Quando è possibile la liquidazione in via equitativa da parte del giudice?

Il concreto esercizio del potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa, conferito al giudice del merito dagli articolo 1226 e 2056 c.c., s'inquadra nel potere generale attribuitogli dal disposto dell'articolo 115 c.p.c., sì che non si estrinseca in un giudizio d'equità ma in un giudizio di diritto caratterizzato dall'equità giudiziale correttiva od integrativa, e trova ingresso, a condizione che la sussistenza di un danno risarcibile nell'an debeatur sia stata dimostrata ovvero sia incontestata o infine debba ritenersi in re ipsa in quanto discendente in via diretta ed immediata dalla stessa situazione illegittima rappresentata in causa, nel solo caso di obiettiva impossibilità o particolare difficoltà di fornire la prova del quantum debeatur.

Grava, pertanto, sulla parte interessata dimostrare, secondo la regola generale posta dall'articolo 2697 c.c., ogni elemento di fatto, di cui possa ragionevolmente disporre nonostante la riconosciuta difficoltà, al fine di consentire che l'apprezzamento equitativo esplichi la sua peculiare funzione di colmare soltanto le lacune riscontrate insuperabili nell'iter della precisa determinazione della misura del danno stesso. Con la pronuncia dell’8 gennaio 2016, numero 127, la Cassazione fornisce alcuni chiarimenti, nel solco della consolidata giurisprudenza in tema, relativamente alla liquidazione del danno in via equitativa, precisando quando sia ammissibile, da parte del giudice, tale modalità di determinazione e liquidazione del danno stesso. Il caso. La vicenda decisa della Cassazione con la sentenza in commento prende le mosse dall’azione promossa da un imprenditore per una serie di inadempimenti, addebitati alla controparte, relativi ad un contratto che prevedeva la realizzazione di alcuni cartamodelli per il confezionamento di abiti. Accolta la domanda di risoluzione del contratto, viene rigettata nei giudizi di merito la domanda di risarcimento del danno, in quanto non risulta provato l’effettivo danno subito e non potendo ricorrere, per assenza degli elementi necessari a supporto, alla liquidazione del danno in via equitativa. In particolare, secondo la Corte di Appello, non sarebbero stati portati a conoscenza del giudice importanti dati, quali, ad esempio, il residuo valore commerciale dei modelli consegnati, che avrebbe comunque consentito lo svolgimento di una ctu. Il S.C. conferma la decisione della Corte territoriale, secondo la massima sopra illustrata. Liquidazione del danno in via equitativa come e perché. Alla stregua della prevalente giurisprudenza in materia, la facoltà di liquidare in via equitativa il danno presuppone 1 che sia concretamente accertata l'ontologica esistenza d'un danno risarcibile al riguardo, l'onere probatorio ricade sul danneggiato e non può essere assolto semplicemente dimostrando che l'illecito ha soppresso una cosa determinata, se non si dimostri altresì che questa era suscettibile di valutazione economica 2 che l'impossibilità o l'estrema difficoltà di una stima esatta del danno dipenda da fattori oggettivi e non già dalla negligenza della parte danneggiata nell'allegare e dimostrare gli elementi dai quali desumere l'entità del danno. Orbene, nel caso di specie, l’attore non ha mai provato i suddetti elementi, limitandosi ad illustrare i difetti nei cartamodelli oggetto del contratto ma senza specificarne l’inidoneità totale o parziale all’utilizzo elemento che avrebbe certamente consentito di inquadrare diversamente la fattispecie del danno lamentato. Risarcimento del danno e potere discrezione del Giudice. Oltre a quanto previsto in precedenza, deve osservarsi che il potere discrezionale, conferito al giudice dall'articolo 1226 del c.c. di liquidare il danno in via equitativa è subordinato alla condizione che sia impossibile o molto difficile provare il danno nel suo preciso ammontare l'esercizio concreto, in senso positivo o negativo, del detto potere e l'accertamento dell'esistenza del presupposto costituito dall'impossibilità o rilevante difficoltà della prova non sono suscettibili di sindacato in sede di legittimità, se la relativa decisione sia sorretta da motivazione immune da vizi logici o da errori di diritto. Giudice amministrativo e liquidazione in via equitativa. Per quanto riguarda, invece, il giudizio amministrativo, è altresì necessario che l'interessato, ai sensi dell'articolo 2697 c.c., fornisca in modo rigoroso la prova dell'esistenza del danno, trovando anche nel giudizio risarcitorio avanti al Giudice Amministrativo piena applicazione il principio dell'onere della prova e non invece l'onere del principio di prova che, almeno tendenzialmente, si applica in materia di interessi legittimi deve inoltre precisarsi che il Giudice può intervenire in via suppletiva, con la liquidazione equitativa del danno, solo quando non possa essere fornita la prova precisa del quantum di danno, restando fermo che l'an dello stesso deve essere provato dall'interessato. Perdita di chanche e liquidazione del danno in via equitativa. Con riferimento ad ipotesi particolari, ad esempio, si è affermato che il risarcimento del danno da perdita di chance non può essere liquidato in via equitativa attraverso il ricorso alle tabelle per la liquidazione del danno biologico permanente, non configurandosi una perdita definitiva della chance ma solo un maggior ritardo nel conseguimento del risultato atteso. Onore e reputazione sì alla liquidazione del danno in via equitativa. Per quanto concerne i danni non patrimoniali, consistenti nella lesione dell'onore e della reputazione morale e professionale dell'attrice, essi non possono non essere liquidati che in via equitativa, ex articolo 1226 c.c., essendo il ricorso ai criteri equitativi insito nella natura del danno e nella funzione del risarcimento realizzato mediante la dazione di una somma di danaro, che non è reintegratrice di una diminuzione patrimoniale, ma compensativa di un pregiudizio non economico. Discredito dell’impresa e risarcimento in via equitativa. Nell’ambito dell’attività di impresa ed in tema di quantificazione del danno “in re ipsa”, la giurisprudenza è ormai concorde nell’affermare che il discredito che deriva dall'illegittima segnalazione alla Centrale Rischi di un protesto cambiario è tale da ingenerare una presunzione di scarso affidamento dell'impresa e da connotare come rischiosi gli affidamenti già concessi con inevitabile perturbazione dei suoi rapporti economici e una perdita costituita dalla diminuzione o dalla privazione di un valore del soggetto e del suo patrimonio alla quale il risarcimento deve essere commisurato. La liquidazione del danno che consegue all'illegittima segnalazione di un protesto cambiario può, dunque, essere effettuata anche secondo criteri equitativi, qualora l'attività svolta non consenta di dare certezza alla misura del danno stesso, come avviene quando, essendone certa l'esistenza, risulti impossibile o estremamente difficoltoso provare la precisa durata del pregiudizio economico subito.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 14 ottobre 2015 – 8 gennaio 2016, numero 127 Presidente Petti – Relatore Ambrosio Svolgimento del processo Con sentenza in data 23.04.2012, numero 558, la Corte di appello di Firenze, rigettando le contrapposte impugnazioni delle parti, ha confermato la sentenza numero 4416/2006 con la quale il Tribunale di Firenze, accogliendo la domanda proposta da P.C., quale titolare della ditta C. Marketing Italia, nei confronti di A.M.S., aveva dichiarato risolto per inadempimento di quest'ultima il contratto in data 15.12.2000 avente ad oggetto la realizzazione di prototipi carta modelli per il confezionamento di capi di abbigliamento femminili per gli anni 2001/2003 e aveva, invece, rigettato le ulteriori domande di risarcimento danni, proposte dal C I Giudici del merito hanno ritenuto, sulla scorta di una c.t.u., che i carta modelli realizzati dalla S. presentassero difetti di vestibilità in relazione sia alla collezione inverno 2001, che alla collezione primavera-estate 2002 hanno, peraltro, escluso che vi fosse prova idonea dei danni lamentati dal C., precisando che gli elementi offerti neppure consentivano di fare ricorso a una C.T.U Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione P.C., nella indicata qualità, svolgendo tre motivi. Parte intimata ha depositato atto di costituzione corredato da procura notarile, in forza della quale ha partecipato all'udienza collegiale. Motivi della decisione 1. La Corte territoriale ha escluso che vi fosse la prova del danno, nella triplice accezione reclamata dall'odierno ricorrente, segnatamente evidenziando a quanto al danno derivante dall'emissione da parte del C. di note di credito a favore di propri clienti note di credito, asseritamente necessitate a cagione dei vizi della merce , che le contestazioni erano non specifiche circa i vizi riscontrati e che, anche quando si presentavano come specifiche denunciando vizi di vestibilità , non apparivano integralmente riferibili all'inadempimento di S., riguardando anche vizi sicuramente non ascrivibili al difetto di proporzioni riscontrato nei carta modelli dalla stessa forniti in ogni caso, il danno non era parametrabile sulle valutazioni dei soggetti coinvolti nello stesso il C. e i suoi clienti , posto che esse non risultavano ancorate a dati obiettivi e risultavano, quindi, inidonee a confortare la tesi di assoluta inservibilità della merce restituita a parere della Corte di appello sarebbe stato necessario approfondire il problema della residua commerciabilità della merce, proprio alla luce delle richieste dei clienti del C., laddove si prospettava il reso o uno sconto del 50% in tale contesto mancavano gli elementi effettiva entità dei capi difettati, loro residua commerciabilità sia pure a livelli commerciali inferiori a quelli programmati necessari per il ricorso a una c.t.u. contabile b quanto al danno derivante dalla mancata esecuzione da parte di S. degli obblighi assunti per le collezioni del 2003, che il C. non aveva neppure dedotto tantomeno provato le circostanza di fatto in particolare gli impegni contrattuali assunti per detta collezione , necessarie per procedere alla liquidazione risarcitoria, ancorchè equitativa del danno c quanto al danno all'immagine imprenditoriale, che il C. non aveva neppure dedotto alcuna specifica circostanza per es. diffusione territoriale e quote di mercato acquisite dalla propria ditta, notorietà del proprio marchio, in particolare a seguito di investimenti pubblicitari, partecipazioni manifestazioni e fiere per una liquidazione, ancorchè equitativa, del danno. 1.1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia ai sensi dell'articolo 360 numero 3 cod. proc. civ. violazione o falsa applicazione dell'articolo 1226 cod. civ Al riguardo parte ricorrente si duole dal mancato riconoscimento del danno sub a& gt , da intendesi comprensivo del lucro cessante e del danno emergente, derivante da difetto di vestibilità in particolare - richiamato un precedente di questa Corte in tema di inadempimento del compratore sentenza 06 marzo 1982, numero 1429 - deduce che il principio ivi espresso in tema di determinazione con equo apprezzamento del danno conseguente all'inadempimento del compratore deve trovare applicazione anche in caso di inadempimento del venditore, con la conseguenza che, nella specie, il mancato guadagno andrebbe presunto, indipendentemente dal fatto che il bene oggetto della compravendita sia stato destinato dal venditore ad altri acquirenti ne deriverebbe un errore di diritto della decisione impugnata per aver escluso una valutazione equitativa del danno sulla base della considerazione che non era stata provata la residua commerciabilità dei capi di abbigliamento restituiti al C 1.2. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia ai sensi dell'articolo 360 numero 3 cod. proc. civ. violazione o falsa applicazione degli articolo 112 cod. proc. civ. e 1226 cod. civ Al riguardo parte ricorrente deduce che risultava dimostrata sia l'esistenza dell'inadempimento che, l'esistenza del danno, giacchè il mancato riconoscimento della pretesa risarcitoria è dipeso da questioni inerenti la quantificazione, quali il valore residuo della merce difettosa e l'effettivo numero dei capi viziati quest'ultima peraltro da intendersi come problematica errata, perché i capi non vestibili erano tutti, essendo viziati i cartamodelli lamenta, dunque, che non si sia dato corso ad una valutazione equitativa del danno, pur ontologicamente accertato, incorrendo la decisione anche nel vizio di cui all'articolo 112 cod. proc. civ. per mancato pronunciamento su tutta la domanda. 1.3. Con il terzo motivo di ricorso si denuncia ai sensi dell'articolo 360 numero 5 cod. proc. civ. illogicità della motivazione. Al riguardo parte ricorrente lamenta la mancata liquidazione del danno sub b , assumendo che vi è una contraddizione interna alla motivazione, per avere ritenuto necessaria la prova degli impegni contrattuali assunti, laddove, proprio in mancanza della fornitura dei cartamodelli, non era stato possibile dare corso alla campagna di vendita in sostanza la mancata prova dell'assunzione di impegni contrattuali non potrebbe assurgere a motivo di rigetto della domanda risarcitoria, rappresentando, piuttosto, la ragione per cui viene domandato il ristoro pecuniario ulteriore contraddizione sarebbe ravvisabile con riferimento alla statuizione di rigetto del danno sub a& gt , laddove si è affermato che le note di credito relative alla restituzione della merce sono aspecifiche sulla causa della restituzione, dal momento che i difetti di vestibilità non potrebbero che derivare dai vizi dei cartamodelli, trasfusi nei capi di abbigliamento realizzati dal C 2. I tre motivi, suscettibili di esame unitario in ragione della connessione delle questioni trattate, sostanzialmente focalizzate sul mancato ricorso da parte dei giudici di merito alla facoltà di liquidazione equitativa del danno, attengono alle due voci di danno sub a& gt e b& gt nulla quaestio, invece, in ordine il mancato riconoscimento del danno all'immagine, con la conseguenza che, in difetto di specifiche censure, la statuizione di rigetto in parte qua è passata in giudicato. 2.1. Ciò premesso, in via di principio si rileva che la facoltà di liquidare in via equitativa il danno presuppone 1 che sia concretamente accertata l'ontologica esistenza d'un danno risarcibile 2 che l'impossibilità o l'estrema difficoltà di una stima esatta del danno dipenda da fattori oggettivi e non già dalla negligenza della parte danneggiata nell'allegare e dimostrare gli elementi dai quali desumere l'entità del danno. Invero il concreto esercizio del potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa, conferito al giudice del merito dagli articolo 1226 e 2056 c.c., s'inquadra nel potere generale attribuitogli dal disposto dell'articolo 115 cod. proc. civ., sì che non si estrinseca in un giudizio d'equità ma in un giudizio di diritto caratterizzato dall'equità giudiziale correttiva od integrativa, e trova ingresso, a condizione che la sussistenza di un danno risarcibile nell'an debeatur sia stata dimostrata ovvero sia incontestata o infine debba ritenersi in re ipsa in quanto discendente in via diretta ed immediata dalla stessa situazione illegittima rappresentata in causa, nel solo caso di obiettiva impossibilità o particolare difficoltà di fornire la prova del quantum debeatur. Grava pertanto sulla parte interessata dimostrare, secondo la regola generale posta dall'articolo 2697 cod. civ., ogni elemento di fatto, di cui possa ragionevolmente disporre nonostante la riconosciuta difficoltà, al fine di consentire che l'apprezzamento equitativo esplichi la sua peculiare funzione di colmare soltanto le lacune riscontrate insuperabili nell'iter della precisa determinazione della misura del danno stesso Cass. 08 maggio 2013, numero 10891 cfr. anche Cass. 19 novembre 2013, numero 25912 . Mentre l'esercizio concreto, in senso positivo o negativo, del detto potere e l'accertamento dell'esistenza del presupposto costituito dall'impossibilità o rilevante difficoltà della prova non sono suscettibili di sindacato in sede di legittimità, se la relativa decisione sia sorretta da motivazione immune da vizi logici o da errori di diritto Cass. 13 dicembre 2002, numero 17863 . 2.2. Ciò premesso, con specifico riferimento alla voce di danno sopra sub a va innanzitutto sgombrato il campo dal richiamo da parte ricorrente ad un non recente precedente da questa Corte sent. numero 1429 del 1982, in tema di inadempimento del compratore, in favore del venditore di beni mobili, che eserciti a scopo di lucro il commercio dei medesimi che appare doppiamente eccentrico rispetto al caso di specie, in cui non si discute dell'utile che sarebbe stato conseguibile dal venditore nel caso di normale esecuzione da parte del compratore, bensì del danno che sarebbe derivato al committente dal non corretto adempimento di una fornitura, sul presupposto ritenuto, peraltro, non dimostrato dai giudici di merito dell'assoluta inservibilità della fornitura stessa_ Soprattutto la censura non attinge il punto nodale della decisione laddove viene evidenziato - prima ancora che l'aspecificità di alcune contestazioni dei clienti del C. -- la sicura riferibilità di altre contestazioni a vizi non ascrivibili ai cartamodelli forniti dalla S. e, comunque, l'esistenza di precisi elementi deponenti per una residua utilizzabilità della merce, rimarcandosi nel contempo l'inesistenza di idonei elementi di riscontro sia sull'effettiva entità dei capi difettati per vizi ascrivibili al difetto di proporzioni dei cartamodelli forniti dalla resistente sia sulla commerciabilità degli stessi a prezzi eventualmente scontati. Orbene la situazione descritta non è sussumibile di essere ricondotta a quella di impossibilità o estrema difficoltà della prova del danno, come sopra individuata, sì da legittimare la liquidazione equitativa. Tantomeno è postulabile una mancata pronuncia sull'intera domanda, posto che una pronuncia vi è stata ed è di rigetto, per mancato assolvimento dell'onere della prova di cui all'articolo 2697 cod. civ Le valutazioni espresse al riguardo sono di stretto merito, non sindacabili, come tali, in questa sede, giacchè i motivi di cui all'articolo 360 cod. proc. civ. non possono consistere nella difformità dell'apprezzamento dei fatti e delle prove dati dal Giudice del merito rispetto a quello previsto dalla parte. 2.3. Non è ravvisabile alcuna incongruenza motivazionale nel percorso argomentativo della decisione, neppure laddove esclude il danno sub b per presunte perdite di affari nell'anno 2003, in difetto di prova degli impegni contrattuali assunti dal C. e della relativa sorte. Il tentativo di parte ricorrente di far intendere che prova non vi è stata perché non vi furono trattative proprio in conseguenza della mancata fornitura dei cartamodelli - prima ancora che prospettare valutazioni meramente alternative rispetto a quelle svolte dai giudici del merito - finisce per confermare che, anche sotto questo versante, non sono stati forniti al giudice del merito elementi per procedere all'invocata liquidazione equitativa. In definitiva gli argomenti di parte ricorrente, ancorchè prospettati sotto il duplice profilo della violazione di legge e del vizio motivazionale, si risolvono in mere valutazioni in fatto, in buona parte assertive e, comunque, non dirimenti rispetto alle plausibili argomentazioni svolte nella decisione impugnata. Di conseguenza il ricorso va rigettato. Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo alla stregua dei parametri di cui al D.M. numero 55 del 2014, seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in e 5.200,00 di cui E 200,00 per esborsi oltre accessori come per legge e contributo spese generali.