Fornitura di manodopera: qual è lo scopo delle disposizioni dell’appaltante?

Per la sussistenza di un appalto fraudolento, non è significativa la circostanza che il personale dell’appaltante impartisca disposizioni agli ausiliari dell’appaltatore, dovendo verificarsi se tali disposizioni attengano alle concrete modalità di svolgimento della prestazione lavorativa oppure al solo risultato di tali prestazioni che può essere oggetto di un contratto di appalto . Su questo punto, il tribunale non si era espresso.

Lo afferma la Corte di Cassazione nella sentenza numero 18667, depositata il 6 maggio 2015. Il caso. Il tribunale di Sondrio condannava un’imputata, legale rappresentante di una ditta, per aver violato la normativa sul lavoro interponendosi abusivamente nella fornitura di manodopera, avendo stipulato un contratto di appalto di opera e servizi, in assenza dei requisiti ex articolo 29, comma 1, d.lgs. numero 276/2003 «il contratto di appalto, stipulato e regolamentato ai sensi dell'articolo 1655 del codice civile, si distingue dalla somministrazione di lavoro per la organizzazione dei mezzi necessari da parte dell'appaltatore, che può anche risultare, in relazione alle esigenze dell'opera o del servizio dedotti in contratto, dall'esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell'appalto, nonché per la assunzione, da parte del medesimo appaltatore, del rischio d'impresa» . Aveva, quindi, fornito, in qualità di pseudo-appaltatore, ad una società tre lavoratori per lo svolgimento di prestazioni di lavoro per quasi 600 giornate di occupazione. L’imputata ricorreva in Cassazione, deducendo che la sentenza non si fosse attenuta ai requisiti che danno luogo all’interposizione fittizia di manodopera. A tal fine, richiama la sentenza della Cassazione civile numero 12201/2011, in cui era stato affermato che per la sussistenza di un appalto fraudolento, non è significativa la circostanza che il personale dell’appaltante impartisca disposizioni agli ausiliari dell’appaltatore, dovendo verificarsi se tali disposizioni attengano alle concrete modalità di svolgimento della prestazione lavorativa oppure al solo risultato di tali prestazioni che può essere oggetto di un contratto di appalto . Su questo punto, il tribunale non si era espresso. Chi impartiva le direttive. La Corte di Cassazione rileva che la sentenza di condanna era basata su «una asserita “commistione” tra le due società» che è stata desunta dalla proprietà dei locali e delle attrezzature della società che aveva ricevuto i lavoratori e dall’esistenza di un potere direttivo sui tre dipendenti della società dell’imputata. Secondo i giudici di merito, sussiste il reato quando l’appaltatore eserciti il potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell’appalto nel caso di specie, i tre dipendenti erano stati assunti formalmente dalla cooperativa dell’imputata, ma di fatto svolgevano attività lavorativa presso l’altra società, da cui ricevevano anche delle direttive. Valutazione insufficiente. Tuttavia, il Tribunale non aveva verificato il fine di tali direttive, cioè se erano inerenti a concrete modalità di svolgimento delle prestazioni lavorative oppure se si riferivano solo al risultato di tali prestazioni. Allo stesso modo, non aveva valorizzato, senza motivazione, le dichiarazioni di due testi della difesa, secondo cui la cooperativa dell’imputata gestiva ed organizzava il lavoro di tutti i suoi soci questo aspetto avrebbe potuto escludere la contestata intermediazione di manodopera. In più, i locali e le attrezzature erano stati concessi in comodato gratuito alla società della ricorrente. I giudici di legittimità ricordano anche che la distinzione tra contratto di appalto e quello di somministrazione di manodopera va operata, non soltanto con riferimento alla proprietà dei fattori di produzione, ma anche alla verifica della reale organizzazione dei mezzi e dell’assunzione effettiva del rischio d’impresa, in assenza dei quali si configura una mera fornitura di prestazione lavorativa che, se effettuata da soggetti non autorizzati configura il reato ex articolo 18 d.lgs. numero 276/2003. Perciò, «per la ricorrenza del reato in discussione, devono contemporaneamente esservi un rischio di impresa, dei mezzi necessari alla esecuzione dell’appalto ed un potere organizzativo e direttivo». Su questi aspetti, il Tribunale non aveva argomentato sufficientemente, perciò la Corte di Cassazione accoglie il ricorso e rimanda la decisione ai giudici di Sondrio.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 27 gennaio – 6 maggio 2015, numero 18667 Presidente Teresi – Relatore Mulliri Ritenuto in fatto 1. Vicenda processuale e provvedimento impugnato - L'imputata, nella sua qualità di legale rappresentante della ditta Rehacoop, è accusata di avere violato la normativa sul lavoro interponendosi abusivamente nella fornitura di manodopera per avere stipulato un contratto di appalto di opera e servizi , in assenza dei requisiti di cui all'articolo 29 comma 1 d.lgs 276/03, e quindi, fornendo, in qualità di pseudo-appaltatore, alla società Reha Istituto tecnico Ortopedico in seguito Reha LT.O. , 3 lavoratori per lo svolgimento di prestazioni di lavoro per 569 giornate di occupazione. Con la sentenza impugnata, la ricorrente è stata condannata alla pena di 19.000 € di ammenda. 2. Motivi del ricorso - Avverso tale decisione, ella ha proposto ricorso, tramite difensore, deducendo 1 mancanza di motivazione sulle deduzioni difensive. Si fa notare che, pur avendo premesso richiami giurisprudenziali circa i requisiti che danno luogo alla interposizione fittizia di manodopera, di fatto, la sentenza non vi si attiene. In particolare, si ricorda che, anche in base alla sentenza numero 12201/11 della cassazione civile, ai fini della sussistenza di un appalto fraudolento, non è significativa la circostanza che il personale dell'appaltante impartisca disposizioni agli ausiliari dell'appaltatore perché va verificato se tali disposizioni attengano alle concrete modalità di svolgimento della prestazione lavorativa ovvero al solo risultato di tali prestazioni il quale ultimo ben può essere oggetto di un genuino contratto di appalto. Orbene, sul punto, la sentenza impugnata nulla ha detto e, quindi, è palese il vizio di motivazione 2 nullità della sentenza per mancanza e contraddittorietà della motivazione rispetto agli accertamenti fattuali dibattimentali. Riportando brani delle deposizioni dei testi, Costagli e Seimi, la ricorrente punta a sostenere che la decisione impugnata non ne ha tenuto conto per smentire la tesi difensiva di una autonomia organizzativa ed amministrativa della Rehacoop. Per la ricorrente sarebbero, invece, evidenti i riscontri probatori in tal senso e si critica l'asserzione, opposta, secondo cui vi sarebbe stato un potere direttivo in capo alla Reha LT.O Il tutto, trascurando anche di dare il giusto peso alla chiara acredine che il teste Bonomi nutriva nei confronti della società amministrata dalla ricorrente. La ricorrente conclude invocando l'annullamento della sentenza impugnata. Considerato in diritto 3. Motivi della decisione - Il ricorso è fondato. 3.1 Come bene lumeggiato dalla ricorrente nel primo motivo, la decisione di condanna è stata assunta facendo leva su una asserita commistione tra le due società che è stata desunta dalla proprietà dei locali e delle attrezzature della Reha LT.o e dalla esistenza di un potere direttivo sui tre dipendenti della Rehacoop. Il ragionamento del giudice si è, quindi, basato sul concetto secondo cui sussiste il reato quando l'appaltatore eserciti il potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell'appalto sez. III, 6.11.12, Tonelli, numero 2334/13 come pare essere avvenuto nella specie visto che, stando alle dichiarazioni dell'ispettore del lavoro, i tre dipendenti erano stati assunti formalmente dalla cooperativa dell'imputata ma, di fatto, svolgevano ed erano stati visti personalmente farlo attività lavorativa presso la Reha LT.O., ricevevano direttive dalla Reha LT.O. ed era un dipendente della Reha LT.O. che redigeva le buste paga. Pur non negando tali evidenze, la ricorrente ha, tuttavia richiamato l'attenzione sul fatto che non è sufficiente a far configurare un appalto fraudolento la circostanza che il personale dell'appaltante impartisca disposizioni agli ausiliari dell'appaltatore, dovendosi, piuttosto, verificare se tale direttive siano inerenti a concrete modalità di svolgimento delle prestazioni lavorative oppure si riferiscano solo al risultato, di tali prestazioni, che in sé, può formare genuino oggetto dei contratto di appalto. 3.1 L'assenza di una motivazione su tale aspetto nella sentenza impugnata, appare ancora più evidente alla luce dei fatto che, come si evidenzia meglio nel secondo motivo, esso avrebbe dovuto essere approfondito stanti le dichiarazioni dei testi della difesa, Seimi e Costagli i quali - secondo brani delle deposizioni riportati nel ricorso - avrebbero illustrato giudice la esistenza di una complessa e strutturata organizzazione in base alla quale la Rehacoop gestiva ed organizzava il lavoro di tutti gli altri soci distribuiti sul territorio nazionale ditalché, la sede di Empoli aveva una sorta di gestione logistica di tutta l'organizzazione. Di qui l'esistenza di direttive impartite ai dipendenti sparsi per l'Italia da parte della Rehacoop e la conferma, per la tesi difensiva, di un potere direttivo della sede di Empoli - e non della Reha LT.O. - sì da doversi escludere la contestata intermediazione di manodopera. Ciò che rende censurabile la decisione impugnata è l'assenza di argomentazioni a riguardo. Una motivazione più specifica e puntuale a riguardo sarebbe stata auspicabile proprio perché ciò di cui si va contro vertendo è la violazione dell'articolo 29 comma 1 d.lgs 276/03 in base al quale il contratto di appalto, stipulato e regolamentato ai sensi dell'articolo 1655 del codice civile, si distingue dalla somministrazione di lavoro per la organizzazione dei mezzi necessari da parte dell'appaltatore e precisa che elementi distintivi di tale appalto possono risultare anche - in relazione alle esigenze dell'opera o del servizio dedotti in contratto - «dall'esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell'appalto, nonché per la assunzione, da parte del medesimo appaltatore, del rischio d'impresa». Si tratta, all'evidenza, di aspetto nodale che, nello specifico, non è stato sviluppato dal giudice se non in modo parziale valorizzando solo le emergenze di accusa ma senza un'adeguata replica alle controdeduzioni difensive. Muovendo da un principio giurisprudenziale indiscutibile citato in precedenza , il Tribunale ha, infatti, operato una sorta di equazione alquanto affrettata perché, ad esempio, non ha neppure tenuto conto che, fra i dati emersi, vi è anche quello che i locali e le attrezzature erano stati concessi in comodato gratuito alla Rehacoop e che, in ogni caso, è stato detto che non è sufficiente ad integrare il ricorso alla somministrazione abusiva di manodopera, sanzionata dall'articolo 18 D.Lgs. numero 276 del 2003 la circostanza che i dipendenti dell'appaltatore utilizzino per i lavori macchinari e attrezzature messe a disposizione dal committente, «essendo, per contro, necessario che l'appaltatore non eserciti il potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell'appalto e non assuma il rischio d'impresa» sez. 29.1.04, Paganoni, Rv. 227912 Si sarebbe, quindi, dovuto considerare che, in altra decisione di questa S.C. Sez. III, 25.11.04, Servidei, Rv. 230664 è stato detto che la distinzione tra contratto di appalto e quello di somministrazione di manodopera va operata, non soltanto, con riferimento alla proprietà dei fattori di produzione «ma altresì alla verifica della reale organizzazione dei mezzi e dell'assunzione effettiva del rischio d'impresa, in assenza dei quali si configura una mera fornitura di prestazione lavorativa che, se effettuata da soggetti non autorizzati configura il reato di cui all'articolo 18 del D.Lgs. 10 settembre 2003 numero 276». In altri termini, per la ricorrenza del reato in discussione, devono contemporaneamente esservi, un rischio di impresa, dei mezzi necessari alla esecuzione dell'appalto ed un potere organizzativo e direttivo. Il. giudice ha, però, affrontato anche la disamina delle dichiarazioni dei due testimoni portati dalla difesa in modo alquanto sommario limitandosi a sostenere che esse non scalfivano le risultanze precedentemente esposte ma senza entrare nello specifico delle loro affermazioni con argomentazioni puntuali. Quest'ultimo, però, è apprezzamento delle prove che, di certo, non può essere effettuato in questa sede di legittimità cui compete solo verificare la congruità, e non manifesta illogicità, delle argomentazioni dei giudice di merito. Nella specie, esse, come detto, appaiono insufficienti e giustificano l'accoglimento della doglianza e l'annullamento della sentenza impugnata con rinvio al Tribunale di Sondrio per nuovo giudizio alla luce dei rilievi appena formulati. P.Q.M. Visti gli articolo 615 e ss. c.p.p., annulla la sentenza impugnata con rinvio al Tribunale di Sondrio.