenziano che i ricavi del negozio Y. relativi agli anni 2006 e 2007 rispettivamente 217.677,52 e 182.659,24, cfr. Ctu pag. 21 sono nettamente più alti rispetto a quelli ottenuti negli anni 2003-2004 quando il negozio era a marchio S. in T. cfr. Ctu pag. cit. non potendo dunque ritenersi sussistente alcun danno in concreto sofferto in proposito devono ritenersi irrilevanti le allegazioni di parte attrice che pretendono di bilanciare l'andamento positivo dei ricavi con un aumento dei costi per il personale atteso che la Y aman1ay imponeva la presenza di due dipendenti in quanto l' attrice non ha provato ne prodotto documentazione relativa all'incidenza del costo di tali dipendenti sui ricavi del punto vendita cfr. Ctu pag. 21 , anche in tal caso costringendo il consulente ad assumere un parametro presuntivo e semplificativo pari ai 2/3 del costo complessivo, cfr. Ctu pag. 21 non potendo tuttavia la Ctu rivestire funzione suppletiva delle carenze probatorie di parte relativamente ad elementi che rientrano nella disponibilità della medesima, l' ipotesi formulata dal Ctu per la determinazione della voce di danno a titolo di lucro cessante per mancati guadagni futuri non può essere condivisa ne assunta come paran1etro per la relativa liquidazione e su questo punto la domanda di risarcimento del danno deve essere rigettata. Allo stesso modo non può ritenersi provato il danno non patrimoniale lamentato dall'attrice per perdita di clientela e lesione dell'immagine, non avendo l'attrice fornito alcun elemento utile al riguardo. Pertanto il danno sofferto può complessivamente essere quantificato in complessivi € 32.277,43 tale somma determinata attraverso Ctu e dunque ai valori del novembre 2008 costituisce obbligazione di valore e pertanto deve essere rivalutata alla data della presente sentenza secondo gli indici Istat risultando pari a € 33.094,00 su tale somma, rivalutata alla data dell'inadempimento cessazione dell'attività del negozio S. in T. ed anno per anno rivalutata, dovranno essere calcolati gli interessi legali fino al saldo effettivo.Le spese legali seguono la soccombenza e vengono liquidate, sulla minor somma liquidata, come in dispositive.P.Q.M.definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da M.E. nei confronti di S. s.p.a. in persona del legale rappresentante p.t. ogni diversa istanza, eccezione e deduzione disattesa I dichiara risolto il contratto del 14.6.2004 tra M.E. e S. s.p.a. per inadempimento della S. s.p.a. II condanna la convenuta S. s.p.a. a pagare all'attrice M. la somma di € 33.094,00 oltre interessi legali, calcolati come in motivazione, fino al saldo effettivo III condanna la convenuta a rifondere all' attrice M. le spese di lite, liquidate in € 1.650,00 per diritti, € 4.100,00 per onorari, rimborso spese generali, Iva e Cpa come per Legge.IV pone definitivamente le spese di Ctu a carico della convenuta opposta e dispone la restituzione all'attrice di quanto eventualmente pagato a tal fine quale anticipo.