Come si conguagliano gli assegni familiari e i contributi previdenziali?

Un meccanismo semplice che diventa complesso in caso di indebita corresponsione degli assegni familiari.

L'attivazione da parte del datore di lavoro del meccanismo di anticipazione degli assegni familiari e del conguaglio di quanto corrisposto al suddetto titolo con quanto dovuto per contributi all'Istituto previdenziale comporta l'obbligo dello stesso datore di lavoro – in caso di prestazioni indebitamente erogate al lavoratore e poste a conguaglio – di recuperare le relative somme, trattenendole su quelle dovute al lavoratore a qualsiasi titolo in dipendenza del rapporto di lavoro il ricorso a tale meccanismo, determinando il versamento all'INPS della sola eccedenza tra l'importo degli assegni corrisposti con il complessivo maggiore ammontare dei contributi dovuti, comporta che il datore di lavoro è chiamato a contraddire in ordine alla pretesa avanzata dall'INPS per la restituzione dell'importo degli assegni indebitamente corrisposti, né può configurarsi un onere per l'INPS di attendere l'avvenuto recupero da parte del datore di lavoro per pretenderne giudizialmente il pagamento. Il caso. La Corte di Cassazione sent. numero 8873/15, depositata il 4 maggio scorso è stata chiamata a decidere sul caso di una società condannata a versare all'INPS un importo a titolo di assegni per nucleo familiare, sul presupposto che – intervenuta la compensazione con i contributi previdenziali – il recupero degli assegni familiari doveva configurarsi nei confronti del datore di lavoro e non nei confronti dei lavoratori che avevano beneficiato degli stessi. A corollario, è stata posta la questione in merito alla cumulabilità di interessi legali e rivalutazione monetaria sulle somme eventualmente dovute a titolo di restituzione. Come opera il meccanismo di conguaglio. La Suprema Corte ha ricordato che ai sensi dell'articolo 37, comma 1, d.p.r. numero 797/1955 gli assegni familiari sono corrisposti agli aventi diritto a cura del datore di lavoro alla fine di ogni periodo di pagamento della retribuzione. L'articolo 43 d.p.r. numero 797/1955 dispone che se l'ammontare dei contributi dovuti risulta superiore all'ammontare degli assegni corrisposti, il datore di lavoro provvederà, entro dieci giorni dalla fine di ciascun mese, a versare l'eccedenza all'INPS mentre se l'ammontare degli assegni corrisposti risulta superiore all'ammontare dei contributi dovuti, l'INPS provvederà a rimborsare l'eccedenza al datore di lavoro. Poiché il datore di lavoro di fatto anticipa gli assegni familiari per conto dell'INPS che sopporta l'onere definitivo della prestazione il datore di lavoro ha diritto ad operare il conguaglio totale o parziale tra questi e i contributi e le altre somme dovute all'INPS. In caso di indebita erogazione degli assegni familiari, posti a conguaglio, il datore di lavoro ha l'onere di recuperare le relative somme trattenendole su quelle dallo stesso dovute al lavoratore a qualsiasi titolo dipendente dal rapporto di lavoro. Peraltro, posto che con il meccanismo di conguaglio il datore di lavoro versa all'INPS la sola eccedenza tra l'importo degli assegni familiari corrisposti e il complessivo ammontare dei contributi dovuti, egli è chiamato a contraddire in ordine alla pretesa dell'INPS per la restituzione dell'importo degli assegni indebitamente corrisposti né può configurarsi un onere dell'Istituto previdenziale di attendere l'avvenuto recupero delle somme da parte del datore di lavoro. La Suprema Corte ha pertanto concluso per il diritto dell'INPS di recuperare i contributi erroneamente portati in compensazione in ragione degli assegni familiari indebitamente versati, spettando al datore di lavoro provare di aver assolto all'obbligo contributivo, sia pure mediante conguaglio. Non opera il divieto di cumulo Da ultimo gli Ermellini hanno concluso che, nel caso di specie, non operava il divieto di cumulo tra rivalutazione monetaria e interessi legali poiché tale divieto si applica solo nel caso di somme dovute dagli enti gestori di forme di previdenza obbligatoria e non di quelle dovute da soggetti privati a questi ultimi.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 11 dicembre 2014 – 4 maggio 2015, numero 8873 Presidente Roselli – Relatore Tricomi Svolgimento del processo 1. La Corte d'Appello di Reggio Calabria, con la sentenza numero 1546 del 2010, decidendo sull'impugnazione proposta dall'INPS nei confronti della società Coopmar s.c. a r.l. già Mariba e E.T.R. spa, avverso la sentenza del Tribunale di Reggio Calabria numero 2539/03, nonché sul reciproco appello incidentale e sull'appello riunito proposto dalla suddetta società avverso la sentenza del Tribunale di Reggio Calabria numero 842/06, dichiarata la carenza di legittimazione passiva di E.T.R. spa, così provvedeva rigettava l'appello dell'INPS in parziale accoglimento dell'appello incidentale della società rideterminava le spese di lite, liquidate nella sentenza numero 2539/03, in 1.900,23 Euro per diritti e 2.900,00 Euro per onorari, oltre iva, cpa e spese generali in parziale accoglimento dell'appello principale della società e in riforma della sentenza numero 842/06, annullava la cartella esattoriale numero 094220030040634014, condannando tuttavia la società a versare all'INPS 70.762,87 Euro per assegni nucleo familiare e 1.193,02 Euro per DM/10 insoluti mesi ottobre e novembre 1999, e dichiarando altresì che l'INPS aveva diritto anche a riscuotere le poste illiquide costituite dal recupero delle agevolazioni godute dai dipendenti P. , Pi. e G. , descritte a pag. 8 del verbale di accertamento del 28 aprile 2000, delle differenze di aliquota dal 14,6% al 14 % per sgravi oneri sociali dicembre 1994, descritte nel medesimo verbale pag. 8, e delle differenze sulla fiscalizzazione per contributi Tbc 1998 da calcolare al solo 0,16% e SSN luglio-ottobre 1995 percentuale corretta 8,44% , gennaio-maggio 1996 percentuale corretta 7,44% , e giugno-agosto 1996 percentuale corretta 6,84% , somme tutte maggiorate di interessi e rivalutazione nei limiti dell'articolo 16, comma 6, della legge numero 412 del 1991 a decorrere dalle singole scadenze. Confermava nel resto le impugnate sentenze. 2. Per la cassazione della sentenza resa in grado di appello ricorre la Coopmar società cooperativa nei confronti dell'INPS, della CSSI e di Equitalia ETR, prospettando un motivo di ricorso. 3. Resiste l'INPS in proprio e per la SCCI con controricorso e ricorso incidentale articolato in un motivo. Equitalia è rimasta intimata. Motivi della decisione 1. Preliminarmente va disposta la riunione dei giudizi in quanto proposti avverso la medesima sentenza di appello. 2. Con il ricorso principale si denuncia la violazione e falsa applicazione delle norme di cui all'articolo 2 del d.l. numero 69 del 1988, degli articolo 37, 38, 39, 40, 41, 42 e 43 del dPR numero 797 del 1955, dell'articolo 414 cpc, dell'articolo 2967 cc. Espone la ricorrente che la Corte d'Appello avrebbe errato nel condannarla al pagamento nei confronti dell'INPS della somma di Euro 70.762,87 per assegni nucleo familiare. Tale statuizione sarebbe stata fondata su una pretesa inversione dell'onere della prova, fondata sulla asserzione che il pagamento ai dipendenti dell'assegno per il nucleo familiare configuri uno sgravio contributivo o una posta dedotta in compensazione dopo l'accertamento di un'evasione contributiva e non, come è avvenuto nel caso di specie, un ordinario conguaglio ex articolo 42 e 43 TU numero 797/55 sugli assegni familiari. Il conguaglio opererebbe automaticamente e non sarebbe soggetto ad alcuna autorizzazione da parte dell'INPS. Intervenuta la compensazione, il recupero di eventuali assegni non dovuti poteva configurarsi solo nei confronti dei lavoratori e non del datore di lavoro. 3. Il motivo non è fondato e deve essere rigettato. 3.1. La Corte d'Appello ha statuito che il diritto al conguaglio, quale fatto parzialmente estintivo del debito contributivo, deve essere dimostrato dal datore di lavoro, e pertanto, imputet sibi Coopmar di non aver tempestivamente dimostrato che i propri dipendenti avevano prestato il numero di giornate necessario, che la produzione all'INPS della necessaria documentazione era stata tempestiva, che erano stati tenuti presenti solo i familiari aventi diritto, che tutte le somme conguagliate erano state effettivamente erogate. Dunque, l'onere della prova spettava a Coopmar, che non aveva mai specificamente contestato le somme indicate nell'allegato 6 della produzione INPS in primo grado, in cui erano indicati gli importi indebitamente sgravati a tale titolo. 3.2. Occorre ricordare che ai sensi dell'articolo 37, primo comma, del dPR numero 797 del 1955, gli assegni familiari sono corrisposti agli aventi diritto a cura del datore di lavoro alla fine di ogni periodo di pagamento della retribuzione. L'articolo 43 del medesimo dPR stabilisce, al primo comma, richiamando quanto previsto dall'articolo 42, che se l'ammontare dei contributi dovuti risulta superiore all'ammontare degli assegni corrisposti, il datore di lavoro provvedere, entro dieci giorni dalla fine di ciascun mese, a versare l'eccedenza all'INPS, e al successivo terzo comma, che se l'ammontare degli assegni corrisposti risulta superiore all'ammontare dei contributi dovuti, l'INPS provvederà a rimborsare l'eccedenza al datore di lavoro. Questa Corte ha già avuto modo di affermare sentenza numero 19261 del 2013 che disposizioni normative regolatoci delle modalità di pagamento degli assegni familiari, ne prevedono l'erogazione mediante anticipazione del relativo importo da parte del datore di lavoro per conto dell'INPS che sopporta l'onere definitivo della prestazione , e il diritto dello stesso datore ad operarne il conguaglio con i contributi e le altre somme dovute all'ente previdenziale. La particolareggiata disciplina dettata al riguardo nel detto Testo unico obbliga, infatti, il datore di lavoro a corrispondere gli assegni familiari alla fine di ogni periodo di pagamento della retribuzione articolo 37 e 45 dPR numero 797 del 1955 nonché a comunicare all'INPS, entro dieci giorni dalla fine di ciascun mese, l'ammontare dei contributi dovuti, il numero e l'ammontare degli assegni corrisposti nei periodi di paga scaduti nel corso del mese precedente distintamente per quanto si riferisce agli operai e agli impiegati, gli estremi dei versamenti e dei rimborsi cui si ha diritto e tutte le indicazioni necessarie per assicurare il pagamento dei contributi e la corresponsione degli assegni articolo 42 . La procedura prevista dalla richiamata disciplina si completa per quanto qui interessa con la previsione articolo 43 , alla quale si è fatto sopra riferimento, del diritto del datore di lavoro, ove l'ammontare dei contributi dovuti risulti superiore all'ammontare degli assegni corrisposti, di versare all'INPS la sola eccedenza. Per converso, ove l'ammontare degli assegni corrisposti risulti superiore a quello dei contributi dovuti, il datore di lavoro ha diritto al rimborso dell'eccedenza da parte dell'INPS. L'attivazione da parte del datore di lavoro del meccanismo, sicuramente agevolativo, di anticipazione degli assegni familiari e del conguaglio di quanto corrisposto al suddetto titolo con quanto dovuto per contributi all'Istituto previdenziale, comporta l'obbligo dello stesso datore - in caso di prestazioni indebitamente erogate al lavoratore e poste a conguaglio - di recuperare le relative somme, trattenendole su quelle da lui dovute al lavoratore medesimo a qualsiasi titolo in dipendenza del rapporto di lavoro, giusta la previsione del precitato d.P.R. numero 797 del 1955, articolo 24 che, testualmente, stabilisce In caso di indebita percezione di assegni da parte dei lavoratori, le somme che questi devono restituire sono trattenute sull'importo degli assegni da corrispondersi ad essi ulteriormente o su ogni altro credito derivante dal rapporto di lavoro . Al tempo stesso, il ricorso al detto meccanismo, determinando il versamento all'INPS della sola eccedenza tra l'importo degli assegni corrisposti e il complessivo maggiore ammontare dei contributi dovuti, comporta che il datore di lavoro è giustificatamente chiamato a contraddire in ordine alla pretesa avanzata dall'Istituto previdenziale per la restituzione dell'importo degli assegni indebitamente corrisposti e, quindi, indebitamente detratto dalle somme dovute a titolo contributivo né, stante il difetto di una qualunque previsione normativa che disponga al riguardo, può configurasi un onere per l'INPS di attendere l'avvenuto recupero delle somme da parte del datore di lavoro per pretenderne giudiziariamente il pagamento. 3.3. Pertanto, deve trovare ingresso il recupero da parte dell'INPS dei contributi erroneamente portati in compensazione in ragione di assegni familiari indebitamente versati, spettando al datore di lavoro provare l'assolvimento dell'obbligo contributivo sia pure con le modalità della normativa sopra richiamata. 3.4. Peraltro, nel punto 3.2 e, della sentenza di appello dedicato al conguaglio ANF, non vengono prospettate argomentazioni, atte ad integrare la ratio decidendi, con riguardo alla disciplina degli sgravi contributivi, richiamati a titolo meramente esemplificativo nel punto 3.2. Alla luce delle considerazioni che precedono nessuna censura può muoversi alla statuizione impugnata, onde il ricorso va rigettato. 4. Deve essere esaminato il motivo del ricorso incidentale. Con lo stesso l'INPS deduce violazione e falsa applicazione dell'articolo 1, comma 217, della legge numero 662 del 1996, e dell'articolo 16, comma 6, della legge numero 412 del 1991. Vizio di motivazione. Espone il ricorrente incidentale che l'articolo 16, comma 6, della legge numero 412 del 1991, pone a carico degli enti previdenziali l'obbligo di corrispondere gli interessi legali, a decorrere dalla data di scadenza del termine previsto per l'adozione del provvedimento sulla domanda. Poiché, nel caso di specie, l'obbligazione contributiva grava sul datore di lavoro, la previsione dell'articolo 16, comma 6, citato, non può trovare applicazione. 4.1. Il motivo è fondato e deve essere accolto. L'articolo 16, comma 6, della legge numero 412 del 1991, a cui fa riferimento la Corte d'Appello poiché disciplina la corresponsione degli interessi legali sulle somme dovute dagli enti gestori di forme di previdenza obbligatoria, prevedendo la non cumulabilità d'interessi e rivalutazione monetaria, non può trovare applicazione nel caso di specie, ove è la società Coopmar debitrice dell'INPS. Di conseguenza tale divieto non è applicabile e la rivalutazione monetaria è dovuta, ed è cumulabile con gli interessi, secondo le regole generali. 5. Pertanto, la sentenza va cassata in relazione al ricorso incidentale accolto e decidendo nel merito, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, vanno dichiarati dovuti sia gli interessi che la rivalutazione. 6. La Corte, sussistendo gravi ed eccezionali ragioni, tenuto conto della complessità dell'intero giudizio in cui si inseriscono le statuizioni impugnate e la peculiarità delle questioni venute in esame, compensa tra le parti le spese dell'intero processo. P.Q.M. La Corte riunisce i ricorsi. Rigetta il ricorso principale. Accoglie quello incidentale. Cassa la sentenza impugnata in ordine al ricorso incidentale e decidendo nel merito dichiara dovuti sia gli interessi sia la rivalutazione. Compensa tra le parti le spese dell'intero processo.