Ai fini della determinazione degli onorari di avvocato, in base alla tariffa professionale, va considerata di valore indeterminabile la controversia introdotta innanzi al giudice amministrativo per l'annullamento di un atto, qualora la causa petendi della domanda sia l’illegittimità dell'atto e petitum la sua eliminazione, senza che rilevino eventuali risvolti patrimoniali della vicenda.
Lo ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza numero 1754/13, depositata il 24 gennaio. Il caso il d.i. e l’opposizione. Un avvocato otteneva un decreto ingiuntivo per il pagamento di onorari relativi all’assistenza prestata alla parte ingiunta in più procedimenti amministrativi, concernenti un importante appalto pubblico. La cliente proponeva opposizione invocando l’applicazione di diversi accordi intervenuti tra le parti e contestando comunque i criteri utilizzati dal legale per la determinazione delle parcelle. Il Giudice dell’opposizione dava anzitutto atto di una somma già versata dal cliente all’avvocato per effetto di un accordo transattivo, per cui residuavano solo prestazioni inerenti due procedimenti amministrativi ed una connessa attività stragiudiziale per i quali era controverso l’importo dovuto. Secondo l’avvocato, a tali prestazioni non si potevano applicare i criteri della precedente transazione, per cui egli invocava l’applicazione della tariffa professionale. A questo proposito il Giudice riteneva le controversie amministrative di valore indeterminabile, e non già determinato secondo l’ammontare del contratto di appalto pubblico, ovvero secondo il presunto profitto dell’appaltatore. Applicato il valore massimo e la moltiplicazione. Di conseguenza, il Tribunale liquidava l’onorario applicando il valore massimo dello scaglione indeterminato con applicazione dell’ulteriore criterio della moltiplicazione «per quattro» di detto importo in ragione della straordinaria importanza della causa. In sostanza, il valore liquidato dal Giudice era decisamente più modesto rispetto a quanto preteso dall’avvocato. L’appello confermava il nucleo centrale e più rilevante della sentenza di primo grado. In particolare, per quanto ci riguarda, la Corte d’Appello riteneva la controversia amministrativa avente ad oggetto la domanda di annullamento dell’aggiudicazione di un appalto pubblico di valore indeterminato, alla stregua delle disposizioni contenute nell’articolo 6, D.M. numero 585/1994. Questo sul rilievo che, anzitutto, la causa era una controversia in materia di interessi legittimi, in relazione alla quale non poteva quindi aversi riguardo alla disposizione di cui all’articolo 6, 3° comma, del citato D.M. che imponeva di tenere conto - a differenza delle controversie riguardanti diritti soggettivi, il cui valore è determinato in base alla legge - «dell’interesse sostanziale che riceve tutela attraverso la sentenza». Più precisamente, secondo il terzo comma dell’articolo 6, D.M. 585/1994 Determinazione del valore della controversia «nelle cause avanti gli organi di giustizia amministrativa di primo grado, il valore è determinato, quando la controversia concerne diritti soggettivi, secondo i criteri indicati dal comma 1 di questo articolo negli altri casi, nella liquidazione degli onorari a carico del soccombente, va tenuto conto dell'interesse sostanziale che riceve tutela attraverso la sentenza». Più in generale, la Corte d’Appello non ha mancato di osservare che era possibile attribuire rilevanza al valore della causa dinanzi ai giudici amministrativi solo con riguardo alle controversie aventi ad oggetto atti negoziali, ma non anche a quelle aventi ad oggetto l’annullamento di atti o provvedimenti amministrativi nei quali al più si verte in tema di ripristino di chances. In relazione a tali controversie non si deve stabilire il valore di un contratto, peraltro di problematica definizione atteso l’ineliminabile rischio economico dello stipulato appalto, ma al contrario è necessario, considerato l’oggetto della controversia, individuare unicamente l’interesse sostanziale tutelato e gli interessi sostanzialmente perseguiti dalle parti. L’avvocato impugnava la decisione avanti alla Suprema Corte. Gli interessi legittimi implicano il valore indeterminabile. La Cassazione, nel condividere la motivazione della Corte d’Appello, ribadisce un suo precedente, per cui ai fini della determinazione degli onorari di avvocato, in base alla tariffa approvata con D.M. 392/1990, va considerata di valore indeterminabile la controversia introdotta innanzi al giudice amministrativo per l'annullamento di un atto, qualora la causa petendi della domanda è la illegittimità dell'atto e petitum la sua eliminazione, senza che rilevino eventuali risvolti patrimoniali della vicenda. Precedente considerato di valenza generale, sebbene riferito alle vecchie anzi vecchissime tariffe «Regolamento recante approvazione della delibera del Consiglio nazionale forense in data 30 marzo 1990, che stabilisce i criteri per la determinazione degli onorari, dei diritti e delle indennità spettanti agli avvocati ed ai procuratori per le prestazioni giudiziali in materia civile e penale e stragiudiziali». Ma allora, con gli appalti pubblici come la mettiamo? La decisione in commento non è del tutto persuasiva laddove sminuisce l’aspetto del contratto di appalto sotteso alle ben note procedure ad evidenza pubblica. In questi casi, infatti, da un lato è vero che si discute anzitutto di interessi legittimi. Basti pensare ad un vizio di procedura che inevitabilmente si ripercuote sull’aggiudicazione definitiva ad esempio, l’aggiudicatario non aveva i requisiti prescritti dalla legge o dal bando, per cui doveva essere escluso e via dicendo . Dall’altro lato, è innegabile che la procedura amministrativa sia invero finalizzata all’affidamento di un appalto pubblico o di una concessione, ecc. il cui valore è perfettamente noto alle parti, essendo un elemento fondamentale del bando di gara. In questo quadro non si può non tenere in considerazione anche il nuovo assetto processuale ricollegabile al nuovo codice del processo amministrativo D. Lgs. numero 104/2010 . Qui basti ricordare che ora il Giudice amministrativo può intervenire anche sul contratto nel mentre in ipotesi già stipulato, dichiarandolo inefficace, ovvero può accordare al ricorrente una tutela in forma specifica, accogliendo la sua domanda rivolta al conseguimento della aggiudicazione e del contratto cfr. articolo 124 c.p.a. . Scenari nei quali pare difficile prescindere dal valore del contratto di appalto oggetto di controversia.
Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 11 dicembre 2012 – 24 gennaio 2013, numero 1754 Presidente Triola – Relatore Petitti Svolgimento del processo L'Avvocato A C. otteneva dal Presidente del Tribunale di Milano decreto ingiuntivo nei confronti della Impresa di costruzioni Enrico Romagnoli s.p.a. per il pagamento di onorari professionali relativi alla assistenza prestata alla ingiunta in più giudizi amministrativi concernenti l'appalto per la ricostruzione del teatro omissis . La Romagnoli proponeva opposizione sollecitando l'applicazione di diversi accordi intervenuti tra le parti e contestando comunque i criteri sulla base dei quali era stata elaborata la parcella. L'adito Tribunale dava atto dell'avvenuto pagamento, da parte della Romagnoli s.p.a. dell'importo di lire 320.000.000 per effetto di accordo transattivo del 1998 rilevava quindi che residuavano sole le prestazioni relative a due giudizi amministrativi e a una connessa attività stragiudiziale per le quali era controverso il compenso, richiesto dal professionista nella somma di lire 546.500.000 riteneva che a tali prestazioni non potessero applicarsi i parametri della precedente transazione e procedeva alla liquidazione del compenso secondo la tariffa professionale. A tal fine, il Tribunale riteneva le controversie amministrative in questione di valore indeterminabile - e non già determinato secondo l'ammontare del contratto di appalto ovvero secondo il presunto profitto dell'appaltatore - e liquidava l'onorario facendo applicazione del valore massimo e dell'ulteriore criterio della moltiplicazione per quattro del detto importo in considerazione della straordinaria importanza della causa, determinando quindi il compenso spettante al creditore opposto in Euro 22.350,00, oltre ad Euro 5.180,00 per spese e diritti quanto alle prestazioni stragiudiziali, il Tribunale riteneva che le stesse dovessero essere comprese nella liquidazione del compenso per l'assistenza processuale come liquidata. Avverso questa sentenza il C. proponeva appello, cui resisteva la Romagnoli s.p.a La Corte d'appello di Milano, con sentenza depositata il 21 gennaio 2006, accoglieva l'appello limitatamente alla mancata statuizione di condanna della Romagnoli s.p.a. alla rifusione delle spese relative alla vidimazione della parcella da parte del Consiglio dell'ordine, liquidate nella somma di Euro 1.700,00, e al pagamento delle spese processuali del giudizio di primo grado, liquidate in riferimento all'importo ritenuto dovuto, confermando per il resto la sentenza di primo grado e condannando altresì la Romagnoli s.p.a. al pagamento delle spese del grado. La Corte d'appello condivideva la soluzione cui era pervenuto il Tribunale di ritenere la controversia amministrativa avente ad oggetto la domanda di annullamento dell'aggiudicazione dell'appalto, aggiudicato alla Romagnoli s.p.a., come causa di valore indeterminato, alla stregua delle disposizioni contenute nell'articolo 6 del d.m. numero 585 del 1994. E ciò sul rilievo, innanzitutto, che la causa proposta da Carena s.p.a., cui aveva resistito la Romagnoli s.p.a. con l'assistenza dell'avvocato C. , era una controversia su interessi legittimi, in relazione alla quale non poteva quindi aversi riguardo alla disposizione di cui all'articolo 6, comma 3, del citato decreto ministeriale, che imponeva di tener conto, a differenza delle controversie riguardanti diritti soggettivi, il cui valore è determinato in base alla legge, “dell'interesse sostanziale che riceve tutela attraverso la sentenza”. Né poteva giungersi a diversa conclusione in base al comma 4 del citato articolo 6, il quale nei rapporti tra professionista e cliente imponeva di tenere conto degli “interessi sostanzialmente perseguiti”, non potendosi sostenere che ogni causa di valore indeterminabile diventi nei rapporti con il cliente di valore determinato. Più in generale, la Corte d'appello rilevava che era possibile attribuire rilevanza al valore della causa dinnanzi ai giudici amministrativi solo con riguardo alle controversie aventi ad oggetto atti negoziali, ma non anche a quelle aventi ad oggetto l'annullamento di atti o provvedimenti amministrativi, nei quali al più si verte in tema di ripristino di ciance, in proposito, la Corte ha osservato che non si deve, in relazione a tali controversie, stabilire il valore di un contratto, peraltro di problematica definizione, atteso l'ineliminabile rischio economico dello stipulato appalto, ma, considerato l'oggetto della controversia, unicamente individuare l'interesse sostanziale tutelato o gli interessi sostanzialmente perseguiti dalle parti. Criterio, questo, seguito dal Tribunale, il quale ha applicato l'importo massimo e ha poi applicato il coefficiente di moltiplicazione in considerazione della straordinaria importanza della causa. Per la cassazione di questa sentenza ricorre l'Avvocato C.A. sulla base di un motivo, cui resiste, con controricorso, l'Impresa di costruzioni Enrico Romagnoli s.p.a Entrambe le parti hanno depositato memoria. Motivi della decisione Con l'unico motivo di ricorso il ricorrente denuncia violazione degli articolo 5 e 6 del decreto ministeriale numero 585 del 1994. L'Avvocato C. si duole innanzitutto del fatto che la Corte d'appello abbia fatto applicazione dell'articolo 6, comma 3, del citato decreto ministeriale, atteso che lo stesso si riferisce alla liquidazione delle spese a carico del soccombente, mentre nel caso di specie avrebbe dovuto fare applicazione dell'articolo 6, comma 4, a norma del quale “nella liquidazione degli onorari a carico del cliente, per la determinazione del valore effettivo della controversia, deve aversi riguardo al valore dei diversi interessi sostanzialmente perseguiti dalle parti”. Il ricorrente contesta altresì il fatto che la Corte d'appello abbia comunque ritenuto, in via generale, di valore indeterminabile le cause amministrative non concernenti diritti soggettivi, atteso che il citato comma 4, contrariamente a quanto sostenuto nella sentenza impugnata, sarebbe volto proprio a determinare il valore della controversia, stabilendo che si deve avere riguardo agli interessi sostanzialmente perseguiti dalle parti. E, nel caso di specie, posto che l'impugnazione della Carena s.p.a. era volta all'annullamento dell'aggiudicazione alla Romagnoli s.p.a. di un appalto di 98 miliardi di lire, mentre ovviamente l'interesse della Romagnoli s.p.a. era quello di conservare l'aggiudicazione, ben avrebbe potuto la Corte d'appello individuare il valore delle cause amministrative nel valore del contratto di appalto in corso di esecuzione. Da ultimo, il ricorrente deduce che la sentenza sarebbe carente di ogni statuizione in ordine al motivo di appello con il quale egli aveva denunciato l'erronea applicazione dell'articolo 6, comma 5, atteso che il valore della causa avrebbe potuto essere considerato indeterminabile solo nel caso in cui la determinazione non potesse avvenire sulla base dei procedenti commi, il che doveva escludersi nel caso di specie. Il ricorso è infondato e va rigettato. La Corte d'appello si è infatti attenuta al principio, enunciato da questa Corte e condiviso dal Collegio, per cui “ai fini della determinazione degli onorari di avvocato, in base alla tariffa approvata con D.M. 24 novembre 1990, numero 392, va considerata di valore indeterminabile la controversia introdotta innanzi al giudice amministrativo per l'annullamento di un atto, qualora la causa petendi della domanda è la illegittimità dell'atto e petitum la sua eliminazione, senza che rilevino eventuali risvolti patrimoniali della vicenda” Cass. numero 12178 del 2003 . Le censure contenute nel ricorso, del resto, non appaiono idonee ad inficiare la soluzione adottata dalla Corte territoriale. In particolare, le argomentazioni svolte nel ricorso con riferimento ai diversi commi dell'articolo 6 del d.m. numero 585 del 1994 commi 3, 4 e 5 - ratione temporis applicabile al caso di specie - non colgono la effettiva ratio decidendi della sentenza impugnata, la quale, proprio dopo aver escluso la determinabilità del valore della controversia amministrativa sulla base dell'interesse sostanziale che riceve tutela attraverso la sentenza comma 3 ovvero del valore dei diversi interessi sostanzialmente perseguiti dalle parti comma 4 , ha correttamente fatto applicazione della disposizione di cui al comma 5 del medesimo articolo 6, il quale stabiliva che “qualora, secondo i criteri di cui ai precedenti commi, il valore della controversia non sia suscettibile di determinazione, si applicano gli onorari minimi previsti per le cause di valore da oltre lire 50 milioni a lire 100 milioni e gli onorari massimi previsti per le cause di valore fino a lire 1 miliardo tab. A - parag. VI tenuto conto dell'oggetto e della complessità della controversia, delle questioni trattate e della rilevanza degli effetti di qualunque natura che possano conseguire alla declaratoria della illegittimità dell'atto amministrativo o del comportamento dell'amministrazione”. Sul punto, si deve solo rilevare che nel ricorso non è svolta alcuna censura sulla rispondenza della somma in concreto liquidata nei giudizi di merito al criterio ora indicato. Per le medesime ragioni, deve escludersi la sussistenza del vizio di omessa pronuncia in ordine al motivo di gravame con il quale l'appellante aveva inteso denunciare l'erronea applicazione dell'articolo 6, comma 5, del d.m. numero 585 del 1994, atteso che la risposta alla censura emerge con evidenza dalle argomentazioni in base alle quali la Corte d'appello ha escluso di poter determinare il valore della causa alla luce dei criteri di cui ai commi 3 e 4 del medesimo articolo 6. Né può essere condivisa la pretesa del ricorrente che la liquidazione degli onorari avvenisse assumendo a riferimento il criterio del valore del contratto di appalto oggetto di aggiudicazione o quanto meno il valore dell'utile che l'impresa aggiudicataria supponeva di poter ricavare dall'esecuzione dell'appalto aggiudicato. Le controversie amministrative, come esattamente rilevato dalla Corte d'appello, avevano quale causa petendi la asserita illegittimità dell'aggiudicazione dell'appalto alla Romagnoli s.p.a. e quale petitum la richiesta di annullamento dell'aggiudicazione, mentre il possibile risvolto economico del giudizio amministrativo è stato ritenuto dalla Corte d'appello, con apprezzamento in sé corretto e non censurato dal ricorrente, non determinabile atteso l'innegabile rischio di impresa insito nella esecuzione dell'appalto. In conclusione il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, nella misura liquidata in dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi e agli accessori di legge.