La vittima di un sinistro stradale ha diritto ad ottenere il risarcimento del danno emergente e del lucro cessante. In caso di sinistro derivante dalla circolazione dei veicoli, l'obbligazione dell'assicuratore è debito di valuta, mentre, il danno presupposto è debito di valore il conseguente indennizzo deve comprendere sia il danno emergente che il lucro cessante che può essere liquidato mediante l'attribuzione di un interesse da computarsi sulla somma liquidata a titolo di danno emergente.
Lo ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza numero 15440/2013, depositata il 20 giugno scorso. Il caso. Un soggetto era vittima di un incidente stradale provocato da un veicolo che non si fermava a prestare soccorso e rimaneva non identificato. Il malcapitato si rivolgeva al fondo di garanzia vittime della strada affinché fosse risarcito il danno patito. La compagnia assicurativa designata, si costituiva in giudizio sostenendo che non vi era nesso di causalità tra sinistro e danno lamentato, indi, chiedeva che fosse rigettata la domanda. Il Tribunale accoglieva la difesa di parte convenuta, mentre, la Corte d'Appello, riformando integralmente la decisione del primo giudice, attribuiva la responsabilità del sinistro allo sconosciuto automobilista e, seppure in misura minore rispetto alla richiesta originaria, liquidava in favore della parte attrice il risarcimento dei danni. La vittima proponeva ricorso per cassazione. Risarcimento dei danni è obbligazione di valore. Nel caso di risarcimento derivante da sinistro stradale, occorre distinguere l'obbligo di risarcire il danno dall'obbligo, posto in capo all'assicuratore, di versare le relative somme. La seconda è una obbligazione di valuta mentre la prima è un obbligazione di valore, atteso che la somma di denaro liquidata ha funzione sostitutiva del bene originario non più recuperabile nella sua integrità. Sul punto, Cass. numero 8988/2011, statuisce «l'obbligazione dell'assicuratore è un debito di valuta, il cui contenuto si determina, entro i limiti del massimale, secondo i principi propri dei debiti di valore». Indennizzo composto da danno emergente e lucro cessante. Parte attrice-ricorrente ha impugnato la sentenza della Corte territoriale nella misura in cui ha omesso di liquidare il lucro cessante. In particolare la vittima del sinistro, ha chiesto che oltre al danno subito fosse liquidata una somma a titolo di lucro cessante, ovvero, un indennizzo utile a risarcire l'utilità che la parte avrebbe potuto trarre dalla tempestiva disponibilità delle somme oggetto di contesa. La Corte d'appello aveva respinto detta richiesta, ritenendo integralmente assolta l'obbligazione risarcitoria mediante attualizzazione delle somme riconosciute a titolo di indennizzo. La S.C., non ha condiviso la decisione del giudice di merito, ha accolto il ricorso e fissato il principio di diritto in ragione del quale danno emergente e lucro cessante devono essere liquidati distintamente. Il danno emergente è individuato nella perdita e/o riduzione del patrimonio. Ove si risarcisca la perdita patrimoniale mediante attribuzione di una somma di danaro equivalente, la rivalutazione monetaria riconosciuta ha il compito di restituire il valore attualizzato del patrimonio originariamente leso o, utilizzando le parole scelte dalla cassazione «ripiana solo il danno emergente, cioè la perdita netta arrecata al patrimonio». Si segnala G.D.P. Messina 02.08.2004 - «Il danno emergente, in quanto liquidato per equivalente, deve comprendere anche la rivalutazione monetaria della sua espressione monetaria al momento dell'illecito». Il lucro cessante, prosegue la S.C., è rappresentato dalla utilità economica che il soggetto avrebbe potuto trarre dai beni che sono stati danneggiati, per il periodo compreso dall'evento illecito sino alla liquidazione dell'indennizzo. La Cassazione ha chiarito che è certamente vero che detta richiesta deve essere documentata e provata da parte attrice ma è anche vero che trattandosi di danno non facilmente documentabile la prova può essere fornita mediante criteri presuntivi. A tal proposito Cass. numero 490/1999 - è dovuto al danneggiato anche il risarcimento del mancato guadagno, che questi provi essergli derivato dal ritardato pagamento della somma suddetta. Tale prova può essere offerta dalla parte e riconosciuta dal giudice mediante criteri presuntivi ed equitativi, quale l'attribuzione degli interessi, ad un tasso stabilito valutando tutte le circostanze oggettive e soggettive del caso. La quantificazione del lucro cessante può avvenire mediante l'attribuzione di un interesse da computarsi sulla somma liquidata a titolo di danno emergente. Dette maggiorazioni devono essere calcolate o sulla somma originaria rivalutata anno per anno, ovvero, alternativamente, sulla somma originaria rivalutata in ragione di un indice medio a decorrere dal giorno in cui si è verificato l'evento dannoso e sino all'effettivo soddisfo. In senso conforme Cass. numero 5054/2009 - In tema di responsabilità extracontrattuale da fatto illecito, sulla somma riconosciuta al danneggiato a titolo di risarcimento deve essere considerato, in sede di liquidazione, oltre alla rivalutazione che ha la funzione di ripristinare la situazione patrimoniale del danneggiato antecedentemente alla consumazione dell'illecito, cosiddetto danno emergente anche il nocumento finanziario lucro cessante subito a causa della mancata tempestiva disponibilità della somma di danaro dovuto a titolo appunto, di risarcimento somma che, se tempestivamente corrisposta, avrebbe potuto essere investita per lucrare un vantaggio finanziario . Qualora tale danno sia liquidato con la tecnica degli interessi, questi non vanno calcolati né sulla somma originaria, né sulla rivalutazione al momento della liquidazione, ma devono computarsi o sulla somma originaria via via rivalutata anno per anno, ovvero sulla somma originaria rivalutata in base a un indice medio, con decorrenza a differenza che nell'ipotesi di responsabilità contrattuale dal giorno in cui si è verificato l'evento dannoso. In conclusione, la S.C. ha accolto il ricorso di parte attrice, indicato il principio regolatore della fattispecie e reinviato ad altra Corte territoriale per la decisione.
Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 22 aprile – 20 giugno 2013, numero 15440 Presidente Petti – Relatore Lanzillo Svolgimento del processo A.A. ha proposto al Tribunale di Roma domanda di risarcimento dei danni contro la s.p.a. Assitalia, quale impresa designata dal F.G.V.S., a seguito di un incidente stradale provocato dal conducente di un automobile rimasta sconosciuta, che il giorno omissis , ha parzialmente invaso la corsia di marcia che egli stava percorrendo alla guida del suo motociclo. La convenuta ha resistito alla domanda, che il Tribunale ha respinto. Con sentenza 7 giugno - 18 ottobre 2006 numero 4480 la Corte di appello di Roma, in riforma della sentenza di primo grado, ha invece attribuito la responsabilità del sinistro al conducente dell'auto sconosciuta ed ha liquidato in risarcimento dei danni patrimoniali e morali subiti dall'A. la somma complessiva di Euro 20.050,00, determinata ai valori attuali, oltre agli interessi legali a decorrere dalla data della sentenza. L'A. propone due motivi di ricorso per cassazione. Resiste con controricorso la s.p.a. INA-Assitalia, subentrata all'Assitalia-Assicurazioni d'Italia, proponendo a sua volta un motivo di ricorso incidentale, illustrato da memoria. Il ricorrente replica con controricorso al ricorso incidentale. Motivi della decisione 1.- Deve essere preliminarmente disposta la riunione dei due ricorsi articolo 335 cod. proc. civ. . 2.- Con il primo motivo, denunciando violazione degli articolo 2043, 2056 e 1226 cod. civ nonché omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, il ricorrente addebita alla Corte di appello di avere omesso di liquidargli il lucro cessante sulla somma spettante in risarcimento dei danni, al fine di ripianare il nocumento finanziario subito a causa del ritardo nella corresponsione della somma dovuta in risarcimento, che è stata versata tredici anni dopo la data del sinistro. Rileva che non è richiesta la prova specifica del danno - come ha motivato la Corte di appello - ma che l'esistenza del danno può essere determinata in via presuntiva, e che il relativo importo può essere liquidato equitativamente. 2.1.- Il motivo è fondato. L’obbligazione avente ad oggetto il risarcimento dei danni da fatto illecito è obbligazione di valore. Il giudice deve tenere conto, pertanto, della svalutazione monetaria verificatasi fra la data in cui il danno si è prodotto nel patrimonio del danneggiato e la data in cui il giudice provvede alla relativa liquidazione, poiché il danneggiato ha diritto di conseguire un valore equivalente a quello perduto per effetto dell'illecito. La rivalutazione monetaria, tuttavia, non esaurisce l'intero ammontare del danno subito dal danneggiato, ma ripiana solo il c.d. danno emergente, cioè la perdita netta arrecata al suo patrimonio. Il danneggiato ha diritto anche al risarcimento del c.d. lucro cessante, cioè al rimborso delle utilità economiche che avrebbe potuto ritrarre dai beni perduti, o dal loro equivalente economico, nel periodo intermedio fra la consumazione dell'illecito e la liquidazione finale. Il lucro cessante può essere quantificato tramite la corresponsione degli interessi sulla somma dovuta in risarcimento, interessi che vanno attribuiti in aggiunta alla rivalutazione monetaria, allo scopo di risarcire al danneggiato il mancato guadagno che gli sarebbe potuto derivare dal tempestivo godimento dell'equivalente pecuniario del bene leso. Il mancato guadagno deve essere allegato e provato dal danneggiato, ma la prova può essere offerta dalla parte e riconosciuta dal giudice mediante criteri presuntivi ed equitativi Cass. Civ. 19 febbraio 1985 numero 1456 Cass. Civ. S.U. 17 febbraio 1995 numero 1712 Cass. Civ. Sez. 3, 20 gennaio 1999 numero 490, ed altre , trattandosi di danno che normalmente non può essere provato nel suo preciso ammontare. Il danno può essere quantificato, in particolare, tramite l'attribuzione di interessi sulla somma attribuita come equivalente pecuniario del bene leso, ad un tasso da stabilirsi in base alla valutazione di tutte le circostanze del caso, oggettive e soggettive. Va precisato, infine, che nei casi in cui il danno da lucro cessante sia liquidato mediante la corresponsione di interessi, questi non vanno calcolati ne1 sulla somma originaria, né sulla somma integralmente rivalutata alla data della liquidazione, ma debbono computarsi o sulla somma originaria via via rivalutata anno per anno, ovvero sulla somma originaria rivalutata in base ad un indice medio, a decorrere dal giorno in cui si è verificato l'evento dannoso, secondo i principi più volte enunciati in materia dalla giurisprudenza cfr. fra le tante, Cass. civ. Sez. 3, 25 gennaio 2002 numero 883 Idem, 10 marzo 2006 numero 5234 Idem, 3 marzo 2009 numero 5054 Idem, 9 marzo 2010 numero 5054 . Nella specie la sentenza impugnata ha quantificato il danno emergente ai valori in vigore alla data della sentenza, procedendo così al ripristino dell'effettivo valore perduto dal danneggiato, ma non ha attribuito alcunché a compenso del lucro cessante nel tempo intermedio fra il prodursi del danno e la sua liquidazione, limitandosi ad attribuire al danneggiato gli interessi a maturare, con decorrenza dalla data della sentenza. Deve essere quindi annullata, nella parte relativa alla suddetta omissione. 3.- Con il secondo motivo il ricorrente denuncia omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione nel capo relativo alla liquidazione dei danni morali poiché la Corte di appello -dopo avere premesso che il danno va quantificato in misura corrispondente ad un quarto della somma liquidata a titolo di danno biologico - ha determinato la somma dovuta con riferimento alla sola somma concessa in risarcimento dei danni biologici da invalidità permanente, omettendo di tenere conto delle somme liquidate a compenso dei danni biologici da invalidità temporanea, totale e parziale. 3.1.- Il motivo è fondato. Va premesso che, considerata la natura della doglianza e la sinteticità dell'esposizione, non è richiesta nel caso in esame la formulazione di una specifica sintesi delle censure, con l'indicazione del fatto controverso, ai sensi dell'articolo 366 bis ult. parte cod. proc. civ., poiché quesito e illustrazione del motivo vengono di fatto a coincidere. Nel merito, effettivamente la motivazione è contraddittoria, poiché ha disposto che il risarcimento dei danni morali va quantificato in un quarto della somma liquidata per i danni biologici e poi ne ha determinato l'importo con riferimento ad una sola parte del risarcimento del danno biologico quello da inabilità permanente . La sentenza deve essere su questo punto annullata, e i danni morali vanno quantificati con riferimento ad un quarto della somma complessivamente attribuita in risarcimento dei danni biologici, ivi incluse le somme liquidate per invalidità temporanea, totale e parziale. 4.- L'unico motivo del ricorso incidentale, che censura la condanna alle spese emessa a carico della resistente, risulta assorbito, dovendo la pronuncia sulle spese essere riformulata in esito alla definitiva soluzione della vertenza. 5.- In accoglimento del ricorso principale la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio della causa alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, affinché proceda alla quantificazione delle voci di danno oggetto del presente ricorso, facendo applicazione dei principi sopra enunciati in grassetto e con congrua e logica motivazione. 6.- La Corte di rinvio deciderà anche sulle spese del presente giudizio. P.Q.M. La Corte di cassazione riunisce i ricorsi. Accoglie il ricorso principale e dichiara assorbito il ricorso incidentale. Cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, che deciderà anche sulle spese del giudizio di cassazione.